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Il lato sconosciuto e (molto) oscuro dello Yoga

L’erba del vicino è sempre più verde della propria, recita un conosciutissimo proverbio. Nel caso dei "prodotti" e delle mode culturali, ad essere molto più belli sono quelli provenienti dagli ambiti più lontani possibile dalla nostra civiltà, e dunque i più alieni ed estranei. Vi sono persone, in Europa, le quali, per meditare e rilassarsi mentalmente, praticano lo Yoga; altre che scelgono, quale strumento musicale, col quale dilettarsi e ricreare lo spirito, non il pianoforte o il violino, o la banalissima chitarra, ma il digeridoo degli aborigeni australiani, dal suono ossessionante e alquanto lamentoso; altre ancora che, quale animale da compagnia, al cane e al gatto preferiscono il pitone, che nutrono quotidianamente con dei topolini vivi, l’iguana, o magari, se sono danarose e dispongono di un ampio spazio verde, il giaguaro o la pantera (e poi, se magari se ne stancano, liberano nei boschi l’animale, con le conseguenze che è facile immaginare). Vi sono persone, colte e laureate (le due cose peraltro non sono sinonimi) che non hanno mai letto la Bibbia, ma in compenso conoscono i Veda; che non hanno mai letto L‘Eneide o le Georgiche o i poemi omerici, però leggono il Ramayana e il Mahabharata; che non hanno letto un verso della Divina Commedia, né una pagina della Somma teologica di san Tommaso d’Aquino, ma in compenso sanno sciorinarvi con naturalezza le poesie di Rabindranath Tagore o di Khalil Gibran o il pensiero di Aurobindo o di Bhagwan Shree Rajneesh, e così via: si potrebbe andare avanti con gli esempi per pagine e pagine. Ma il fatto è quello: si può ignorare completamente la vita e le opere di san Massimiliano Kolbe o di san Leopoldo Mandic, ma sarebbe considerato imperdonabile non conoscere la vita e il pensiero del Mahatma Gandhi e non sapere per filo e per segno l’Autobiografia di uno Yogi di Paramhansa Yogananda.

La cosa che lascia maggiormente perplessi, comunque, non è neanche lo sfrenato entusiasmo con si accolgono i prodotti culturali esotici, tanto maggiore quanto più essi sono lontani dalla nostra storia e dalla nostra tradizione, perché, appunto, l’erba del vicino è sempre più verde, e se invece di essere l’erba del vicino è l’erba del lontano, tanto meglio, sarà ancora più verde; bensì il simultaneo atteggiamento di disprezzo e di vero e proprio rifiuto nei confronti della nostra civiltà, da parte dei suoi giovani e meno giovani figli; l’astio, il fastidio che mostrano quando si tratta di considerare ciò che di più bello, buono e vero essa ha prodotto nel corso dei secoli e dei millenni; una sorta di rancore, neanche tanto dissimulato, per le proprie radici e la propria identità, percepita come vergognosa, colpevole di ogni sorta di malvagità e aberrazioni e immeritevole che si perda del tempo a cercar di salvare una sia pur minima parte di essa. La civiltà europea nel suo complesso è vista da molti come un unico, deprecabile disvalore: tanto più negativo quanto più ci si allontana dalla modernità (la quale soltanto merita, forse, una certa indulgenza) e ci si addentra nel "buio Medioevo"; e la religione cristiana, in particolare la confessione cattolica, è percepita, fra tutte, come la più infame, la più meritevole di essere sepolta e dimenticata per sempre. Non c’è nulla, in essa, da salvare; ha lasciato dietro di sé solo lutti e rovine: e l’immagine del premier canadese Justin Trudeau che s’inginocchia pietoso e depone un mazzo di fiori in un presunto cimitero di bambini uccisi e nascosti all’ombra di un convento cattolico dalle cattivissime suore, è l’emblema di tale auto-disprezzo e di tale rifiuto radicale e inappellabile. Poco importa, poi, se il fatto stesso è risultato essere un’invenzione pura e semplice dei mass-media finanziati dagli oligarchi, così come molti altri fatti scioccanti e altamente impressionanti dello stesso genere, diffusi dai media non solo in Canada, ma anche in altri Paesi di tradizione cristiana e cattolica. Il tutto mentre si passa sotto silenzio o si dedica appena qualche trafiletto all’incendio, alla vandalizzazione e alla profanazione di decine di chiese e luoghi di culto cattolici, nella più grande indifferenza o nella totale ignoranza della pubblica opinione, dal Canada, appunto (che sembra essere stato prescelto, per molti aspetti, come un Paese pilota), al Cile (altro Paese di forte tradizione cattolica), alla Francia, all’Italia stessa.

