
Nell’atto di fede l’elemento umano si unisce al divino
1 Marzo 2022
La verità esiste, è accessibile, è irrinunciabile
2 Marzo 2022Uno degli effetti della Grande Menzogna relativa alla cosiddetta pandemia è il dilagare di sindromi psicopatologiche talmente diffuse da delinearsi ormai come la nuova normalità, e sviluppatesi così velocemente da far pensare che fossero già presenti, allo stato latente, in molti milioni di persone, e poi "esplose" per aver trovato l’occasione idonea a farle emergere in piena luce. In alte parole, quello che sta accadendo negli ultimi due anni è talmente pazzesco, irreale, inverosimile, che sovverte dalle fondamenta il concetto stesso di ciò che deve ritenersi normale, e non solo presso la gente comune, ma anche fra gli esperti, in questo caso medici, psicologi e psichiatri: i quali vedono, sì, il fenomeno, ma non ne riconoscono l’origine e pertanto non sanno come spiegare la sua rapidissima diffusione. Un po’ come la crescita esponenziale dei casi di bambini autistici è stata registrata, com’era logico, dalla nostra scienza ufficiale, la quale però si è guardata bene dal metterla in relazione con l’aumento delle vaccinazioni imposte nell’età infantile, e soprattutto con le nuove modalità di fabbricazione di tali prodotti, radicalmente diverse da quelle in uso fino ad alcuni decenni or sono.
Un caso da manuale di personalità anamcastica, ossia fobica, quello di una madre di famiglia quasi cinquantenne che era stata ricoverata in clinica per malattie nervose ben quattro volte, per periodi di vari mesi, è riportato nello studio di Lucio Bini e Tullio Bazzi, Le psiconevrosi, e lo citiamo a semplice titolo d’esempio (Roma, Abruzzini Editore, 1949, pp. 175-176):
Sin da giovane fu per temperamento proclive allo scrupolo ed al dubbio. A 12 anni cominciò a pensare di essere bruttissima, di avere un fianco più basso dell’altro, di avere il naso ulcerato da un tumore; le parve altresì che per la strada tutti la guardassero in modo particolare e che parlassero alle sue spalle. Gradatamente però tale sintomatologia si attenuò sino a scomparire. Ebbe in seguito molte "fissazioni" di variabile contenuto, che l’hanno spesso ostacolata nella sua attività; tuttavia si sposò sui 25 anni.
Poco dopo si dimostrò gelosa per il marito, in modo tale da divenire per lei una "fissazione". Lo accusava di continuo specialmente di guardare un’altra donna, pur essendo certa dell’inesistenza dell’adulterio. Dopo circa un anno anche questa nuova "fissazione" scomparve.
Contrasse infezione luetica dal marito; quando ne venne a conoscenza divenne eccessivamente scrupolosa nella cura della propria persona. Disinfettava tutti gli oggetti con alcool prima di prenderli in mano. La notte si alzava dal letto per lavarsi con varecchina od alcol. Di giorno invece non si lava perché, a suo dire, una goccia d’acqua poteva cadere in terra ed essere causa di infezioni per i bambini. A questi vietò severamente di toccarla. Pretese che il marito, prima di mettersi a letto, si lavasse completamente con alcool e, prima del coito, praticava su di lui le più intime abluzioni con alcool uro, noncurante del dolore procurato così al coniuge. Non accudì più ai lavori domestici, per tema di lasciar traccia della propria malattia sugli oggetti toccati. Cadutole un bambino dalla finestra del primo piano, essa, che aveva assistito alla scena, non lo soccorse dubito, ma prima si lavò e disinfettò accuratissimamente le mani. Gradatamente estese le pratiche igieniche non solo per "paura" di estendere la propria malattia, ma altresì nell’idea che altri potessero contagiarla. Vendette ad es. i vestiti e la biancheria che aveva indosso perché era stata poco prima visitata da un medico. Sebbene religiosa non andò più in Chiesa, e vietò questo ai bambini per paura che sedendosi o inginocchiandosi si potessero sporcare. Aborriva la vista di preti, perché a duo dire erano sempre dietro ai morti. Il giorno commemorativo dei defunti si chiuse in casa, serrando porte e finestre, «perché tutta l’aria del paese sapeva di cimitero». Teneva i bimbi senza cibo quando temeva che altrimenti non fossero disinfettati.
Col peggiorare della malattia, la p. diveniva man mano più esigente nei riguardi dei familiari, che costringeva a pratiche esagerate e moleste di pulizia, sì che, per la prima volta il marito la fece ricoverare in questa Clinica.
