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1 Febbraio 2022La Sacra Scrittura, per un credente, è Parola di Dio: e ciò vale tanto per il Nuovo Testamento quanto per l’Antico. Nondimeno c’imbattiamo, specialmente in quest’ultimo, in alcune pagine difficili da comprendere, perché sembrano in contrasto con ciò che crediamo di avere appreso dalla dottrina cattolica. Una di tali pagine difficili è quella contenuta nel Primo libro dei Re, ove si narra di come Acab, re d’Israele, avendo deciso di muovere guerra contro Ramot degli Aramei, chiese prima il responso dei suoi profeti, i quali gli predissero una scura vittoria. Indi, spinto dal suo alleato Giosafat, re di Giuda, chiamò anche il profeta Michea, che pur detestava, il quale gli predisse a sua volta un facile successo; ma che poi, davanti alle insistenze del re affinché dicesse tutta la verità, gli predisse un disastro. E per meglio chiarire il senso della sua predizione, fece al re questo discorso (1 Re, 22, 19-23):
19 Michea disse: «Per questo, ascolta la parola del Signore. Io ho visto il Signore seduto sul trono; tutto l’esercito del cielo gli stava intorno, a destra e a sinistra. 20 Il Signore ha domandato: Chi ingannerà Acab perché muova contro Ramot di Gàlaad e vi perisca? Chi ha risposto in un modo e chi in un altro. 21 Si è fatto avanti uno spirito che – postosi davanti al Signore – ha detto: Lo ingannerò io. Il Signore gli ha domandato: Come? 22 Ha risposto: Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti. Quegli ha detto: Lo ingannerai senz’altro; ci riuscirai; va’ e fa’ così. 23 Ecco, dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti; ma il Signore a tuo riguardo preannunzia una sciagura».
Al che Sedecia, uno dei profeti che erano nelle grazie di Acab, si avvicinò e lo percosse sul viso, accusandolo di aver parlato come un falso profeta; e il re, da parte sua, ordinò che Michea fosse arrestato e gettato in prigione fino al suo ritorno. Michea, però, lo ammonì con queste terribili parole (id,28): Se tornerai in pace, il Signore non ha parlato per mio mezzo. E infatti, sebbene Acab abbia preso la precauzione di entrare in battaglia travestito, per diminuire le probabilità di essere riconosciuto e preso di mira dai nemici, viene ugualmente ferito a morte da una freccia che lo coglie nello spazio fra le maglie dell’armatura, e spira la sera stessa, dopo che il suo cocchio è uscito dalla mischia nel vano tentativo di portarlo in salvo.
Ora, questo episodio dell’Antico Testamento è duro da digerire, perché ci presenta il Signore Iddio seduto in trono e circondato dai suoi consiglieri, evidentemente gli Spiriti angelici, ai quali esprime la sua decisione di fare in modo che Acab muova guerra agli Aramei e vi trovi la morte; e chiede ai presenti chi sappia ingannare il re in modo che questi non si renda conto di andare incontro alla propria rovina. Nel consiglio del Signore vi è anche — sgraditissima sorpresa — uno spirito che buono non può essere di certo, ma con ogni evidenza deve essere il demonio in persona, il quale offre a Dio il suggerimento che viene prontamente accettato: quello di parlare lui stesso per bocca dei profeti del re, facendogli credere che sconfiggerà senz’altro i nemici e tornerà vittorioso. Servendosi di questa allegoria, Michea accusa in modo niente affatto velato i profeti che hanno parlato prima di lui di essersi fatti strumenti di menzogna diabolica; e ciò spiega la rabbia e la pronta reazione di Sedecia, quello che si era fatto fare due corna di ferro, in apparenza senza rendersi conto che quel simbolo era satanico (oppure lo sapeva e per questo odiava in modo particolare Michea, vero uomo di Dio?). Quanto a noi, restiamo sconcertati e quasi scandalizzati all’idea di un consiglio divino al quale sia presente il diavolo, e nel quale il parere del diavolo sia ascoltato ed accolto da Dio, a preferenza dei consigli degli Spiriti buoni. Questo è insopportabile! Dio ascolterebbe dunque i consigli del diavolo e respingerebbe quelli degli Angeli e degli Arcangeli?
