Vi è corrispondenza fra pensiero, linguaggio e realtà?
25 Agosto 2022La grande domanda: è così facile ingannare l’uomo?
28 Agosto 2022Si usa dire che la filosofia consiste nell’amore e nella ricerca del vero; e ciò è comunemente accettato. Ma se volessimo precisare ulteriormente questa definizione, non dovremmo forse dire che ogni filosofia — perché, di fatto, ci sono diverse filosofie, espressione di differenti tentativi di giungere al vero; anche se una sola è quella che conduce effettivamente alla meta, essendo una e indivisibile la verità — si caratterizza per l’oggetto che sta al centro della sua ricerca? Infatti, in pratica, il "vero" è un concetto estremamente ampio e sempre ulteriormente estensibile: e come il concetto di scienza comprende numerose scienze particolari, così anche la filosofia di fatto si suddivide in numerosi ambiti — come la logica, la metafisica, l’etica e il diritto naturale — e pertanto ogni filosofia s’indirizza particolarmente verso un determinato ambito (rarissimi sono i geni universali, come Aristotele e san Tommaso d’Aquino, capaci di spaziare con uguale autorevolezza in ciascuno di essi). E non solo le varie filosofie si caratterizzano a seconda dell’ambito particolare verso cui concentrano il loro sforzo speculativo; ma anche per la particolare prospettiva, per i mezzi dei quali si servono, per le categorie secondo le quali procedono, insomma per l’indirizzo e l’orientamento complessivi che esse adottano, per il fine cui tendono (e che teoricamente è sempre uguale a se stesso, ma di fatto varia secondo le diverse scuole, perché il fine è determinato dalle premesse).
Ora, le filosofie più vive, più vitali e più veritiere sono quelle che, da un lato, corrispondono alle grandi domande metafisiche dell’uomo di ogni tempo, dell’uomo di sempre; mentre dall’altro lato esprimono il sentire comune e naturale (non indotto artificialmente, quindi) di una determinata società in un determinato momento della sua storia, e in tal modo sono in grado di fornire utili strumenti di conoscenza e di comprensione della realtà alle perone comuni che vivono, soffrono, sperano e lottano in quella particolare congiuntura, ponendosi come fattore di chiarificazione e come strumento per orientarsi nelle difficoltà e nelle incertezze dell’esperienza concreta, che per sua natura è molteplice e non sempre di facile interpretazione. In altre parole, o i filosofi sono collegati alla vita, e sono strettamene in sintonia con la vita vera, con i bisogni veri, con le necessità e le aspettative autentiche degli uomini, sia considerati individualmente che come corpo sociale, oppure sono degli oziosi e discutibili speculatori sul nulla, dei veri e propri parassiti sociali, non di rado con l’aggravante della supponenza di cui fanno continua ostentazione e della loro radicata, immorale irresponsabilità, nel senso che tendono a non volersi assumere le conseguenze derivanti da ciò che sostengono.
Questo aspetto, la necessità che i filosofi indaghino ciò che costituisce il cuore della ricerca e che sta al centro del bisogno sociale più sentito, è stato bene espresso, relativamente alla Scolastica medievale, da Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero (in Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia, 1986, vol. 1, Pensiero antico e medioevale, pp. 313-314):
La connessione della Scolastica con la funzione dell’insegnamento non è un fatto semplicemente accidentale ed estrinseco, ma fa parte della natura stessa della Scolastica. Ogni filosofia è determinata nella sua natura dal problema costituisce il centro della sua ricerca; ed il problema della Scolastica era quello di portare l’uomo alla comprensione della verità rivelata. Ora questo era un problema di SCUOLA cioè di educazione: il problema della formazione dei CHIERICI. La coincidenza tipica e totale del problema speculativo e del problema educativo giustifica pienamente il nome della filosofia medievale e ne spiega i tratti fondamentali. In primo luogo, la Scolastica non è, come la filosofia greca, una ricerca AUTONOMA che affermi la propria indipendenza critica di fronte ad ogni tradizione. La tradizione religiosa è, per essa, il fondamento e la NORMA della ricerca. La verità è stata rivelata all’uomo attraverso le Sacre Scritture, attraverso le definizioni dogmatiche che la comunità cristiana ha posto a fondamento della sua vita storica, attraverso i padri e i dottori ispirati o illuminati da Dio. Per l’uomo, si tratta solo di accedere a questa verità, di comprenderla, per quanto è possibile, attraverso i potei naturali e con l’aiuto della grazia divina, e di farla propria per assumerla a fondamento della propria vita religiosa. Ma anche in questo compito, che è quello proprio della ricerca filosofica, l’uomo non può e non deve esser affidato alle sole sue forze; anche in esso, lo aiuta e deve aiutarlo la tradizione religiosa, fornendogli, attraverso gli organi della Chiesa, una guida illuminatrice e una garanzia contro l’errore. Si tratta quindi di un’opera COMUNE più che INDIVIDUALE: di un’opera nella quale l’individuo singolo non può e non deve affidarsi soltanto alle sue forze, ma può e deve ricorrere all’aiuto degli altri, e specialmente di quelli che la Chiesa stessa riconosce particolarmente ispirati e sorretti dalla grazia divina. Di qui l’uso costante delle AUCTORITATES nella speculazione. AUCTORITAS è la decisione di un concilio, un detto biblico, una SENTENTIA di un Padre della Chiesa. Il ricorso all’autorità è la manifestazione tipica del carattere comune e superindividuale della ricerca scolastica, nella quale il singolo vuole continuamente sentirsi appoggiato e sorretto dalla autorità e dalla tradizione ecclesiastica.