Durante i numerosi ricoveri la p. è sempre apparsa lucida, perfettamente orientata, di umore indifferente. Si tiene in disparte ma non è estranea alla vita della corsia, anzi ha stretto amicizia con le infermiere che la considerano ormai di casa. Al mattino è sempre la prima a levarsi dal letto ed a praticare minuziose, ma non esagerate, pulizie personali. A questo proposito la p. riferisce che in ospedale non teme di infettarsi anche perché i suoi bambini sono al riparo e che se dovrà essere dimessa, prima di recarsi a casa, si laverà ben bene. Infatti, dopo uno dei suoi precedenti ricoveri, pretese dal marito abiti di bucato portati da fuori, da indossare prima di recarsi nuovamente in casa.
Spontaneamente non accenna ai disturbi sopra accennati, bensì normalmente ed abitualmente chiede e si raccomanda in tono lamentoso di essere curata; accusa così il marito di essere la causa di tutte le sue sventure con l’averla contagiata di lue. Subito dopo lo compiange e lo definisce un infelice costretto ad esaudire tutti i suoi capricci. Riguardo alle idee di esagerata pulizia dichiara semplicemente che sono "fissazioni più forti di lei" ed alle quali non può più sottrarsi. Critica perfettamente l’assurdità del suo comportamento. È cosciente che la sifilide di cui è stata affetta, se anche fosse ancora in atto, non sarebbe contagiosa; e che i pericoli di infettarsi di atre malattie, rappresentano solo "idee sciocche" che non può scacciare. Tuttavia solo le sue scrupolose malattie le permettono di diminuire l’insorgenza ripetuta e la tenacità delle sue idee.
Sono impressionanti le analogie fra la sindrome ossessiva di questa signora, che ha reso la vita un inferno sulla terra a se stessa e ai suoi familiari, e milioni di persone che, terrorizzate dalla falsa pandemia, sono state colpite da simili forme di ossessione e da non meno deliranti manie di pulizia, di continue abluzioni e disinfezioni, nonché di distanziamento da tutti, anche dai propri cari, nella propria stessa casa. Più di ogni altra cosa, però, è impressionante l’analogia riguardo alla sociopatia che s’innesca in questo tipi di soggetti. La signora in questione perde parecchi minuti preziosi a lavarsi le mani con la massima cura, prima di correr fuori di casa a vedere se il bambino precipitato dalla finestra sia vivo o morto, e se abbia bisogno d’essere soccorso. Dalla relazione non si capisce bene se si tratti di suo figlio; ma se anche così non fosse, è impressionante il fatto che una donna, una madre, possa assistere a una simile tragedia e avere poi la freddezza di trattenersi a lungo per lavarsi prima di andare a vedere se può essere d’aiuto al piccino caduto da una finestra. Allo stesso modo, ci sono oggi dei nonni e dei genitori che sembrano anteporre le assurde norme di "sicurezza" diffuse e imposte dal governo, all’istinto più ovvio e naturale di soccorrere una persona bisognosa, e di non indugiare in situazioni nelle quali un ritardo di pochi minuti può rappresentare la differenza fra la vita e la morte.
Un’impressionante analogia si riscontra anche nell’ambito della religione, o piuttosto del culto. La signora descritta sopra smise bruscamente di frequentare la chiesa allorché si convinse che sedersi o inginocchiarsi sui banchi da preghiera poteva rappresentare un pericolo d’infezione; e non solo smise di andarvi lei, ma proibì di farlo anche ai suoi figli. La prima cosa che viene da pensare, di fronte ad un tale comportamento, è che la fede di quella signora doveva essere una ben misera cosa, o per meglio dire, doveva trattarsi di una fede puramente esteriore, priva di ogni sostanza d’intima convinzione: perché solo così si riesce ad immaginare che una persona, cristiana praticante, cessi da un giorno all’altro di recarsi in chiesa e di partecipare ai riti, si allontani senza alcun rimpianto dai Sacramenti e da ogni altra pratica religiosa, solo per soddisfare uno scrupolo di sicurezza igienico-sanitaria, peraltro assurdamente esagerato e del tutto privo, checché ne dicano i fautori di simili norme e comportamenti, di una qualsiasi base scientifica. Allo stesso modo, è bastato che i poteri globalisti lanciassero l’allarme di una terribile pandemia (con una mortalità che si è attestata attorno allo zero virgola cinque per cento!), e già il clero, ancor prima di ricevere alcuna richiesta da parte dello Stato, si affrettava a chiudere le chiese, a lasciare i fedeli senza Sacramenti, e a negare perfino la celebrazione pubblica delle festività più sacre dell’intero anno liturgico. Il tutto facendo sparire in un batter d’occhi l’acqua santa dalle pile e sostituendola con il disinfettante, imponendo ai fedeli l’uso della mascherina e la pratica del distanziamento, e cogliendo il preteso per rifiutarsi di deporre l’Ostia sulla lingua dei fedeli, ma dandola loro in mano, per obbligo e senza discussioni, pena l’espulsione di quanti protestassero. E ancora: disponendo un apposito personale interno per sorvegliare l’ingresso nelle chiese, per vigilare affinché i fedeli si siedano ben lontani l’uno dall’altro, e perché perfino sull’ambone, al momento di leggere i brani dell’Antico e del Nuovo Testamento, essi portino diligentemente la mascherina sul viso, nascondendo le proprie fattezze e respirando la propria anidride carbonica, sempre in nome d’una salvezza solamente terrena, medica e (pseudo) scientifica, che non tiene in alcun contro la dimensione spirituale e ignora totalmente quella soprannaturale, come se solo dal rispetto di tali norme possa venire un senso di sicurezza e non già dalla preghiera e dall’affidamento a Dio, tutte cose improvvisamente passate in terza fila, come fronzoli folcloristici e inutili sopravvivenze di un tempo passato per sempre. Di più: dal (sedicente) papa, ai cardinali, ai vescovi, ai sacerdoti, è stata una gara nel proclamare il dovere cristiano di vaccinarsi, la manifestazione dell’amore cristiano di vaccinarsi, pur sapendo benissimo che non di un vaccino si tratta, ma di un siero genico sperimentale non privo di rischi, e del tutto sconsigliato ai bambini e ai ragazzi, i quali non corrono il minimio rischio anche nel caso che contraggano il virus.
