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8 Marzo 2022La letteratura inglese del fantastico, da Beowulf a Tolkien, passando per Madeville, Malory, Spenser, Swift, Dickens, Macdonald, Le Fanu, Stevenson, Carroll, Kipling, Conan Doyle, Wells, Machen, Blixen, solo per citare i nomi più noti, affonda le radici in un humus straordinariamente ricco, che risale in parte al paganesimo celtico, in pare al cristianesimo dei primi secoli, ricco, a sua volta, di tradizioni e spunti fiabeschi e leggendari, come nel caso di san Brendano o in quello di san Columba (per il quale ultimo c’è perfino un "incontro ravvicinato" con il Mostro di Loch Ness, in anticipo di quasi millecinquecento anni rispetto alla saga moderna della misteriosa creatura lacustre). Ora, la domanda che sorge spontanea è la seguente: quanto del paganesimo primitivo è sopravvissuto nel filone letterario che va da Beowulf ai nostri giorni? E subito dopo, l’altra: come si deve giudicare tale sopravvivenza, che giudizio si può dare di ciò, nella valutazione complessiva della moderna cultura letteraria inglese e, più in generale, nella moderna mentalità di quel popolo?
Il fantastico, si badi, sia pagano che cristiano, non riguarda solo vicende e figure tratte dalla storia locale, come nel caso della Vita di San Columba scritta da sant’Adomnan, in cui si narra come un mostro emerso dalle acque del Ness, nella terra dei Pitti (la Scozia) fu esorcizzato dal famoso monaco di Iona, verso il 565; ma anche della rielaborazione locale di famose tradizioni sorte altrove, come nel caso della lotta di san Giorgio con il drago, che pare si riferisca al martire della Cappadocia e fosse ambientata nella città di "Silene", forse Cirene, nell’Africa settentrionale (cfr. il nostro ampio saggio San Giorgio martire, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia in formato PDF), ma divenuta famosissima nelle isole britanniche, ove il clero e i fedeli se ne "appropriarono" al punto da farne un simbolo delle lotte per l’indipendenza dell’Inghilterra contro le minacce straniere, in particolare quella dell’Invincibile Armata spagnola nel 1588, al tempo della regina Elisabetta, già passata risolutamene nel campo protestante, dopo lo scisma con Roma provocato da suo padre Enrico VIII. L’Inghilterra, e in particolare la città di Londra, adottarono la bandiera di San Giorgio, una croce rossa in campo bianco, fin dal 1190, per le navi in rotta verso il Mediterraneo, quale protezione contro i nemici e in particolare i pirati musulmani barbareschi; emblema poi rimasto per sempre e anzi esteso a tutte le navi britanniche e divenuto una cosa sola con la politica navale dell’Impero.
Il fatto, comunque, è questo: nessuna letteratura europea possiede, come quella inglese, una così forte componente fantastica: e se ancora oggi sono britannici gli autori che dominano il genere fantasy, con tutti i suoi sottogeneri e insieme alle arti contigue, come la pittura e da ultimo la cinematografia, ciò dipende dal fortissimo substrato mitico e favoloso presente nelle sue radici e già esistente prima ancora che la lingua inglese si formasse compiutamente. Anche la letteratura medievale italiana, per fare un confronto, è ricchissima di riferimenti al fantastico, al leggendario e al soprannaturale, sovente mescolati al punto da risultare pressoché indistinguibili (benché siano, in effetti, cose diverse), tanto più che essa, a differenza di quella inglese, attingeva direttamente dal mai dimenticato patrimonio della letterature e delle mitologie classiche, greca e latina; tanto è vero che, per fare un esempio, nella tradizione di San Giorgio in lotta con il drago che stava per divorare la bella principessa, codificata dal vescovo Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea alla fine del XIII secolo, vi è una ripresa evidente di temi mitologici classici, nella fattispecie la lotta di Perseo contro il drago marino per liberare la principessa Andromeda, figlia di Cefeo e Cassiopea, il re e la regina d’Etiopia. E non parliamo degli elementi fantastici presenti nella Divina Commedia, ove Dante profonde la sua fantasia poetica avvalendosi sia di tradizioni medievali, sia del forte bagaglio della letteratura latina, specie le Metamorfosi di Ovidio e la Farsalia di Lucano, rivisitandole con la sua particolare sensibilità per il drammatico e il meraviglioso. E tuttavia, nel corso del tempo, tale elemento è venuto diradandosi nella nostra letteratura, fino quasi a scomparire, tanto che a stento riaffiora in alcuni autori "minori" della seconda metà del XIX secolo, come nelle Leggende del castello nero di Iginio Ugo Tarchetti o nelle fiabe di Luigi Capuana e di Guido Gozzano, e poi nuovamente s’inabissa; per riemergere, come un fiume carsico, però sempre più stentatamente, nella seconda metà del XX, soprattutto come fenomeno d’imitazione della letteratura inglese e di quella statunitense.
