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Nutrirsi di libri terribili e autori ispirati dal Male?

La letteratura moderna e contemporanea, la filosofia moderna, l’arte moderna, la musica moderna, e gran parte del cinema d’oggi, sono stati per caso ispirati, direttamente o indirettamente, coscientemente o no, dal Signore del Male?

Gli architetti e gli urbanisti che progettano e costruiscono le città e i monumenti; le giurie che assegnano i premi letterari; gli editori che pubblicano i libri; i giornalisti che pubblicizzano certi personaggi, certi autori e certe opere, sono per caso ispirati dal Signore del Male? Oppure fanno le loro scelte in perfetta autonomia, favorendo quasi infallibilmente le cose peggiori e costruendoci attorno una realtà da incubo, dove il vero, il bene e il bello vengono sistematicamente esclusi, o stravolti, o capovolti, per fare posto a quanto di peggio la modernità ha prodotto e continua a produrre, con inesausta prodigalità, a livello speculativo, poetico, artistico, scientifico, tecnologico e perfino teologico?

Eppure, se è così, come spiegare questo generale oscuramento della ragione, questo obnubilamento del senso estetico, questa inversione del sano e normale istinto della vita? Come spiegare che la mente umana, specie negli individui più intellettualmente dotati, indugi così frequentemente nei regni del male, dell’incubo, dell’orrido, del patologico, del barbarico, del mostruoso, o quanto meno del vano, dell’innaturale, del torbido, per una sua libera scelta, non influenzata né suggestionata dalle forze del male?

Mysterium iniquitatis, si dice. Certo. Ma è una spiegazione? La ragione naturale è la qualità che fa dell’uomo quello che è, uomo, ossia la creatura più perfetta dell’universo; come capacitarsi che proprio questa splendida facoltà, che è finalizzata alla ricerca del vero, del bene e del bello, in lui possa degenerare e trasformarsi nello strumento della sua confusione, del suo smarrimento, della sua disperata lontananza dal vero, dal bene e dal bello? È strano, più che strano: è incomprensibile. Come accade che la più nobile facoltà dell’uomo si trasformi in una maledizione, in una bacchetta magica che funziona alla rovescia, e gli tolga il gusto della vita, e la fede nella verità, e la certezza della giustizia e dell’amore?

La spiegazione, ci sembra, si trova in san Paolo, nell’Epistola ai Romani (1,18-25):

18 In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23 e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.

24 Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25 poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.

Scriveva Giovanni Papini nel volume Il Diavolo. Appunti per una futura diabologia (Firenze, Vallecchi, Editore, 1954, pp. 245; 247-248):

Nel mondo protestante e specialmente in quello inglese e puritano fu molto diffusa l’opinione che "Il Principe" di Machiavelli fosse un’opera ispirata dal demonio perché sembrava a quei candidi fanatici che quel libro fosse il breviario di tutte le arti infernali per dominare e sopprimere gli uomini. Nessuno oggi, almeno tra i cattolici, segue codesta maligna opinione, mentre si potrebbe attribuire un’ispirazione diabolica, con maggiore verosimiglianza, all’opera in un inglese, il famoso "Leviathan" (1651) di Tommaso Hobbes. Codesto libro, come si sa, è una sintesi terribile del materialismo radicale e del determinismo assoluto: niente spirito e niente libertà: la conclusione naturale è che la vita umana consiste nella «guerra di tutti contro tutti». (…)

La Francia conosceva già un libro ancor più satanico. Cioè il "Testament" del curato Mellier (o Meslier), morto nel 1729, del quale pubblicarono alcuni frammenti il Voltaire (1762) e il d’Holbach (1772). Si leggeva nel "Testament" la macabra frase, divenuta famosa al tempo della Rivoluzione Francese, nella quale il curato Mellier diceva che bisognava strozzare l’ultimo prete con le budella dell’ultimo re.

Anche il capolavoro di Max Stirner, "L’unico e la sua proprietà" (1843), divenuto ai tempi nostri il testo sacro dell’anarchia assoluta, può far pensare, specialmente nella sua prima parte, alla tetra insufflazione dell’Avversario.