Si direbbe una cosa impossibile, perché, se così fosse, a noi pare che la Verità e la Giustizia divine ne uscirebbero letteralmente capovolte. E tuttavia non è affatto così; e se i cattolici avessero una maggiore familiarità con la lettura delle Sacre Scritture (pur sena cadere nel becero letteralismo dei protestanti) si accorgerebbero che una situazione molto simile è addirittura al centro di uno dei libri più famosi e più densi di dottrina teologica di tutto l’Antico Testamento: il Libro di Giobbe. Satana in persona si presenta a Dio, mescolandosi aglio Spiriti buoni, e gli chiede il permesso di colpire Giobbe, il più giusto degli uomini, con ogni sorta di disgrazia, per mettere alla prova la sua fede; e Dio acconsente, imponendogli solo di non farlo morire, ma, per il resto, senza opporsi a che nulla gli venga risparmiato (Giob 1,6-12):
6 Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. 7 Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa». 8 Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male». 9 Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? 10 Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. 11 Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!». 12 Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore.
Comunque, a commento e chiarificazione della pagina terribilmente difficile, almeno in apparenza, del Primo Libri dei Re, invochiamo lumi da chi ce li può dare: l’autorevole predicatore e scrittore gesuita Antonio Vieira, nato a Lisbona nel 1608 e morto a Salvador de Bahia nel 1697, per molti anni missionario nel Brasile del XVII secolo, quando i portoghesi sventarono il pericoloso tentativo degli olandesi di estrometterli, come già erano riusciti a fare nelle Indie orientali (da: Antonio Vieira, Prediche agli uomini di governo; titolo originale: Obras completas de padre Antonio Vieira: Sermões, Tomo XV; traduzione dal portoghese di Maria Rambaud, Milano, Rusconi Editore, 1984, pp. 31-34):
Udite ora e stupite. Il demonio aveva appena terminato di parlare, che Dio approvò in pieno il suo pensiero, e non solo gli affidò l’impresa, ma assicurò tutti che sarebbe stata un vero successo: «Decipies et praevalebis: egredere et fac ita».
Io mi sto facendo ancora il segno della croce, dopo aver letto una cosa simile. Chi potrebbe credere una cosa simile, se non l’affermasse Michea, come testimonio oculare? È mai possibile che Dio ammetta il demonio nel suo consiglio sacrati sismo e segretissimo? E non solo che lo ammetta e lo ascolti, ma che possa anche approvare il suo voto, che possa trovare che lui solo ha ragione, tralasciando il parere di tanti angeli e somme creature del cielo?
Sì, è possibile, perché la prudenza e l’obbligo del Signore Supremo non è quello non è quello di accettare i consigli dei migliori, ma il migliore dei consigli; non è seguire i ragionamenti dei grandi, ma i grandi ragionamenti; non è sommare i voti, ma pesarli. E dato che in questo caso il demonio aveva dato un voto migliore di quello degli angeli, Dio non approvò il parere degli angeli, bensì quello del demonio. Gli angeli, essendo angeli, votarono in modi diversi, secondo quanto dice il Testo; ma il demonio, il demonio! notate con che finezza votò.
La finezza di un voto consiste nell’osservare due proporzioni: proporzione fra mezzo e fine, e proporzione fra strumento e mezzo. E il demonio osservò perfettamente queste due proporzioni. Proporzionò il mezzo al fine, perché il fine del voto era quello di ingannare Acab; e per ingannare Acab non c’era mezzo migliore che fargli mentire da tutti i consiglieri. Proporzionò anche lo strumento con il mezzo, perché per ottenere che tutti i consiglieri mentissero, non c’era strumento più sottile e appropriato dello stesso spirito di menzogna, insediato nelle loro lingue.
Essendo dunque il voto del demonio così adatto alla proposta, così adatto a quel fine, tanti proporzionati nei mezzi, perché Dio non avrebbe dovuto approvarlo? E perché non avrebbe dovuto anteporlo al voto di tutte le altre gerarchie?
Aver riguardo di chi votò, significa apprezzare gli elettori, ma non significa che i loro voti siano i più giusti. Nella scelta dei consigli non si deve tener conto dell’autorità della persona (per questo Dio non condivise l’opinione dei Troni), né della nobiltà della persona (per questo Dio non condivise l’opinione dei Principati), non si deve tener conto dei titoli (per questo Duo non condivise l’opinione delle Dominazioni), né del potere (per questo Dio non condivise l’opinione delle Potestà), né dell’amore (per questo Dio non condivise l’opinione dei Serafini), né della Scienza (per questo Dio non condivise l’opinione dei Cherubini), né della santità (per questo Dio non condivise l’opinione delle Virtù). Insomma non ci si deve lasciare influenzare da nessuna qualità, sia pur essa angelica e più che angelica (per questo Dio non condivise l’opinione degli Angeli e degli Arcangeli).
