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I Vangeli sono paragonabili a dei libelli antisemiti?

A partire dalla Nostra aetate, documento praticamente scritto dai rabbini del B’nai B’rith su invito del cardinale Bea, a nome e per conto di papa Roncalli, fino ai giorni nostri, si è verificato un progressivo rovesciamento della prospettiva teologica e pastorale nei confronti degli ebrei. Non sono più loro che hanno bisogno di convertirsi a Gesù Cristo per accedere alla salvezza, ma sono i cristiani che devono battersi il petto per quanto hanno sofferto gli ebrei, direttamente o indirettamente, a causa loro e della loro vendicatività nei confronti del "popolo deicida". E quanto alla salvezza degli ebrei, i cristiani non devono affatto preoccuparsene, perché gli ebrei, essendo i destinatari dell’Alleanza, sono già perfettamente a posto; senza contrare che sono i fratelli maggiori dei cristiani; e perciò questi ultimi farebbero meglio a pensare ai casi loro e alla propria salvezza, invece che a quella degli altri.

Prendiamo un caso esemplare che solleva la questione della "colpa", il libro di Severino Dianich, – nato a Fiume nel 1934, sacerdote nella diocesi di Pisa e docente di teologia nello Studio di Firenze, Il Messia sconfitto. L’enigma ella morte di Gesù (Edizioni Piemme, 1997, pp. 37-39):

§ 25. Soprattutto in questi ultimi tempi, l’ampia pubblicistica che si dedica al nostro argomento ha diffusamente fatto osservare che le narrazioni evangeliche tenderebbero a scagionare Pilato dalla responsabilità della morte di Gesù, per addossarne la colpa quasi esclusivamente al sinedrio e ai gruppi di potere che vi erano rappresentati. A partire da questa osservazione c’è chi è giunto ad accusare di antisemitismo i testi evangelici che raccontano la passione e la morte di Gesù, i quali dovrebbero essere ritenuti i primi responsabili di tutta la tragica storia delle persecuzioni contro gli ebrei. Ora, che nelle comunità cristiane nelle quali si trasmetteva la memoria dei fatti occorsi a Gesù e la sua tragica fine non corresse buon sangue tra coloro che avevano creduto in lui e l’autorità ebraica è noto ed è anche comprensibile. Fra l’altro il Nuovo Testamento ci testimonia dell’ostracismo che nelle sinagoghe si decretava contro coloro che si manifestavamo discepoli di Gesù. Al momento della stesura dei testi evangelici probabilmente erano già stati uccisi Stefano e Giacomo, subendo la stessa sorte del maestro. Detto questo, però, non c’è motivo di ritenere che le responsabilità delle autorità giudaiche nella morte di Gesù siamo state faziosamente esagerate, poiché (…) ben più numerose e ben più gravi erano le ragioni per le quali i gruppi di potere interni ad Israele potevamo avere interesse ad eliminare Gesù di quante ne potesse avere l’autorità romana occupante.

§ 26. Oltre ai potentati ebraici, al sinedrio e al procuratore romano, i vangeli portano in scena fra i responsabili del dramma anche "la folla". Si tratta di un protagonista continuamente presente lungo tutta la storia di Gesù, a volte muto spettatore, a volte acclamante, a volte interrogante, spesso supplicante. La folla è un soggetto che i sommi sacerdoti temono, quando decidono di eliminare Gesù, per cui cercano la complicità di Giuda, proprio per poter evitare di dare troppa pubblicità al suo arresto. Ma evidentemente c’era la possibilità di radunare una folla di umore diverso se al suo arresto c’era folla, gente armata di spade e bastoni e se c’era folla davanti al tribunale di Pilato: gente istigata dai sommi sacerdoti e dagli anziani, che pretese da Pilato di amnistiare quel certo Barabba piuttosto che Gesù. Ma chi c’era in questa folla? Evidentemente era possibile, come sempre, trovare una folla entusiasta intorno a Gesù e trovare folla disponibile a gridare per pretenderne la morte. Fu quest’ultima a pronunciare la frase riportata dai vangeli e poi diventata tristemente famosa, perché in seguito se ne è nutrito abbondantemente l’antisemitismo cristiano: «Il suo sangue su di noi sui nostri figli!».

Parlare, però, di antisemitismo degli evangelisti sembra proprio un non senso. L’antisemitismo è stato ed è infatti, una forma di razzismo, nel quale una intera etnia, una stirpe in quanto tale, viene demonizzata. Non si può dire, per esempio, che la guerra dei romani contro i giudei sia stata una forma di antisemitismo: fu una guerra e basta. Che le primitive comunità cristiane fossero in conflitto con il sinedrio in Giudea e con i responsabili delle sinagoghe nelle diverse città dove si trovavano è noto. Gli "Atti degli Apostoli" ci descrivono spesso i tumulti, addirittura, che si verificavano in seguito alla predicazione degli apostoli, Che questa situazione abbia influenzato gli evangelisti i quali, raccontando i processi celebrati contro Gesù, avrebbero calcato la mano sulla responsabilità dei capi ebrei piuttosto che su quella di Pilato è comprensibile. Oltre a tutto, inseguendo una logica di questo tipo bisognerebbe dite che gli evangelisti erano anche anticlericali, poiché hanno denunciato sena mezzi termini il tradimento di Pietro, il primo papa, e l’atteggiamento codardo tenuto dagli apostoli, i primi vescovi, nel momento della cattura di Gesù.

