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Gesù non è un dio fra i tanti, ma la Persona vivente

Chi o che cosa si prega, quando si prega? Può sembrare una domanda insolita, bizzarra o banale: invece è la domanda fondamentale circa il fatto religioso. Si dà per scontato che pregare significa pregare Dio, non solo, ma significa pregare l’unico vero Dio; ma è proprio così? Noi non se siamo affatto persuasi.

L’argomento della presente riflessione nasce da una commento fatto a un nostro recentissimo video sul vero e il falso spiritualismo. Rispondendo a una domanda a proposito della liceità della pratica dell’agopuntura da parte dei cattolici, avevamo fatto un fugace accenno allo Yoga, del quale avevamo parlato un po’ più diffusamente nel video precedente. La connessione era la seguente: così come bisogna distinguere fra la pratica dello Yoga e la filosofia Yoga, cioè uno dei sei sistemi ortodossi dell’induismo, così bisogna distinguere fra la pratica dell’agopuntura e l’agopuntura come sistema di magia, quale è, originariamente, nella cultura cinese. Non avevamo in alcun modo inteso svalutare o disprezzare la filosofia Yoga e neppure la spiritualità ad essa collegata, ma evidenziare che certi sistemi psico-fisici di matrice spirituale, che in Oriente hanno una loro organica completezza, in Occidente giungono prevalentemente sotto forma di pratiche fisiche miranti al ristabilimento della salute del corpo e al raggiungimento dell’equilibrio psico-fisico, il che ne falsa la prospettiva; e che, in ogni caso, considerati nella loro interezza, si tratta di sistemi filosofici e spirituali non solo profondamente estranei al cristianesimo, ma incompatibili con esso.

Una gentile lettrice, che non è assolutamente d’accordo con questa nostra posizione, ha osservato:

Il concetto di Yoga andrebbe affrontato meglio e con maggiore preparazione (chiedo scusa), perché nulla ha a che vedere con la pratica ginnica adottata in occidente. E’ invece una profonda ed elevatissima filosofia che connette a Dio (da Yug che in lingua sanscrita significa unione, connessione). Occorre guardarsi da tutti coloro che insegnano che lo Yoga sia la ricerca del vuoto o la pratica della meditazione come distacco dal mondo materiale, mentre è la connessione con Dio e null’altro (va da sé che avviene tramite un distacco dal mondo materiale come conseguenza e non causa). Per poter parlare di yoga, occorre aver studiato la letteratura vedica originale. Solo dopo se ne può parlare, altrimenti lo si posizionerà impropriamente con altre forme di falso spiritualismo, come qui viene fatto. E’ spiritualità pura, più di centomila sermoni svogliati di molti preti cattolici, che hanno mal compreso e male trasmettono gli insegnamenti delle sacre scritture. Gli insegnamenti yogici permettono di raggiungere Dio e non sono affatto in antitesi rispetto al cristianesimo, vi è in realtà uno stretto contatto. Personalmente, pur apprezzando una certa apertura del Prof. Lamendola rispetto ad altri, trovo nelle sue parole ancora un forte eurocentrismo, i cristiani portatori di verità da una parte e il resto del pessimo mondo dall’altra. Invece, quando si leggono i grandi testi sacri di tutte le culture e tradizioni di ogni epoca e società, e li si compara, si constaterà direttamente e senza necessità di interpreti che la ricerca dell’uomo, la sua propensione a sentirsi un’anima, le sue domande, sono e sono state sempre le stesse, e che ogni pratica sviluppata per rispondervi ne è perfettamente funzionale. Lo yoga è uno stato di preghiera e di connessione costante con Dio, che come tale nutre l’anima, eleva e distoglie da ciò che di inutile ci circonda, mira direttamente al Creatore.

Rispondiamo che, se per poter esprimere un’opinione in materia bisogna aver letto i Veda e i Purana nella lingua originale, rinunciamo a proseguire il discorso, poiché, non conoscendo il sanscrito, li abbiamo letti, sì, ma in traduzione; ci sembra peraltro che adottando questo criterio si dovrebbe intimare il silenzio su Dante a qualsiasi inglese o tedesco o russo il quale abbia letto la Divina Commedia nella sua lingua anziché nell’originale italiano; e a maggior ragione si dovrebbe imporre di tacere a tutti quei cristiani che, non conoscendo né il greco né l’ebraico, si limitano a leggere la Bibbia in italiano, o al massimo in latino, e non nelle due lingue originali dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Dissentiamo da tale condizione pregiudiziale perché essa crea inevitabilmente due categorie di cristiani: i colti e gl’incolti; gli uni, dotati di adeguate conoscenze linguistiche e filologiche, addentrati nelle Sacre Scritture; gli altri invece, sprovvisti di tale conoscenza, ridotti a contentarsi di una dottrina di seconda scelta, ossia ad accettare ciò che gli esperi hanno selezionato. Si noti inoltre che:

a) questa linea esegetica è precisamente quella che ha preso piede nel cattolicesimo a partire dal Concilio Vaticano II e dalla svolta antropologica di Karl Rahner: sono i "nuovi teologi" e i biblisti progressisti quelli che fanno testo; tutta la dottrina precedente risulta sorpassata e inutilizzabile, quindi la massa dei fedeli deve adeguarsi alle nuove indicazioni oppure, se si ostina a resta relegata al precedente magistero, deve rassegnarsi alla marginalità e ad assumere il ruolo dei ritardatari che si ostinano a combattere un’inutile battaglia di retroguardia.

