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13 Marzo 2022La vexata quaestio dei rapporti fra Gesù Cristo e gli esseni è una di quelle questioni che permettono di svolgere una riflessione più ampia sui problemi generali della ricerca storica su Gesù, ossia sulla trattazione di Gesù da un punto di vista storico, antropologico, culturale, magari anche sociologico e psicologico, ma scordandosi che tali discipline, come tutte le categorie e le metodologie umane, vano strette all’Uomo-Dio, quando si pretende di fargliele indossare come se fosse un personaggio della storia fra i tanti.
Dunque: Gesù era esseno? Si era formato nell’ambiente esseno? Aveva dei legami organici con gli esseni? Condivideva la loro prospettiva, la loro spiritualità, i loro valori, la loro impostazione del fatto religioso e la loro concezione di una lotta incessante fra le tenebre e la luce, nonché la loro visione escatologica e apocalittica? Trattandosi di questioni di grande rilevanza e che necessitano di una solida documentazione, non possiamo, ovviamente, esaminarle in maniera adeguata in questa sede; ci limiteremo perciò a procedere per sommi capi. La questione del resto s’intreccia con quella relativa agli "anni perduti" di Gesù, vale a dire la mancanza quasi totale di notizie sulla sua vita tra la prima infanzia e l’inizio della missione pubblica. I Vangeli canonici sono estremamente avari d’informazioni al riguardo: dicono solo che Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,52); che stava sottomesso, cioè era obbediente, rispettoso e amorevole verso i suoi genitori (id. 2,51); e ci narrano il solo episodio della "fuga" fra i dottori del Tempio, che fece stare in ansia Maria e Giuseppe, e si risolse con la criptica affermazione di Gesù stesso: Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? (id., 2,49). Poi nulla, fino al ritorno di Gesù nel deserto come preparazione alla sua vita pubblica, quand’Egli era già trentenne. Ce n’è abbastanza per stuzzicare la curiosità di molti, tanto più che i Vangeli apocrifi, al contrario di quelli canonici, non sono parchi di notizie, ahinoi, le più strampalate, assurde e inverosimili; e non è mancato neppure chi ha ipotizzato dei viaggi e dei soggiorni di formazione religiosa nei luoghi più lontani, come l’India, il Kashmir e il Tibet. Una variante di questa ipotesi che egli sia stato in Oriente non già prima della vita pubblica, ma dopo la "morte" sulla croce, nel senso che non sarebbe morto e la sepoltura sarebbe stata una finzione dei suoi discepoli per metterlo al sicuro da ulteriori persecuzioni dei Suoi implacabili nemici (cfr. i nostri articoli: Gesù è stato in India e nel Tibet? Il manoscritto trovato da Nicholas Notovich nel 1887, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il16/11/08 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 15/01/18; Gesù Cristo dal Golgota al Kashmir nella congettura di Fida M. Hassnain, rispettivamente il 17/11/08 e il 26/01/17; e I Sette Saggi dell’India custodi d’un sapere occulto?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 04/07/21).
Sia come sia, e restando sul terreno solido dei dati certi, osserviamo non solo che manca qualsiasi riscontro sicuro di tali viaggi, ma che perfino nell’ambito strettamene palestinese la figura e la missione di Gesù appaiono ben determinati entro un raggio d’azione alquanto ristretto (s’intende in senso geografico e non spirituale), limitato in sostanza alla Galilea e in particolare alle sponde del lago di Tiberiade, con qualche puntata nella vicina Siro-Fenicia, nel territorio dei Samaritani (per una semplice necessità di passaggio) e a Gerusalemme e dintorni (Betania, Gerico), sede del Tempio e cuore religioso del giudaismo; oltre a una breve presenza sulle rive del Giordano per ricevere il Battesimo, giacché era lì che Giovanni il Battezzatore operava e predicava. In quel caso siamo abbastanza vicini al monastero di Qumrân; per tutto il resto no, perché l’ambiente galileo e la categoria dei pescatori, fra i quali Gesù scelse i suoi primi discepoli, sono lontani sia fisicamente che culturalmente da quello dei deserti meridionali. Quanto alle convergenza fra la predicazione di Gesù e i punti fondamentali dell’ascesi essena, senza dubbio ci sono; ma vi sono anche delle profonde, radicali differenze. Lo stesso concetto di ascesi non rientra fra i temi dell’insegnamento di Gesù, il quale insegnava, sì, a pregare molto e fervidamente, ma senza uscire dal mondo per risolarsi in qualche monastero solitario. L’ascetismo cristiano vero e proprio sarebbe nato secoli dopo Gesù: in Oriente con sant’Antonio del deserto, in Occidente con san Benedetto, checché ne pensasse il teologo Dietrich Bonhoeffer, il quale riteneva che tutta la vita delle prime comunità cristiane fosse improntata all’ascetismo (ma basta leggere le Lettere di San Paolo per avere la prova del contrario). Gesù affermava di essere venuto nel mondo per convertirlo, e per tale motivo non esitava a frequentare anche i peccatori; inoltre parlava con le donne ed era seguito da alcune donne, cose incompatibili con le dottrine essene. Gli esseni inoltre erano vegetariani, mentre di Gesù non possiamo sapere con certezza se mangiasse carne o no (anche la cena pasquale, tradizionalmente a base di agnello, non è un argomento certo, poiché Egli si prendeva la libertà anche di cambiarne la data), mentre è praticamente sicuro che mangiasse il pesce (Gv 21, 9 sgg.). In generale: per gli esseni le regole religiose erano molto importanti, mentre Gesù ha predicato contro il formalismo e il letteralismo e ne ha denunciato l’ipocrisia. Egli insegnava che la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo pela legge, e basterebbe già questo per mostrare la distanza incolmabile che vi è fra Lui e gli esseni.
