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17 Maggio 2022C’è una particolare espressione, nel Vangelo di Giovanni (10,10), che merita la più attenta riflessione: Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. La maggior parte dei biblisti dicono che qui Gesù sta parlando della vita eterna: quindi avere la vita eterna sarebbe la stessa cosa che ricevere il premio della vita eterna. Senza dubbio il significato dell’espressione è anche questo; e infatti in diversi luoghi Gesù lo dice nella maniera più esplicita; ad esempio, all’inizio della preghiera sacerdotale del Giovedì Santo, al termine dell’Ultima Cena (Gv 17, 1, 3):
Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.
Tuttavia, non siamo del tutto persuasi che in Gv 10,10, Egli stia parlando solo ed esclusivamente della vita eterna. Se così fosse, che senso avrebbe aggiungere e precisare perché l’abbiano in abbondanza? La vita eterna è la vita eterna: non può essere più o meno abbondante; è già una realtà assoluta, tanto quanto alla durata (o meglio all’assenza di durata) quanto al grado di perfezione della beatitudine. Al contrario, questa aggiunta e questa precisazione ci suggeriscono che qui Gesù non sta parlando solo della vita eterna, cioè della vita che seguirà alla vita terrena, ma sta parlando anche della stessa vita terrena, del nostro essere qui e ora, alludendo però ad un suo diverso grado di luminosità e di pienezza.
Per farsi un’idea più precisa di ciò che Gesù sta dicendo, è bene rileggesi tutto il contesto in cui Egli adopera una simile espressione (Gv 10,1-18):
^1^ «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. ^2^Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. ^3^Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. ^4^E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. ^5^Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». ^6^Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
^7^Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. ^8^Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. ^9^Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. ^10^Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
^11^Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. ^12^Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; ^13^perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
^14^Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, ^15^così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. ^16^E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. ^17^Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. ^18^Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Possiamo dunque considerare questo discorso di Gesù come una ripresa e un definitivo chiarimento della parabola del buon pastore, quello che va in cerca della pecorella smarrita e non ritorna all’ovile fino a quando non l’ha ritrovata, ferita e spaventata, e se la carica sulle spalle come un padre amorevole, narrata sia in Matteo 18,12-14 che in Luca 15,1-7 (Giovanni infatti non solo non ignora i Sinottici, come qualcuno crede, ma li presuppone, li riprende di continuo, li integra e li completa, spostando il fatto della Rivelazione, e di conseguenza la riflessione intorno ad essa, su un piano teologico sempre più elevato). Qui infatti Gesù, fuori di metafora, si proclama esplicitamente il Buon Pastore, colui che è pronto a sacrificare la vita per amore delle sue pecorelle; a differenza del mercenario, al quale non importa nulla delle pecore e che, all’avvicinarsi del pericolo, fugge senza più badare ad esse.
E non si tratta solo di mercenari, ma anche di ladri e briganti: falsi pastori che cercano d’ingannare le pecore, imitando la voce del vero pastore. Gesù adopera espressioni molto forti e afferma, in tono che non ammette repliche, che tutti quanti sono venuti prima di Lui, evidentemente presentandosi come pastori del gregge, erano ladri e briganti; ma il gregge non li ha seguiti, perché le pecore non hanno riconosciuto la loro voce. Ci piacerebbe sentire come interpretano questa pericope i biblisti, i teologi e i preti vartican-secondisti, quelli del "dialogo col mondo", e come spiegano le precise, inequivocabili parole di Cristo: Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti. E il divino Maestro dà anche uno strumento infallibile per riconoscere i falsi pastori (oltre al fatto che essi fuggono all’avvicinarsi del lupo, ma questa è una constatazione a posteriori, quando ormai il danno è fatto): e cioè che costoro non entrano nell’ovile dalla porta, ma da un’altra parte, come fanno, appunto, i ladri e i briganti. Entrare nell’ovile non dalla porta, ma da un’altra via, significa entrarvi con cattive intenzioni, di nascosto, o comunque tenendo celati i propri intenti, che non sono tali da poterli dichiarare apertamente.
