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Fra luce e tenebre: l’uomo vecchio e l’uomo nuovo

Abbiamo detto che l’uomo tende al sapere e che il sapere essenziale è quello divino, al quale egli può aprirsi mediante un atto di fede e di umiltà, che rende possibile l’azione della grazia (vedi l’articolo La sapienza divina è un mistero svelato ai piccoli, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/05/22). Si tratta quindi di un disvelamento che si presenta sotto la specie del mistero, nel senso etimologico del termine, dal latino mystèrium e dal greco mystérion, che viene dalla radice mystes, "iniziato" (si pensi ai culti misterici e ai saperi iniziatici dell’antica Grecia), che ha a che fare con il verbo myein, il quale significa "chiudere", "serrare". Perciò qualcosa di chiuso e di serrato, qualcosa che per sua natura è inaccessibile, ora si rende accessibile, si apre, si svela e di manifesta all’uomo, in presenza di certe condizioni.

Ora, di tale mistero fa parte anche la morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo, concetto già adombrato da Gesù Cristo nella parabola del vino nuovo e degli otri vecchi, che sono fra loro incompatibili (Lc 5,36-39):

36 Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio. 37 E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. 38 Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. 39 Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!».

Ma è san Paolo che porta alla massima evidenza il concetto dell’assoluta impossibilità che il cristiano, radicalmente rinnovato dalla Parola e dal Sacrificio di Gesù Cristo, permanga nelle stesse abitudini e nel medesimo stile di vita precedente alla sua conversione, nella Lettera agli Efesini (4,17-32 e 5, 1-14):

^17^Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, ^18^accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. ^19^Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità.

^20^Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, ^21^se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ^22^ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, ^23^a rinnovarvi nello spirito della vostra mente ^24^e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. ^25^Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri. ^26^Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, ^27^e non date spazio al diavolo. ^28^Chi rubava non rubi più, anzi lavori operando il bene con le proprie mani, per poter condividere con chi si trova nel bisogno. ^29^Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. ^30^E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione. ^31^Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. ^32^Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

^1^ Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, ^2^e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
^3^Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – ^4^né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! ^5^Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio.

^6^Nessuno vi inganni con parole vuote: per queste cose infatti l’ira di Dio viene sopra coloro che gli disobbediscono. ^7^Non abbiate quindi niente in comune con loro. ^8^Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ^9^ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. ^10^Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. ^11^Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. ^12^Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare, ^13^mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. ^14^Per questo è detto:

«Svégliati, tu che dormi,

risorgi dai morti

e Cristo ti illuminerà».

L’uomo vecchio, dunque, è l’uomo che viveva nelle tenebre, prima che arrivasse la luce di Cristo; ma poi la luce è arrivata, e chi ha scelto di accoglierla non è più lo stesso uomo di prima, né potrebbe esserlo, perché una profonda trasformazione si è operata in lui e continua ad operararsi ogni giorno, ogni ora: egli non appartiene più a se stesso, ma Cristo. L’uomo vecchio è morto e quindi non può tornare a vivere come viveva prima: chi ha visto la luce non desidera in alcun modo ritornare nella tenebra, ma ormai ama la luce e appartiene alla luce.

Questo è un concetto molto caro anche al quarto evangelista (Gv 3,16-21):

16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

In questo "venire alla lue" di cui parla il quarto evangelista c’è tutto il mistero della morte dell’uomo vecchio e della nascita dell’uomo nuovo; e c’è anche la risposta alla domanda di Nicodemo, davanti alla sorprendente affermazione dei Gesù che per entrare nel regno dei Cieli bisogna ridiventare fanciulli (Gv 3,1-8):

1 C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. 2 Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 3 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7 Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito».

