
Una meditazione sul Peccato originale
8 Marzo 2022
La realtà esiste, la verità è
11 Marzo 2022Il fatto è noto. Dopo la morte di Leone XIII, nel 1903, si riunì uno dei conclavi più spinosi della storia recente della Chiesa, sul quale si riflettevano e gravavano tutte le tensioni internazionali fra le grandi potenze e, indirettamente, anche le tensioni sociali e politiche innescate all’interno del mondo cattolico dagli effetti della seconda rivoluzione industriale e dalla nascita delle prime associazioni e le prime leghe sindacali d’ispirazione cristiano-sociale e cristiano-democratica. Il tutto mentre le idee moderniste si diffondevano velocemente e l’ombra della presenza massonica nelle file del clero si stagliava sempre più inquietante.
Il candidato favorito era il segretario di Stato di Leone XIII, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, un aristocratico siciliano la cui elezione avrebbe significato evidentemente la prosecuzione della linea tenuta dal defunto pontefice, il quale univa a uno spirito mistico (sua è la preghiera a san Michele Arcangelo, che volle fosse recitata in ogni chiesa al termine della santa Messa, dopo aver avuto una paurosa visione di Satana scatenato contro il corpo mistico di Cristo) una forte sensibilità per i problemi sociali, culminata nell’enciclica Rerum novarum del 1890, che sin da allora si pone quale fondamento della moderna dottrina sociale della Chiesa. Se non che, per l’ultima volta nella storia, il potere secolare si fece sentire sotto forma di un veto posto alla sua elezione, il 2 agosto, per bocca del cardinale polacco Puzyna, arcivescovo di Cracovia, a nome del suo sovrano, l’imperatore d’Austria e re d’Ungheria, Francesco Giuseppe d’Asburgo. L’Austria, insieme alla Spagna e alla Francia, era una delle tre nazioni che godevano di tale antico privilegio, lo ius excludendi, in virtù dei segnalati servigi resi alla Chiesa cattolica dai rispettivi governi. Dopo il veto, le preferenze dei cardinali si orientarono verso il patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, che appariva meno politicizzato di Rampolla, il quale era noto per le sue simpatie filo-francesi e filo-russe (e da queste ultime nasceva lo scontento della Chiesa polacca), che infine risultò eletto il 4 agosto ed assunse il nome di Pio X.
Gli storici si sono concentrati sulla domanda chi volle porre il veto sulla candidatura del cardinale rampolla, e i nomi chiamati in causa, oltre all’imperatore d’Austria, sono stati quello dello stesso cardinale Puzyna e quello del cardinale tedesco Georg von Kopp, vescovo di Breslavia e presidente della Conferenza dei vescovi di Fulda; ma forse sarebbe più giusto concentrarsi sul perché, in quanto dalla risposta a quest’ultimo interrogativo verrebbero fuori anche i nomi dei registi di quella operazione.
Ragioni di scontento per l’elezione del cardinale Rampolla ce n’erano diverse. La sua politica favorevole a trattare coi governi repubblicani francesi poteva dispiacere ai vescovi d’Oltralpe, i quali si vedevano sempre più pressati dalla politica anticlericale delle forze massoniche che erano andate al potere dopo la caduta dell’impero di Napoleone III. Politica che infatti appena due ani dopo, nel 1905, sarebbe sfociata nella famosa legge di separazione fra Stato e Chiese, preceduta dalla rottura delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede, ad opera del nuovo primo ministro Émile Combes, un ex seminarista divenuto radicale, ateo e massone, il quale a sua volta agiva su un terreno già preparato dal suo predecessore Pierre Waldeck-Rousseau. Tale legge assunse le forme e i toni di una vera e propria persecuzione anticattolica, portò alla chiusura di congregazioni religiose, alla soppressione di conventi e allo sfratto forzato del clero, nonché alla confisca di vaste proprietà della Chiesa, e tolse per sempre l’istruzione dalle mani del clero, gettando le basi per una radicale laicizzazione dell’istruzione pubblica.