Parecchie pie persone hanno ritrovato il fiato e il soffio di una dettatura luciferina nell’operetta di Federico Nietzsche "L’Anticristo" (1888), una delle ultime scritte dal filosofo scritte prima della pazzia e nella quale viene riconfermata la condanna della morale cristiana della pietà. Ma tini e scatti ancor più satanici si potrebbero ritrovare in "Zarathustra" e in altre opere del Nietzsche.

Nella letteratura contemporanea i libri che paiono suggeriti dal Principe delle Tenebre sono innumerevoli. Ma il più pauroso, nonostante l’apparente pacatezza del racconto che non contiene nessuna esibizione di sfoghi infernali, pare a me "La metamorfosi" (1916) di Franz Kafka. Nella storia di quell’uomo mediocre che diventa improvvisamente verme e vive orribilmente ma silenziosamente la sua vita di verme fino al giorno in cui la sua molliccia carogna vien gettata nella spazzatura, mi pare di riconoscere la più sinistra beffa che il demonio abbia immaginato per umiliare e torturare l’uomo. Anche "Il processo" (1925) dello stesso Kafka si intravedono le crudeli intenzioni di un diavolo clandestino e anonimo il quale turba le anime in modo indiretto e implacabile puntando sopra una misteriosa colpa che può essere tanto il peccato originale quanto il peccato di tutti noi in tutti i giorni della vita.

Il problema che si pone è questo: gli autori delle opere qui ricordate ebbero o no la consapevolezza, oscura o chiara che fosse, d’una totale o parziale ispirazione satanica? È probabile che i più non l’avvertissero, perché una delle più famose astuzie del Diavolo è proprio quella di non farsi accorgere, come il traditore del detto popolare che «tira il sasso e nasconde la mano».

Uno solo di essi, André Gide, ebbe presente questo problema e lo risolse concludendo che in tutte le opere d’arte è necessaria la partecipazione demoniaca. Infatti egli affermò, con una franchezza che suscita ammirazione e paura, «qu’il n’est point de véritable oeuvre d’arte où n’entre la collaboration du démon» (Gide, "Dostojewski", Paris, Plon, 1923, p. 253).

Ma è vero, poi? È vero che nelle opere d’arte c’è sempre una ispirazione in qualche modo demoniaca? Noi non lo crediamo affatto; e potremmo citarne moltissime, dalla Divina Commedia di Dante ai meravigliosi affreschi del Beato Angelico, solo per fare un paio di esempi fra i mille e mille che ci si offrono, a smentire questa interpretazione. Che nasce senza dubbio dal sottofondo gnostico di quasi tutta la cultura moderna: la tenace idea che il bene è impastato anche con il male, e viceversa; idea falsa e fuorviante, ma fortunata, nel senso che è stata adottata, consapevolmente o no, da moltissimi autori. E la ragione di ciò è abbastanza chiara: se si parte, come fa Rousseau e come fa quasi tutta la cultura moderna, dall’idea — totalmente infondata — che l’uomo sia buono per natura, e che è la società a renderlo cattivo, ci si trova a non saper spiegate come mai sorga in lui tanta cattiveria, anche al fuori di ciò che può insegnargli la società, ad esempio laddove egli è libero di fare le sue scelte, senza costrizioni, senza pressioni, senza ristrettezze economiche e quindi senza che la si possa addebitare a qualche influsso ambientale negativo, anzi magari con una famiglia piena d’amore alle spalle, e dei genitori eccellenti.

Una ispirazione demoniaca, ci sembra non in senso figurato ma in senso proprio, era attribuita da Joseph De Maistre a tutte le opere di Voltaire.