Per parlare di antisemitismo degli evangelisti bisognerebbe anche dimenticare che prima di tutto essi stessi erano ebrei e che gran parte dei cristiani del tempo erano appartenenti al popolo di Israele: sarebbe stato un caso di odio razziale contro il proprio stesso popolo. Ma non si dimentichi inoltre che, a proposito della folla di Gerusalemme, i vangeli notano che la gente del "Crucifige!" era costituita da un gruppo sobillato dai sommi sacerdoti e dagli anziani, mentre bisogna ritenere che Gesù in realtà godeva del favore del popolo, visto che i capi hanno fatto di tutto per arrestarlo di notte, temendo una sollevazione popolare in suo favore. Non c’è traccia quindi nei vangeli di una colpevolizzazione collettiva di tipo razzista, nei confronti del popolo ebraico. Questo è un fenomeno che si verificherà più tardi e che, purtroppo, avrà come conseguenza la tristissima storia, che tutti conoscono, e che non sarà mai deplorata abbastanza, delle persecuzioni continuamente ricorrenti delle comunità ebraiche da parte sia delle autorità che delle popolazioni cristiane.

A quanto pare, il problema più grosso, per chi voglia ricostruite storicamente la Passione e Morte di Gesù Cristo, è quello di non recare offesa ai fratelli maggiori, di non esacerbare la loro sensibilità e non suscitare le loro proteste: il che, se avvenisse, renderebbe necessario e inevitabile offrire pronte e convincenti scuse, assicurandoli di non aver voluto in alcun modo eccetera, eccetera, perché è chiaro che in una tale eventualità, essendo le eterne vittime dell’altrui cattiveria, hanno sempre ragione e chiunque si trovi in dissidio con loro non può che essere che in torto e, forse, mal dissimulare sentimenti di cieca avversione e di razzismo.

Da un lato il Nostro riconosce che parlare di antisemitismo degli evangelisti sembra proprio un non senso, dal momento che l’antisemitismo è stato ed è infatti, una forma di razzismo; nella frase immediatamente precedente, però, gli era sfuggito dalla penna che, della frase riporta dai Vangeli con cui i Giudei accettavano su di sé e i propri figli le conseguenze della condanna a morte di Gesù, in seguito se ne è nutrito abbondantemente l’antisemitismo cristiano. Ma caspita, di quale antisemitismo cristiano parla? E di quale razzismo anti-ebraico si può imputare il cristianesimo? Di un antigiudaismo, ossia di una opposizione alla religione degli ebrei, fondata sul rifiuto radicale di Gesù Cristo, sì, è possibile parlare; ma giammai di un odio contro gli ebrei in quanto popolo. E come avrebbero potuto odiarli i cristiani, dal momento che non solo i Profeti, i Patriarchi, gli Apostoli, Giovanni il Battista e Maria Santissima erano ebrei, ma lo era, beninteso nella carne, lo stesso Verbo incarnato, il nostro Signore Gesù Cristo? Il bello è che, a conclusione del discorso, Dianich riconosce onestamente che non c’è traccia nei vangeli di una colpevolizzazione collettiva di tipo razzista, nei confronti del popolo ebraico. Salvo poi intonare l’inevitabile mantra auto-colpevolista e auto-accusatorio: cioè che l’atteggiamento anti-ebraico dei cristiani ha dato luogo alla tristissima storia, che tutti conoscono, e che non sarà mai deplorata abbastanza, delle persecuzioni continuamente ricorrenti delle comunità ebraiche da parte dia delle autorità che delle popolazioni cristiane.