Nel 1903 queste cose non si erano ancora verificate, tuttavia erano nel’aria; i cattolici francesi si sentivano sotto attacco e avevano la netta sensazione che i governi della Terza Repubblica volessero fare tabula rasa delle tradizioni cristiane del popolo francese; ma le linee guida dell’azione diplomatica di Rampolla sembravano non tener conto di tali fatti e del conseguente stato d’animo dei cattolici transalpini.
Un’eco del loro malumore nei confronti della Realpolitik del cardinale Rampolla si può cogliere nelle parole pronunciate nel conclave del 1903 dal cardinale François-Désiré Mathieu, arcivescovo metropolita di Tolosa (cit. da Wikipedia):
Vogliamo un papa che sia estraneo a ogni polemica, che abbia trascorso la vita nella cura delle anime, che si occupi minuziosamente del governo della Chiesa e che, soprattutto, sia padre e pastore. Un tale pontefice noi l’abbiamo a disposizione. Ha dato ottima prova di sé nella sua importante diocesi. Unisce una retta capacità di giudizio a una grande austerità di costumi e a una ammirevole bontà che gli ha guadagnato l’animo di tutti dovunque sia passato. Noi voteremo per il patriarca di Venezia.
Un altro elemento negativo in vista di una possibile elezione al papato del cardinale Rampolla era, come si è accennato, la sua politica di avvicinamento della Santa Sede alla Russia imperiale, cosa che apriva spazi di dialogo con la Chiesa ortodossa, ma inevitabilmente allarmava e amareggiava i cattolici polacchi (i quali, all’epoca, vivevano entro i confini di tre Stati diversi: Germania, Austria e Russia; e i meno scontenti erano i sudditi austriaci della Galizia, portati a farsi paladini della causa dei loro connazionali posti sotto la sovranità dello zar). Infine il cardinale Rampolla come segretario di Stato di Leone XII cioè, in pratica, come suo ministro degli Esteri, aveva lasciato trasparire apertamente la propria avversione alla Triplice Alleanza, il che ovviamente non gli aveva attirato le simpatie dei vescovi tedeschi, austro-ungarici e italiani; tanto più che qualcuno vedeva addirittura una sua recondita ostilità all’unificazione italiana e un impossibile sogno di restaurazione del potere temporale della Chiesa.
Scrive il saggista Enzo Di Natali, in un ampio saggio di cui riportiamo solo il passaggio conclusivo (da: Oltre il muro. Rivista quadrimestrale di letteratura e teologia, Agrigento, Anno VI, n. 2, maggio 2008, pp. 30-31):
Come avveniva TRADIZIONALMENTE in prossimità di un conclave, l’ambasciata di Austria-Ungheria presso la Santa Sede anche questa volta predispose per tempo i suoi "Tableaux des Cardinaux" con le indicazioni aggiornate per la corte di Vienna. Le tabelle dell’ambasciata di Palazzo Venezia erano strutturate su tre colonne con le seguenti distinzioni: degni, ammissibili, da escludere. Nel dicembre del 1881, nella colonna da escludere erano scritti i nomi dei seguenti cardinali: Raffaele Monaco La Valletta, decano del Sacro Collegio, Lucio Parocchi, cardinale vicario di Roma, e Mariano Rampolla del Tindaro, segretario di Stato.