Di qui deriva l’altro carattere fondamentale della ricerca scolastica. Essa non si propone di formulare EX NOVO dottrine e concetti. Il suo scopo è quello di intendere la verità GIÀ DATA nella rivelazione, non quello di TROVARE la verità. Perciò, come assume dalla tradizione religiosa la NORMA della ricerca, così assume dalla tradizione filosofica gli STRUMENTI e il MATERIALE della ricerca stessa: prima la dottrina platonico-agostiniana, poi quella aristotelica le forniscono gli strumenti e il materiale della speculazione. La filosofia, come tale, è dunque per essa soltanto un mezzo: ANCILLA THEOLOGIAE. Naturalmente, le dottrine e i concetti che vengono adoperati per questo scopo subiscono una trasformazione più o meno radicale del loro significato originario. Ma la Scolastica non si propone intenzionalmente questa trasformazione e il più delle volte non ne ha neppure coscienza. Il senso della STORICITÀ le è estraneo. Dottrine e concetti vengono tolti di peso dai complessi storici di cui fanno parte e considerati indipendenti dai problemi cui rispondono e dalla personalità autentica del filosofo che li ha elaborarti. Il Medioevo mette tutto sullo stesso piano e fa dei filosofi più lontani dalla sua mentalità altrettanti CONTEMPORANEI, cui è lecito togliere i frutti più caratteristici per adattarli alle proprie esigenze.
Dunque, la coesione, la solidità e la lunga durata della cultura medievale poggiavano sopra un preciso progetto educativo — nozione oggi pressoché obliata — al centro del quale c’era la domanda filosofica: verso che cosa bisogna indirizzare la vita umana?, la cui risposta era: verso una sempre miglior comprensione della Verità rivelata. L’orientamento educativo nel suo complesso, e il sistema scolastico in particolare, miravano a quel fine: tutto ciò che veniva insegnato, illustrato, esemplificato, in ogni ambito possibile, dalle arti figurative (si pensi alle sculture o ai cicli di affreschi nelle cattedrali), alla musica sacra (specialmente il canto gregoriano), alla predicazione dei sacerdoti, alle lezioni dei professori di filosofia e teologia, e ciò che veniva recitato dalla collettività(le sacre rappresentazioni, i presepi viventi, le solenni processioni) aveva di mira tale fine; soprattutto, nulla veniva tollerato che andasse nella direzione contraria, che cioè potesse recare confusione, disorientamento, scandalo alle coscienze e alle intelligenze. Esisteva una istituzione, la Chiesa, che unificava i diversi aspetti dell’educazione ed era presente in ogni ambito della società, per cui tutto concorreva, nella vita dell’individuo, come in quella della collettività, a quel fine specifico: buono era ciò che lo assecondava, lo favoriva, lo chiarificava; cattivo era ciò che lo allontanava, lo confondeva, lo faceva perdere di vista. Dal padre di famiglia al predicatore religioso, ordinario o straordinario; dal legislatore all’amministratore della cosa pubblica, tutte le figure socialmente rilevanti, dall’ambito familiare sino a quello più generale, operavano al medesimo fine, con differenti mezzi e in situazioni diversificate, ma con la medesima intenzione e con una sola volontà. La vita non era concepita in termini individualistici o utilitaristici, ma nella prospettiva di una adeguata conoscenza e preparazione del destino eterno, affinché la morte non trovasse le anime impreparate.
