
I migliori non si piegano perché hanno una parola sola
28 Gennaio 2022
Ancora sulla Rosa-Croce: il caso di Paul Sédir
30 Gennaio 2022Una frase che si sente spesso ripetere, quando si parla della crisi del nostro tempo, è che ci vorrebbe un ritorno delle persone alla spiritualità; che bisogna combattere il materialismo con la spiritualità; che la spiritualità è il mezzo con il quale possiamo ritrovare noi stessi e riportare un po’ di ordine e armonia nella nostra travagliata società. Insomma, si parla della spiritualità come di una cosa univoca, buona in se stessa e soprattutto auto-evidente: la persona spirituale si distinguerebbe dalla persona materialista per un orientamento complessivo dei suoi pensieri, dei suoi atti e della sua vita che si riconosce di primo acchito e che la differenzia da tutti gli altri, immersi nella grossolanità e nell’egoismo cieco del sistema di vita consumista. Confessiamo di essere stati anche noi, in passato, di questa opinione; se non che un esame più accurato del concetto di spiritualità ci rivelerà facilmente che si tratta di false premesse e perciò di un ragionamento erroneo – fatta salva la buona fede di molti -, essendo viziato alla radice.
A ben riflettere, non esiste una spiritualità in generale, una spiritualità astratta. La spiritualità è sempre legata a una certa fede; perciò ogni tipo di fede ha una sua spiritualità. Ma le fedi, se si ammette che la verità e una, non possono essere tutte vere e tutte buone: al contrario, sono tutte false e ingannevoli, tranne una: perché una appunto è la verità. Dunque non esiste una spiritualità per così dire neutra: essa esprime sempre un preciso orientamento della mente e dell’anima, e se l’orientamento è sbagliato, per quanto bene intenzionato (ma l’inferno, si sa, è lastricato di ottime intenzioni), quella particolare spiritualità, invece di elevare l’anima e avvicinarla a Dio, la illude di elevarsi, mentre la sta solo prendendo in giro, e al tempo stesso l’allontana da Dio. Dal vero Dio, beninteso, che è uno ed uno solo; mentre i falsi dèi si avvicinano e con essi le loro tenebrose influenze, giacché gli altri "déi" non sono tali, ma sono per forza degli spiriti maligni. Se ci fossero più dei, ci sarebbero più verità: il che, come abbiamo visto, non è possibile, perché è una contraddizione sul piano della logica.
Oltre a questa considerazione di carattere generale, ce n’è una’altra da fare, sul piano storico. L’Europa possiede una ricchissima tradizione di spiritualità: quella cristiana, che va dai Padri del deserto a San Francesco d’Assisi e da Santa Teresa d’Avila a Santa Teresina di Lisieux. Nondimeno si direbbe che i moderni cultori di spiritualità abbiano in disdegno questo gigantesco filone, alle cui sorgenti sarebbe facile abbeverarsi, e sentano l’impellente necessità di rispolverare o magari inventarsi delle forme di spiritualità alternativa, che vanno dalle dottrine orientali alla teosofia e all’antroposofia, fino ai più disparati movimenti New Age e ai più improbabili guru, indiani e nostrani che siano. Insomma si direbbe che la società moderna avverta i limiti e il disagio del materialismo e del relativismo, e senta la necessità di aggrapparsi a delle parole di vita eterna; ma non sopporta l’idea di seguire le orme dei padri e approfittare dell’enorme bagaglio di spiritualità che il cristianesimo ha accumulato e diffuso nel corso dei secoli, perché è proprio da esso che si vuole evadere, e sbandierare, senza di esso e quasi contro di esso, altre spiritualità, come a voler dimostrare che si può benissimo essere persone spirituali e tuttavia indifferenti o anche ostili alla tradizione cristiana e cattolica. È sempre il solito, vecchio odio di se stessi, la malattia di cui l’Europa soffre da almeno tre secoli: l’erba dei vicini è in ogni caso migliore della propria, anzi, è proprio l’erba di casa che non va bene, anche se ha nutrito magnificamente decine di generazioni di europei, tanto di elevata estrazione culturale, quanto persone semplici e poco istruite o addirittura illetterate.