Chi sono i ladri e i briganti che cercano di farsi passare per pastori del gregge? Quelli che non accolgono la parola di Dio, ma cercando modificarla, di adattarla, di piegarla ai loro intenti maliziosi, che sono, in sostanza, di andare d’accordo col mondo, di trovare un’intesa e un compromesso col mondo. E più in particolare, quelli che non accolgono il Figlio come inviato dal Padre, quelli che negano l’Incarnazione del Verbo; quelli i quali dicono che Gesù, al massimo — e ve ne sono ancora oggi, e la falsa chiesa li tiene in onore e diffonde le loro dottrine menzognere — era un profeta che parlava di Dio agli uomini, ma non era il suo Figlio Unigenito; era, tutt’al più, un "figlio" come lo sono tutti gli esseri umani — uno che diceva parole di verità, ma non era Egli stesso la Verità: contraddicendo il Vangelo, là dove Gesù afferma, con la massima solennità e chiarezza possibile (Gv 12, 44-50):
44 Gesù allora gridò a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato; 45 chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46 Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47 Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48 Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno. 49 Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare. 50 E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me»
Si noti che l’evangelista si dà cura di precisare che Gesù, queste frasi, non le pronunzia con un tono di voce normale, ma le urla addirittura: vuole essere ben certo che s’imprimano a fondo nella mente e nel cuore di quanti lo ascoltano (e infatti è con quel discorso che il Sinedrio prende definitivamente la decisione di toglierlo di mezzo), affinché vi rimangano per sempre. Sta parlando nell’imminenza della Passione e sa che, con la sua condanna e la sua morte, molti si scandalizzeranno di Lui; perciò si preoccupa in anticipo del loro smarrimento e suggerisce l’antidoto: rimanere nella luce della Verità prima che scendano le tenebre (Gv 12, 35-36):
5 Gesù allora disse loro: Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36 Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce.*
E in maniera, se possibile, ancor più chiara e perentoria (Gv 14, 1-7):
^1^ Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. ^2^Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: «Vado a prepararvi un posto»? ^3^Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. ^4^E del luogo dove io vado, conoscete la via».
^5^Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». ^6^Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. ^7^Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gesù dunque è la via, la verità e la vita; Gesù è il suolo tramite fra gli uomini e Dio (chiaro?, non Gesù e la Pachamama; non Gesù e qualcun altro o qualcos’altro); chi ha visto Gesù e lo riconosce quale Verbo incarnato trova la via, la verità e la vita. E dicendo "la vita", non intende solo la vita eterna, nell’aldilà: ma la vita nella verità che ha inizio già qui, adesso, e che anzi qui e adesso è caparra e anticipazione di quell’altra, che inizierà dopo la morte del corpo.
Come aveva detto alla donna samaritana (Gv 4, 13):
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
Il concetto è chiaro: noi abbiamo sete qui, adesso, in questo deserto che è il nostro pellegrinaggio terreno; ma solo l’acqua viva che proviene da Gesù zampilla per la vita eterna: spegne la sete ora e prepara la beatitudine futura.
Gesù paragona se stesso anche al "pane vivo", anzi afferma di essere Lui stesso quel pane vivo che nutre per sempre (Gv 6,32-40):
«In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; ^33^il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». ^34^Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». ^35^Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. ^36^Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. ^37^Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, ^38^perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. ^39^E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. ^40^Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Dunque "avere la vita" attraverso l’acqua viva che è la Parola di Gesù Cristo e attraverso il Corpo Vivo della Presenza Reale nella santa Eucarestia non significa soltanto avere quanto occorre per meritare la vita eterna in paradiso, ma anche ciò che serve per affrontare l’arduo pellegrinaggio terreno, nel quale l’acqua è scarsa, oppure c’è, ma è sporca e forse avvelenata, e dove anche reperire il pane non è facile, perché il solo pane terreno non estingue la fame, così come l’acqua terrena non estingue la sete. E Gesù si preoccupa che noi abbiamo tutto ciò che ci serve qui e adesso: non promette solo un futuro di eterna beatitudine, ma dà anche gli strumenti per meritarlo. Cosa che avviene qui, sulla terra, in mezzo ai dolori e ai turbamenti, perché tale è la sorte dei figli di Adamo dopo la Caduta. Per questo il Verbo incarnato è il nuovo Adamo: la primizia dell’umanità futura…
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