Perciò la domanda è: come mai questo diverso destino e un così diseguale sviluppo della letteratura fantastica, in Inghilterra e nei Paesi del continente europeo, specialmente in Italia (altro discorso va fatto per la Germania e in parte per la Russia)? La nostra ipotesi è che nella letteratura inglese il substrato celtico e pagano, essendo più recente rispetto all’avvento del cristianesimo, che trionfò definitivamente nelle isole britanniche solo a partire dal VI e VII secolo (il primo arcivescovo di Canterbury fu sant’Agostino, nato nel 534 e morto nel 604, mentre il primo evangelizzatore della Scozia fu san Columba, vissuto dal 521 al 597), cioè parecchie centinaia d’anni più tardi che nei Paesi mediterranei, si conservò più forte e per alcuni aspetti non scomparve mai del tutto, ma semplicemente trasmigrò, assumendo altre forme, all’interno della nuova cultura e della nuova letteratura cristiana, di fatto dando luogo a originali forme di sincretismo. Anche se la tesi di Margaret Murray, di una sopravvivenza del paganesimo nei secoli moderni sotto forma del culto del dio cornuto, ossia Pan, e della Dea Madre, cioè sotto forma di stregoneria (wicca), nel senso popolare del termine, è a nostro avviso priva di basi realmente persuasive. Più convincenti, invece, sono le tesi di Frances Yates circa la presenza di una forte componente neoplatonica, ma anche medievale e cavalleresca, e precisamente arturiana, nell’ispirazione fantastica di alcune opere di Shaskespeare, specialmente nelle due più "fantastiche" di tutte, l’incantevole A Midsummer Night’s Dream, piena di elfi e di folletti, e la profonda, affascinante The Tempest, incentrata sulla magia e sul prodigio, non senza riferimenti al mondo primitivo e misterioso dell’America appena scoperta (nella figura del selvaggio Calibano), che si può considerare come il testamento spirituale del grande drammaturgo.
In Italia invece il cristianesimo, divenuto la religione ufficiale dell’Impero romano già nel corso del IV secolo, ad esclusione giuridica delle antiche religioni (cfr. il nostro saggio: La battaglia del Frigido e la fine del paganesimo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 30/11/17), e comunque già largamente diffuso fin dal I-II secolo, ha operato una più radicale destrutturazione della cultura pagana, sopravvissuta solo al livello della cultura filosofica e letteraria, ma scomparsa dalle tradizioni popolari, e sia pure in maniera graduale, ben prima che in Inghilterra. Senza contare che in quest’ultima la presenza romana ebbe appena due secoli e mezzo di vita, da Claudio (43 d.C.) ad Onorio (410); e che la presenza romana non fu mai completata con la conquista della Caledonia e dell’Irlanda, mentre perfino nel Galles essa fu limitata e parziale (vedi i nostri articoli: Svetonio Paolino distrugge il "santuario" della resistenza druidica sull’isola di Mona, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 25/02/08 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 20/12/17, e Perché i romani repressero la religione druidica?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/12/17). In altre parole: in Italia il cristianesimo si diffuse molto prima e fece sparire, almeno in superficie, le tracce della cultura e delle tradizioni pagane; in Inghilterra il cristianesimo fu un breve episodio, in sostanza limitato al IV secolo, e stava per scomparire insieme alla declinante presenza romana, tanto che sotto l’urto delle invasioni anglo-sassoni, danesi e norvegesi, l’isola stava tornando alle religioni pre-cristiane, celtiche e germaniche. Di fatto, essa dovette essere evangelizzata una seconda volta da monaci irlandesi, come san Patrizio, a partire dal V secolo. Infatti, paradossalmente, proprio dalle regioni che i romani non avevano mai conquistato, la Scozia e l’Irlanda, partì il movimento di "riconversione" al cristianesimo dell’Inghilterra, dato che mentre la Chiesa britanna in pratica era scomparsa dopo il ritiro delle legioni, in quelle aree periferiche le chiese locali avevano messo radici e si erano notevolmente rafforzate, così da dar vita ad un imponente fenomeno di vocazioni religiose, specie alla vita monastica ed eremitica, tale da riportare il cristianesimo in Britannia e da "esportare" monaci missionari sia nell’Europa ancora pagana, come nel caso della Germania (san Bonifacio morì martire per mano dei selvaggi Frisoni nel 754), sia verso i mari e le terre inesplorate dell’estremo Occidente, come nel caso del viaggio semi-leggendario, ma forse storicamente reale, dell’abate irlandese san Brandano (o Brendano) verso l’Ultima Thule, narrato nel famoso manoscritto anonimo del X secolo, vera epopea mistico-avventurosa che affascinò generazioni di lettori medievali, ricco com’è di elementi meravigliosi e favolosi, compresa l’isola sulla quale i buoni monaci si accampano ignari, per poi scoprire d’improvviso che era il dorso di una balena addormentata.