Leone XIII muore lunedì 20 luglio 1903, alle ore 16,02. Alle ore 20 il ministero degli esteri austro-ungarico invia al suo ambasciatore presso la Santa Sede Szécsen un telegramma cifrato contenente le istruzioni alle quali attenersi durante il conclave: «Segreto assoluto. Da decifrare: il membro del sacro Collegio contro il quale, EVENTUALMENTE E IN CASO ESTREMO, esercitare l’esclusiva, è il cardinale Rampolla». (…)
Già il "Corriere della sera" nella sua edizione dell’11 luglio 1903 aveva informato i suoi lettori che l’Austria, in concorso con la Germania, era decisa a fare uso del suo potere di veto contro l’elezione del cardinale Rampolla. Ma la storia del Conclave del 1903 ci dice che il veto fu dichiarato dal vescovo di Cracovia Puzyna a nome e per conto dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Infatti, alla morte di Papa Leone XIII, il potente cardinale di Cracovia, il principe Puzyna, prima di recarsi a Roma, si fece ricevere dall’imperatore d’Austria, chiedendo all’imperatore di far valere il suo diritto di veto nei confronti del cardinale Rampolla. L’imperatore per non inimicarsi i cattolici polacchi e, soprattutto, il cardinale Puzyna,acconsentì a quel veto da utilizzare EVENTUALMENTE E IN CASO ESTREMO. Cosa voleva intendere l’imperatore con le parole EVENTUALMENTE E IN CASO ESTREMO? L’lezione certa del segretario di Stato, diversamente non avrebbe avuto senso mortificare il collegio cardinalizio e lo stesso cardinale Rampolla. È comprensibile dedurre che realmente il cardinale siciliano aveva i numeri a suo favore e il veto impedì l’elezione al soglio pontificio. Ormai gli storici sono convinti che ad utilizzare il diritto di veto non fu tanto l’imperatore d’Austria ma il potente cardinale che, strumentalizzando quel diritto, riuscì ad imporre la propria volontà all’imperatore e allo stesso conclave. Detto in altri termini, le sorti del conclave si decisero quando l’arcivescovo di Cracovia si convinse dell’opportunità di recarsi a Roma PASSANDO PER VIENNA tanto che lo stesso Puzyna avrebbe riferito questa significativa frase: «Non è stata l’Austria a usare me, sono stato io ad usare l’Austria». Così avrebbe confidato dopo aver pronunciato l’ultimo veto d’esclusione papale della storia.
Anton de Waal, il biografo di Montel, riporta come molti cardinali abbiano apostrofato l’arcivescovo di Cracovia all’uscita della cappella Sistina con l’espressione: «pudeat te, vergognati», alla quale Puzyna, a testa alta, avrebbe risposto: «honor meus», ne sono fiero.
Si faccia la tara all’ultimo episodio, dal sapore un po’teatrale e letterario, riportato dal prelato tedesco, storico, teologo e archeologo, Anton De Waal (amico fraterno del sacerdote trentino Giovanni Battista de Montel, che svolse incarichi importanti preso la Curia romana), pure il clima di forte tensione che il veto posto da Puzyna determinò nel conclave, non è affatto esagerato. Alcuni partecipanti, come l’arcivescovo di Milano, Andrea Ferrari e il segretario del sacro collegio, Rafael Merry del Val, non riuscirono a nascondere il disgusto per l’umiliazione che quel gesto d’inaudita interferenza infliggeva alla Chiesa. Ed è significativo che il neoletto Pio X si preoccupasse di abolire lo ius exclusivae, restituendo all’istituto del conclave la sua piena autonomia nei confronti del potere secolare.
Da parte sua il vaticanista Giancarlo Zizola così ricostruisce l’increscioso episodio nel suo libro Il Conclave. Storia e segreti. L’elezione papale da San Pietro a Giovanni Paolo II (Roma, Newton & Compton Editori, pp. 172-173):
La candidatura di Mariano Rampolla del Tindaro costituisce il tema dirimente dell’elezione di quel principio del secolo. Essa è sostenuta o avversata in quanto è chiamata a segnare la continuità della linea di Leone XIII. Vienna osteggia l’ex segretario di Stato, che ha sostenuto i cristiano-sociali in Austria e in Ungheria e ha favorito le aspirazioni degli Slavi nei Balcani in fermento. La monarchia teme perciò che l’elezione di Rampolla possa nuocere alla stabilità della duplice monarchia. A Rampolla non ha giovato nemmeno il fallimento della sua politica di riavvicinamento alla Francia, dove l’anticlericalismo si esprime in modo via via più aggressivo. La sua avversione alla Triplice Alleanza inquieta sia i cardinali tedeschi sia quelli, fra gli italiani, che sono favorevoli a ridurre il conflitto con lo Stato liberale per poter fronteggiare insieme l’avanzata del socialismo.
Per i cinque cardinali dell’impero austro-ungarico è difficile trovare un candidato presentabile. Solo l’arcivescovo di Cracovia Jan Puzyna de Kozielsko è al corrente dell’esclusiva, insieme all’intransigente vescovo di Breslavia Georg Kopp. Secondo alcune testimonianze, quest’ultimo sarebbe anzi il regista dell’affare e l’ispiratore delle mosse di Puzyna. Secondo altri, la prima idea dell’esclusiva sarebbe partita dal cardinale cracoviense, che avrebbe persuaso l’amico Kopp a sostenerla con vigore presso un restio imperatore. La ragione dell’iniziativa di Puzyna di sbarrare la strada alla elezione di Rampolla, ricorrendo al braccio secolare, sarebbe da individuare nella politica filorussa dell’ex segretario di Stato, considerata nociva agli interessi polacchi.
