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Introduzione al tomismo: le XXIV tesi. Parte seconda

Proseguiamo con le XXIV tesi della filosofia di san Tommaso, sintetizzate dal padre Guido Mattiussi, servendoci sempre della libera traduzione dal latino pubblicata sul sito della Società Internazionale Tommaso d’Aquino (http://www.sitaroma.com/wp/le-24-tesi-della-filosofia-di-san-tommaso/):

LA COSMOLOGIA

VIII. Al contrario delle creature spirituali, le creature corporee non sono semplici nella loro essenza, ma composte di potenza e atto. La potenza nell’ordine dell’essenza si chiama "materia prima", e l’atto si chiama "forma sostanziale".

Le creature dotate di corpo, come l’uomo, sono composte di potenza e atto. La loro potenza risiede nella materia di cui sono fatte, l’atto che le rende esistenti invece è la forma. Analogamente, in una scultura la materia è il marmo, la forma è l’idea della statua che l’artista ha nella mente e che traduce in realtà. Potremmo perciò paragonare il Creatore all’artista che concepisce la sua opera e la realizza, e che dopo averla realizzata se ne compiace. E Dio vide che era cosa buona, dice l’autore del libro della Genesi: tutto ciò che è stato concepito e creato da Dio è in se stesso buono; l’imperfezione, la concupiscenza e la morte sono il frutto dell’uso perverso della libertà umana, cioè di una corruzione della natura causata dal Peccato originale.

IX. Né la materia prima né la forma sostanziale) ha l’essere, o viene prodotta, o si corrompe; e non può essere posta nei predicamenti (che sono i vari modi di dire della realtà), se non in modo riduttivo come principio sostanziale.

La materia prima e la forma sostanziale, nelle creature corporee – proprio perché non hanno l’essere, ma lo ricevono per partecipazione – non possono corrompesi e sparire nel nulla, così come non si generano dal nulla (nell’ambito del mondo naturale), ma si trasformano incessantemente in altro da sé e si scompongono nelle parti di cui sono fatte. Così anche il corpo dell’uomo si disperde, alla morte, negli elementi di cui è costituito; mentre l’anima, che è semplice, non si corrompe, ma si separa dal corpo (in attesa di ricongiungersi con esso, allorché ci sarà la resurrezione dei corpi). Anche l’anima peraltro, avendo ricevuto l’essere e non possedendolo in forma originaria, è soggetta alla volontà di altro da sé, Dio, che è l’Essere come Atto puro, senza alcuna potenza residua, e la Causa prima di tutto ciò che esiste.

X. La sostanza corporea, anche se è sempre estesa, non può tuttavia essere identificata con l’estensione, o quantità. La sostanza è infatti per sua natura fuori dell’ordine dimensivo, e quindi è indivisibile. Perciò la quantità, che dà l’estensione alla sostanza, si differenzia realmente dalla sostanza ed è un vero accidente.

Le creature corporee sono contraddistinte soprattutto dall’estensione e dalla quantità. Tuttavia né l’estensione né la quantità risolvono interamente la sostanza delle cose corporee, perché vi è, oltre ad esse, un "sostrato" rispetto al quale estensione e quantità sono accidenti o, usando una terminologia filosofica più moderna, delle qualità primarie. Anzi, poiché il numero è una variante dell’estensione (in un mucchio di sassi non è il loro numero che conta, e che oltretutto può variare senza che ciò modifichi la sua natura di "mucchio"), e l’estensione è determinata dalla quantità di materia che compone quel determinato ente, si può dire che l’estensione è l’accidente che caratterizza le sostanze corporee, ma non si identifica con la loro sostanza, bensì rimane una loro qualità, ossia un accidente. Infatti una cosa può mutare forma, accogliere (o perdere) degli oggetti senza perciò smettere di essere se stessa; una casa può essere ingrandita (o rimpicciolita), ma resta sempre la casa; e il bambino cresce e diventa adulto, ma resta pur sempre uomo, come il seme di grano diventa pianta, ma resta quel che è, grano.

XI. La materia designata dalla quantità ("signata quanti tate") è il principio di individuazione della sostanza corporea. Nelle sostanze spirituali, ad esempio negli angeli, questo problema non si pone, poiché ogni angelo differisce dall’altro per la specie.

