Le XXIV tesi del tomismo la metafisica tomistica
3 Giugno 2022Introduzione al tomismo: le XXIV tesi. Parte seconda
4 Giugno 2022Diversi amici ci hanno chiesto se esiste un modo semplice, ma al tempo stesso appropriato ed efficace, per accostarsi, da profani, a quella immensa cattedrale che è il pensiero filosofico di san Tommaso d’Aquino, e specialmente alle due somme: la Summa contra Gentiles e la Summa Theologiae. In sostanza ci chiedono se uno che non ha mai letto san Tommaso, o che lo ha letto fuggevolmente, magari al liceo, possa affronta rene lo studio affidandosi a una qualche guida della quale sia possibile fidarsi, come uno che non si è mai arrampicato in montagna si affida a una guida alpinistica per raggiungere una certa vetta. Dopo aver riflettuto, ci è parso che una tale guida esista e che possa fornire un valido sostegno ai principianti: si tratta dell’encomiabile lavoro fatto dal padre gesuita Guido Mattiussi (nato a Vergnacco, frazione di Reana del Rojale, in provincia di Udine, nel 1852, ma trasferitosi con la famiglia a Gemona fino all’età di dieci anni, e morto a Gorizia nel 1923), solido friulano trapiantato a Milano, che si distinse negli anni difficili della battaglia antimodernista intrapresa da san Pio X a partire dal 1907 colla pubblicazione del decreto Lamentabili sane exitu, del 3 luglio 1907, e poi dell’enciclica Pascendi Dominici gregis, l’8 settembre successivo.
Ai modernisti il pensiero di san Tommaso d’Aquino non piaceva troppo, e per indebolirne l’autorevolezza ormai consolidata (Leone XIII lo aveva raccomandato formalmente come autore della più perfetta sintesi della filosofia cristiana, con l’enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879), invece di attaccarlo frontalmente, fecero leva sulle divergenze d’interpretazione che esistevano, ed erano sempre esistite, fra i suoi studiosi e ammiratori, ma anche fra i suoi detrattori, in modo da creare confusione e riaprire vecchie ferite, ad esempio le parziali condanne subite dal tomismo ad opera del vescovo di Parigi, Stefano Tempier, nel 1277, pochi anni dopo la morte dell’Aquinate, il quale era stato però canonizzato da papa Giovanni XXII nel 1323, e dichiarato Dottore della Chiesa da san Pio V nel 1567, con la bolla Mirabili Deus. San Pio X era molto preoccupato da tale situazione, che rischiava di offuscare il più solido punto di riferimento speculativo contro le mene dei modernisti, e si rivolse ad alcuni esperti di filosofia tomista affinché venisse redatta una sintesi la più fedele possibile del pensiero del Dottore Angelico. La scelta cadde infine sul padre Mattiussi, uomo aperto e coltissimo, ricco di un notevole bagaglio di esperienze d’insegnamento non solo nell’ambito della filosofia ma anche della fisica e della matematica, sia in Italia, presso l’Università Gregoriana, sia all’estero.
Padre Mattiussi si era già segnalato come autore di numerose pubblicazioni, fra le quali faceva spicco una che già nel titolo mostrava il suo carattere battagliero ed era destinata a dispiacere non solo alla cultura laica, allora intrisa di neokantismo, ma anche a settori di quelle cattolica: Il veleno kantiano. Nuova e antica critica della ragione, pubblicata nel 1907, nel pieno cioè dell’offensiva antimodernista del santo padre, e nel quale il bersaglio non era solo la filosofia di Kant, ma un po’ tutta la filosofia moderna, colpevole, a suo dire (e noi siamo perfettamente d’accordo con lui), di essersi allontanata dalla coincidenza tomista di essere, vero e bene. Mattiussi era un gesuita della vecchia scuola e un uomo tutto d’un pezzo, tanto che godeva di scarse simpatie fra i suoi stessi confratelli perché giudicato, come oggi (in clima neomodernista) si dice, troppo rigido o addirittura, come appare dalla voce a lui dedicata dall’Enciclopedia Treccani, un integralista; mentre essi avrebbero preferito un approccio più morbido alle posizioni degli oppositori, occulti e palesi, del tomismo; e il frutto di tale atmosfera a lui poco favorevole fu che non gli vennero mai riconosciuti i suoi meriti, indubbi e tutt’altro che modesti, di pensatore e di studioso: laddove un altro, più gradito ai settori progressisti della Chiesa, a parità di meriti avrebbe fatto certamente una ben diversa carriera accademica. Il vescovo di Milano, poi, Andrea Carlo Ferrari, occulto simpatizzante del modernismo moderato (sic), tanto fece che ne ottenne l’allontanamento dalla sua diocesi.