Ci affidiamo adesso, per la questione dei possibili legami fra Gesù e Qumrân, dunque fra Gesù e il mondo esseno, alla monografia dello studioso di Francesco Gioia (da non confondersi con l’omonimo arcivescovo cattolico) La Comunità di Qumrân. Proposte educative (con introduzione di Alfonso di Nola; Roma, Borla Editore, 1979, pp. 179-182):
Il rapporto tra Gesù e il movimento di Qumrân apparve, al primo momento delle scoperte, sconcertante. La sua persona, la sua predicazione, la sua stessa sorte sembravano ricalcare quella di un modello preesistente. Egli fu visto come un esseno che aveva avuto più fortuna dei suoi predecessori.
Al pari del Battista e degli esseni di Qumrân anche Gesù è un figlio del deserto. Qui egli compie la preparazione alla sua missione, anche se non si può parlare proprio di noviziato, affrontando duri cimento con se steso e con le forze avverse. Come per i membri della comunità essena. L’urto e il contrasto con Satana (o Belial) l’accompagna per tutta la sua vita, fino alla croce. Anche l’azione e la predicazione di Gesù hanno un’impostazione dualistica ed escatologica, come negli scritti di Qumrân.
Il Nuovo Testamento, per quanto non fornisca una documentazione strettamente storica non lascia trapelare nessun contrasto tra Gesù, il Battista e i gruppi esseni,. Gli evangelisti mostrano Gesù e il Precursore alle prese con i Farisei, i Sadducei, gli Erodiani, mai con loro, sego evidente che con essi non vi erano contrasti. I "discepoli del Battista" sono verosimilmente l’anello di congiunzione tra gli uomini di Qumrân e Cristo. Se gli esseni non sono mai biasimati nei Vangeli, la ragione può essere quella che nella mente di Gesù essi si identificano con i "veri israeliti", i poveri d’Israele, più che con i suoi avversari.
La "vicinanza" tra Gesù e gli esseni, oltre che da particolari scelte (celibato, continenza), pratiche religiose (battesimo), comune ostilità con il giudaismo ufficiale, sembra confermata anche dall’adozione di un comune calendario. La celebrazione dell’ultima cena di Gesù lascia problemi ancora insoluti, ma l’ipotesi che egli si sia attenuto al computo esseno della Pasqua, più che a quello farisaici, risolve le difficoltà. In fondo la comitiva di Gesù, con tutta la sua autonomia, opera nel medesimo ambiente del Battista e dei suoi seguaci, ma anche delle comunità essene, soprattutto di Qumrân; per questo risente inevitabilmente del loro influsso.
Lo stesso rito della cena, che Gesù celebra con i suoi, quale "memoriale" della sua passione, non può, forse, comprendersi indipendentemente dal banchetto comunitario esseno. Gli alimenti, l’ordine, il rito si ripetono in modo tropo analogo per non vedervi nessun rapporto. Ulteriori affinità si riscontrano tra l’insegnamento e l’opera di Gesù e quella degli autori esseni. Non si possono passare sotto silenzio i riferimenti invocati tra Gesù e il "Maestro di giustizia", fondatore della scuola di Qumrân. Entrambi sono "profeti", "maestri,"predicatori di penitenza, annunciatori del giudizio di Dio e dell’era escatologica, promotori di un movimento, fondatori e instauratori di una comunità, che per di più rivela un’analoga impostazione, strenui difensori dei diritti di Dio e vittime dell’opposizione delle classi ufficiali giudaiche.