Se dunque non si deve guardare il consiglio dal lato della venerazione, qual è l’elemento per giudicarlo? Sono i valori intrinseci al Consiglio stesso, e niente altro. Anche se la persona che ha dato il consiglio è la più spregevole delle creature, qual era il demonio; anche se è la più lontana dalla grazia del principe, come era il demonio, se il consiglio che essa dà è il migliore, lo si deve preferire.
Ma devo ancora dire la cosa più importante. Dio approvò il voto del demonio e non quello degli angeli, perché il demonio consigliò meglio. E va bene. Ma perché fu proprio il demonio a votare meglio di tutti gli angeli? Forse perché ha più sapienza di loro? No. Forse perché ha una maggior sottigliezza d’intendimento? No. Forse perché ama Dio più degli altri e compie il suo ufficio con più zelo? No. Forse perché più degli altri desidera fargli piacere, e fare e prevedere la sua volontà? No. Ma allora perché in questo Consiglio vota meglio il diavolo di tutti gli angeli messi insieme?
Perché la proposta e la matteria del Consiglio richiesto da Dio era pane per i suoi detti e non per i denti degli angeli. La proposta e la materia del Consiglio era ingannare Acab e farlo precipitare. "Quis decipiet Acab, ut cadat?" E siccome la professione del demonio è proprio quella di ingannare e far precipitare gli uomini, per questa ragione votò meglio e più oculatamente di tutti. Se la proposta fosse stata di conservare Acab, di giudicarlo, di fargli battere la retta via, perché si difendesse e si liberasse dai pericoli di quella guerra, allora avrebbe infallibilmente prevalso il voto degli angeli, perché questa è la loro professione: conservare, guidare, tener sul retto cammino, liberare e difendere gli uomini.
È difficile, leggendo questa pagina, sottrarsi a un senso di disagio non tanto perciò ciò che dice padre Vieira, ma per lo spirito che ad essa è sotteso: spirito di gesuitismo intrigante, che non solo si compiace di sguazzare tutto il giorno nelle faccende della politica più che in quelle dello spirito, ma che non esita a far sua la logica machiavellica del fine che giustifica i mezzi; senza contare una certa qual sottile strumentalizzazione della stessa Scrittura, poiché egli parla sì di un episodio della Bibbia, ma lo fa con lo sguardo costantemente rivolto ai governanti della colonia brasiliana, e quindi tutto ciò che dice riguardo al Consiglio tenutosi al cospetto di Dio, e al quale prese parte anche il principe di questo mondo, è di fatto rivolto agli uomini di governo del suo ambiente e più che alla salvezza delle anime mira alla sicurezza e alla potenza dello Stato. E tuttavia, fatta questa premessa, è innegabile che la sostanza del ragionamento di padre Vieira è ineccepibile e che la sua interpretazione di questa pagina scabrosa dell’Antico Testamento è, teologicamente parlando, la più giusta e condivisibile.
Inutile aggiungere che Dio, rigorosamente parlando, non ha bisogno dei consigli di alcuno, neppure degli Angeli, che sono pur sempre delle sue creature. Si tratta, quindi, di concetti figurati e abbelliti dalle forme letterarie proprie dell’ambiente e del tempo in cui fu scritto il Primo libro dei Re. Tuttavia la sostanza è quella: si tratta comunque di un testo divinamente ispirato, e che pertanto va letto con la massima serietà. Dio può servirsi anche del male, quando si tratta di perdere qualcuno che si è già perduto perché ha scelto irrevocabilmente il male: Acab, in questo caso, l’empio re d’Israele, le cui mani si erano anche macchiate del sangue innocente di Nabot, al quale aveva rubato la vigna. Il concetto, in fondo, è semplice, e già lo conoscevano i Romani: Quos vult Iupiter perdere dementat prius, Giove fa impazzire quelli che vuol perdere. Nessuno scandalo, perciò. E quelli che si scandalizzano, e hanno perfino preteso di cambiare le parole del Padre nostro perché turbati, poverini, dall’espressione: e non indurci in tentazione, rivelano da se stessi la perfida intenzione che li muove: cambiare il senso profondo della Rivelazione per adattarlo alle necessità, ai voleri e alle pretese di un’umanità sempre più presuntuosa e indocile, che non ha timor di Dio e detesta che il male sia chiamato male, e peccato il peccato.
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)