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La religione del sesso, astuzia per demolire il Vangelo

Due persone, due intellettuali nel senso più nobile della parola, ma insomma è meglio dire due autentici uomini di cultura e di pensiero, capirono subito quel che sta succedendo nella Chiesa cattolica a partire dal Concilio Vaticano II, ossia lo scardinamento progressivo della dottrina e la distruzione graduale della fede. Un laico e un religioso, il belga Marcel de Corte e il sacerdote stimmatino Cornelio Fabro. Filosofi entrambi, ben formati e perfettamente centrati sulla roccia del pensiero tomista, spiriti profondi e riflessivi entrambi, ci hanno lasciato due libri lucidissimi, che, riletti oggi, a una sessantina d’anni di distanza, acquistano un sapore addirittura profetico: rispettivamente La grande eresia il primo, e L’avventura della teologia progressista il secondo. Di quest’ultimo primo abbiamo già parlato (cfr. I teologi progressisti hanno sequestrato la fede e lasciato il gregge orfano della Verità, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 29/01/18) e ci proponiamo di tornarci nel prossimo futuro; del secondo, dopo aver trattato Fenomenologia del distruttore (v. La strategia del caos o la distruzione del buon senso, sempre sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 25/03/22), vogliamo concentrarci adesso su La grande eresia, un libro del 1969 (tradotto in italiano l’anno dopo).

La grande intuizione di Marcel de Corte è stata che i progressisti, o meglio i modernisti travestiti da cattolici progressisti, si sono serviti della "liberazione sessuale" per scardinare dall’interno la morale cattolica e, attraverso di essa, la stessa Chiesa cattolica. Sul piano dottrinale, infatti, non c’è dubbio che il concetti adoperato come un cavallo di Troia per ingannare i cattolici e far passare le idee moderniste, è stato quello del "dialogo"; sul piano affettivo è altrettanto indubbio che il concetto usato come un grimaldello per carpire la buona fede e sovvertire il giusto atteggiamento verso la vita, e quindi la pastorale, è stato quello della "sessualità". In quegli anni fatali, gli anni ’60 del Novecento, si sono diffuse a macchia d’olio le idee malefiche, cervellotiche e fuorvianti di Sigmund Freud, e la psicoanalisi, dottrina da ciarlatani e da stregoni, è salita in cattedra come la regina delle scienze, o poco meno. Tutti citavano Freud (senza averlo mai letto), tutti si sentivano un po’ più intelligenti perché, se uno criticava, ad esempio, certe sfrenatezze sessuali, subito lo rimbeccavano dicendogli: «Si vede bene che sei un represso e che nascondi la tua paura del sesso dietro a questi atteggiamenti d’intolleranza e di rifiuto». È stata una vera e propria pestilenza culturale, e prima ancora psicologica: bastava citare la psicoanalisi, a proposito o a sproposito, per guadagnarsi una patente di legittimità nel tranciar giudizi, fossero pure i più idioti, e nel ridicolizzare e marginalizzare chiunque avesse l’ardire di non essere d’accordo. Criticare Freud, o anche solo avanzare delle riserve su questo o quel punto del sommo sacerdote della Psicoanalisi, equivaleva a guadagnarsi una perenne patente di oscurantismo, bigottismo e, quel che è peggio, di persona sessualmente repressa e potenzialmente deviata, che cerca di nascondere i propri problemi dietro una patina di moralismo.

Ebbene, tale pestilenza è entrata, e alla grande, anche nella Chiesa. Innanzitutto nella dottrina cattolica e fra il clero cattolico: è stata insegnata nei seminari, discussa come la grande priorità all’ordine del giorno. A partire da quel momento — è un sacerdote che ce lo ha confidato, uno dei pochi ancora degni di rispetto — le diocesi hanno spalancato le porte del seminario a due categorie di giovani, che prima venivano rifiutati: gli omosessuali e i problematici. Quelli che non erano né l’una né l’altra cosa, sono usciti di loro spontanea volontà, vedendo quel che succedeva fra quelle mura e il lavaggio del cervello cui venivano sottoposti con la scusa del dialogo, dell’aggiornamento, dell’inclusione e via dicendo. Quello stesso sacerdote ci ha confidato che c’è stata anche una ragione economica per una tale scelta. Fino agli anni ’60 negli ambienti progressisti della Chiesa si dava per certo che Paolo VI avrebbe abolito il celibato ecclesiastico, ma poi così non è stato: il celibato è rimasto e la Chiesa ha dovuto sborsare un mucchio di soldi per fronteggiare il problema delle molte ragazze madri che avevano avuto dei figli con un prete. A quel punto, al "vertice" qualcuno ha avuto la bella pensata di favorire l’ingresso in seminario dei ragazzi con tendenze omofile, perché ciò avrebbe tutelato la Chiesa dal pericolo di dover sborsare altri quattrini, visto che quei giovani non avrebbero messo incinte le ragazze (calcolo sbagliato, perché poi sono fioccate le condanne per abusi sui giovani). Il sacerdote che ci ha fatto tali confidenze è una persona saggia, pacata, intellettualmente onesta: non avrebbe mai raccontato simili cose se non le avesse viste e toccate con mano.