Certamente Gesù è più di un "Maestro di giustizia", nella sua vita, nei suoi atteggiamenti di piena apertura verso tutti, nella sua coscienza messianica, soprattutto nella sua azione salvifica, ma ciò non impedisce di prendere in considerazione i riferimenti segnalati. Il profeta nasce in virtù di una chiamata divina, ma è anche figlio del suo tempo, del suo ambiente e del suo mondo culturale. Forse Gesù si comprende nell’inquadratura storica essena meglio che in qualsiasi altra.
Il "Maestro di giustizia" è la persona più eccezionali tutto il giudaismo contemporaneo a Cristo, ma non esce dal suo mondo e contesto di origine. Se egli avesse conosciuto Gesù, non avrebbe mancato di schierarsi dalla parte dei suoi oppositori. Ciò spiega la differenza che ancora intercorre tra lui e il Messia dei testi del Nuovo Testamento.
Questa ricostruzione ci lascia molto perplessi. Fin dall’inizio l’Autore afferma che Gesù fu visto come un esseno che aveva avuto più fortuna dei suoi predecessori, giungendo alle conclusioni prima ancora d’aver iniziato la disamina. Poi dice che Gesù è un figlio del deserto, al pari del Battista. Abbiamo già detto che questa ci pare un’affermazione temeraria, che non poggia su una base documentaria. Il deserto è la cornice della predicazione del Battista, non di Gesù, che, invece, frequentava città e villaggi, oltretutto non tanto nella Giudea, ma nella "provinciale" Galilea, una terra relativamente fertile e verdeggiante: tutto il contrario dell’ambiente arido e desertico attorno al Mar Morto, dove sorgeva il centro di Qumrân. Gesù frequentava banchetti di nozze, entrava in casa di farisei e pubblicani, si lasciava ungere i piedi e profumare il capo da donne forse di non buona reputazione; i suoi discepoli erano apostrofati spregiativamente dai rabbini come mangioni e beoni, fra l’altro perché non eseguivano le rigorose abluzioni di rito prima di mettersi a tavola, seguendo le parole di Gesù, che la peggiore sporcizia viene da dentro, dal cuore cattivo, e non da fuori. Inoltre, a torto o a ragione, erano accusati di non rispettare il riposo del sabato; e Gesù stesso aveva dichiarato che se a uno cade l’animale domestico nel pozzo il giorno di sabato, nondimeno lo tira fuori lestamente, aggiungendo che il sabato è fatto per l’uomo e non viceversa (Mc 2,27). E come se non bastasse guarì un uomo dalla mano rattrappita, in una sinagoga, nel giorno di sabato, mostrando così di ritenersi padrone anche del sabato: il che, essendo sabato il giorno del Signore, era come dichiarare apertamente di essere Lui stesso una cosa sola con Dio. Insomma, la distanza fra Gesù e gli esseni è incolmabile.
Al di là della questione specifica, che in ultima analisi riguarda gli specialisti, rimane una questione di fondo, che avremmo potuto chiamare in causa anche partendo da un’altra chiave di lettura, ad esempio i rapporti di Gesù coi farisei, cin gli zeloti, con il Sinedrio, con le autorità romane, ecc. E la questione la seguente: se ci si pone di fronte ai problemi che scaturiscono dalla figura e dall’opera di Gesù in una prospettiva rigidamente storica, si finisce per essere risucchiati, per così dire, dalle questioni storiche, filologiche, archeologiche, fino ad attribuire a Gesù dei pensieri e dei sentimenti creati in lui esclusivamente dal suo ambiente e dalla cultura del suo tempo. Certo, tutti gli studiosi seri, e Francesco Gioia non fa eccezione, riconoscono che c’è, in Gesù, qualcosa che eccede la misura delle sue reazioni con le varie componenti culturali e religiose della Palestina del suo tempo; qualcosa che non si lascia spiegare in maniera del tutto soddisfacente con nessuno dei gruppi o dei personaggi o degli insegnamenti che allora caratterizzavano la vita spirituale del popolo ebreo. Lo stesso Maestro di giustizia di Qumrân, per ammissione di Francesco Gioia, resta lontanissimo dalla figura di Gesù, il quale non si pone come un semplice custode della legge, ma come un suo radicale riformatore, dotato della necessaria autorità per farlo: proprio quello che scandalizzò maggiormente i giudei e li spinse a decretarne la condanna.
In pratica, l’approccio storicista alla figura di Gesù vuole che si cerchi un riscontro fra le Sue idee e le idee diffuse nel suo ambiente, partendo dal presupposto che nulla poteva esservi nella Sua mente che non provenisse da fuori, almeno sotto forma di stimolo per un’ulteriore elaborazione. Così infatti procede lo storico. Eppure, non è un po’ eccessiva la pretesa di leggere cosa vi fosse nella mente di Gesù? Perché lo scandalo ineludibile è proprio questo: che Gesù era anche, ma non solo, un uomo…
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