b) lo sdoppiamento in una massa di fedeli incolti ed una ristretta élite di fedeli colti è quel che si è verificato, sin dall’inizio, nell’induismo. L’induismo è solo a livello popolare una religione politeista, addirittura con milioni e milioni di divinità; e la gente semplice adora veramente questi singoli dei, ad esempio Ganesha dalla testa di elefante, o Kali la Nera che balla agitando una corona di teschi umani. Ma l’indù colto, che conosce alla perfezione i testi sacri, è monoteista; egli sa che quei milioni di dei sono solamente nomi diversi dell’unico dio.

Il punto che a noi interessa però non è questo, ma quello sollevato dalla domanda che ci eravamo posta all’inizio: Chi o che cosa si prega, quando si prega? La nostra amica afferma che gli insegnamenti yogici permettono di raggiungere Dio e non sono affatto in antitesi rispetto al cristianesimo; e inoltre che lo yoga è uno stato di preghiera e di connessione costante con Dio, che come tale nutre l’anima, eleva e distoglie da ciò che di inutile ci circonda, mira direttamente al Creatore. Benissimo. Resta tuttavia la domanda: è lo stesso Dio del cristianesimo, questo che viene indicato dallo Yoga e che viene pregato dallo Yogin? Ed è, almeno, un dio trascendente e creatore nel senso che a quest’ultima parola danno i cristiani? A noi sembra che la risposta ad entrambe le domande debba essere del tutto negativa. Non solo si tratta di un altro Dio, ma è un "dio" che non si trova al di fuori e al di sopra dell’uomo, bensì che si trova al suo interno, perché in fondo non esiste una netta distinzione fra dentro e fuori, fra la parte e il tutto. Noi siamo in Dio e Dio è in noi, e tutto è Uno: questo insegnano le scritture vediche; e la ricerca del distacco dal mondo non è paragonabile a quella del cristiano, perché quest’ultimo vuole staccarsi dal mondo per poter conoscere e adorare il vero Dio, l’indù per riconoscere in sé la propria parte divina e quindi per godere dell’intima, totale unione di sé con Dio.

Ma Dio non è cattolico, dice il signor Bergoglio. Ebbene, dice una cosa non vera: basta aver letto anche superficialmente il Vangelo per rendersene conto. Chi ha visto me ha visto il Padre, dice Gesù all’apostolo Filippo; e come puoi tu dirmi: Mostrarci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in Me? E ancora: Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. E ancora: Io sono la via, la verità e la vita. Usa l’articolo determinativo: non dice: Io sono una via, ecc., ma Io sono la Via, ecc. Dunque: non Io e Krishna, Io e Visnù, Io e la Madre Terra, Io e Buddha, e così via: ma solamente: Io. Dunque pregare Dio non significa nulla: bisogna vedere che Dio si prega, a quale Dio ci si rivolge.

Quanto all’accusa di etnocentrismo, è semplicemente impropria. Qui non stiamo parlando, accademicamente, di antropologia comparata delle religioni; qui stiamo parlando di verità e di fede. Il cristiano è eurocentrico? No, è semplicemente cristiano (e Cristo, fra l’altro, come uomo non era europeo, ma semita). Il cristiano si sente superiore alle altre culture? No: ritiene semplicemente di adorare il vero Dio e di professare la vera fede; e crede che le altre religioni siano vane e ingannevoli, e le altre fedi conducano l’anima lontano dalla Verità. Tutto questo è politicamente scorretto? È divisivo, è poco accogliente e poco dialogante? Spiacenti, ma sulla verità non si fanno sconti, né si sottoscrivono compromessi.

E quanto al Dio che il cristiano adora e riconosce come l’Unico, il Perfetto, il Creatore che crea spontaneamente e non per una forma di necessità cosmica, ebbene quel Dio che in se stesso è invisibile, si è manifestato: ha preso un corpo umano, ha vissuto come uomo in mezzo agli uomini; si è offerto in sacrificio per amor loro, si è lasciato mettere in croce, è morto ed è stato sepolto; infine, il terzo giorno, è resuscitato dai morti. E non è vissuto un’unica volta in mezzo a noi: Egli è vivo, è una Persona tuttora vivente: infatti è il Dio dei vivi e non dei morti. È presente nella santissima Eucarestia, che non è una semplice commemorazione dell’Ultima Cena, ma lo è con la sua Presenza Reale, sotto le specie del pane e del vino, con il suo corpo ed il suo sangue; ed è presente nella Persona dello Spirito Santo, che pone gli uomini di buona volontà in stato di grazia, e li rende partecipi del suo mistero e della sua amicizia. Certo Dio, nella sua sapienza imperscrutabile, può effondere lo Spirito Santo anche su un non cristiano, anche su un indù; ma questa è l’eccezione: resta la regola: solo il cristianesimo indica la retta via per giungere a Lui. Ed è un debole argomento il fatto che molti cristiani siano persone moralmente indegne. La loro indegnità personale sul piano morale non sposta d’un millimetro il fatto che la dottrina cattolica conduce le anime alla conoscenza, all’amore e all’adorazione del vero Dio; le altre dottrine, al contrario, le allontanano da Lui.