E adesso torniamo a Marcel de Corte. Come Cornelio Fabro, anche il professore di Lovanio vide per tempo la marea fangosa della cosiddetta liberazione sessuale irrompere nella Chiesa e investire la sua morale dalle basi: i sacerdoti hanno subito ceduto al ricatto, «se sei per la repressione dell’istinto sessuale sei un cattivo sacerdote e un cattivo cristiano», e si sono inginocchiati entusiasticamente davanti al nuovo potente idolo. Proibito proibire, diceva un famoso slogan sessantottino; ma altrettanto messa in pratica era l’dea del proibito reprimere, adottando un concetto di repressione sessuale più che mai falso e lontano dalla realtà. La realtà è che un a persona sana e moralmente ben orientata non considera repressione il fatto di sottomettere i suoi istinti al dominio della volontà; è anzi fermamente convinta del contrario, che non esiste civiltà nella quale viga la totale licenza sessuale. Inoltre, un cattolico avrebbe dovuto sapere che è impossibile separare la sessualità dall’affettività, e che farlo equivaleva a buttare nel cesso duemila anni di morale cattolica per farsi proni seguaci delle teorie bislacche e deliranti del dottor Freud, secondo il quale non c’è giovinetto che non provi l’istinto (inconscio: ma da cosa lo si può dedurre?) di assassinare il proprio padre e far l’amore con la propria madre. In altre parole, una dottrina non solo antiscientifica, ma degenerata e socialmente pericolosa.

Scriveva profeticamente Marcel de Corte nell’ormai lontano 1962, ne La grande eresia (titolo originale: La grand hérésie, Parigi, 1969; traduzione italiana Roma, Giovanni Volpe, 1970, pp. 127-131; ristampato dalla Casa Editrice Effedieffe):

Gli storici delle religioni sono concordi nel rilevare che le grandi crisi religiose che hanno scosso l’umanità sono state sempre accompagnate da febbrili sussulti di erotismo.

Per lo più tali irruzioni della sessualità si mostravano in piena luce, con una sorta di impudente ardimento, o si rifugiavano in una clandestinità impenetrabile. L’uomo aveva la franchezza di esibire le sue cadute o si vergognava di esporle in pubblico. In entrambi i caso cozzava contro legge morale, sia apertamente, sia segretamente. Lo sapeva e si sentiva peccatore. Era riservato all’età nostra, fertile di stratagemmi, per ingannare sé stessa e per trasformare in progresso i suoi regressi, di unire l’esibizionismo all’ipocrisia.

Bastava pensarci. La Scienza, cin la maiuscola dacché ha scartato Dio e spiega tutto lei, spiegherà dunque che la sessualità è un comportamento come un altro. È pericoloso e vano — dirà — opporsi ai suoi imperativi. Reprimere il sesso, vuol dire eccitarlo alla ribellione. I divieti sessuali sono la proiezione di una paura nevrotica di fronte alla vita. Da Freud in poi, la sessualità è senza mistero; è, anzi, la luce che rischiara tutte le attività dell’uomo, poiché ne è la causa. Conviene quindi edificare una "nuova morale", che tenga conto di tali mirabili scoperte della scienza e restituisca alla sessualità i suoi titoli di nobiltà. Verniciando di scienza il sesso, è d’ora innanzi permesso, raccomandato, anzi comandato, esibirlo dappertutto. Basta coi tabù! In alto i sessi!

A questo, appunto, si dedicano pubblicamente, nella Chiesa, gruppi di preti sempre più folti. Ben lontani dall’accorgersi che la decadenza dei costumi è sempre parallela al declinare delle credenze, e dal consacrarsi con zelo alla restaurazione della fede e all’emendamento della condotta dei singoli, codesti disgraziati si accaniscono ad "integrare" — essi dicono — "le ricchezze della sessualità" nel cristianesimo. In altri termini, il nuovo cattolicesimo dell’AGGIORNAMENTO ad ogni costo o sarà sessuale, o niente.

