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28 Gennaio 2022Che il mondo moderno ponga un problema di compatibilità con il cristianesimo è cosa evidente, e sia il mondo sia i cristiani l’hanno sempre saputo. Il modo moderno nasce, gradualmente, fra il XIV e il XVIII secolo, dopo di che si afferma pienamente e impone la propria cultura e la propria visione del mondo alla stragrande maggioranza della gente. Il cristianesimo ha duemila anni e quindi è già vecchio di oltre un millennio quando compaiono i primi indizi della modernità; inoltre la sua concezione e la sua morale, tutti i suoi principi dottrinali sono, direttamente o indirettamente, l’obiettivo da combattere per la cultura moderna. Quest’ultima nasce, dapprima insensibilmente, poi in modo sempre più conscio e intenzionale, come una reazione anticristiana e anticattolica: il protestantesimo, infatti, è sicuramente compatibile con essa, perché rivendica un’a indipendenza del singolo individuo che invece il cattolicesimo limita in nome del principio di autorità. Essere moderni significa credere che l’uomo, e solo l’uomo, è padrone di se stesso, ha il diritto di fare le scelte che ritiene più giuste e indirizzare la propria vita verso questo o quel fine, o anche nessuno, cioè di viverla senza scopo, secondo il suo insindacabile giudizio. Invece essere cristiani significa riconoscere che Dio è il Signore dell’universo, è il padrone di tutto e la sorgente di tutto; e che anche la vita dell’uomo, per conseguenza, viene da Dio e ritorna a Dio, e acquista un significato se si abbandona alla Sua volontà, mentre perde significato se si lascia guidare dagli istinti e dagli appetiti disordinati. Il mondo moderno non è una civiltà originale, ma una contro-civiltà, che nasce, intenzionalmente o meno, in opposizione alla civiltà cristiana del Medioevo. Pertanto i suoi valori, le sue credenze, la sua filosofia, sono essenzialmente anticristiani, e riprendono, capovolgendole, le verità del cristianesimo. Esso ha una sua dottrina, o meglio ha le sue dottrine (perché il relativismo, e quindi la pluralità del vero, è il suo primo comandamento); ha i suoi riti e la sua liturgia; ha il suo vangelo e perfino la sua apocalisse, ovviamente in chiave immanentista, provocata dall’eccessiva pressione antropologica sul pianeta Terra. Pertanto ha anche la sua soluzione al problema dell’apocalisse: ridurre forzatamente, a ritmo accelerato, la popolazione umana eccedente, favorirne in ogni modo il decremento, con l’aborto, la sterilizzazione volontaria, la contraccezione, l’eutanasia, la pratica omosessuale; promuovere e favorire tutto ciò che è contrario alla vita, perché l’esistenza dell’uomo si è rivelata il grande problema da eliminare, e bisogna farlo subito, prima che sopraggiunga la catastrofe.
Il fatto che molti seguaci della cultura moderna e moltissimi cattolici non si rendano affatto contro di tale assoluta incompatibilità di fondo non sposta i termini della questione. In campo cattolico, l’inconsapevolezza e l’ignoranza non hanno scusanti: la Chiesa ha sempre insegnato quali sono i pericoli dai quali l’anima si deve guardare, e la società moderna è un vero e proprio concentrato di essi: dalla superbia intellettuale alla lussuria, dall’avidità all’egoismo e dal materialismo al principio della libertà soggettiva, cardine del liberalismo, del quale il marxismo è il legittimo erede più che l’antagonista storico: quelli che per il mondo moderno sono meriti e qualità, per la visione cristiana sono errori o peccati. Anche la massoneria è stata condannata per tempo dalla Chiesa: emersa in superficie a Londra nel 1717, dopo una lunga e tenebrosa esistenza sotterranea, è stata condannata da Clemente XII nel 1738, meno di vent’anni dopo. Ma né sul materialismo, né sul liberalismo, né sul marxismo, né sulla massoneria, né sulla morale sessuale, il Magistero della Chiesa è stato ascoltato; anzi in diversi casi è stato pubblicamente contraddetto e sbeffeggiato da teologi insegnanti nelle pontificie accademie e da singoli vescovi e sacerdoti, beninteso a partire dal Concilio Vaticano II. Prima, no: l’energica azione difensiva di san Pio X, in particolare, colpendo duramente il modernismo, ha colpito nello stesso tempo tutte queste tendenze che serpeggiavano fra il clero e alcuni fedeli progressisti e "illuminati", come Fogazzaro, che era innamorato per metà di Darwin e per metà di Cristo; proprio come due generazioni dopo sarebbero venuti i Pasolini, innamorati per metà di Cristo e per metà di Marx. Quel Pasolini che oggi piace tanto al signor Bergoglio, così come