Che cosa pensare di tutto questo, se non che i cattolici, e il clero ancor più dei fedeli laici, avevano già da tempo perso la sostanza della loro fede, e la cosa non appariva in piena evidenza solo perché non si erano ancora presentate le condizioni adatte? E appena tali conduzioni si sono presentate, la finzione è miseramente caduta e tutto ciò che rimasto è una cristianità imbelle, spaventata, materialista, ipocondriaca, che a tutto pensa quando si reca in chiesa, per partecipare alla santa Messa, tranne che alla potenza di Dio e alla capacità di Gesù Cristo di proteggere le pecorelle del suo gregge, mentre ogni possibilità di salvezza e di guarigione si trova unicamente nelle mani dei medici. Quegli stessi medici, peraltro, che fin dall’inizio della cosiddetta emergenza sanitaria hanno brillato, a loro volta, per la pavidità e per la pedissequa applicazione dei protocolli sanitari, sbagliati e criminali, imposti dal ministero, rifiutandosi di vistare i propri pazienti ammalati in casa, formulando diagnosi e prescrivendo medicine per via telefonica, e ricevendo i propri assistiti in ambulatorio solo a fatica, bardati come astronauti coi guanti di plastica, le soprascarpe di cellophane e perfino uno schermo di plexiglas sul viso; o che, negli ospedali, hanno avuto il coraggio di isolare i malati gravi come lebbrosi, di proibire le visite dei parenti e di spedire i cadaveri al forno crematorio, di propria iniziativa, senza effettuare alcuna autopsia e impedendo la celebrazione di funerali cristiani. Il tutto, di nuovo, con la colpevole, indegna complicità del clero, il quale, a sua volta, è stato sovente così vile e così indegno da negare l’estrema unzione ai moribondi ed esequie decenti ai poveri morti.
È noto che un numero considerevole di personalità pericolose e asociali emergono nel corso delle guerre, perché in guerra si opera un totale rovesciamento della psicologia del tempo di pace, e ciò che in quest’ultimo è normale o viene lodato, in guerra diventa una pericolosa leggerezza, una colpevole incoscienza o peggio, una forma di tradimento e di più o meno esplicita intelligenza col nemico. In particolare, in guerra, al fronte e nei campi di prigionia, emergono e si affermano le personalità sadiche: grigi funzionari e impiegatucci insignificanti diventano soldati spietati, incursori specializzati nello sgozzamento silenzioso delle sentinelle nemiche, o carcerieri implacabili, privi di ogni senso di umanità e di pietà; e, quel che è peggio, essi ricevono premi e decorazioni proprio in ragione di tali comportamenti. Ebbene, il clima di terrore sanitario che stiamo vivendo, e che l’equivalente di una vera e propria guerra psicologica che le popolazioni inermi stanno vivendo, mentre tutte le armi sono nelle mani dell’aggressore, televisioni e giornali in primis, sta facendo emergere la personalità ossessiva, talvolta con risvolti sadici: in ogni caso una personalità squilibrata, dominata da un bisogno compulsivo di pulizia e d’igiene, che adesso celebra il suo amaro trionfo, poiché, invece di essere costretta a curarsi per quella che è una patologia vera e propria, e anche abbastanza grave, può prendersi invece la soddisfazione d’imporre a tutti le proprie fissazioni irragionevoli e di estendere ovunque le proprie paure deliranti. Un autentico capolavoro del male.
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