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La vita attiva è superiore alla vita contemplativa?

Uno dei metodi per accostarsi all’opera colossale di san Tommaso d’Aquino, e in particolare a quella immensa cattedrale del sapere e del ragionamento che è la Summa Theologiae, consiste nel prendere una questione, se non proprio a caso, comunque in maniera del tutto sistematica, semplicemente sfogliando l’indice di uno dei trentacinque volumi che formano l’edizione completa in lingua italiana (col testo latino a fronte) e misurarsi con lo splendido metodo della disputatio del grande filosofo, per cui egli pone un argomento mediante una precisa affermazione; poi esamina gli argomenti a favore e quelli contrari, attingendo perlopiù ad Aristotele e alla Bibbia, sempre sul filo della logica più asciutta e rigorosa; infine risponde alle obiezioni, risolve le difficoltà e conferma in maniera argomentata l’enunciato iniziale. È un ottimo esercizio per la mente e ha il vantaggio di familiarizzare il lettore inesperto con quell’oceano del sapere e del pensare che è il Dottore Angelico, abituandosi a ragionare con lo stesso rigore su qualsiasi altra questione, e così facendo fruttificare al massimo il suo insegnamento. È un esercizio tanto più necessario e consigliabile in questi tempi di oscurità e confusione, quando siamo ormai abituati a veder spacciata per filosofia qualunque stranezza, e per profondità speculativa qualunque fumisteria, al punto che molti non riescono più a distinguere la moneta buona dalla falsa e si lasciano irretire da un pensiero debole che è, semplicemente, non pensiero, ossia mancanza di rigore logico e uso delle parole in libertà, affermando tutto e il contrario di tutto, magari con qualche trucco linguistico per far credere al pubblico distratto di aver dimostrato una certa cosa, mentre la dimostrazione è rimasta nella penna e tutto quel che viene servito sul piatto è una contraffazione più o meno ben confezionata dell’autentico pensare filosofico.

Proviamo dunque a seguire questo metodo; e scegliamo, per introdurre il lettore non abituato a leggere san Tommaso direttamente nei suoi testi, la questione se la vita attiva sia da ritenersi superiore alla vita contemplativa, con particolare riguardo alla prospettiva cristiana, ma servendoci anche, come fa lui, del pensiero greco e in particolare di Aristotele. Così, di primo acchito, sembrerebbe che la risposta al quesito debba essere negativa, se non altro perché tutti, o quasi tutti, conoscono il passo del Vangelo di Luca, 10, 38-42, nel quale Gesù stesso afferma la superiorità della contemplazione sull’azione:

 ^38^Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. ^39^Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. ^40^Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». ^41^Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ^42^ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

E tuttavia, da molte parti si sentono voci contrarie, come è tipico della società moderna; anche — e questa è l’infausta novità portata dai "tempi nuovi", quelli del Vaticano II e del post-concilio — da parte dei sacerdoti e dei vescovi, e in genere nel mondo cattolico. Inevitabile esito di una "svolta", che poi è stato un vero e proprio deragliamento, giustificata in none di un improbabile dialogo col mondo, che sempre più si è rivelato e si sta rivelando una resa al mondo e un abbandono dei contenuti e dei valori specifici del cattolicesimo. Non abbiamo forse visto le belle e antiche basiliche trasformate in sale da pranzo dove, col pretesto di dar da mangiare ai poveri, si è voluto desacralizzare il luogo di preghiera per eccellenza, e suggerire che sfamare gli affamati, opera di carità materiale, è cosa ben più nobile e importante che istruire gli ignoranti e ammonire i peccatori, opera di misericordia spirituale? E non abbiamo visto il vescovo di Roma recarsi in visita ad un monasteo di clausura per farlo risuonare delle sue odiose e grossolane barzellette e delle sue risate sgangherate, alle quali si sono unite, ahimè, le risate di quelle pie donne consacrate, travolte da un modo di fare che non c’entra per nulla con la loro vocazione e con lo stile di vita e di preghiera che si addice a quella scelta e a quel luogo? E non abbiamo forse udito – e come avremmo voluto non udirlo! – costui affermare perentoriamente, nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate, sottotitolata Sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, del marzo-aprile 2018 (§§ 26-27), che «non è sano amare il silenzio», laddove il silenzio è, evidentemente, la condizione necessaria per la contemplazione?

26. Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato 2 come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione. 27. Forse che lo Spirito Santo può inviarci a compiere una missione e nello stesso tempo chiederci di fuggire da essa, o che evitiamo di donarci totalmente per preservare la pace interiore? Tuttavia, a volte abbiamo la tentazione di relegare la dedizione pastorale e l’impegno nel mondo a un posto secondario, come se fossero "distrazioni" nel cammino della santificazione e della pace interiore. Si dimentica che «non è che la vita abbia una missione, ma che è missione».

Sono parole e concetti di una gravità eccezionale: mescolando, come sempre, concetti giusti e altri totalmente erronei, o comunque non cattolici, costui riesce a dare l’impressione che insomma, sì, pregare e contemplare le cose divine è bene, ma darsi da fare materialmente per il prossimo è assai meglio; altrimenti, perché dire che non è sano cercare il silenzio? È come deridere o, peggio, psicanalizzare migliaia e migliaia di anime che hanno scelto la dura via della solitudine e del silenzio per poter godere della contemplazione delle cose divine. E poi, in che senso non è sano? Da un punto di vista medico, o psicologico, o che altro? Dal punto di vista spirituale e religioso, è una enormità vera e propria: un insulto agli ordini monastici contemplativi e a tutti i credenti che ritengono la contemplazione come la vera vita dell’anima, la sua vita soprannaturale, quella che la tiene unita a Dio e che quindi, come effetto, le consente di prodigarsi per il prossimo nella maniera giusta. Perché anche le opere di misericordia materiale hanno un senso, per il cristiano, se scaturiscono dalla spiritualità, e quindi dalla contemplazione amorevole di Dio; diversamente, sono la stessa cosa di ciò che predicano da secoli le ideologie atee e materialiste, le quali con l’intento dichiarato di estirpare il male, la povertà e le ingiustizie dal mondo, di fatto hanno dichiarato guerra a Gesù Cristo e perseguitato spietatamente i suoi seguaci, senza peraltro mantenere nemmeno le promesse sul piano politico e sociale.

Andiamo dunque a chiedere lumi a san Tommaso d’Aquino.

Ecco cosa scrive nella Somma Teologica (II-II, q. 182; ed. a cura dei Domenicani italiani, Firenze, Casa Editrice Adriano Salani, 1969, vol. XXII, pp. 238-243):

SEMBRA che la vita attiva sia superiore a quella contemplativa. Infatti:1. Come dice il Filosofo, «ciò che appartiene ai migliori dev’essere migliore». Ma la vita attiva appartiene ai superiori, cioè ai prelati, costituiti in potere e in dignità: cosicché S. Agostino scrive, che «nel campo dell’azione in questa vita non si deve amare la dignità, o il potere». Dunque la vita attiva è superiore a quella contemplativa.

2. Tra gli abiti, come tra gli atti il comando setta sempre a quelli superiori: l’arte militare, p. es., comanda all’arte di fabbricare le briglie. Ora, la vita attiva ha il compito di dare disposizioni e ordini circa la vita contemplativa, come risulta da quanto Dio disse a Mosè: «Scendi, e avverti il popolo che non osi oltrepassare i termini per vedere il Signore». Quindi la vita attiva è superiore a quella contemplativa.

3. Nessuno deve essere distolto da un compito più importante per un compito inferiore; poiché l’Apostolo comanda: «Aspirate ai carismi superiori». Ora, alcuni vengono distolti dallo stato della vita contemplativa e occupati nella vita attiva: p. es., quelli che vengono nominati alle prelature. Dunque la vita attiva è superiore a quella contemplativa.

IN CONTRARIO: Il Signore ha detto: «Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Ora, Maria sta a significare la vita contemplativa. Perciò la vita contemplativa è superiore a quella attiva.