In tale contesto, i movimenti, le sette, le società segrete e le associazioni esoteriche costituiscono da molti anni una meta quanto mai ambita per i ricercatori di una spiritualità qualsiasi, purché non cattolico o anticattolica. Dalla massoneria al marinismo e dalla Golden Down alle svariate forme di gnosi, di occultismo, di alchimia e di Sentieri della mano destra e della Mano sinistra, c’è solo l’imbarazzo della scelta, specie da quando H. P. Blavatsky ha familiarizzato il pubblico occidentale con la reincarnazione, le razze antiche, i maestri occulti, il sapere segreto di Shamballa e di Agarthi, e chi più ne ha, più ne metta. Un posto ragguardevole è stato occupato, in questo affollatissimo panorama esoterico, dall’ordine segreto della Rosa Croce, il quale sin da quando si affacciò, all’inizio del XVII secolo, sullo scenario di un’Europa lacerata da mille tensioni economiche, sociali, politiche e religiose, oltre che intellettuali, non ha smesso di incuriosire, affascinare, intrigare e sollevare speculazioni di tutti i generi, mantenendo vivo l’interesse del pubblico su un fenomeno per molti aspetti misterioso ed elusivo. Tanto per cominciare, chi erano i Rosa Croce? Ed esistevano davvero, poi, anche se tanti autori pretendevano di conoscerli e non esitavano a prendere la penna per unirsi al coro dei loro ammiratori o, talvolta dei loro detrattori? Infatti, la cosa strana è che, da quando, nel 1614 — siamo alla vigilia della Guerra dei Trent’anni, e la Germania è spaccata a metà fra cattolici e luterani — è apparso, a Kassel, un scritto intitolato Fama fraternitatis Rosae Crucis, contenente la biografia del misterioso Cristiano Rosacroce (Christian Rosenkreuz), vissuto quasi due secoli prima (fra il 1378 e il 1464), e il cui corpo sarebbe stato riesumato incorrotto, nessuno li ha mai visti, nessuno li ha mai documentati, e lo stesso vale per il leggendario fondatore dell’ordine, sebbene sulla sua figura girassero libri dalla dubbia paternità e dall’ancor più dubbia attendibilità storica, a cominciare da Le nozze chimiche di Christian Rosenkreuz, generalmente attribuito al teologo Johann Valentin Andreae.
Scrive dunque, lo storico Paul Arnold (1909-1992), studioso di esoterismo e uno dei massimi esperti mondiali della massoneria e altre società segrete, in un paragrafo riassuntivo del suo libro di oltre 300 pagine Storia dei Rosa-Croce, premiata dall’Académie Française e la cui edizione italiana è stata presentata da Umberto Eco, grande ammiratore ed elogiatore della massoneria (titolo originale: Histoire des Rose-Croix et les origines de la franc-maçonnerie (Paris, Mercure de France, 1955; traduzione dal francese di Giuseppina Bonerba, Milano, Gruppo Editoriale Fabbri, 1989, pp. 171-173):
Ecco dunque il mistero completamente chiarito. La Confraternita è UN MITO fantastico, UNA ALLEGORIA biblica come lo è il suo palazzo: palazzo celeste dove, secondo lo Zohar, il grande libro della Cabala ebraica, "l’iniziato" assisterà al matrimonio della Fidanzata e di Dio, cioè riceverà l’estrema illuminazione e conoscerà l’unione mistica con Dio. È lo stesso palazzo descritto da Ruysbroeck, che prefigura il paragone di Fludd con l’arca dell’alleanza simbolo, anche per lui, della via mistica e del pellegrinaggio dell’anima verso Dio. È anche lo stesso palazzo che san Giovanni della Croce descrive quasi nello stesso modo, citando nella sua ascesa verso l’estasi (Monte Carmel) le parole delle Sacre Scritture: «Se tu osservi i miei comandamenti come il mio servo David io sarò con te come sono stato con lui e ti costruirò una casa come ho fatto con il mio servo David». Infine vedremo fra poco che fu in questo stesso palazzo Christian Rosencreutz partecipò al "matrimonio del Re" ("Nozze chimiche").
Così per gli autori e i difensori dei manifesti la Confraternita non è una realtà ma una finzione, un simbolo solenne, una sorta di allegoria seducente. Ora comprendiamo perché sembravano passarsi parola nel chiamare i loro scritti burle o divertimenti, perché sono tutti manifestamente poco seri nelle loro descrizioni mitiche della Confraternita, della vita dei Fratelli, della procedura di affiliazione; perché nessuno di loro ha mai incontrato dei Fratelli; perché essi stessi non lo erano; perché gli avversari della dottrina continuavano a sfidare la Confraternita a manifestarsi, e i Fratelli a restare sul vago; perché, a detta di Andreae, si possono trovare solo falsi Fratelli che insieme formano una nuova torre di Babele. Possiamo capire perché tutte le testimonianze ci parlino sempre e solo di una società fittizia, perché è necessario lo spirito inventivo di un Kiesewetter per fornirci una minima parvenza di prova della sua reale esistenza. Comprendiamo infine per quale motivo, alla domanda se sia un Fratello Rosacroce, Tarnovius risponde:
«In verità io non l’ho meritato, poiché questa benedizione dipende dalla grazia di Dio».
All’inizio non esisteva alcuna Confraternita Rosa-Croce. C’era solo un’allegoria e una dottrina della salvezza spirituale proposte sotto la forma di un "ludibrium" «che perseguiva un fine serio e ispirava l’amore per il cristianesimo». È infatti grazie a questo gioco divertente che si spera di veder sorgere l’aurora spirituale di cui parla la "Confessio" e che Fludd [Robert Fludd, 1574-1637, medico, alchimista e astrologo inglese] descrive dettagliatamente:
«Così vedemmo un bagliore aurorale e il primo riflesso purpureo mattutino delle delizie paradisiache, e abbiamo anche intravisto e dischiuso l’accesso alla divina biblioteca che contiene i libri e i misteri di Dio e racchiude tutti i tesori che la terra possiede e che desidera. Dobbiamo ora parlare della chiave senza la quale non può essere trovato né forzato l’accesso a queste gioie paradisiache, a questo santuario e a questo scrigno di divini ornamenti, a questa Biblioteca in cui celata ogni vera scienza, a questa Arca che custodisce tante ricchezze e tesori. Infatti senza questa chiave non possiamo giungere nel luogo di delizie in cui contempliamo lo spirito della Sapienza con tutti i suoi doni, ricchezze e qualità, nella sua bellezza, nella sua potenza e nella sua natura divina. E questa chiave è il Cristo, vera chiave di David, che apre a tutti e non esclude nessuno o che esclude tutti e non apre a nessuno».
È questa dottrina della salvezza, così riassunta da Fludd in un gergo che non è affatto massone come si è creduto, ma è tratto dai mistici (…).
Molto chiaro, come si vede, il giudizio di questo studioso, non sospettabile di particolari simpatie cattoliche (è stato il fondatore nel 1975, dell’Unione Buddhista Europea): per gli autori e i difensori dei manifesti la Confraternita non è una realtà ma una finzione, un simbolo solenne, una sorta di allegoria seducente. Ora comprendiamo perché sembravano passarsi parola nel chiamare i loro scritti burle o divertimenti, perché sono tutti manifestamente poco seri nelle loro descrizioni mitiche della Confraternita, della vita dei Fratelli, della procedura di affiliazione. "Poco seri": altro che profondi pensatori ed ineffabili ermetici. La verità è che tutta la faccenda è nata, se non proprio come uno scherzo, come una deliberata mistificazione e una gigantesca montatura: qualcuno voleva provocare una tempesta in un bicchier d’acqua e c’è perfettamente riuscito, perché dal 1614 si sono sprecati gli studiosi, più o meno seri, che hanno voluto prendere sul serio, schierandosi pro o contro, questa cosa poco seria, e il risultato è stato di dare al sedicente ordine dei Rosa Croce una visibilità, un’importanza, un’autorevolezza cultuale e spirituale provenienti sostanzialmente dalle polemiche e non da fatti positivi o da studi originali e meritevoli di ammirazione sul piano speculativo. Inoltre, nel XVIII e XIX secolo una quantità di gruppi e gruppuscoli più o meno imparentati con la massoneria fecero a gara per rivendicare la loro discendenza dai mitici capostipiti Rosacroce: era un’operazione che conferiva prestigio e non costava nulla, dal momento che l’ordine era sempre stato così segreto che nessuno si è mai scomodato a confutare la veridicità di qualsiasi dichiarazione di appartenenza e dunque neppure per far notare quanto vi fosse di sospetto, di equivoco, di dubbio nel volersi attribuire delle patenti di nobiltà ermetica dicendosi nipoti o pronipoti di una società che quasi certamente non è mai esistita, e della quale chiunque ha potuto affermare o negare la propria adesione, senza timore di ricevere smentita alcuna. Insomma una situazione al limite del comico e del grottesco, che non a caso è piaciuta a Umbero Eco, il quale di tali mistificazioni e contraffazioni era, sul piano letterario, un vero e proprio esperto, come si vede ne Il pendolo di Foucault. Tanto è vero che nella presentazione all’opera di Paul Arnold non si è peritato di affermare (op. cit., pp.7-8):
Sovente un’organizzazione che vuole sottolineare il proprio rapporto ideale con una tradizione precedente sceglie come propri emblemi quelli della tradizione a cui si rifà (…). Queste scelte sono prova evidente degli intenti del gruppo, ma non di una filiazione diretta — voglio dire una trasmissione ininterrotta, nel corso della storia, di progetti e funzioni organizzative. Però in certi casi i rapporti fra intenti e filiazione diretta sono assai confusi. Ed è quello che è accaduto con la massoneria detta occultista e templare dei secoli XVIII e XIX.
Ad ogni modo, una sola cosa traspare con chiarezza dai testi dei sedicenti Rosa Croce: che sono filo protestanti e anticattolici. E tanto basta per capire quale profondo impulso dovette muovere le intenzioni e la penna degli anonimi autori: attaccare la verità in nome di cento, mille piccole verità…
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