Come osserva Marco Ravera nel suo saggio Joseph De Maistre pensatore dell’origine (Milano, Mursia, 1986, p. 39):

In quale senso, dunque, non incarna Voltaire la negazione assoluta e violenta o il rifiuto volgare e facilmente smascherabile [del cristianesimo] proprio per la sua eccesiva virulenza, ma piuttosto si identifica con l’inganno allo stato puro, libero da concezioni di sorta e pertanto sottilmente e autenticamente demoniaco? La risposta di Maistre è costante ed univoca: perché ovunque, in tutti i suoi scritti e a proposito di qualsiasi questioni, politica o filosofica, storica io scientifica, egli muove SEMPRE da giusti presupposti, SEMPRE conduce analisi penetranti ed acute, pensa insomma nel modo migliore e tuttavia SEMPRE conclude per l’errore (…); e poiché questo non può certo essergli imputato a debolezza, data la forza del suo ingegno di cui mai Maistre si sogna di dubitare (anche quando apertamente lo insulta […], non resta che attribuire questa costante deformità del "raisonnement" voltairiano a una lucida regia che fin dall’inizio coscientemente utilizza premesse corrette, piegandone poi impercettibilmente lo sviluppo verso conclusioni aberranti, per altro già sempre perseguite in nome di un odio «mortale e personale verso Dio (…).»

C’è di che riflettere.

Tutti possono errare. Ma errare sempre, sistematicamente, partendo da premesse giuste: dopo aver cioè saputo vedere la realtà nei suoi termini esatti; e tuttavia concludere sempre, infallibilmente, per il nulla, per il caso, per l’assurdo, e togliere qualunque ombra di spirito e ogni speranza di verità, di trascendenza, di significato: questo è veramente diabolico. È diabolico, infatti, usare l’intelligenza, e specialmente un’intelligenza raffinata, per denigrare la vita, per negare il Creatore, per irridere tutto ciò che rende buona e bella l’esistenza: e non può essere frutto di uno stato d’animo transitorio o di uno sbaglio involontario. Quando l’errore è sistematico in una mente razionale ben formata, bisogna propendere per un’altra spiegazione: una spiegazione che non è affatto, anzi, diciamolo pure, che è assolutamente esclusa, e semmai considerata come un sicuro indice di pazzia, per una qualche forma di ossessione o infestazione diabolica, quando non di possessione vera e propria.

Il fatto è che l’uomo, e specialmente l’uomo moderno, ha un bel rifiutarsi di credere al Diavolo, alla sua presenza, alle sue opere, al suo sinistro, ma silenzioso e quasi inavvertito influsso sui cattivi pensieri e le cattive azioni degli uomini, la sua capacità d’insinuarsi pian piano e poi sfruttare con somma abilità tutte le loro debolezze, anche le più riposte (perfino nelle anime sante!): ma è lui che crede nell’uomo, nel senso che non ha mai rinunciato, dai tempi del Giardino e del Serpente, a servirsi dell’uomo contro l’uomo, a fare leva su ogni sua più nascosta lussuria, superbia e cupidigia, per avvincerlo a sé facendogli intravedere le splendenti meraviglie del potere, del successo e del piacere, e per allontanarlo irreparabilmente da quell’Amore divino che, solo, potrebbe condurlo a salvamento.

Lui sì che crede nell’uomo; dunque, crede nell’umanesimo integrale; dunque, suggerisce tutte le filosofie, tutti gli atteggiamenti, tutti gli stili di vita che pretendono di assolutizzare il corpo, il lato fisico della vita, l’edonismo, la mercificazione dei valori, l’avvilimento della dignità, la mortificazione del libero arbitrio. E dunque se c’è qualcuno che gode, che gode immensamente, nel vedere gli uomini moderni che ascoltano con reverente attenzione, e ammirano con una ancor più reverente meraviglia, le opere – letterarie, filosofiche, artistiche, scientifiche, musicali, cinematografiche – ove si celebrano, per dirla con William Blake, le nozze del cielo e dell’inferno, cioè il sabba gnostico che confonde il bene col male, il vero col falso (concetto che verrà ripreso, mutatis mutandis, dalla dialettica hegeliana), ebbene quegli è proprio lui, l’antico avversario. Lui sì che non si scoraggia, che non si arrende mai, né getta la spugna; lui sì che lavora pazientemente, con perseveranza incrollabile, con tenacia infinita per conseguire i suoi fini. E la sola difesa efficace non può essere che pregare: Padre, perdono: abbiamo peccato contro il cielo e contro di Te! Non siamo più degni di essere chiamati figli; trattaci come fossimo i Tuoi servi. Allora verrà la salvezza.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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