Scrive l’anglista Carlo Pagetti nel saggio Il drago e l’ombra che fa presentazione al volume da lui curato La lotta col drago. L’universo fantastico inglese da Beowulf a Tolkien, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990, pp. XXXIV-XXXVI):
Il fantastico inglese affonda le sue radici nelle esperienze letterarie nordiche e germaniche, e poi nelle leggende cristiane, che sovrapponendosi a un tenace substrato portano già, durante il periodo anglosassone, a una forma di sincretismo culturale. La lotta contro il mostro Grendel e poi contro il drago custode del tesoro da parte di Beowulf, eroe dell’omonimo poema dell’VIII secolo, risuona dell’ineluttabilità grandiosa delle saghe scandinave, ma esprime anche umani sentimenti di pietà e di dolore. Le forze ctonie, acquistando dimensione diabolica nello scenario dell’eterno conflitto tra il Bene e il Male, producono la figura terrificante del drago, che informa di sé la letteratura medievale europea. Nei canti dell’"Edda" il drago Fafnir custodisce l’oro di cui si impadronisce Sigfrido, e un terribile drago dovrà sconfiggere anche il Sigfrido del poema del poema epico tedesco per eccellenza, il "Nibelungenlied" (inizio del XIII secolo), che ispirerà, molti secoli dopo, la musica di Wagner. (…)
Nella cultura inglese la leggenda di San Giorgio e il drago, derivata dalla storia biblica dell’arcangelo Michele e di Lucifero, assurge a epos nazionale e trova la sua espressione letteraria più alta nella "Regina delle fate" (1589-1594) di Edmund Spenser. Nella selva oscura in cui il Cavaliere della Rossa Croce si inoltra all’inizio del poema si nasconde Errore, metà serpente e metà bellissima creatura femminile, dotato di un aculeo velenoso, che avvolge l’eroe nelle sue spire vomitandogli addosso rospi e libri assieme. Errore è, infatti, una raffigurazione allegorica della chiesa di Roma e delle sue dottrine menzognere. Solo dopo aver ucciso quel "corpo bestiale" il Cavaliere potrà proseguire la sua missione e guidare la fanciulla Una (la chiesa riformata) alla riconquista del reame paterno, usurpato da un drago grande come un’immensa montagna rocciosa… Alla fine del Cinquecento, la flotta spagnola dell’Invincibile Armata disposta a semicerchio viene ancora raffigurata come un drago rosso trafitto dalle navi inglesi. Maschere e teste di drago erano utilizzate nei travestimenti durante le feste della corte inglese, come nei "ludi domini regis" di Edoardo III, tenuti per il Natale del 1347. E ancora al drago spagnolo si allude nell’intrattenimento organizzato nel 1591 presso il palazzo del conte di Hertford, dove l’"Orazione di Nereo", dio del mare, indirizzata alla "bella Cinzia" (la regina Elisabetta), menziona un «brutto mostro che striscia dal Sud per rovinare i benedetti campi di Albione» trasformato dai raggi di Cinzia in un’innocua, seppur ripugnante, lumaca. Nel mondo umano di Shakespeare il drago appare ormai ridotto a metafora della collera e della violenza. Come un drago si raffigura il furibondo re Lear di fronte agli inaspettati silenzi di Cordelia, e la devastante ferocia del drago (ma anche, paradossalmente, la furia di san Giorgio) invoca prima della battaglia decisiva il deforme Riccardo III, mostruoso come un drago.
Nel Medioevo inglese la figura del drago, seppure sempre preminente, si confonde in un bestiario muti orme, dove il meraviglioso e il favoloso si mescolano liberamente nelle rielaborazioni della Sacra Scrittura e delle storie dei santi: «La storia di san Brendano è modellata sui viaggi fantastici: isole meravigliose, uccelli che cantano prima e compieta, balene, il paradiso degli uccelli, la terra oscura e puteolente, l’inferno nell’estremo nord, Giuda Iscariota, Paolo l’Eremita, la Terra Promessa» (P. Boitani, "La narrativa del Medioevo inglese", 1980). E Mandeville, riferendo dei suoi viaggi in Asia mai effettivamente compiuti, descrive i corsi d’acqua che sgorgano dal paradiso Terrestre.