Gesù Cristo è talmente presente nella nostra vita che talvolta, alle anime privilegiate, ha voluto mostrarsi materialmente in tutto il suo splendore. Ciò è accaduto, fra gli altri, a san Gaetano Thiene (Vicenza, 1480-Napoli, 1547), fondatore dei padri Teatini, noto come il Santo della Provvidenza. Un giorno, precisamente nel santo Natale del 1517 (l’anno della rivoluzione luterana), mentre contemplava il Presepio nella basilica di Santa Maria Maggiore, venne rapito in estasi e assistette al parto della Vegine Maria, la quale, sorridendo, gli offrì di tenere in braccio, per qualche minuto, il suo divino Bambino. Così rievoca il fatto Luigi Ruiz de Cardenas nella biografia San Gaetano Thiene, il Santo della Provvidenza (Torino, S.E.I., 1942, e Vicenza, Società Anonima Tipografica, 1947, pp. 60-61):

Il mistero della Redenzione, che dalla grotta di Betlemme si chiuse nel sublime sacrificio del Golgota, ritorna va spesso alla mente di San Gaetano che specie nella Roma cristiana, trovava tanti ed edificanti ricordi di quei tempi remoti. La grotta di Betlemme, pur così lontana, aveva spirituali riflessi nella chiesa di S. Maria Maggiore ove, lungo la navata di destra, nella cappella del Presepe che, sotto Sisto V, fu portata in quella centrale del Sacramento, si venerano i resti della mangiatoia, nella quale fu deposto a Betlemme il Bambinello Gesù. San Gaetano vi si recava spesso per fermarsi lungamente davanti a quella preziosa reliquia. In quei momenti di amorosa meditazione il Santo si astraeva da tutto ciò che sapeva di mondo per immergersi in un’estasi beata d’amore e contemplazione.

Nella notte di Natale del 1517 il Santo si era recato presso quel divino Presepe per vivere lo spirituale godimento che, specie in quel giorno ricordativo [sic], avrebbe allietato il suo cuore. Pregò a lungo, pianse di commozione al pensiero della divina povertà del Re dell’universo, si estasiò di palpiti ardenti per la sua Madre Celeste, rivisse il poema di quella nascita di redenzione, tutto bruciato dal fuoco del Divino Amore che gli ardeva in petto.

La chiesa, per l’ora tarda, rimase deserta senza ch’egli se ne avvedesse: non era su questa terra, ma in cielo. Ad un tratto la Madonna Santissima con il Bambinello in grembo gli apparve nel suo celeste splendore, e, in un trionfo di luce e di angelici canti,con vicino lo sposo Giuseppe e San Girolamo, gli si avvicinò e sorridendo gli porse il divin Pargoletto, perché lo prendesse fra le sue braccia. Strinse Gaetano quel sacro pegno al petto, accostò il suo cuore a quello dell’Infante divino, lo tenne avvinto a sé per qualche minuto, struggendosi in lacrime e in parole dolci ed amorose e pi lo restituì alla Gran Madre.

Ecco come egli stesso, in una lettera del 28 gennaio 1518 alla Venerabile Suor Laura Mignani (..), descrive e ricorda il memorando avvenimento: «Io audace nell’ora del parto suo santissimo, mi trovai nel proprio, materiale, santissimo Presepio. Dato a me fu cuore dal Padre mio, del Presepio amatore, Gerolamo beatissimo, le ossa del quale sono nell’antro di detto Presepe recondite, con qualche confidenza, del Vecchiarello, di mano della timida Verginella, novella Madre, piglia quel tenero Fanciullo, Carne e Vestimento dell’Eterno Verbo. Duro era il cuor mio, ben lo crederete, perché certo non essendo in quel puto liquefatto, segno è che è di diamante. Pazienza!»

I biografi non fanno cenno sicuro che altre volte si sia ripetuta la miracolosa scena, ma il Santo, nella medesima lettera, prosegue: «Similmente me gli trovai alla Circoncisione; eppur li sensi miei stanno incirconcisi. Poi all’apparir delli Regi feci le simile». Avrà voluto egli dire che anche in quelle occasioni tornò presso il Presepe, o avrà voluto dar notizia del ripetersi del miracolo che tanto lo aveva esaltato? L’una e l’altra ipotesi sono possibili, ma né la storia né la tradizione ci illuminano al riguardo.

Numerose opere pittoriche rappresentano la scena miracolosa, ad esempio la tela di Ubaldo Gandolfi in una tela del 1775.

Una favola per bambini? Ciascuno la pensi come crede. Il cattolico sa che simili cose possono avvenire: sono il privilegio gratuito offerto da Dio alle anime che possiedono una grande fede; e non c’è altro da aggiungere.

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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