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Gesù e Israele visti dall’ex rabbino Eugenio Zolli

Il 13 febbraio 1945 il Gran Rabbino di Roma, Israel Zoller (1881-1956) ricevette il battesimo, insieme alla moglie, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, dalle mani di monsignor Luigi Traglia, e assunse il nome di Eugenio Pio Zolli, in omaggio al pontefice Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, il quale aveva soccorso generosamente la comunità ebraica della capitale durante il periodo dell’occupazione nazista. I suoi correligionari non la presero bene: il loro settimanale uscì listato a lutto, e un gruppo di ebrei americani contattò il neoconvertito ex rabbino offrendogli una grossa somma di denaro in cambio di un sollecito rientro all’ovile. E negli anni seguenti le polemiche proseguirono, più o meno velenose, sempre insinuando che Zolli si era deciso a un simile passo per svariate ragioni, non ultima il senso di gratitudine verso Pio XII, mai comunque per la sola ragione che egli stesso aveva addotto: che proprio lo studio della Legge e la meditazione sui Profeti, specialmente Isaia, lo avevano condotto a riconoscere in Gesù di Nazareth quel Messia tanto atteso dal popolo d’Israele

Scriveva dunque Eugenio Zolli nel suo libro Guida all’Antico e Nuovo Testamento (Milano, Garzanti, 1956, pp. 138-140):

In un mondo immerso nel politeismo, in un mondo ove si presta culto a divinità che a guida di uomini mangiano e banchettano, che , incuranti delle sorti degli uomini, si lasciano dominare da tutte le passioni umane- amore, gelosia, odio -, divinità in mezzo alle quali si tende a spodestare il dio vecchio per impadronirsi del potere, divinità in mezzo alle quali opera il desiderio e il suicidio, la lussuria e il delitto, in un mondo di un politeismo così grossolano spunta ad un tratto la conoscenza di un Dio, unico, eterno, scevro di passioni, creatore e donatore di vita, vita eterna: Egli stesso, Giudice giusto e Padre pietoso… Gli Israeliti sono quelli a cui appartiene l’adozione a figliuoli e la gloria e i patti dell’Alleanza e la Legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono ai patriarchi (Rom 9,4 ss.) Eppure, l’esistenza del popolo eletto è ben dolorosa. Essi stanno sotto il calcagno del pagano, dispregiatore del Dio d’Israele. Ma il Messia verrà, giusto, potente, annienterà pagani e paganesimo. Egli farà risplendere di nuova luce la gloria del regno di David. Egli sarà chiamato "Figlio di David". Ma ecco, un messia, figlio di un artigiano; un messia che si dice "Figlio dell’Uomo", espressione che — gli Ebrei lo comprendono molto bene — significa: "Figlio di Dio" (un uomo che si proclama Figlio di Dio), e il cui "Regno" NON è di questo mondo…

Ma noi viviamo e soffriamo un QUESTO mondo: il "Regno" poi è i Dio, e di Dio soltanto.

Egli dice di essere "pane di vita", apportatore di una Legge. Dopo quella di Mosè? È sceso dal cielo? Ma che uomo può scendere dal cielo? Egli dice di essere "la verità" e non è, secondo i profeti, il Signore Iddio "la Verità"?

Gesù sa di essere l’inviato di Dio e Gesù sa che una sola è la via che conduce l’uomo a Lui: la fede in Lui, Gesù. Gesù stesso pone la domanda: «Ma quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà ancora fede sulla terra?» (Luca 18,8) .Eppure Gesù sa di essere stato inviato alle pecorelle della casa di Israele, siano poche o molte quelle che in lui avranno fede. Iddio ama quei pochi che hanno fede in Gesù; che credono che Gesù è inviato da Dio (Gio. 16,30). Gesù li assicura: «Ma io non sono solo, perché il Padre è con me». Hanno fede in Gesù quelli che il Padre gli ha dato e a cui Egli, Gesù, darà vita eterna. «Ora la vita eterna consiste nel conoscere te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (17,3). «Io ho manifestato il Tuo nome agli uomini che (Tu) mi hai dato nel mondo; erano Tuoi e Tu me li hai dati, ed essi hanno conservato la Tua parola. Ora essi riconoscono che tutto quanto Tu mi hai dato, viene da Te, e che le parole che mi hai comunicato, io le o partecipate ad essi, e le hanno ricevute, riconoscendo sinceramente che io sono venuto da Te e hanno creduto che Tu mi hai mandato» (Gio. 17,6-8).