Il principium individuationis della sostanza corporea è dato dal fatto che essa è contrassegnata dalla quantità: se non ci fosse la quantità, non ci sarebbe sostanza corporea (anche se abbiano visto che la quantità è un accidente della materia e non coincide con essa). E dunque le cose corporee sono più grandi o più piccole, più complesse o più semplici (ma sempre composte), mentre le sostanze spirituali, come gli Angeli, non sono caratterizzate dalla quantità perché ciascuna di esse differisce dalle altre come una specie delle cose materiali differisce dall’altra. Nel mondo delle cose materiali, queste sono raggruppate in specie, e tutti gli individui che appartengono a una classe o specie sono parte di essa, pur differendo a livello individuale (quanto alla quantità, appunto); mentre nella dimensione spirituale ogni individuo, essendo formato di sostanza spirituale, che è semplice e indivisibile, è come se fosse una specie a sé stante.

XII. Quando si dice che un corpo è in un luogo si presuppone che lo spazio sia pieno (non ha senso parlare di un luogo nel vuoto); il luogo quindi è la superficie del corpo ambiente a immediato contatto con l’ente corporeo. È del tutto impossibile che un corpo occupi più di un luogo (multilocazione).

Possiamo anche dire così: in virtù della quantità un corpo occupa un luogo ed uno soltanto. Ad ogni corpo corrisponde un luogo; nessun corpo può occupare simultaneamente più luoghi. Ciò presuppone che lo spazio sia "pieno", come è confermato dai fisici moderni (anche se non si trovano d’accordo sulla natura di tale "pienezza"), ossia che non esistano luoghi nel vuoto, il che è perfettamente ragionevole. Altrettanto ragionevole è definire un luogo come la superficie di un certo spazio che si trova a contatto con un determinato ente corporeo. Il luogo della nave è definito dallo spazio che la nave occupa, e, occupandolo, sposta un’equivalente quantità d’acqua. Infatti se un corpo non può occupare nello stesso tempo più spazi, l’acqua ove si trova la nave non può occupare lo stesso spazio che occupava prima che la nave fosse lì, ma deve necessariamente occuparne un altro, poiché anche l’acqua è un corpo.

LA PSICOLOGIA RAZIONALE

XIII. I corpi sono di due tipi: alcuni sono viventi (animati) e altri privi di vita (inanimati). Nei viventi la forma sostanziale si chiama anima. In questi enti animati c’è nel medesimo soggetto una disposizione organica, costituita di diverse parti, così che ci sia una parte movente e una parte mossa.

L’anima è la forma sostanziale degli esseri viventi (vegetativa nelle piante, sensitiva negli animali e razionale nell’uomo). L’anima è il principio della vita: dove non c’è anima, come nelle pietre, non ci può essere vita. Nelle creature viventi c’è inoltre una duplice disposizione, a muovere e ad essere mossi. Nel caso della pianta, il suo accrescimento dipende dal fatto che riceve le sostanze nutritive dal terreno, la luce e il calore dal sole, cioè da altro da sé; ma c’è anche la disposizione a germogliare, a passare dallo stadio di seme a quello di germoglio, infine a quello di pianta perfetta, e tale disposizione è interna ad essa, per cui si può dire che, sia pure sotto lo stimolo di un’azione esterna, essa è anche capace di movimento spontaneo.

XIV. Le anime dell’ordine vegetativo e sensitivo non sussistono mai per se stesse, né per se stesse vengono prodotte, ma sono soltanto il principio mediante cui il vivente esiste e vive. Queste anime dipendono in tutto dalla materia e, quando si corrompe il composto, "per accidens" (indirettamente) si corrompono anch’esse.

Piante e animali non sono dotati di un’anima sussistente: la loro anima serve solo a svolgere le funzioni vitali ed è strettamente legata al corpo, cosicché, quando il composto di anima e di corpo si scinde, le loro rispettive anime cessano di esistere. La loro funzione è quella di servire alle funzioni del corpo; ma se non c’è più un corpo da servire, l’anima vegetativa e l’anima sensitiva non hanno ragione di sussistere.