Noi moderni siamo portati a pensare che un simile sistema educativo sia sbagliato, perché soffoca la libertà dell’individuo e in particolare la libertà di ricerca scientifica e filosofica; ma tale giudizio negativo discende, appunto, da un’idea completamente diversa che la cultura moderna ha elaborato circa la libertà. Per la società moderna, che, in omaggio al liberalismo, non ha un modello educativo da proporre ai suoi membri, ma lascia che ciascuno creda e faccia quel che gli pare, purché non contravvenga esplicitamente alla legge, la cosa più importante è assicurare il massimo dell’esercizio della libertà a tutti e a ciascuno, anche al prezzo del malfunzionamento del corpo sociale nel suo insieme. Non avendo valori morali da difendere, né verità assolute da custodire e tramandare, la società moderna non solo non apprezza, ma punta il dito contro una società che mette al vertice dei suoi bisogni l’integrità personale e la coesione morale e che, per fare ciò, dispiega tutte le sue energie nel perseguire un modello educativo coerente e nel dissuadere o reprimere i comportamenti devianti dalla norma, visti dalla grande maggioranza delle persone come un grave minaccia per il bene collettivo.
In fondo, tutto dipende da ciò che una cultura giudica essere il bene: in una cultura relativista, come quella moderna, è bene che ciascuno creda e faccia quel che preferisce; in una società etica (nel senso tecnico della parola, ossia convinta di dover trasmettere ai suoi membri un modello educativo unitario e superindividuale) e religiosa, il bene non è ciò che piace ai singoli, ma ciò che piace a Dio e a cui ciascuno deve tendere e uniformarsi. Chi si pone ideologicamente all’interno di una cultura finisce per aderirvi a un punto tale che non riesce nemmeno a concepire che un’altra cultura possa avere altri bisogni o altri valori; o meglio, lo ammette a livello teorico, ma con la riserva mentale di trovare proprio in quella pluralità di bisogni e di valori la giustificazione del proprio relativismo. In altre parole, la stragrande maggioranza degli uomini moderi non possiede più gli strumenti mentali per valutare un progetto educativo e culturale come quello perseguito dalla Scolastica, e ciò indipendentemente dai suoi contenuti specifici: semplicemente, dà per scontato che il solo modello educativo e culturale possibile e legittimo sia il proprio, anche se di fatto inesistente. Infatti un tratto caratteristico della cultura moderna è quello di sapere fermamente che cosa non vuole, cosa ha deciso di rifiutare in ogni caso, mentre, da parte sua, non ha ancora deciso in cosa vale la pena di credere: in altri termini, ha elaborato un’idea puramente negativa della libertà, cioè come libertà da qualcosa e contro tutto ciò che la limita. Troppo poco perché una società trovi quel minimo di nutrimento che le serve a mantenersi in vita.
Ad ogni modo, e per quanto certi aspetti, ad esempio quelli coercitivi (il rifiuto, l’emarginazione ed eventualmente la sanzione contro i pensatori eterodossi), una cosa almeno siamo obbligati ad ammirare nella Scolastica medievale, perché noi non l’abbiamo: la profonda serietà, il disinteresse e il senso di responsabilità con cui i suoi esponenti diffondevano e difendevano un progetto educativo concepito in funzione del bene comune. Infatti l’uomo medievale, sulle orme del pensiero di Aristotele, pensava che il bene comune nasce dalla somma del bene individuale e si rispecchia dall’ordine materiale in quello spirituale. In altre parole, che non bastano una buona economia e una larga disponibilità di mezzi per vivere; ma che, al contrario, se una società persegue il bene morale dei suoi membri, essa trova in sé anche i mezzi per produrre soddisfacenti condizioni di vita. Un tipico errore della cultura moderna è quello d’illudersi che dal benessere materiale della società derivi automaticamente il benessere esistenziale dei suoi membri. Inoltre, già da due o tre decenni, stiamo facendo l’amara esperienza di aver perso anche il benessere materiale, al quale avevamo sacrificato tutto il resto: sicché ci troviamo alle soglie di un impoverimento integrale della nostra esistenza, sia sotto il profilo materiale che sotto quello intellettuale, spirituale, morale e affettivo, e sia individualmente che collettivamente. Ciò dovrebbe farci riflettere sul ruolo che la cultura, e in particolare il pensiero filosofico, avrebbe potuto e dovuto svolgere onde promuovere indirizzi esistenziali idonei a sostenere la vita, a rafforzare la fede in essa, cominciando dalla paternità e dalla maternità, e incoraggiare le persone a tenersi strette ai valori, agli ideali e ai sentimenti profondi, e non già alle cose materiali e all’effimero, come inseguire il mito dell’eterna giovinezza. Siamo creature mortali, destinate a morire. Ma siamo anche ordinati alla felicità e proiettati verso l’assoluto e l’eterno. È utile e buona la filosofia che ce lo ricorda; sono cattive quelle che ce lo fanno scordare.
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