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Capire il mondo è vederlo nella trasparenza infantile

L’uomo è chiamato a cercare il vero e quindi a capire il reale: le due cose, il vero e il reale, sono inseparabili. Il vero, infatti, come insegnano i filosofi greci, è riconoscere che quello che, è, e quello che non è, non è. Ora, capire il mondo significa precisamente questo: capire che è ciò che è e che non è ciò che non è. Può sembrare un enunciato più che evidente, addirittura tautologico, e invece non lo è: ci sono moltissime persone, e anche un gran numero di filosofi o sedicenti tali, i quali non hanno capito nulla del mondo, per la buona ragione che non sanno riconoscere che è ciò che è, e che non è ciò che non è.

Gli idealisti, per esempio, i quali affermano che le cose non sono ciò che appaiono, bensì sono solo delle copie della realtà vera, delle cose vere, che poi non sono cose, ma idee: ad esempio, che la vera mela è l’idea della Mela, perfetta, luminosa, fuori del tempo e dello spazio, mente tutte le mele formate da semi, polpa e buccia sono solamente delle brutte copie dell’originale, praticamente delle mele illusorie Per i fautori del pensiero debole, poi, una mela potrebbe anche essere un’arancia, o un caco, o chissà quale altro frutto: affermare che senz’altro una mela sarebbe un azzardo e un atto di presunzione. Strano modo di trarre le conseguenze delle proprie premesse le proprie premesse: essi, da relativisti e da scettici radicali quali in effetti sono, non dovrebbero fare alcuna affermazione netta, e sia pure di tipo negativo. Non dovrebbero dire: è impossibile decidere se questa sia davvero una mela, perché questa è già un’asserzione netta e assoluta. Ma così facendo, si comportano come colui il quale afferma che tutti gli uomini sono bugiardi: dal momento che si tratta di un’affermazione, bisogna pensare o che sta mentendo nel farla, e perciò che non è vero che tutti gli uomini sono bugiardi, oppure che sta dicendo la verità, il che è in contraddizione con il proprio assunto, secondo il quale nessuno dice il vero.

Dunque torniamo al punto: l’uomo è chiamato a capire il reale; la ragione gli è stata data proprio per questo, e non per fraintenderlo o per giudicare che non c’è nulla da capire, che è impossibile capire il reale perché è talmente assurdo e contraddittorio da sottrarsi a qualunque forma d’intelligibilità. E tuttavia, la ragione da sola non basta: è necessario che vi siano i presupposti della ragione, ossia un sistema di certezze intuitive sulle quali la ragione possa dispiegarsi (ad esempio, la certezza che il mondo esiste, che esistono gli altri io, che esiste un io autocosciente e che esiste una causa prima) e che vi sia una disposizione psicologica e affettiva tale da rendere possibile il dispiegamento della comprensione razionale. Perché la razionalità, da sola, è cieca: è solo uno strumento, e anche un pazzo può agire in maniera razionale quanto ai modi, pur se il fine è totalmente folle. Ebbene, tale disposizione può essere riassunta in un solo concetto, quello dello stupore. Chi non prova stupore davanti al reale, non capirà mai nulla del mondo; anche se, a fil di logica, riuscisse a "spiegare" (almeno in apparenza) tutti i misteri della fisica, dell’astronomia, della matematica e magari anche della metafisica e della teologia.