RISPONDO: Niente impedisce che una cosa per se stessa superiore a un’altra, si lasci superiore da essa in qualche cosa. So deve quindi concludere che assolutamente parlando la vita contemplativa è superiore a quella attiva. E il Filosofo lo dimostra con otto ragioni. Primo, perché la vita contemplativa si addice all’uomo per quello che in lui vi è di più eccellente, cioè in forza dell’intelletto, e per gli oggetti propri di esso, cioè per le cose di ordine intellettivo: la vita attiva invece attende alle cose esterne Ecco perché, come nota S. Gregorio, Rachele, figura della vita contemplativa, significa "principio visivo": mentre la vita attiva è stata prefigirata da Lia, che era «di occhi cisposi». – Secondo, perché la vita contemplativa può essere più continua, sebbene non possa esserlo nel grado più alto della contemplazione, per le ragioni già viste. Maria infatti, figura della vita contemplativa, viene presentata assiduamente «seduta ai piedi del Signore». — Terzo, perché il godimento della vita contemplativa è superiore a quello della vita attiva. E S. Agostino afferma che «Marta si turbava, mentre Maria tripudiava». — Quarto, perché nella vita contemplativa uno basta meglio a se stesso, avendo bisogno per essa di poche cose. E nel Vangelo si legge: «Marta, Marta, tu t’inquieti e t’affanni di troppe cose. — Quinto, perché la vita contemplativa è amata di più per se stessa: mentre la vita attiva è ordinata ad altro. Cosicché il Salmista diceva: «Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa io cerco; d’abitare nella casa del Signore tutti i giorni di mia vita, per vedere l’amabilità del Signore». — Sesto, perché la vita contemplativa consiste in un certo riposo, o quiete; come si legge nei Salmi: «Riposatevi, e vedete che io sono Iddio». — Settimo, perché la vita contemplativa si svolge nella sfera del divino: mentre la vita attiva è nella sfera dell’umano. Di qui le parole dio S. Agostino: «In principio era il Verbo: ecco quello che ascoltava Maria. E il Verbo si è fatto carne: ecco a chi Marta ministrava». — Ottavo, perché la vita contemplativa impegna quello che è più peculiare dell’uomo cioè l’intelletto: invece nelle opere della vita attiva sono impegnate anche le facoltà inferiori, comuni a noi e alle bestie. Ecco perché nei Salmi, dopo la frase «Uomini e bestie tu conservi, o Signore», si legge in particolare per gli uomini: «Nella tua luce noi vediamo la luce». — Il Signore poi aggiunge una nona ragione, quando dice: «Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». Parole che S. Agostino così spiega: «Tu non hai scelto una parte cattiva, ma lei ne ha scelto una migliore. Ascolta in che cosa: perché non le sarà tolta. Tu un giorno sarai liberata dal peso della necessità: invece la dolcezza della verità è eterna».

Tuttavia sotto un certo aspetto in certi casi è preferibile la vita attiva, date le necessità della vita presente. Il Filosofo stesso ha scritto che filosofare è meglio che guadagnare, ma per chi è in necessità guadagnare è meglio.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La vita attiva non è il compito unico dei prelati, perché essi sono tenuti a eccellere anche nella vita contemplativa. Di qui le parole di S. Gregorio: «Il superiore sia il primo nell’azione, e più d’ogni altro si applichi alla contemplazione».

2. La vita contemplativa consiste in una certa libertà di spirito. Infatti S. Gregorio insegna che la vita contemplativa «produce una certa libertà spirituale, che non pensa alle cose temporali, ma alle eterne». E Boezio scrive: «Necessariamente le anime umane sono più libere quando sono occupate nella contemplazione dell’intelletto divino: e lo sono meno quando ridiscendono agli esseri corporei». Perciò è evidente che la vita attiva direttamente non comanda la vita contemplativa; ma nel predisporre ad essa comanda certe opere della vita attiva: e in questo, più che comandare, serve alla vita contemplativa. Di qui le parole di S. Gregorio: «La vita attiva è schiavitù, mentre la vita contemplativa è libertà».