Il fantastico medievale inglese è per lo più eroico e "solare, aperto all’immaginazione allegorica e iconografica di una cultura che esprime una sua continuità storica fin dentro il Rinascimento e che si esalta nel poema della "Regina delle fate" e nel viaggio "vero" dentro la Terra Fatata. Esso si riconosce anche nella leggenda di re Artù, dei cavalieri della Tavola Rotonda, della ricerca del Santo Graal, rielaborata nei grandi cicli epici, al cui interno tutte le manifestazioni del prodigioso possono essere esibite e combinate. I miti arturiani costituiscono la struttura portante della "Regina delle fate" e hanno un ruolo importante, come ha mostrato Frances Yates, anche nelle ultime opere di Shakespeare. Proprio Shakespeare, in alcuni momenti — come durante la riflessione di Mercuzio nel "Romeo e Giulietta" sulla regina Mab "levatrice delle fate" — e soprattutto nei "romances" — dal "Sogno di una notte di mezza estate" alla "Tempesta" — recuperando livelli occultati della letteratura popolare, pone al centro del suo universo drammatico l’esistenza di una dimensione onirica, di creature sovrannaturali che operano accanto ali esseri umani, di mondi arcadici, dove i miti della classicità cari al Rinascimento si collegano alle nuove forme di immaginazione scatenate dall’esplorazione dell’America.La tradizione epico-fantastica non muore: secondo C. S. Lewis continua nel "Paradiso Perduto" di Milton e si afferma poi nell’Ottocento con la narrativa allegorica e fiabeschi di George Macdonald, con le storie e i poemi di ambientazione medievale di William Morris. A questa tradizione guardavamo indubbiamente gli Inklings, il gruppo di intellettuali dell’Università di Oxford attivi dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del nostro secolo, e interessati a elaborare una narrativa fantastica "popolare", adatta ai tempi moderni, tra i cui risultati più importanti annoveriamo i romanzi planetari e il ciclo di Narnia di C. S. Lewis, lo "Hobbit" e la trilogia del "Signore degli anelli"di J. R. R. Tolkien.
La domanda che adesso ci poniamo è quanto dell’elemento pre-cristiano, celtico e pagano, sia sopravvissuto, trasmigrando all’interno della cultura medievale e assumendo una veste cristiana, e pertanto in che misura il retaggio del paganesimo abbia inciso nella cultura dei secoli cristiani e sia sopravvissuto, sempre in forme velate e magari inconsapevoli, fino ai nostri giorni. E poiché ai nostri giorni la presa della concezione e delle pratiche della vita cristiana è scesa ai minimi termini, in tutto il mondo occidentale ma specialmente in Gran Bretagna e nel Nord Europa, si può dire che se tale elemento pre-cristiano si è significativamente conservato e trasmesso nel corso del tempo, oggi esso ha l’occasione storica di dare la mano al neopaganesimo, fenomeno recente, sorto nel XVIII secolo e oggi pervenuto all’apice della sua parabola. Ne fanno fede, per esempio, i raduni annuali dei seguaci del druidismo presso il sito di Stonehenge, presso Amesbury, in occasione dei solstizi; e più in generale la rinascita della religione druidica che, combattuta dai romani e sradicata, in apparenza, dopo la definitiva cristianizzazione dell’isola, è oggi in piena fase espansiva, nel quadro delle "nuove religioni" sorte o risorte in polemica esplicita o implicita con il cristianesimo, variamente arricchendosi di elementi massonici, cabalistici, teosofici e antroposofici. E la risposta alla domanda di cui sopra non può che essere affermativa: sì, il paganesimo precristiano, il druidismo, è tornato ad affiorare e permea di sé la cultura moderna, tanto che la letteratura fantastica dei nostri giorni se ne può considerare una delle manifestazioni più tipiche, anche se è impossibile separare da essa la componente cristiana medievale. Tale commistione non risale ai nostri giorni, ma è molto più antica e radicata. Nel caso di Stonehenge, ad esempio, il sito è associato al ciclo arturiano, perché la leggenda vuole che il mago Merlino volle trasportarlo, servendosi di Giganti che portarono le pietre dall’Africa, dal luogo ove sorgeva originariamente, sul Monte Killaraus in Irlanda, a quello ove attualmente si trova; e che sia Uther Pendragon, il padre di re Artù, sia Costantino III, che (secondo Goffredo di Monmouth) fu l’erede e successore di questi, furono seppelliti all’interno del cerchio.
Resta da vedere che giudizio dare del fenomeno. Lo scrittore C. S. Lewis, l’autore delle Lettere di Berlicche e delle Cronache di Narnia, pensava che la mitologia, sia greco-romana che celtica e germanica, è stata il veicolo che ha aiutato gli uomini ad accogliere la Rivelazione cristiana, poiché ha acceso e conservato la tensione ideale verso un altrove, un assoluto, che l’ha preservata dal materialismo grossolano. Aveva ragione? A ciascuno la risposta, secondo il proprio punto di vista. È certo però che aprire una finestra sull’assoluto non significa di per sé aprire quella giusta, né favorire la scoperta del vero: certe finestre paiono aprirsi sull’assoluto e invece si aprono sull’Inferno.
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