In questo, certo, c’è un’alta possibilità: che l’uomo delle tenebre si sia talmente abituato a vivere nel buio, che rifiuti la luce e preferisca voltar le spalle alla luce, per seguitare a condurre la sua vita da talpa, da pipistrello, da creatura notturna, sul fondo della caverna di Platone, pago e soddisfatto di ciò che trova in essa e, semmai, ostile a chiunque venga a dirgli, o anche solo ad insinuargli, che, dopotutto, forse la realtà vera non è quella della caverna, ma quella che si stende al di fuori di essa, nell’aria aperta e nella luce del sole. Ostile, perché accettare l’idea che la caverna non è tutto; che esiste un mondo fuori di essa, più vero e più bello; e dunque che fino ad ora egli ha vissuto una vita tenebrosa, fondata sulla menzogna e sostenuta dalla pigrizia e dalla rassegnazione, indegna di una persona umana libera e capace di guardare il mondo per quello che è, e non attraverso le lenti ricevute in prestito da qualcun altro: tutto questo è doloroso e richiede una forza d’animo e una capacità di auto-valutazione che non è da tutti. Anzi, sono decisamente pochi quelli che sanno pesarsi, che sanno guardarsi allo specchio e dire: «Sì, io sono proprio così; quello è il mio fedele ritratto».

E se si parla loro di trasparenza del giudizio, di sapersi vedere e giudicare per ciò che si è, essi guardano sempre in direzione di qualcun altro, pensano sempre che si stia parlando di qualcun altro, e danno per certo e per scontato che il discorso non li tocchi minimamente, che essi non hanno niente a che fare con la categoria degli inconsapevoli o degli ipocriti, di quelli che fingono e si spacciano sistematicamente per ciò che non sono. E se qualcuno ha l’imprudenza o la temerità di dirglielo; se dice loro: «Guarda che stiamo parlando te; guarda che sei tu quello che non si presenta per ciò che è, né si vede per quello che è», costoro si offendono, si risentono, si considerano vittime di un’ennesima valutazione sbagliata, di un’ennesima discriminazione: loro che sono così puri, così tersi, così onesti, come è possibile che qualcuno sia tanto cattivo da insinuare che recitano una parte e non sanno far di sé stima pari al vero? Senza dubbio si tratta di giudizi ingiusti, provenienti da persone che essi hanno sopravvalutato: parevano dei maestri, ma in realtà erano dei falsi maestri, pieni di pregiudizi, tanto è vero che non hanno saputo capire loro, i più puri, i più disinteressati, i più meritevoli di lode! È proprio vero che al mondo difetta la giustizia, e che il merito non viene riconosciuto.

Ma tornando all’uomo vecchio e all’uomo nuovo: chi ha scelto la luce anziché le tenebre, chi ha scelto la verità anziché la menzogna, è come se fosse nato una seconda volta: apre gli occhi su un mondo che è nuovamente vergine, pieno di promesse e d’incanto, mentre l’uomo vecchio giudica il mondo secondo la sua stessa natura e perciò lo vede vecchio, decrepito, deludente e destinato a sprofondare nelle sue stesse debolezze e contraddizioni. Lo sguardo con il quale guardiamo il mondo è il fattore decisivo per cui lo vediamo bello o brutto, affascinante o grigio: e quello sguardo è trasparente se noi siamo illuminati dalla grazia che ci mostra la verità, mentre è opaco se noi siamo accecati dal nostro orgoglio umano. Chiunque non abbia imparato a fare i conti con il proprio io, a mettergli le redini e le briglie, come si fa con un cavallo generoso, ma indocile; chiunque si lasci condurre di qua e di là dalle proprie passioni, prima delle quali la passione narcisistica di carezzare e compiacere il proprio io, non sarà mai in grado di gettare uno sguardo limpido sul mondo e rifletterà su di esso le proprie ombre, le proprie inquietudini, le proprie zone torbide e le pulsioni più inconfessabili.

Gesù Cristo lo ha detto con estrema chiarezza, paragonando l’occhio ad una lucerna che illumina la condizione umana; e che bisogna far di tutto, anche strapparselo, se necessario, pur di mantenere la purezza dello sguardo (Lc 6,22-23):

22 La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

Lo o sguardo del bambino sul mondo, ad esempio, è uno sguardo incantato: e guai a colui che lo intorbida, dando scandalo ai bambini (Mt 6-7):


6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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