Dunque padre Mattiussi, fra il 194 e il 1916, pubblicò, con l’incoraggiamento e il pieno sostegno di san Pio X (che però, come è noto, morì, forse di dolore per non aver potuto fermare la catastrofe della Prima guerra mondiale, il 20 agosto 1914), a puntate, su La Civiltà Cattolica, la sintesi che stava tanto a cuore al pontefice: Le XXIV tesi della filosofia di san Tommaso d’Aquino, opera poi raccolta in un volume e pubblicata, con l’approvazione della Sacra Congregazione degli Studi, dall’Università Gregoriana di Roma, nel 1917. A noi è sembrato che sarebbe utile, per quanti sono digiuni, o quasi, di una conoscenza diretta della filosofia di san Tommaso, patire da qui, dalla sintesi fatta da Guido Mattiussi; e pertanto dedicheremo tre o quattro articoli per esporre e commentare le 24 tesi, corredandole, una per una, di un nostro breve commento.
Ci avvaliamo, ringraziando fin d’ora, di quanto pubblicato sul sito della Società Internazionale Tommaso d’Aquino, http://www.sitaroma.com/wp/le-24-tesi-della-filosofia-di-san-tommaso/. In questa prima parte tratteremo le prime sette tesi, dedicate alla metafisica; dall’ottava alla dodicesima, si tratta della cosmologia; dalla tredicesima alla ventunesima, della psicologia razionale; le ultime tre sono dedicate alla teologia naturale.
LA METAFISICA
I. La potenza e l’atto dividono l’ente in modo tale che tutto ciò che esiste o è atto puro o è necessariamente composto di potenza e atto come di principi primi e intrinseci.
Meravigliosa semplicità, essenzialità e chiarezza espositiva. Vi sono solo due tipi di enti: quelli che hanno in stessi la potenza e l’atto, e quelli che sono atto puro. A rigore, il solo ente di questa seconda categoria è Dio. Tuttavia vi sono enti che sono formati dalla potenza e dall’agire proprio, per cui passano da se stessi dalla potenza all’atto; ed enti che ricevono l’atto, passivamente, ma non se lo danno da sé. Per fare un esempio: l’uomo può pensare una certa cosa e poi tradurla in azione, passando all’atto da sé stesso; la statua invece resterà sempre in potenza, nella materia del legno, del marmo, ecc., finché uno scultore non venga a darle una forma, traducendo in atto la potenza di cui è suscettibile.
II. L’atto, in quanto perfezione, non è limitato se non dalla potenza, che è capacità di perfezione. Quindi, nell’ordine in cui l’atto è puro, è illimitato e unico. Infatti l’atto di per sé dice solo perfezione ed esclude il limite. Se dunque ci sono enti limitati e molteplici, significa che essi sono sempre composti di potenza e atto.
L’atto è perfetto, nel senso di compiuto, realizzato. L’atto puro, cioè l’atto perfettamente realizzato, non è più delimitato da alcuna potenza, da alcuna possibilità: è così e non potrebbe essere altrimenti; nulla può esservi aggiunto o sottratto o modificato. L’atto puro è quindi sia illimitato, sia unico: se ve ne fosse più d’uno, essi si limiterebbero a vicenda. Da tale definizione risulta che il solo atto puro è Dio.
III. Nell’ordine dell’essere solo Dio è atto puro, unico e semplicissimo (cioè non composto); tutte le altre cose, che partecipano dell’essere, hanno una natura in cui l’essere è ricevuto e limitato, e sono costituite di essenza e atto d’essere (esistenza) come di principi realmente distinti.
Dio, atto puro (come per Aristotele), è una sostanza semplice: non vi è in Lui nulla di composto, proprio perché è perfetto e quindi essenziale. Negli altri enti vi è qualcosa di essenziale e qualcosa di accidentale: qualcosa che si può togliere — o aggiungere, o comunque modificare – senza tuttavia cambiarne la natura, e qualcosa che li caratterizza quanto alla loro natura, che ovviamente non può essere tolto, né aggiunto, né modificato. Inoltre negli altri enti l’essenza e l’esistenza possono essere distinti, ad esempio una casa può esistere realmente, oppure può essere solo pensata, immaginata, descritta in un racconto o una poesia, o dipinta sulla tela; mentre in Dio l’essenza e l’esistenza coincidono assolutamente, cioè non si può immaginare che in Lui vi sia l’una senza l’altra.
IV. L’ente, che viene denominato dall’essere (perché significa "ciò che ha l’essere"), non è detto univocamente (cioè nello stesso senso) di Dio e delle creature; ma neppure in senso equivoco (ossia totalmente diverso). Si dice invece in senso analogico (cioè somigliante, in parte uguale e in parte diverso), con un’analogia sia di attribuzione, sia di proporzionalità.
Sia Dio che le cose create sono enti; ma Dio è l’Ente assoluto, le altre cose sono enti relativi, i quali stanno con l’Atto puro in un rapporto di analogia e di partecipazione. Come Lui esistono; ma Lui esiste perché ha l’essere in Se medesimo, mentre le cose esistono perché partecipano dell’essere, che ricevono da altro da sé.
V. In ogni cosa creata c’è anche la reale composizione tra il soggetto sussistente (sostanza) e le perfezioni accessorie che si aggiungono, gli accidenti. La distinzione reale tra sostanza e accidenti non sarebbe possibile senza la distinzione reale fra essenza e atto d’essere (esistenza).
Le cose create sono fatte di sostanza e accidenti; Dio, Atto puro, è solo sostanza. Pertanto le cose create sono suscettibili di una maggiore o minore perfezione, quanto alle qualità che le caratterizzano: una rosa può essere più o meno rossa, più o meno fresca, più o meno profumata; un cavallo può essere più o meno veloce, ecc. Ora, il fatto che esista una tale possibilità di gradazione, e quindi una scala di perfezione, indica la natura finita degli enti: l’Ente assoluto non ha gradi di perfezione, perché, se li avesse, vi sarebbe qualche altro ente più perfetto di Lui; ma allora non sarebbe l’Ente assoluto.
VI. Oltre agli accidenti detti assoluti (come la qualità e la quantità), ci sono accidenti di "relazione" che mettono in rapporto ad altro. Sebbene queste "relazioni", secondo la loro natura, non indichino qualcosa di inerente a qualcosa, tuttavia spesso hanno una causa nelle cose, e quindi sono un’entità reale distinta dalla sostanza.
Gli enti creati sono costituiti, oltre che dalla sostanza che è loro propria (potremmo dire dalla loro natura: quel qualcosa per cui ad un cavallo è propria la "cavallinità", e ad uomo l’umanità), dagli accidenti, i quali a loro volta possono essere assoluti o relativi. Il corpo umano, ad esempio, dispone di due mani: due è il numero delle mani, che sono, in un certo senso, accidenti del corpo (perché il corpo umano sussiste in quanto tale anche dopo un trauma che lo abbia privato delle mani). Al tempo stesso, il fatto che il corpo abbia due mani significa che noi, osservando un corpo umano di profilo e notando, ad esempio, la sua mano destra, ci aspettiamo che possieda, sebbene non visibile in quel momento, anche la mano sinistra: infatti le due mani sono in relazione l’una con l’altra, rimandano l’una all’altra, dal momento che formano una coppia. Il fatto che formino una coppia, e che pertanto siano in relazione reciproca, non corrisponde a qualcosa che inerisce alla mano in se stessa: la mano è la mano, anche se non viene messa in relazione con l’altra.
VII. La creatura spirituale è nella sua essenza del tutto semplice, pur rimanendo in essa la composizione di essenza ed esistenza, e anche la composizione di sostanza e accidente.
Gli enti si distinguono in enti del pensiero, enti materiali ed enti spirituali. Come esempio dei primi, possiamo porre gli enti della matematica, i numeri e le figure; ai secondi appartengono tutte le creature fatte di materia. Un esempio del terzo tipo di enti, quelli spirituali, è offerto dagli Angeli. In essi, pur essendo creature spirituali e perciò semplici (indivisibili), sono compresenti qualità sostanziali e qualità accidentali, mentre l’essenza e l’esistenza in essi sono sì compresenti, ma non in maniera necessaria, perché partecipano dell’essere (che hanno ricevuto, in quanto creature) ma non hanno propriamente l’essere, il quale appartiene necessariamente solo a Dio.
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