Gesù sa che soltanto un’esigua minoranza di destinati re preconosciuti dal Padre avranno fede in Lui, né poteva essere altrimenti. La missione di Gesù non poté essere svolta che in mezzo ad Israele monoteista. I politeisti l’avrebbero considerato uno dei tanti dèi incarnati. La terra doveva essere lavata col sangue di Gesù. I seguaci di Gesù avrebbero attratto [sic] forza per la loro missione alla vista della Croce e del sangue dei primi martiri. Il sacrificio assume, in un modo sempre più chiaro, il significato di una lotta incessante contro il Maligno, contro Satana.

Questo, su per giù, il substrato psicologico degli inizi del cristianesimo e il punto di partenza per la comprensione dei Vangeli.

Il punto di vista di Eugenio Zolli sulla relazione fra Gesù Cristo e la religione ebraica è di estremo interesse, assai più di quanto potrebbe esserlo quello di un convertito da qualsiasi altra religione, perché gli Ebrei erano stato scelti da Dio quale popolo eletto, con loro era stata stretta l’Alleanza, per loro e fra loro erano venuti i Profeti a condannare le infedeltà del popolo e a tenere sempre viva l’attesa del Messia Redentore. Pertanto il Gran Rabbino Zolli convertito alla fede cattolica mostrava che non vi è alcuna incompatibilità di fondo tra essere ebreo e divenire cristiano, anzi, che con il riconoscimento di Gesù Cristo quale Messia e Redentore, la Promessa di Dio trova pieno compimento e i membri del popolo eletto vengono reintegrati nell’eredità che spetta loro, e alla quale essi avevano rinunciato, rigettando Gesù Cristo quale Verbo incarnato.

Come scrive san Paolo nella Lettera ai Romani (9,1-9; 11,1-8):

^1^ Dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ^2^ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. ^3^Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. ^4^Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; ^5^a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.

^6^Tuttavia la parola di Dio non è venuta meno. Infatti non tutti i discendenti d’Israele sono Israele, ^7^né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoi figli, ma: In Isacco ti sarà data una discendenza; ^8^cioè: non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come discendenza. (…)

Io domando dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. ^2^Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio.

Non sapete ciò che dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro Israele? ^3^Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi altari, sono rimasto solo e ora vogliono la mia vita. ^4^Che cosa gli risponde però la voce divina? Mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal. ^5^Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia. ^6^E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia.

^7^Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti. Gli altri invece sono stati resi ostinati, ^8^come sta scritto: «Dio ha dato loro uno spirito di torpore, / occhi per non vedere / e orecchi per non sentire, / fino al giorno d’oggi.».

Questa è la ragione per cui non si vuol parlare di Eugenio Zolli, o di Alfonso Ratisbonne, o di Edith Stein, sia da parte degli ebrei, sia da parte dei cattolici vatican-secondisti, che negli ultimi anni sono giunti ad affermare apertamente l’eresia suprema: che Israele non deve convertirsi, che i cattolici non devono annunciare Gesù Cristo ad Israele, perché Israele ha già la Promessa, l’Alleanza, e quindi anche la Verità e la Salvezza. Si veda quel che ha detto il cardinale Walter Kasper nel 2001 nella sua veste ufficiale di Presidente della Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei, parlando della dichiarazione Dominus Jesus del 6 agosto 2000:

[La D. J.] non afferma che tutti debbano diventare cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio — che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo — è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l’Ebraismo — cioè la risposta fedele del popolo ebreo all’Alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sui promesse.

Abbiamo capito bene? Un ebreo che rimane fedele all’ebraismo, cioè a una religione — l’ebraismo attuale, essenzialmente talmudico e perciò dichiaratamente anti-cristiano — è fonte di salvezza tanto quanto il cristianesimo, perché Dio apprezza che ciascuno rimanga fedele alla propria religione? E dunque Ratisbonne, Zolli e Stein sono stati infedeli alla loro fede e alla relativa Alleanza con Dio, per cui non si capisce bene se si salveranno, ma di certo non avevano alcuna valida ragione per farsi cattolici?

