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La vita cristiana è fatta di coerenza e trasparenza

I cristiani sono tali sono a parole o anche nei fatti? I cattolici potrebbero sostenere, senza arrossire, l’esame spassionato di un confronto pubblico fra la loro vita concreta e i santi principi ai quali dicono d’ispirarsi? Gli uomini moderni si sono talmente abituati a una totale separazione fra i principi e la vita pratica, da non rendersi neanche più conto della posizione falsa e incoerente nella quale si pongono da se stessi, con gli atti e le scelte da un lato, le parole e la teoria dall’altro. È ormai cosa comune vedere un uomo politico che si presenta come campione dei valori della famiglia, ma è divorziato e risposato; un altro che dice di voler moralizzare la vita pubblica, ma si trova sotto inchiesta per corruzione e interesse privato in atti d’ufficio; un terzo che ha sempre in bocca la coerenza e la trasparenza, ma è passato attraverso quasi tutti i partiti, da destra a sinistra o viceversa, sempre a caccia di qualche poltrona, di qualche incarico di prestigio, di quale lauta sinecura. Poi ci sono i vescovi, che predicano da anni il dialogo, l’accoglienza e l’inclusione, ma non esitano a chiamare la polizia se un’associazione pro-life si mette a recitare silenziosamente il Rosario nello spazio davanti alla loro curia; i preti che ossessivamente reclamizzano la tolleranza e fanno l’elogio della diversità, ma poi sbattono le porte in faccia ai fedeli non vaccinati, o diffidano dall’entrare in chiesa tutti quelli che non sono favorevoli all’invasione dei falsi profughi africani e all’islamizzazione dell’Italia; e naturalmente i fanatici del progresso i quali recitano, come un ritornello, "io credo alla Scienza", ma poi assumono in tutte le questioni, ad esempio in quella della vaccinazione anti-Covid dei bambini, delle posizioni radicalmente antiscientifiche e guardano alla loro cosiddetta scienza con lo stesso fideismo cieco e irrazionale che essi rimproverano ai cattolici in quanto seguaci di una religione rivelata.

Lo strumento più sicuro per verificare continuante la propria coerenza e la propria trasparenza di cristiani è la Confessione che, come e più di altri Sacramenti, è stata recentemente svilita e svuotata di significato, specie con la pratica delle cosiddette confessioni comunitarie, e con l’ossessiva, martellante pressione esercitata da Bergoglio e dai suoi vescovi affinché i sacerdoti abbiano la mano leggera nel confessare i penitenti e nell’assegnare la penitenza, che si astengano da ogni forma di durezza e indiscrezione nei loro confronti (?), che li mettano a loro agio quasi come si tratti di una conversazione amichevole. La parola stessa confessione è stata di fatto abrogata e sostituita da quella meno austera di penitenza e, meglio ancora, di riconciliazione. Eppure nessuna di queste due sembra appropriata: la prima perché "penitenza" è, propriamente parlando, quella che chi si è confessato deve adempiere, per rientrar pienamente nella grazia di Dio; la seconda perché sottintende che tutti quelli che si confessano escono riconciliati con il Signore e perciò che nessuno viene respinto, il che è falso. Infatti il sacerdote, che nell’atto di confessare è un alter Christus, se si trova di fronte a un falso penitente, vale a dire un peccatore che non mostra alcun reale pentimento dei propri peccati, ha non solo il diritto, ma il preciso dovere di negare l’assoluzione, e ciò non per punire ma per correggere l’anima peccatrice e farle comprendere la gravità del suo comportamento, affinché si ravveda e si salvi. Lo scopo dei Sacramenti, è evidente, è il bene delle anime: ma se il sacerdote assolve chi non merita di essere assolto, o perché non è pentito, o perché non dichiara il proprio impegno a evitare di ricadere nel medesimo peccato, allora fa non il bene, bensì il male di quell’anima, dandole l’illusione di essere tornata in grazia di Dio e togliendole la possibilità di rimediare; e fa anche il proprio male, perché viene meno al suo dovere di agire come agirebbe Gesù Cristo, ossia con dolcezza, ma al tempo stesso con giustizia. E che, per Gesù, l’assoluzione dell’anima peccatrice non sia un diritto, e quindi non abbia il carattere di una cosa scontata e quasi dovuta, lo si evince, fra l’altro, da ciò che Egli dice a conclusione della parabola del fariseo e del pubblicano: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (cfr Luca 18,14).

Pertanto, torniamo a dirlo: la Confessione è quanto mai salutare e necessaria per la vita dell’anima, perché per mezzo di essa il cristiano fa un frequente esame di coscienza, individua le proprie mancanze, riconosce i propri peccati e si pone nel giusto atteggiamento verso Dio, che poi è quello del figlio prodigo (Luca, 15,18-19): Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio.