No, spiacenti, noi — sarà ignoranza da parte nostra — non conosciamo questa storia tristissima, che secondo lei tutti invece conoscono, di persecuzioni continuamente ricorrenti delle comunità ebraiche da parte dei cristiani, autorità e popolazioni parimenti colpevoli. Quel che a noi risulta è che, nonostante la tristissima storia di cui lei parla, gli ebrei si sono arricchiti nelle città d’Europa nel corso di secoli e secoli; che i loro usurai e banchieri hanno preso il controllo della vita economica di popoli e nazioni, spesso impoverendo le popolazioni locali; e che, se vi sono stati scoppi d’ira popolare contro di essi, le cause vanno cercate negli squilibri socio-economici e non in una radice religiosa; infine che la Chiesa, e specialmente i papi, hanno fatto tutto il possibile per rendere giustizia a quelle comunità e proteggerle dal furore popolare, e lei, come sacerdote e come studioso di storia della Chiesa, dovrebbe saperlo meglio di noi laici. A noi risulta inoltre, non sappiamo se risulti anche a lei, che in tutte le circostanze che hanno visto capovolti i rapporto di forza tra cristiani ed ebrei, ad esempio quando i persiani prima, gli arabi poi, hanno invaso le regioni cristiane, gli ebrei sono stati sveltissimi nel prendere le armi e perpetrare eccidi raccapriccianti contro i cristiani, come fecero a Gerusalemme al tempo della conquista sassanide, e come fecero un secolo dopo nella Penisola Iberica, allorché gli islamici abbatterono il regino visigoto; per non parlare di come gli ebrei avevano a suo tempo sobillato alcuni imperatori romani, come Nerone, a perseguitare la piccola minoranza cristiana, diffondendo ogni sorta di calunnie e di menzogne contro di essi. Lo storico deve guardare le vicende passate nella loro interezza e non limitarsi a guardare quelle parti che ricevono l’approvazione e la benedizione della cultura dominante, in nome del politicamente corretto.

Ma veniamo al punto più scottante della questione: è verosimile che gli evangelisti, come lei dice, abbiano un po’ calcato la mano nell’attenuare la responsabilità dei romani, cioè di Ponzio Pilato, e nell’aggravare quella del sinedrio di Gerusalemme e degli anziani del popolo? Lei dice che è comprensibile che ciò possa essere avvenuto, a quanto ci sembra di capire. Noi invece riteniamo, guarda un po’, che essendo la Bibbia un libro divinamente ispirato, i suoi autori non hanno calcato un bel niente, perché Dio è la verità, e non avrebbe certo ispirato ai sacri scrittori di mettere nero su bianco qualcosa che fosse meno della pura e assoluta verità. Tanto più che si trattava di fatti così recenti che molte persone, che vi avevano assistito, erano ancora vive e avrebbero potuto facilmente sbugiardare gli evangelisti, se questi non avessero fedelmente riportato l’autentico svolgimento della Passione. Altrimenti, per forza di cose, dovremmo ammettere: a) o che i Vangeli non dicano perfettamente il vero; oppure, b) che abbiano tramandato i fatti, pur senza alterarli, in maniera tale che noi cadessimo in errore e ingigantissimo la colpa dei giudei e sopravvalutassimo oltre misura la "buona volontà" di Pilato nel cercar di evitare la condanna capitale a Gesù Cristo. L’una e l’altra ipotesi, teologicamente parlando, sono insostenibili. Ma lo sono anche sul piano strettamente storico. Una prova di tale "buona volontà" consiste nel fatto che Pilato chiese alla folla se preferiva che egli facesse grazia della vita a Barabba, un assassino, o a Gesù Cristo. Possono essersi inventati un fatto simile, gli evangelisti? Evidentemente no, perché molti di quella folla erano tuttora viventi, e quindi una loro invenzione in tal senso sarebbe stata subito smentita. E si può dare un’altra interpretazione al gesto di Pilato, cioè che egli volesse vedere ratificata dalla folla la condanna di Gesù, e messo in libertà Barabba? Neppure questo è credibile. Dai Vangeli sappiamo che Barabba era un brigante, un assassino, e che aveva partecipato a una sommossa (evidentemente anti-romana). Pertanto è assurdo ipotizzare che Pilato abbia desiderato che la folla gli chiedesse di liberare Barabba, oggettivamente un soggetto socialmente pericoloso, piuttosto che Gesù, un maestro religioso noto per la sua mitezza, e che lui stesso aveva interrogato, trovandolo senza alcuna colpa (cfr. Lc, 23, 4). Resta una sola possibilità, sia storica che teologica: che i Vangeli dicano il vero. Ma siccome vi sono dei sedicenti cristiani i quali preferiscono piacere agli uomini piuttosto che a Dio, questa semplice e lampante evidenza li trova irritati e infastiditi: non collima coi loro desideri. Perciò preferiscono ripetere che gli evangelisti, per ingraziarsi i romani, ingigantirono le colpe dei giudei e attenuarono quelle dei romani. Rimane però un problema: nei Vangeli il racconto è quello, e per modificarlo, bisogna dare dei bugiardi agli evangelisti e accusare Dio di aver loro ispirato un racconto tendenzioso se non proprio menzognero: dare cioè del bugiardo anche a Dio (v. 1 Gv, 1, 10). È un po’ grossa, no? E allora ecco cosa fanno i furbi cattolici dialoganti: mettono da parte i Vangeli, affermano che non si sa cosa realmente accadde, perché a quei tempi non c’erano i registratori; e pertanto, nei seminari e nelle facoltà teologiche, citano i Vangeli il meno possibile, anzi fanno in modo che non li si nomini neppure: e il problema è risolto. Senza accusare gli evangelisti di mendacio, si può far dire ai Vangeli ciò che si vuole, a beneficio del dialogo coi fratelli maggiori…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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