XV. Contrariamente all’anima vegetativa e sensitiva, l’anima umana, che è spirituale, sussiste per sé, e viene infusa in una materia sufficientemente disposta; viene creata da Dio e per sua natura è incorruttibile e immortale.

Diversamente da quella delle piante e degli animali, l’anima umana è spirituale, cioè sussiste anche indipendentemente dal corpo; e dunque allorché si separa dal corpo, non cessa di esistere, poiché essa non serviva solo ad aiutare il corpo a espletare le sue funzioni e a soddisfare le sue necessità. La stessa materia destinata ad accoglierla, il corpo, è stata pensata e creata dal Volere divino in vista di quella funzione ulteriore, che consiste nell’uso della ragione, da cui discendono tutte le funzioni spirituali. Dunque l’anima umana è immortale: essendo sostanza semplice, non si disperde nei suoi composti.

XVI. L’ anima razionale è unita al corpo così da essere la sua unica forma sostanziale; per essa la persona è essere umano, animale, vivente, corpo, sostanza ed ente. L’anima dunque dà all’essere umano ogni grado di perfezione essenziale; e comunica alla materia il suo stesso atto di essere.

L’anima razionale è forma sostanziale del corpo umano in maniera diversa dall’anima vegetativa delle piante e dall’anima sensitiva degli animali. Nelle piante e negli animali l’anima è semplicemente il loro rispettivo riprincipio vitale: non è immortale perché non deve svolgere alcuna funzione oltre quelle legate alla vita del corpo. L’anima dell’uomo invece, che è razionale, ha la funzione di guidare alla ricerca del vero e di sostenere lo sforzo della volontà: il fine dell’uomo infatti è conoscere il vero e servirlo. Pertanto l’anima dell’uomo sussiste anche oltre la separazione del corpo: Dio l’ha pensata e creata per un fine ultraterreno.

XVII. Dall’anima umana emanano, per naturale conseguenza, facoltà di un duplice ordine, facoltà organiche e facoltà inorganiche: le prime, alle quali appartengono anche i sensi, hanno per soggetto il composto, le seconde invece ineriscono alla sola anima. L’intelletto è dunque una facoltà intrinsecamente indipendente da un organo corporeo.

Con questa notevolissima affermazione, la filosofia di san Tommaso d’Aquino tocca uno dei suoi vertici speculativi: l’intelletto è una facoltà indipendente dal corpo; è nella mente, ma non è la mente: è, in parte, una facoltà "inorganica", nel senso che non dipende dal corpo, non serve solamente il corpo e non finisce con il corpo. La parte dell’anima che dipende dal corpo, ad esempio i sensi, è analoga a quella che si trova negli animali. L’anima umana è dunque un composto: più precisamente, è composta quella parte dell’anima umana che è strettamente legata al corpo; mentre la parte che è indipendente da esso è una sostanza semplice, e proprio per questo non subisce la corruzione allorché si separa dal corpo.

XVIII. La radice dell’intelligibilità è l’immaterialità. Dunque, di per sé, è sommamente conoscente e conoscibile ciò che è più "libero" dalla materialità. L’oggetto adeguato di ogni intelligenza (vale a dire quella delle creature umane, degli angeli e anche di Dio) è l’ente. In particolare l’oggetto proprio dell’intelletto umano, nel presente stato di unione con il corpo, è l’essenza delle cose (la "quidditas") astratta dalle condizioni materiali in cui si trova.

Il reale è intelligibile, cioè pensabile e comprensibile razionalmente, perché la mente è immateriale; e l’uomo, creatura razionale e spirituale, somiglia, nella sua natura essenziale, agli Angeli e a Dio, pur essendo infinitamente meno perfetto, proprio perché la sua anima è unita ad un corpo fisico (nel corso della vita terrena), che la condiziona, anche se non in modo essenziale. Se lo condizionasse in modo essenziale, l’uomo sarebbe nella stessa condizione dell’animale e della pianta: la sua anima gli servirebbe solo a soddisfare i suoi bisogni naturali. L’uomo invece ha anche dei bisogni soprannaturali, e in ciò si rivela la sua natura spirituale: la sua anima razionale gli è stata infusa da Dio al preciso scopo di realizzare il suo fine specifico, mediante la ragione e la volontà, che è quello di conoscere, amare e servire il Suo creatore.