Si narra un episodio nella vita di Gabriel Garcia Moreno (1821-1875), l’eroico presidente cattolico dell’Ecuador del quale ci siamo già una volta occupati (vedi l’articolo Garcia Moreno, il Presidente assassinato dalla Massoneria in odio al cristianesimo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 18/12/17), che chiarisce bene questo concetto. Tale aneddoto è stato riportato dai padri dell’Abbazia di San Giuseppe di Chiaravalle in una raccolta di scritti edificanti (da: Saggezza infinita. Il grande libro della felicità, raccolta dei testi e revisione di Piero Mantero, Udine, Edizioni Segno, 1996, pp. 107-108):

La storia che segue potrebbe assomigliare proprio alla nostra: Garcia Moreno passeggiava un giorno a Parigi lungo i viali del Giardino del Lussemburgo con alcuni compatrioti ecuadoriani, esuli come lui, ma le cui idee religiose differivamo dalle sue. La conversazione verteva intorno a un infelice che, ostinandosi nella sua empietà, aveva rifiutato il sacramento degli infermi di fronte alla morte. Certi — vantando il loro ateismo — trovavano ineccepibile questo comportamento: «Poiché, insomma — dicevamo, quest’uomo ha preso la sua decisione nella pienezza della propria coscienza e libertà». Garcia Moreno pretendeva, al contrario, che se l’assenza di religione si spiega abbastanza facilmente nel corso della vita, a causa della leggerezza umana e delle faccende che assorbono l’attenzione, l’empietà in unto di morte è qualcosa di veramente mostruoso. I suoi contraddittori se la presero allora con il cattolicesimo, sollevando tutte le obiezioni che si oppongono ai suoi dogmi; ma, su questo terreno, si accorsero ben presto che avevano a che fare con qualcuno che ne sapeva pi di loro. Con la sua fede ardente, dimostrò loro non solo la verità, ma anche la sovrana grandezza e la bellezza ideale dei misteri cristiani, e ciò con tanto entusiasmo e tanta chiarezza che uno dei suoi interlocutori, per schivare il dialogo, gli disse, cin una franchezza un po’ brutale: «Caro amico, voi parlate benissimo; ma mi pare che trascuriate un po’ la pratica di questa così bella religione. Da quanto tempo non vi siete confessato?…».

Questa osservazione, che colpiva nel segno, fermò di botto l’eloquenza di Garcia Moreno. Sconcertato, abbassò per un istante la testa; poi, guardando il suo contraddittore negli occhi: «Mi avete risposto — disse — con un argomento personale che, oggi, è ottimo ma che, domani, parola d’onore, non varrà più nulla»

E interruppe bruscamente la passeggiata. Rientrato nella propria camera, in preda ad una viva sovreccitazione, meditò a lungo sugli anni trascorsi e sui peccati della sua vita. Il giorno seguente si confessò e ricevette l’Eucaristia.

In realtà, l’abbandono della pratica frequente della Confessione – che in parte si giustifica con la generale decadenza del clero, per cui molti fedeli sentono di non essere in presenza di veri sacerdoti cattolici, ma di eretici modernisti travestiti da cattolici, dai quali non odono parole di vita eterna, ma un insulso chiacchiericcio buonista, ecologista e migrazionista — si accompagna a un generale distacco dalle pratiche devote e dalla cura per la vita soprannaturale dell’anima. È diventato più importante curare il proprio corpo, il proprio aspetto, il proprio look giovanilistico, che non occuparsi del bene della propria interiorità e dedicare qualche momento di riflessione al destino finale verso il quale tutti gli uomini sono incamminati. E tale andazzo è diffuso fra i cattolici non meno che fra chi cattolico non è: al punto che ormai si stenta a riconosce una qualche differenza evidente fra il credente e l’agnostico o l’ateo dichiarato, perché i loro stili di vita, il loro linguaggio, le cose cui aspirano, le cose che desiderano e inseguono, profondendo in tale ricerca il meglio delle loro energie, sono del tutto simili e spesso sovrapponibili. Eppure il cattolico dovrebbe essere uno che vive nel mondo, ma non è del mondo: non appartiene al mondo, non pensa come il mondo, né sente come il mondo, né desidera ciò che piace al mondo; ma tutto al contrario, dovrebbe essere un uomo che si distacca e si distingue radicalmente da chi è del mondo, e anzi dovrebbe essere odiato dal mondo, perché il mondo ama ciò che gli appartiene e odia ciò che gli si oppone e gli è estraneo. L’esempio lo ha dato Gabriel Garcia Moreno, che visse con assoluta coerenza il proprio essere cristiano e non ebbe paura di affrontare la morte per restare fedele al Vangelo e difendere i diritti della Chiesa contro le perfide mene della massoneria internazionale (si vociferò che dietro gli esecutori del suo assassinio si celasse un importante uomo di Stato europeo, il cancelliere tedesco Bismarck, l’autore del Kulturkampf anticattolico). Gesù Cristo l’ha predetto nella maniera più chiara possibile (Giovanni, 15, 18-21):

18 Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20 Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21 Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

E ancora, se ciò per caso non bastasse (Matteo, 10, 16-28):

16 Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. 17 Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; 18 e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. 19 E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: 20 non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
21 Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. 22 E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. 23 Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo.
24 Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; 25 è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari!

26 Non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. 27 Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti. 28 E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna.

In conclusione: il cristiano ha una sola maniera di essere degno del nome che porta: seguire in tutto e per tutto l’esempio di Gesù. Questi non ha cercato di scansare il pericolo, non si è sottratto alla croce; ha sempre parlato con chiarezza al mondo, non per condannarlo, ma per salvarlo. Di fronte però all’ostinazione e all’impenitenza del mondo, Gesù non ha mai fatto il buonista, né ha recitato la misera commedia della falsa misericordia; è stato anzi giustamente severo, sempre mirando a convertire gl’increduli e far ravvedere i peccatori, come quando ha detto (Giovanni, 15,12-17):

12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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