Purtroppo sì; e la conferma viene dallo stesso Kasper, il quale, non pago di quella prima sortita — che poi era una freccia avvelenata da lui scoccata contro Joseph Ratzingee, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e quindi autore della Dominus Jesus, oltre che contro il papa Giovanni Paolo II — l’anno dopo aveva ulteriormente ribadito, durante una conferenza presso il Boston College del 6 novembre 2002:

Questo [cioè sempre la D. J.] non significa che gli Ebrei per essere salvati devono diventare cristiani: se questi seguono la loro coscienza e credono nelle promesse di Dio e le comprendono nelle loro tradizioni, essi sono in linea con il piano di Dio, che per noi perviene al suo compimento storico in Gesù Cristo.

Dunque, una piena conferma e una sottolineatura: essere in linea con il piano di Dio (che strana espressione: una volta si diceva convertirsi e credere al Vangelo, ma evidentemente tale espressione sarebbe irriguardosa verso le altre religioni) significa seguire la propria coscienza (= soggettivismo) e restare attaccati alle proprie tradizioni (= relativismo), perché evidentemente ciascun popolo fa bene a restare nella propria religione. Tutte dunque portano a Dio (= indifferentismo), non c’è una verità oggettiva, ciascuno ha la "sua" verità. E quanto al Verbo incarnato, non si capisce bene cosa sia venuto a fare nel mondo, né perché si sia fatto mettere sulla croce. È un mistero incomprensibile e alquanto illogico, prendiamone atto; e, se vogliamo dirla tutta, una insensatezza vera e propria, dato che poteva risparmiarsi la fatica.

Ora, non si creda che queste affermazioni siano le "sparate" estemporanee di qualche esponente del clero ultraprogressista, un po’ troppo impaziente di bruciare le tappe dall’ecumenismo e del dialogo interreligioso, i cui semi sono stati gettati nel Concilio Vaticano II, e precisamente con la Nostra aetate del 28 ottobre 1965 e con la Dignitatis humanae del 7 dicembre successivo. No, sono ormai il bagaglio "normale" di gran parte del clero e una sorta di dogma dei "nuovi" teologi, quelli che non sanno neppure dove stia di casa la vera teologia, e sono perfettamente conformi al pensiero, più volte espresso, di Bergoglio. Il quale nel dicembre 2019, durante un incontro a sorpresa con gli studenti del Liceo Classico romano Pilo Albetelli, ha testualmente detto loro (e come è stato riportato dal quaotidfiano della C.E.I. Avvenire): Tu sii coerente con la tua fede, intendendo qualsiasi fede e non la sola vera fede nel solo vero Dio; e ancora: Non si può dire ai ragazzi ebrei o musulmani: vieni convertiti. E perché nulla mancasse a una simile contro-catechesi, ha concluso con la sua tipica aria soddisfatta e autoreferenziale, del tutto incurante di quel che l’autentico magistero della Chiesa ha insegnato per quasi due millenni: Quella coerenza ti farà maturare. Non siamo più nei tempi delle Crociate. Povero san Francesco, il quale se ne andò in Egitto per convertire il Sultano, e credeva di far bene! A questo punto, però, sorge un dubbio lacerante. Perché mai Bergoglio, gesuita che non doveva né poteva essere eletto papa, ha voluto assumere, lui solo nella storia della Chiesa, il nome del Poverello di Assisi, il quale credeva di praticare l’amore per il prossimo, musulmani compresi, e invece era mosso da una fede arrogante e fanatica, spregiatrice delle altrui verità?

Ma ritornando a Eugenio Zolli, si capisce facilmente perché una coltre di silenzio è stata fatta calare su di lui parte della Chiesa cattolica, la quale, al contrario, dovrebbe additarlo come un luminoso esempio del compimento dell’Alleanza fra Dio e Israele. Infatti, come emerge dalla sua pagina che abbiamo sopra riportato, egli non vedeva affatto nella propria conversione una "infedeltà" alla religione dei suoi padri. E a chi gli domandava perché si fosse convertito, rispondeva: «Ma io non mi sono convertito a un’altra fede: sono rimasto nel solco di quella d’Israele, perché Gesù Cristo è il suo compimento».

Che smacco ricordare oggi queste parole per i Kasper e i Bergoglio; che smentita per tutti quei vatican-secondisti che da sessanta anni ci rintronano gli orecchi coi loro mantra relativisti e indifferentisti, pronti e più che disposti a offendere Gesù Cristo, fingendo di non conoscerlo (e quindi astenendosi perfino dal nominarlo davanti ai non cattolici, come fa Bergoglio in certi "viaggi apostolici") piuttosto che correre il rischio di mancare minimamente di rispetto verso i seguaci di tutte le altre fedi!

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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