È una buffonata — direte voi. È, ahimè, il segno che il frutto è bacato! Quando una religione, il cui ufficio è di elevare l’anima verso Dio, case nell’apologia del sesso, si può dire che è colpita al cuore. Essa chiama su coloro che l’avviliscono il fuoco della Provvidenza offesa.

I sintomi di tale decadenza si moltiplicano. Non parlo qui dell’invasione della psicanalisi nei seminari e nei conventi, in forme virulente (come in un certo monastero benedettino del Messico) o edulcorate e forse ancor più nocive. Se taluni chierici si abbandonano a trasporti estatici nel nome di Freud, se sguazzano in sapienti e burlesche teorie della sessualità, ciò è un effetto della loro ignoranza abissale circa la sessualità stessa. Ve ne sarà uno su mille, che si è inoltrato personalmente in codeste dotte tenebre, dove lo stravagante, il piccante e l’occulto producono talvolta, per frizione, qualche scintilla. Ma la maggior parte non ne conosce altro che dei decotti di terza o quarta mano. Ve n’è uno su diecimila o su centomila, in grado discoprire l’infima parte di vero in quel cumulo di sciocchezze.

Qualsiasi discepolo del santo Curato di Ars ne sa più di loro in tali materie. Conosco più di un seminarista, più di un novizio, che essi hanno così allontanato dalla loro vocazione: i loro scrupoli di coscienza venivano subito classificati in non si quale complesso di Edipo o di castrazione, che li escludeva per sempre dal servizio di Nostro Signore.

Avendo osservato codesti preti, la cui cosiddetta psicologia del profondo — che più spesso è una psicologia dell’ottusità e della bassezza — ha corrotto il loro giudizio, mi è rimasta la certezza che essi non conoscono nulla della sessualità, e che la loro pretesa scienza non è se non il travestimento della loro ignoranza. La sessuologia che essi professano è semplicemente una delle mille e una forma della volontà di potenza che li agita e che — non venendo purgata del suo imperialismo dalla sottomissione sovrannaturale dell’anima loro a Dio — non riesce ad altro che a farne degli agitatori patentati. Tutti coloro che, spostati o deboli di natura, sono predisposti a subirne il potere usurpato, entrano così nell’orbita loro. La teocrazia, mischiata con la xenocrazia, rinasce dalle sue ceneri.

La sessuologia, infatti, sia pure sublimata in teologia del sesso, è tipica pseudoscienza. Non v’è e non può esservi scienza del sesso, perché l’istinto sessuale sfugge per l’appunto all’intelligenza. Invariabile in tutti gli individui di una medesima specie animale, esso è fortemente individualizzato nella specie umana.

Il passaggio decisivo dell’analisi è questo: Tutti coloro che, spostati o deboli di natura, sono predisposti a subirne il potere usurpato, entrano così nell’orbita loro, ossia del potere tirannico di una sessualità disordinata, cioè tutti quelli che sono affitti da gravi patologie del comportamento e che non sanno comandare minimamente a se stessi, ma si fanno trascinare dai loro bassi istinti come animali infoiati, subiscono il fascino di una pseudoscienza così comoda per loro, in quanto offre ad essi una piena giustificazione per il loro modo disordinato di vivere. Che a spalancare le porte alla psicanalisi sia stata la cultura cattolica ha segnato irreversibilmente il destino della Chiesa. A partire da quel momento era facile prevedere quel che sarebbe accaduto. Le recenti vicende dell’episcopato tedesco, apertamente ribelle al Magistero sul tema delle unioni omosessuali e tutto intento a decorare le chiese con striscioni arcobaleno e a dichiarare che non c’è niente di più bello che fare come gli abitanti di Sodoma e Gomorra, è il naturale punto d’arrivo di quella deviazione. Era solo questione di tempo; e alla fine, a quasi sessant’anni dall’irruzione del verbo di Freud fra i seguaci del Verbo Incarnato, si è giunti alle estreme conseguenze. Evidentemente, quei "cattolici" si sono bellamente scordati le precise, inequivocabili Parole di Gesù Cristo (Mc 9,42-50):

^42^Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. ^43^Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. ^44^. ^45^Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. ^46^. ^47^Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, ^48^dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. ^49^Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. ^50^Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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