Ancora: non è sufficiente qualsiasi tipo di stupore; no: è necessario lo stupore innocente, cioè lo stupore disinteressato davanti alle cose, lo stupore che non sa fare calcoli o previsioni, lo stupore allo stato originario. E dove lo si può trovare, se non nel bambino? Tutto noi abbiamo conosciuto questo tipo di stupore, quando eravamo piccoli e il mondo ci si mostrava per la prima volta, con tutti i suoi tesori affascinanti e misteriosi: misteriosi perché non totalmente chiariti dalla ragione, o non chiariti affatto. Diremo di più: chi non conserva almeno in parte quello stupore, quella freschezza e quella ingenuità (quest’ultimo termine esprime peraltro il punto di vista dell’adulto smaliziato e non va inteso in senso negativo, anzi) perde la propria parte migliore, s’inaridisce e si impoverisce. E quando l’uomo si è inaridito e impoverito, quando ha perso per sempre la capacità di stupirsi e di sognare davanti al mistero del mondo, è ridotto a un mezzo uomo: una povera cosa che sa vivere solo di furbizia e sui nutre di disillusione; una creatura calcolatrice e opportunista, che soppesa ogni cosa dal punto di vista della propria convenienza e cui sfugge di conseguenza, il reale valore di tutto. Di più. Chi ha perso lo stupore dell’infanzia, ha perso anche lo strumento privilegiato con il quale fare buon uso della sana ragione naturale: perché l’intelligenza, se non è alimentata dalla sorgente perenne dello stupore e dalla sua sorella gemella, la gratitudine verso l’essere, diventa una macchina artificiosa che non lavora più per il bene della persona, ma contro di essa; che non aiuta più a comprendere il mondo, ma fornisce mille e mille ostacoli, e crea mille e mille pietre d’inciampo. Infatti gran parte delle illusioni, dei fraintendimenti, degli inganni nei quali cade la ragione sono forniti dalla ragione stessa, quando essa è spogliata dello stupore e della gratitudine, che sono per lei qualcosa di simile a ciò che è l’anima per il corpo. Ed è bravissima, la ragione, a inventare ed escogitare sempre nuove trappole nella quale restare inviluppata, a mettere a punto sempre nuove strategie per confondersi e sviarsi e addentrarsi sulle strade sbagliate, quelle che conducono più lontano dal suo fine naturale, che è il vero. Non c’è nessuno più bravo di lei, in questo: ed è per tale motivo che il diavolo, padre della menzogna e perciò nemico mortale della ragione umana, si serve di essa per alimentare, grazie ad essa, i dubbi, i sospetti, i sofismi coi quali la ragione perde di vista la propria meta e si smarrisce nella palude del relativismo, dove il vero scompare fra cento e cento false immagini di verità.

Non c’è dubbio che proprio per questo il divino Maestro ha detto a Nicodemo (Gv 3,3-8):

«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
^4^Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». ^5^Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. ^6^Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito.  ^7^Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. ^8^Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Ed è sempre per questo che Gesù Cristo ha severamente ammonito i suoi discepoli — così severamente che l’Evangelista parla della sua indignazione — allorché volevano impedire che i bambini gli si avvicinassero, esclamando (Mc 10,14-15):

«Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. ^15^In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».

Sul fatto poi,che l’Intelligenza maliziosa dell’adulto, se non è sorretta dallo stupore e accompagnata dalla gratitudine, serve solo a fuorviare se stessa, mentre diviene uno strumento docile e utile allorché si affida all’azione vivificante della Grazia divina, sempre Gesù Cristo una volta ha esclamato (Mt 11,25-26):

Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.

A proposito dello stupore incantato del bambino davanti allo spettacolo del modo, vale la pena di leggere e meditare questa pagina di Thomas Traherne (1637-1674), commemorato come santo dalla Chiesa anglicana ma pressoché sconosciuto come teologo nonché come poeta metafisico, specie al di fuori della sua Inghilterra (ebbene sì, citiamo un autore anglicano, non perché abbia detto delle cose significative in quanto anglicano, ma perché ha detto delle cose vere in quanto cristiano; da: T. Traherne, Centuries of Meditations, Londra, Dobell, 1950; cit. in Luigi Rusca: Il breviario dei laici, Milano, Rizzoli, 1990, vol. 1, pp.286-288):

Tutto mi apparve nuovo e strano, dapprincipio; inesprimibilmente prezioso e delizioso e bello. Ero come un piccolo straniero che al proprio ingresso nel mondo fosse accolto e circondato da innumerevoli gioie. Il mio sapere era divino. Conoscevo per intuizione quelle cose di cui, dopo la mia apostasia, ripresi possesso a ragion veduta. La mia stessa ignoranza rappresentava un vantaggio: ero come una creatura trasportata nel regno dell’innocenza. Tutte le cose erano immacolate, pure e splendenti: e infinitamente mie, e gioiose e preziose. Non conoscevo l’esistenza del peccato, delle querele o delle leggi. Neppure mi sognavo la povertà, le contese o i vizi. Le lacrime e le dispute erano nascoste ai miei occhi. Tutto era in pace, libero e immortale. Nulla sapevo della malattia o della morte, dei redditi delle esazioni per i tributi o per il pane. Nell’ignoranza di tutto ciò ero rallegrato come un angelo dalle opere di Dio nel loro splendore e nella loro gloria, vedevo tutto nella pace dell’Eden. Cielo e terra cantavano le lodi del mio creatore, e il canto non poteva essere più melodioso per Adamo di quanto non fosse per me. Il tempo era tutto eternità, un perpetuo Sabbato. Non è strano che un fanciullo potesse essere erede del mondo intero e scorgere quei misteri che i libri dei sapienti non rivelano mai?