3. Talora qualcuno viene distolto dalla contemplazione e applicato alle opere della vita attiva per qualche necessità della vita presente: però non in modo da costringerlo ad abbandonare totalmente la contemplazione. Dice in proposito S. Agostino: «La carità della verità cerca un riposo santo; mentre la necessità della carità accetta le giuste occupazioni» della vita attiva. «Se però nessuno impone codesto peso, si deve attendere alla contemplazione della verità. Se invece viene imposto, bisogna accettarlo per le esigenze della carità. Però anche in questo caso non si deve abbandonare del tutto il godimento della verità: perché quella dolcezza non svanisca, e questo peso non sia reso opprimente». È chiaro quindi che quando uno dalla contemplativa è chiamato alla attiva, non ci deve essere come una sottrazione, ma un’addizione.

Con la sua logica pacata, lineare, chiarificatrice e pacificatrice (perché la mente, come l’anima, brama l’ordine e la chiarezza, e soffre quando è travagliata da pensieri contorti o confusi), Tommaso prende in esame gli argomenti di quanto sostengono la superiorità della vita attiva su quella contemplativa, e mostra che sono fragili, ingannevoli e legati a situazioni particolari, e non rappresentano affatto la regola. Per esempio, è chiaro che la vita attiva è necessaria a una persona che si trova in gravi difficoltà economiche e deve mantenere la propria famiglia; i doveri pratici del lavoro e la necessità del guadagno fanno sì che, in quel caso, la contemplazione debba passare in seconda linea. Tuttavia sarebbe sbagliato trarre la conclusione che in alcune situazioni la dimensione contemplativa possa essere totalmente abolita e soppressa: perché l’uomo, sempre, in qualsiasi circostanza, ha bisogno di dare alla propria anima almeno qualche boccata d’ossigeno: e ciò viene dalla contemplazione, non dall’azione.

Come sempre, la pietra del paragone per giudicare ciò che è buono e ciò che non lo è, o anche ciò che è migliore rispetto a ciò che è meno buono, è il mondo. Bisogna sforzarsi di piacere a Dio: ciò che piace al mondo non è buono, perché il mondo vuole ciò che spiace a Dio, ciò che si ribella a Dio e ciò che pretende di fare a meno di Lui. È di fondamentale importanza capire e introiettare questo concetto: non si può essere del mondo e anche di Dio, perché Dio è un signore geloso, come un amante che vuole l’amato solamente per sé. Gesù Cristo è venuto per riscattare il modo, ma il mondo non lo ha voluto: questa è la grande lezione del Vangelo. Dunque, chi vuol seguire il Vangelo di Gesù Cristo, deve sapere che il mondo lo odierà e lo perseguiterà; e lo odierà perché vivere da cristiani significa vivere in un modo che è noioso, molesto e intollerabile dal punto di vista del mondo. Il cristiano chiama colpe e peccati la maggior parte di quelle cose di cui il modo si gloria e considera conquiste della civiltà. Pertanto non ci sono compromessi possibili; il cristiano deve vivere nel mondo, ma come se non fosse del mondo; e infatti egli non appartiene al mondo, ma vi abita soltanto, mentre appartiene tutto a Dio.

Molto appropriata è poi l’osservazione di sant’Agostino, commentando le parole di Gesù Cristo nel citato episodio del Vangelo di Luca, che quanti cercano le gioie della contemplazione hanno scelto qualcosa che non verrà loro tolto, perché sono di natura eterna; mentre quanti hanno scelto l’impegno radicale e totalizzante nella dimensione attiva hanno scelto qualcosa che un giorno dovranno lasciare, perché tutto ciò che appartiene alla realtà materiale è destinato a terminare, o ad essere lasciato dall’uomo. Un giorno infatti saremo chiamati a lasciare il nostro corpo corruttibile di carne, ma non lasceremo mai la nostra anima immortale: tale è la certezza e la consolazione del cristiano.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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