E non è che una parte dell’opinione pubblica non si accorga di tali fatti, e che non li vedano magistrati, intellettuali e uomini di Chiesa. Sovente, però, essi preferiscono tenerli sotto traccia per non guastare la cosa che sta loro a cuore più della propria anima: cioè il "dialogo" con gli altri, coi diversi, con gli esponenti delle altre culture e religioni., meglio se primitivi, meglio se si tratta dei nativi americani, o degli aborigeni australiani, o degli indios amazzonici; meglio se si tratta di genuflettersi devotamente innanzi a un idolo brutto e sanguinario come la Pachamama, per celebrare il cui solenne ingresso nella nostra sfera culturale il Vaticano ha pensato bene, dopo averla intronizzata in San Pietro, coniare una moneta artisticamente disegnata, che ne ingentilisce i tratti aspri e barbarici.

Se poi ci si chiede quando, come e perché questa follia collettiva ha avuto inizio — dato che si tratta palesemente di una forma d’insania mentale — ci si accorge che la fonte del male è sempre lì, nel XVIII secolo, con l’illuminismo. È allora che l’Europa è stata sommersa dalla moda delle culture esotiche e degli oggetti esotici, dalle cineserie che hanno invaso i salotti dell’aristocrazia "illuminata" e cosmopolita, mentre le dame più distinte, invece di occuparsi di banalità come stare accanto ai propri figli, dedicavano tempo ed energie a leggere le Lettere persiane di Montesquieu, così come ai nostri dì non pochi figli della rivoluzione sessantottina vanno in estasi davanti ai canti e ai discorsi dei nobili pellirossa, così squisitamente spirituali, naturaliter ecologisti e ambientalisti. Va da sé che all’odioso razionalismo europeo bisogna contrapporre tutto ciò che è irrazionale, strano, misterioso: e dunque ogni sorta di spiritualismo, di esoterismo, di occultismo, di alchimia, di magia, di stregoneria e satanismo. E dunque si arriva ancora e sempre alla conclusione che esiste una centrale operativa, una vera e propria cabina di regia, antica di almeno tre secoli, o meglio visibilmente operante da almeno tre secoli, mediante le logge massoniche, la quale crea, indirizza, orienta simili forme di fascinazione per tutto ciò che è primitivo, esotico e barbarico e al tempo stesso alimenta senza posa il disprezzo e il rifiuto della cultura e della civiltà europea, e soprattutto del cristianesimo cattolico.

Si tratta di un’operazione più abile e astuta di quel che non appaia ad uno sguardo superficiale, basata sul principio di trarre la risposta dal problema stesso che si è creato, e di finanziare l’incessante produzione del problema con l’incessante gestione della risposta. Nell’ambito finanziario, ad esempio, si tratta di far pagare ai debitori, soggetti pubblici o privati che siano, gli interessi del debito in misura tale, da far crescere il debito stesso sempre di più, fornendo ai creditori sempre più denaro e più potere, e lasciando i debitori ad affannarsi vanamente per cercar di ripagare non già il debito, ma solo gl’interessi sul debito; nell’ambito culturale si tratta di estromettere la cultura e la spiritualità tradizionali, fondate su una visione sana e realistica del mondo, con culture e spiritualità alternative, del tutto scollegate dalla propria tradizione e appunto per ciò percepite, o fatte percepire, come più sagge, più umane, insomma capaci di colmare quel vuoto che si è creato con l’espulsione di quelle originarie. Insomma è l’impiccato stesso a fornire la corda con cui viene appeso al patibolo: sono i popoli europei che, nutrendosi di prodotti culturali d’importazione, spesso scadenti o adulterati, aumentano la povertà della propria cultura e la conducono lentamente all’estinzione.