Il grano era una messe perfetta e immortale, che non doveva mai maturare né mai era stato seminato. Pensavo che esso fosse lì’ dai secoli dei secoli. La polvere e le pietre della strada erano preziose come l’oro; i cancelli mi parvero a tutta prima i confini del mondo. Gli alberi verdi, allorché li vidi per la prima volta attraverso uno di tali cancelli, mi entusiasmarono e mi rapirono; la loro soavità e la loro bellezza insolita fecero palpitare il mio cuore, lo resero quasi folle per l’estasi, tanto erano strane e meravigliose. Gli uomini! Oh, quali venerabili e reverende creature sembravano gli anziani! Cherubini immortali! E i giovani sembravano angeli rilucenti e scintillanti, e le fanciulle strane serafiche parvenze di vita e di bellezza! I bimbi e le bimbe che ruzzavano e giocavano nella strada erano gioielli semoventi. Non sapevo che fossero nati e che avrebbero dovuto morire; tutte le cose stavano eternamente com’erano nel loro posto esatto. L’eternità era manifesta nella luce del giorno, e da ogni cosa traspariva alcunché d’infinito che parlava alla mia aspettazione e sollecitava il mio desiderio. La città sembrava risiedere nell’Eden, o essere costruita in cielo. Le strade erano mie, il tempo era mio, la gente era mia; miei erano i loro panni, e l’oro e l’argento, così come i loro occhi lucenti, le chiare epidermidi e i visi floridi. Miei erano i cieli, come pure il sole, la luna e le stelle, e tutto il mondo era mio; e io l’unico suo spettatore e l’unico che ne traesse godimento. Non conoscevo chiuse proprietà, né limiti, né divisioni: tutte le proprietà e tutte le divisioni erano mie, come tutti i tesori e i possessori di questi. Sì che a poco a poco ne rimasi corrotto e cominciai ad apprendere le sporche malizie di questo mondo. Malizie che ora disimparo per ritornare, com’ero, un fanciullo, affinché mi sia possibile entrare nel regno dei cieli.

L’intento del nostro Salvatore quando disse: «deve nascere di nuovo e diventare come un fanciullo, colui che vuole entrare nel regno dei cieli», è assai più profondo di quanto generalmente si creda. Non è soltanto mediante uno spensierato abbandono alla Divina Provvidenza che noi dobbiamo ridiventare bambini, o nella debolezza e nella brevità delle nostre collere, o nel semplicismo delle nostre passioni, bensì nella pace e nella purezza di tutta la nostra anima. E tale purezza è anch’essa cosa assai più profonda di quanto comunemente si ritenga. Noi dobbiamo infatti spogliarci di ogni falsità e liberare le nostre anime dalle cattive abitudini. Tutti i nostri pensieri devono essere infantili e limpidi; le potenze della nostra anima libere dai fermenti del mondo e distaccate dalle vanità e dai pregiudizi dell’uomo. La pietruzza nell’occhio o l’itterizia non consentono a costui di scorgere con esattezza gli oggetti che gli stanno dinanzi: è perciò necessario che noi ci estraniamo dai pensieri, dalle abitudini e dalle opinioni degli uomini di questo mondo, come se non fossimo altro che bambini: così tali cose ci apparirebbero soltanto quali appaiono agli infanti. Ambizioni, mercati, lussuria, disordinati affetti, ricchezze casuali o accidentali, insomma tutto ciò che fece seguito alla caduta, sparirebbero, e apparirebbero solo quelle cose che Adamo vide in paradiso, nella stessa luce e con i medesimi colori: Dio nelle sue opere, gloria nella luce, amore per i genitori, per gli uomini, per noi stessi, e il volto del cielo: ogni uomo vedrebbe naturalmente queste cose, per il cui godimento egli è naturalmente nato.

Crediamo che pochi scrittori abbiano saputo cogliere e descrivere con altrettanta intensità il segreto della felice spensieratezza infantile, ossia lo stupore che accompagna la scoperta del mondo e riveste quest’ultimo di una luce sfolgorante. Se l’adulto riuscisse a conservare almeno una parte di quel senso di’infinita meraviglia e di sontuosa magnificenza, senza dubbio sarebbe un uomo migliore. Vedere il mondo nella giusta prospettiva è infatti la condizione per vivere una vita ben diretta, cioè diretta verso il suo fine naturale: la ricerca e la contemplazione di Dio.

Fonte dell'immagine in evidenza: Francescoch - iStock

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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