XIX. La conoscenza inizia dalle realtà sensibili. Poiché però il sensibile non è intelligibile in atto, oltre all’intelletto che intende formalmente, bisogna ammettere nell’anima una virtù attiva che astragga le specie intelligibili dalle immagini sensibili ("phantasmata"). Questa virtù attiva viene denominata "intelletto agente".

La conoscenza dell’uomo inizia dalla realtà sensibile: nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, «nella mente non c’è nulla che non sia già inscritto nei sensi». D’altra parte il dato sensibile non conduce automaticamente al conoscere, perché, oltre alla facoltà sensitiva, è necessaria all’anima una facoltà ulteriore, che consiste nell’astrarre da ciò che il dato sensibile mostra, qualche cosa d’intelligibile, il pensiero puro. Se così non fosse, la conoscenza dell’uomo non andrebbe più in là di quella dell’animale, al quale basta conoscere quel che gli serve immediatamente per la sua esistenza materiale. Ma la conoscenza dell’uomo va ben oltre: raggruppa i dati sensoriali e li organizza secondo categorie precise e sulla base dei principi della logica, a cominciare dal principio d’identità e quello di non contraddizione. Le immagini sensibili, di per se stesse, non sarebbero altro che qualcosa di labile e contingente, quasi fantasmi delle cose reali: acquistano un significato ulteriore allorché la facoltà razionale li utilizza per andare oltre la loro immediatezza e pensare in maniera astratta, ossia per concetti.

"Intelletto agente", o attivo, è la facoltà dell’anima razionale di esercitare un’azione combinatoria e astrattiva sul mero dato sensoriale.

XX. Mediante le specie intellettive conosciamo le essenze delle cose in modo universale; con i sensi conosciamo i singolari, che cogliamo anche con l’intelletto mediante il ritorno alle immagini; la conoscenza delle realtà spirituali è possibile mediante l’analogia.

La conoscenza sensibile ci fa conoscere le singole cose, i singoli oggetti; con l’intelletto possiamo "estrarre" da questi ciò che è accidentale (il fatto che un certo individuo sia grande o piccolo, giovane o vecchio) e ritenere ciò che invece è essenziale (ad esempio il fatto che quel tale individuo è un essere umano). Facendo un ulteriore passo avanti, l’intelletto può conoscere anche senza bisogno di riferirsi continuamente (o "ritornare") alle immagini sensibili delle cose: può conoscere le cose invisibili, che sono l’oggetto più adeguato all’anima razionale, il che è possibile mediante l’analogia fra le cose sensibili e quelle spirituali.

XXI. La volontà segue e non precede l’intelletto: essa vuole necessariamente solo ciò che le si presenta come un bene assoluto che sazia completamente il suo appetito (il desiderio di bene); sceglie invece liberamente tra i vari beni limitati, presentati dall’intelletto, piegando l’ultimo giudizio pratico dell’intelletto verso ciò che vuole.

La filosofia di san Tommaso è fondata sulla ragion pura e non sulla ragion pratica: l’anima razionale è capace di libera scelta, ma per volere nel senso che le si addice, e non in maniera difforme dalla sua natura, deve sapere ciò che vuole e deve volere ciò che le è conforme. Perciò l’anima razionale, capace, essa sola, di astrarre dalle cose sensibili e concentrarsi sulle realtà spirituali, vuole necessariamente, ossia secondo la necessità della sua natura, non questo o quel bene, ma il bene in se stesso, il Bene assoluto. Il dramma dell’uomo è che egli è suscettibile di volere non in maniera necessaria, come accadrebbe se riconoscesse e assecondasse la sua natura razionale e spirituale, ma di volere in maniera estemporanea e capricciosa, cioè soggettiva, dei beni che gli sembrano appetibili e lo lusingano, ma non potranno mai soddisfarlo realmente, poiché sono beni limitati e sensibili. In altre parole, nell’uomo il giudizio pratico tende a prevalere sul giudizio razionale: il che lo porta a tradire la sua natura.