Informati da Puzyna dell’esclusiva anti-rampolliana, i cardiali austroungarici si orientano verso la candidatura di Serafino Vannutelli, noto per le sue buone disposizioni verso l’Austria, senza escludere l’appoggio eventuale al conservatore Girolamo Maria Gotti, il carmelitano prefetto della Congregazione di Propaganda Fide, che gode fama di larghe vedute limitatamente alla politica ecclesiastica. Nei giorni prossimi al conclave il cardinale Kopp tenta di concludere un’intesa con Rampolla su un candidato gradito a quest’ultimo, ma l’ex segretario di Stato, già al corrente delle intenzioni di Vienna, preferisce schermirsi. Kopp tenta allora di dissociare da Rampolla i suoi più preziosi alleati, i cardinali francesi e spagnoli, ma non trova fortuna migliore in questa manovra.
In conclusione, parrebbe che la causa del veto posto sull’elezione di Mariano Rampolla del Tindaro risieda nelle linee della sua azione diplomatica dispiegata in qualità di segretario di Stato durante il pontificato di Leone XIII: troppo filo francese e, in subordine, filo-russa (Francia e Russia erano legate da una vera e propria alleanza politico-militare fin dal 1892), e troppo scopertamente anti-triplicista. Eppure, potrebbe esservi anche un’altra questione da tener presente, della quale gli storici hanno parlato poco o nulla, e che traspare appena da qualche sporadico accenno: negli ambienti ecclesiastici bene infornati si sussurrava che il cardinale Rampolla fosse nientemeno che iscritto alla massoneria: cosa che oggi non meraviglierebbe più nessuno, anzi apparirebbe quasi come un "valore aggiunto" in tema di dialogo ed ecumenismo; ma che all’epoca, e giustamente, suscitava ancora scandalo. Per chi voglia approfondire tale questione, suggeriamo la lettura di un ampio e molto equilibrato articolo del Superiore dell’Istituto Mater Boni Consilii, don Francesco Ricossa, pubblicato sul n. 60 della rivista Sodalitium, pp. 5-37, intitolato Il Cardinale Rampolla era massone? (https://www.sodalitium.biz/sodalitium_pdf/60.pdf (articolo ripubblicato poi da Radio Spada: https://www.radiospada.org/2016/01/il-cardinal-rampolla-era-massone/) in cui l’Autore peraltro esprime forti dubbi e riserve circa la tesi ipotizzata nel titolo. Se invece tale fatto fosse vero, è evidente che tutta la vicenda del veto nel conclave del 1903 acquisterebbe un significato diverso e richiederebbe un differente approccio. Basti dire che fu proprio la massoneria del Grande Oriente di Francia a decidere, con lo strumento della Conferenza di Versailles, la distruzione e il totale smembramento dell’Impero austro-ungarico, l’ultima grande monarchia cattolica esistente al mondo. Di ciò ha parlato lo storico ungherese François Fejtö (1909-200) nel suo libro Requiem per un Impero defunto; e noi stesi abbiamo scritto qualcosa al riguardo (vedi i nostri articoli Dietro la fine dell’Austria e le premesse di un’altra guertra mondiale, il cattivo genio di T. Masaryk, e 1919: Come la Massoneria repubblicanizzò l’Europa, pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia rispettivamente il 01/11/17 e il 02/02/2).
Ci proponiamo di ritornare sulla questione dell’affiliazione massonica del cardinale Rampolla. In ogni caso, resta l’interrogativo: se tale affiliazione fosse stata vera, può essere che nel conclave del 1903 si sia verificata la situazione opposta di quello del 2013 — giusto centodieci anni più tardi -, ossia che una forza esterna alla Chiesa sia intervenuta per bloccare l’infiltrazione delle Logge fino al soglio di san Pietro?
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