gli piace tutto ciò che è contrario al vero cattolicesimo e che offusca, infanga e confonde l’autentico insegnamento della Chiesa. Eppure, per moltissimo tempo, il clero ha fatto il proprio dovere, e i teologi hanno fatto il loro. Hanno avvisato e messo in guardia i fedeli. Fino a quando? Fino agli anni tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, in maniera compatta; poi, per un altro mezzo secolo, in maniera meno ferma e decisa, ma pur sempre valida. Il crollo, quasi subitaneo, è avvenuto nel 1958: a partire da quella data la Chiesa ha smesso di fare il suo mestiere: consigliare i dubbiosi, istruire gli ignoranti, ammonire i peccatori. A partire da quella data c’è stato un graduale capovolgimento: era il mondo che aveva tante cose da insegnare ai fedeli, a cominciare dal concetto di fratellanza, non più su basi soprannaturali, ma umane: dunque non più la fratellanza in Cristo, ma quella massonica dei fratelli di loggia,
Ed ora, un esempio. Passando in rassegna la stampa cattolica di fine Ottocento nelle Marche, lo storico Raffaele Molinelli mette a fuoco una problematica di portata assai più ampia, che riguarda la possibilità e la natura generale dei rapporti fra la Chiesa e i cattolici da un lato, e la società moderna con le sue istituzioni e i suoi (dis)valori dall’altro. Citiamo, a titolo di esempio, ciò che egli scrive a proposito di come i cattolici vedevano il liberalismo, la massoneria e il giudaismo in quegli anni, quando abbastanza recente la "ferita" di Porta Pia, da un lato, e dall’altro la ferma condanna della civiltà moderna contenuta nel Sillabo di Pio IX (da: R. Molinelli, Il movimento cattolico nelle Marche, Firenze, la Nuova Italia, 1959, e Urbino, Argalia Editore, 1990, pp. 99-102):
Liberalismo, massoneria e giudaismo avevano un denominatore comune: l’anticlericalismo.
Questo era la fonte di tutti i mali che affliggevano la società, era la causa della corruzione dell’intera vita nazionale. «La botte dà il vino che contiene ed un albero cattivo non può dare buoni frutti», diceva un giornale cattolico marchigiano nel 1900 proposito del processo Notarbartolo; ed anche alla mafia, che non poteva germogliare e fiorire se non nella generale corruzione, che aveva inquinato ogni ramo della vita politica, si trovava così, con una curiosa ricognizione di paternità, un degno genitore: l’anticlericalismo.
La polemica antirisorgimentale, antiliberale, antimassonica, la stessa posizione di lotta e di rottura nei confronti del nuovo stato unitario italiano derivavano da una polemica e da un’opposizione ben più ampia, da una visione del mondo e della vita che rifiutava in blocco i valori della società moderna e che nel "Sillabo aveva trovato la sua codificazione.
Questa società nuova, che aveva divinizzato l’uomo, strappato l’individuo, la famiglia, lo Stato ai benefici infusi della fede, si trovava ora avvolta dalle tenebre, senza una guida sicura per avanzare e senza forze proprie per reggersi in piedi. La religione, questo pilastro della società umana, era stata investita in pieno, nelle sue strutture e nelle sue credenze fondamentali, dal pensiero moderno; non si trattava più, come era avvenuto nel passato, nell’età di mezzo, di una lotta contro certi aspetti della vita religiosa, ma di una lotta totalitaria portata al cuore, all’essenza della religiosità, senza esclusione di colpi e senza limitazione di obiettivi: «Non sono più le antiche sette che si slanciano contro l’uno o l’altro dogma isolato del credo cristiano, ma è la negazione completa ed assoluta d’ogni verità rivelata. Il criterio razionalistico non s’attacca più ai rami dell’albero; esso lo colpisce al tronco e alla radice proclamando arditamente la negazione assoluta di tutto l’ordine soprannaturale» («La voce delle Marche», 8 maggio e 15 maggio 1892).
La società moderna in nome della scienza vuole eliminare la rivelazione e la fede, ma che cosa è mai questa scienza autonoma, questo sapere umano che fa a meno di Dio, se non il simbolo più evidente di una umanità che corre verso l’abisso del peccato e del suo disfacimento?
Quest’umanità presuntuosa e orgogliosa ha concepito la sua organizzazione politica come libera da qualsiasi investitura divina, autonoma e indipendente da qualsiasi altro potere, e così ha distrutto ogni fondamento dell’autorità e di ogni convivenza ordinata e civile.
Queste sono le funeste conseguenze dello stato moderno, che non vuole Dio nelle sue manifestazioni pubbliche; che lo scaccia dalle sue leggi; di quello Stato cioè che «non vuole superiori» («La voce delle Marche» del 2 giugno 1895).