Prendiamo il caso dello Yoga, che da noi si pratica da molti decenni sotto forma di disciplina fisica, ma anche vagamente spirituale, per migliorare la propria salute e favorire la concentrazione mentale. Lo Yoga, non come dottrina speculativa ma come pratica fisico-spirituale, è presente, fin dall’origine, in tutte le scuole filosofiche e religiose dell’India; da noi è stato presentato come una sorta di panacea universale, e ha rapidamente riempito un vuoto che si era creato fra il "materialismo" dello sport e della ginnastica occidentali, e la preghiera e le altre forme di spiritualità del cattolicesimo, ormai in pieno abbandono. Ma cosa sa realmente dello Yoga, il pubblico europeo? Sa, per esempio, che in India esso è associato, da sempre, anche alla magia nera e a forme orripilanti di "spiritualità", come quella degli Aghoris, pseudo santoni e pseudo asceti che si adornano di ossa umane, si nutrono in una tazza fatta con il cranio umano e si nutrono di parti di cadaveri, oltre a dedicarsi a orge sessuali nelle quali prediligono, come dei perfetti discepoli del marchese De Sade, l’incesto?

Scriveva Michele Anagrio nel libro Le mura magnetiche (vol. 5° del Documentario della magia, Torino, Dellavalle Editore, 1971, pp. 169-170 e 186-188):

Assai diffusa [presso i Bhumia e i Gond dell’India centrale] è la credenza nelle pratiche di magia nera. Tutto ciò che in un modo qualsiasi non è immediatamente spiegabile può venire attribuito alla magia. Particolarmente sospettare di stregoneria sono le donne, specie se senza prole. Quasi sempre non resta a costoro che abbandonare il paese, con l’intera famiglia.

Esistono dei sistemi per "provarle", come quello di costringerle a maneggiare oggetti ardenti. Un tempo, chiuse in sacchi, venivano fatte affogare. La stregoneria può essere appresa per iniziazione o in sogno. Spesso la stessa madre istruisce la figlia, confidandole i "mantra" necessari ad asservire al proprio volee gli spiriti. Le streghe compirebbero, inoltre, spaventose orge per pagare, spesso con sangue e carne umana, i favori accordati. A mezzanotte la strega si spoglia per non farsi riconoscere, si reca nel luogo dove il "panda" [una specie d’indovino-stregone, soggetto a convulsioni spiritiche] tiene l’immagine della sua patrona, e a lei promette offerte di sangue umano Con un adatto incantesimo si trasforma in topo o in verme. Penetra nell’abitazione del nemico e gli succhia il sangue. La vittima se ne accorge solo al mattino dopo e può morire dopo qualche decina di giorni. Soltanto un "panda" è in grado di guarirlo; soprattutto può evitare che la strega torni a visitarlo, dissanguandolo. Appena la vittima è sepolta, la strega va al cimitero, si spoglia, fa tre volte il giro della tomba (o della pira se si tratta di una persona cremata) e provvede a ungersi con gli unguenti che ha recato con sé. Poi estrae il cadavere; lo lava e cerca di rivivificarlo. Appena il cliente torna in vita, gli dà da mangiare e da bere e lo interroga. Se il morto pronuncia anche solo una sillaba o un lamento, lo tortura, gli taglia la testa e ne trinca il sangue, colmandone anche un pentolino per la sua dea. Rimette quindi a posto il corpo e si reca nel tempio di Marai Mata, ove vomita il sangue bevuto e riversa quello contenuto nella pentola, addosso alla dea. Comincia poi a danzare e a effondere ancora il sangue di un gallo, di un granchio e il proprio, estraendolo dal dito mignolo.

La paura delle streghe e dei vampiri è molto diffusa ancora oggi e i delitti a scopo difensivi o preventivo sono frequenti. Si aggiunga che uomini-tigri, malvagi individui che alla morte si trasformano in bestie feroci, si aggirano per i villaggi o nelle vicinanze in cerca di carne e sangue umano. Di solito preferiscono nutrirsi di bambini. (…)

Gli Aghoris (o Aghorapanthis) sono degli asceti scivaitici, che hanno subito l’influsso tantrico. Frequentano i cimiteri e praticavano, ancora sul finire del secolo scorso, il cannibalismo. Mangiano in coppe craniche ogni genere di rifiuti e di carne, compresa quella dei cadaveri, eccetto quella equina. L’intento è di distrugge le inclinazioni e convenzioni umane; e sono perciò avversi anche ad ogni limitazione castale e religiosa. Alcuni adorano Kalì. Sono celibi e vivono vagabondando. Il loro uso dei crani e di altri elementi "carnali" ricorda simili pratiche "bön" [la primitiva religione tibetana].

Gli Aghoris successero ai Kapalikas ("coloro che usano crani"); questi venerano Siva nell’aspetto distruttivo; portano all’estremo le pratiche orgiastiche e la crudeltà rituale. Come gli Aghoris dimoravano tra i resti dei morti, mangiavano in coppe craniche e si ornavano di ossa umane; nutrivano il loro fuoco sacro con "cervella e polmoni umani commisti a carne" e offrivano alla loro divinità terrifica (Rhairava) "sangue fresco sprizzante dalle ferite inferte nella gola" delle vittime.

Con questi sistemi i Kapalikas acquistavano poteri sugli dei; fermavano il corso dei pianeti; allagavano la terra e ne risucchiavano l’acqua "in un istante". Si facevano accompagnare da donne, on cui si davano a licenze sessuali, perché i poteri yogici si possono ottenere anche senza rinunciare ai piaceri del mondo. Ciò ricorda l’affermazione del "Kallarnava-Tantra", per cui l’unione con Dio può essere raggiunta solo con l’unione sessuale. Sono ricordate anche le orge sessuali nei cimiteri, nottetempo, dopo aver banchettato con carne di cadaveri arsi; l’incesto era preferito ad ogni altro rapporto. Altra pratica era la meditazione stando seduti su un cadavere. Partecipavamo alle orge, in primavera e autunno, anche asceti di altre sette. Queste tecniche sarebbero connesse con le antiche strutture matriarcali dell’India settentrionale, dell’Himalaya e delle zone limitrofe.

Le pratiche dei Vamakaris, yogin della "mano sinistra", sono simili alle precedenti. I Vallabhacaryas o Maharajas erano anch’essi dediti a eccessi sessuali Le loro orge avevano luogo in cerchie tantriche e satiche della zona himalaiana. Quanto ai seguaci di Gorahnath (detti Gorahnatis o Kanphatas) furono in voga soprattutto dopo il Mille, riscuotendo moltissimo successo tra il popolo, colui che è ritenuto anche il fondatore dell’Hath-Yoga, sarebbe vissuto tra il nono e il dodicesimo secolo. La sua dottrina è un sincretismo risultante da elementi sivaitici, tantrici ed altri meno noti. I suoi discepoli in seguito lo assimilarono al dio Siva e con lui veneravano anche 84 siddhas. Quest’ultimo vocabolo indica "il perfetto" in possesso dei poteri magici ("siddhi"). Strette erano le somiglianze con gli Aghoris, che tra l’altro servivano in un tempio dell’Assam, celebre per i sacrifici umani celebrativi e aboliti nel 1832: a volte vere ecatombe (140 vittime in un solo sacrifico nel 1565).

E tuttavia, si dirà, tali cose non accadono più; e comunque in ogni cultura sono presenti forme deviate e aberranti di pseudo spiritualità. Solo che non è vero. Le pratiche descritte in questo brano esistono tuttora nell’India profonda; inoltre sono strettamente legate allo Yoga, al tantrismo, al svariate manifestazioni dell’induismo, mentre non esiste una magia cristiana, o una necrofagia cristiana, se non — e ne abbiamo già parlato — presso certi ambienti socio-culturali prodotti dalla mescolanza innaturale e dalla sovrapposizione di credenze africane a una superficie di apparente cattolicesimo, come nel Vudù e in altri culti dello stesso genere. Lungi da noi, con ciò, voler demonizzare tutto lo Yoga e tutti i culti e le pratiche di origine non europea; e tuttavia, ci sentiamo di dire, in perfetta serenità, che è stata cosa ottima per noi nascere in questa civiltà, in questa cultura, e ricevere i fondamenti di questa nostra fede religiosa (non ancora inquinata dal modernismo del Concilio Vaticano II), perché in tal modo abbiamo ricevuto gli strumenti necessari per vivere bene e indirizzare la nostra esistenza verso il suo fine naturale, Dio, nell’amore del prossimo, cominciando dai nostri cari.

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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