LA TEOLOGIA NATURALE

XXII. Che Dio esista non lo sappiamo né con un’intuizione immediata né a priori. Lo dimostriamo però con certezza a posteriori, cioè partendo dal creato, con argomentazioni che vanno dagli effetti alla causa: 1. dalle cose che si muovono, ma non possono essere il principio adeguato del loro movimento, a un primo motore immobile; 2. da una serie di cause fra loro subordinate a una prima causa incausata; 3. dalle cose corruttibili, che si rapportano ugualmente all’essere e al non essere, a un ente assolutamente necessario; 4. da cose che sono più o meno perfette nell’essere, nel vivere, nell’intendere ecc. a Colui che è sommamente intelligente, vivente, esistente; 5. dall’ordine dell’universo a un intelletto supremo che ha ordinato il creato, armonizzandolo, e lo dirige al fine.

Sono le famose cinque vie di san Tommaso per dimostrare, a filo di logica, l’esistenza di Dio, la quale non scaturisce da un’intuizione immediata né da una certezza a priori (e qui il suo pensiero diverge da quello della filosofia del senso comune, ad esempio di Antonio Livi). Diversi filosofi moderni rivendicano di aver confutato le cinque prove di san Tommaso: a noi non sembra. Che il movimento debba avere un’origine che non sia ancora movimento, bensì motore, qualcosa che muove; che il processo causale rimandi ad un Causa prima, ecc., questi non ci sembrano argomenti che si possano realmente confutare, almeno se si resta sul terreno della logica. Ad ogni modo, la ragione ci porta ad affermare che Dio c’è; ma non ci dice nulla di preciso su di Lui. Per questo è necessaria la Rivelazione.

XXIII. L’essenza divina viene adeguatamente definita come l’essere per sé sussistente. Poiché l’atto d’essere dal punto di vista metafisico è la più alta perfezione, si deve ritenere che il puro atto d’essere, Dio, sia infinito nella sua perfezione.

Dio è l’Essere, perché in Lui l’essere non è partecipato, ma auto-sussistente. La perfezione più alta di un essere consiste nel fatto di esistere (e non di venire, ad esempio, solo pensato): dunque Dio, atto puro, esiste infinitamente e perfettissimamente.

XXIV. Dio (l’Essere per sé sussistente) per la stessa purezza del suo essere si distingue da tutte le realtà finite. Da ciò si deduce: anzitutto che il mondo non è potuto esistere se non per creazione da parte di Dio; poi che la virtù creativa (che in sé riguarda prima di tutto l’ente in quanto ente) non è comunicabile nemmeno per miracolo a una natura finita; infine che nessun agente creato può influire sull’essere di qualsiasi effetto se non viene mosso dalla Causa prima

Esiste una distanza ontologica, un abisso vero e proprio, fra Creatore e creature. Dio, perfezione infinita, si riflette solo vagamente, anche se certissimamente, nella perfezione (relativa) del creato. Dunque se il mondo esiste, esiste perché Dio lo ha creato: non è neppure pensabile che esso esista indipendentemente da Lui. Pertanto la creazione del mondo da parte di Dio è assolutamente libera: Dio, atto puro, è già perfettamente commisurato a Se stesso: non aveva alcuna necessità di creare alcunché, ma lo ha fatto per sovrabbondanza di amore. Sono completamente in errore quanti, e fra essi non pochi sedicenti teologi contemporanei, affermano che Dio ha bisogno dell’uomo e che senza il mondo la sua perfezione sarebbe incompleta, perché, al contrario, l’atto della creazione è totalmente gratuito.

Bergoglio si è spinto ancora più in là: ha affermato, assurdamente, che Dio non è Dio senza l’uomo; ma prima di lui anche don Giussani, per non parlare di padre Turoldo, avevano espresso un concetto pressoché identico. Che dire? Sono affermazioni che si commentano da sé. A tanto si doveva arrivare, dacché si è estromesso il tomismo dai seminari e, di fatto, dalle facoltà teologiche, e si è lasciato che imperversassero i Rahner, i Buber, i Bultmann, i Tillich, i Küng, i Schillebeeckx, i De Lubac, i Congar, i Teilhard, i von Balthasar… Mentre sia Leone XIII che san Pio X avevano raccomandato che si studiasse il tomismo, la più perfetta forma di filosofia e teologia cristiana, per preparare dei buoni sacerdoti.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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