Sul fondamento della sovranità popolare questo stato ha istituito il sistema rappresentativo, che non permette una responsabile direzione politica e che frena con la sua lunga procedura qualsiasi attività, che dovrebbe essere snella e spedita.
Lo stato modero, poi, col suo sistema accentrato ha abolito le autonomie locali e ha così provocato uno stato di abbandono della vita pubblica periferica la paralisi di forze tanto preziose per la società; tutte le energie e le migliori attitudini sono state sacrificate a «quel mostro che si chiama Stato».
In questa polemica contro lo Stato accentratore i cattolici rivelavano pure le loro preoccupazioni per la difesa delle molte zone arroccate del mondo cattolico nella provincia italiana.
Lo stato moderno inoltre — essi dicevano – ha osato ingerirsi anche in quei fatti della vita civile che più sono intimamente connessi alla sfera della vita spirituale e religiosa: ha respinto Dio dalle scuole, l’ha rifiutato alle sue famiglie, facendo del matrimonio un "contratto meramente naturale".
Lo Stato moderno con il suo liberalismo parla tutto il santo giorno di libertà, ma sua mira principale è quella di impadronirsi dell’anima di ogni cittadino; non si accontenta di esigere il sangue e gli averi, è l’anima che vuole; per soffocare ogni principio, non solo di religione, ma di dissonanza dalle sue idee ufficiali, ha bisogno di asservire le menti e i cuori.
Anche se questo studioso fatica a trattenere una certa insofferenza per il tono della stampa cattolica di quegli anni, a chi rifletta su quelle parole e mediti si quei concetti oggi, a un secolo di distanza, non può non apparire evidente che i cattolici, denunciando l’incompatibilità fra il Vangelo e la civiltà moderna, e soprattutto denunciando le mire assolutistiche di uno Stato liberale che dice di voler difendere la libertà di tutti, ma in realtà mira ad estromettere Dio e a piegare i cittadini alla sua tirannide, erano infinitamente più lucidi e consapevoli di quanto non lo fossero i progressisti, e anche di quanto non lo siano tuttora. Oggi infatti possiamo vedere, in maniera drammatica, dove conduce la pretesa dello Stato di occuparsi di tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, con il pretesto di assicurare a ciascuno l’istruzione, le cure mediche, eccetera: alla creazione di una società concentrazionaria dove è bene quel che dice lo Stato, e male ciò che esso rifiuta. Pertanto vediamo i medici, asserviti allo Stato, che si abbassano a calpestare il giuramento d’Ippocrate: e prima collaborare al crimine di massa dell’aborto volontario, poi all’altro crimine che è la vaccinazione di massa con un falso vaccino fabbricato con linee cellulari di feti abortiti e che provoca innumerevoli e gravissime reazioni avverse; un siero che è di fatto l’equivalete di un contro-battesimo satanico, di una specie di patto col diavolo per cui si cede la propria anima in cambio dell’immunità contro il virus (anche se tale immunità non esiste). Del pari vediamo una classe d’insegnanti, gli stessi che per decenni hanno aizzato i loro studenti a ribellarsi contro il "sistema", o odiare i "padroni", a disprezzare la civiltà europea e lo stesso cristianesimo perché colpevoli d’infiniti soprusi e violenze ai danni degli altri popoli e delle altre religioni, farsi timida e ubbidiente davanti alla pretesa dello Stato d’imporre il terrore sanitario anche fra le pareti delle scuole, di obbligare i bambini e i ragazzi a indossare la mascherina durante le lezioni, a isolare i non vaccinati, a colpevolizzarli, ad additarli al pubblico disprezzo; e la stessa cosa nei confronti dei colleghi che rifiutano l’inoculazione e denunciano il colpo di stato mondiale attuato per mezzo del pretesto di un’emergenza sanitaria in realtà inesistente (se è vero che il tasso di mortalità di questa malattia non oltrepassa la percentuale dello zero virgola cinque).
Tutto questo non era prevedibile cent’anni fa, cinquanta anni fa? Non nei particolari, naturalmente; ma che nell’ideologia liberale covasse il cattivo seme di un totalitarismo incipiente, il totalitarismo della pseudoscienza, usata strumentalmente per imporre la dittatura della grande finanza, questo sì, a grandi linee era prevedibile e perfino previsto. Chi legge in questa prospettiva l’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI, del 1931, resterà stupito nel constatare come la Chiesa di prima del Concilio fosse quanto mai lucida, e persino profetica, nel prefigurare i disastri che un sistema economico-finanziario detenuto da pochi soggetti avrebbe potuto recare all’intera società sfruttando i meccanismi egoistici e permissivi in essa creati dall’ideologia liberale. La conclusione è molto semplice: bisogna tornare al buon senso e alla fiera coscienza del Vangelo che non fa sconti al mondo.
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI