
Il Vangelo di Kells, un gioiello del medioevo celtico
16 Gennaio 2022
Dom Pernéty: monaco, massone, illuminato,cabalista
18 Gennaio 2022TRENTO, 6 GENNAIO 2022. EPIFANIA DEL SIGNORE
La Sua nitida opzione "preconciliare" ci induce a ritenere che Ella nutra fondati dubbi sulla continuità fra la liturgia e, per il principio dell’intrinseca connessione tra lex orandi e lex credendi, anche fra la teologia del Vaticano II e la liturgia e la teologia dei due millenni precedenti. Ci permettiamo pertanto di sottoporre alla Sua attenzione questo breve studio nel quale esprimiamo e motiviamo la nostra convinzione che la cosiddetta "chiesa conciliare" — cioè la "chiesa" del concilio, di un solo ultimo concilio che espunge tutti i venti precedenti, anzi ventuno considerando quello di Gerusalemme tenuto dagli Apostoli, e in tal modo dimostra di essere non un concilio ma un conciliabolo — non è la Chiesa cattolica. In altre parole: la "chiesa" del concilio non è la Chiesa dei concilii. Le citazioni e gli argomenti che si potrebbero addurre a sostegno di questa convinzione sono così numerosi — oltreché concludenti — che ci vorrebbe un grosso libro per elencarli e illustrarli tutti. Ci limitiamo pertanto a richiamare questo solo passo della "Dichiarazione conciliare Nostra aetate sulla relazione della Chiesa con le religioni non cristiane" approvata dai vescovi presenti al concilio con 2221 voti favorevoli e solo 88 dissenzienti e promulgata da Paolo VI il 28 ottobre 1965: "nell’Induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia […] Nel Buddismo, secondo le sue varie scuole […] si insegna una via per la quale gli uomini con cuore devoto e confidente siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema […]". Tolto di mezzo il furbesco ripiego grammaticale di quel congiuntivo "siano" che apre tutte le porte a un esplicito "sono", ritenuto all’epoca ancora troppo impegnativo, ma evidentemente implicito (se le promesse delle religioni in questione fossero state ritenute ingannevoli si sarebbe dovuto denunciarle, non elogiarle), cosa si ricava da questo solo estratto? La risposta è inequivocabile: che ben prima della nascita di Gesù il buddismo offriva già in questo mondo ai suoi fedeli la "liberazione perfetta" e "l’illuminazione suprema". Che più si poteva e si può desiderare? E soprattutto che bisogno c’era di Gesù e della sua asserita Redenzione? Come si permette allora l’evangelista Luca di dire che l’umanità prima del Sacrificio del Calvario era immersa "nelle tenebre e nell’ombra di morte"? È un "trionfalismo" inammissibile! Tanto più che, con riferimento all’induismo, i "miti" in genere, non esclusi, ovviamente, quelli greco-romani, quelli egizi, quelli germanici e quant’altro, sono esaltati come efficaci strumenti per "scrutare" ed "esprimere" il mistero divino. Il riferimento specifico alla mitologia indù dimostra in tutta la sua latitudine la larghezza di vedute dei "Padri Conciliari", essendo ben noto che quella mitologia è largamente incentrata su Shiva, uno dei tre dei della "Sacra Trimurti" onorato bensì anche come dio della vita, ma soprattutto temuto, riferendolo alla forza distruttiva del fluire edace del tempo, come dio della distruzione e della morte. Con Shiva poi fanno il loro ingresso nell’«embrassons nous» conciliare le sue inseparabili paredre, Durga e Kalì coi loro culti di orge erotiche e di sacrifici umani. È in questo senso, e cioè come espressione simbolica del moderno longanime e illuminato superamento delle anguste strettoie dottrinali controriformistiche e dogmatiche, che la "chiesa conciliare" riconosce il valore "ugualmente" liberatorio delle "dottrine", "precetti di vita", "riti sacri" — quali che essi siano — di "tutte le altre religioni che si trovano nel mondo intero". Seguono l’apologia dell’Islam e, molto più diffusa, sulla base di una stravolta interpretazione dell’insegnamento paolino, quella dell’ebraismo attuale e quindi talmudico. Poste queste premesse — e altre analoghe se ne potrebbero aggiungere — non si vede come sia possibile confutare i due "teologi" tedeschi Karl Rahner ed Herbert Vorgrimler quando, nella loro edizione dei testi conciliari (ed. Paoline, 1967, p. 831), introducendo la "dichiarazione" in parola scrivono che il suo "articolo 2 (quello da cui è stata tratta la soprariportata citazione) riconosce con parole chiare e non equivoche l’autenticità (id est la verità — nota nostra) dell’esperienza 2 religiosa dei diversi popoli". Va sottolineata anche l’autorevolezza di questo commento evidenziata dal grande influsso che, notoriamente, la "teologia" di Rahner esercitò sul "concilio", un’influenza ufficializzata anche dal fatto che, dopo la chiusura dello stesso, Paolo VI ricevette quel "teologo" in udienza particolare "per esprimergli il ringraziamento della Chiesa e del Concilio per il suo lavoro teologico" (G. Reale – D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini a oggi, ed. La Scuola, 1983, p. 565). Ora, poiché nel più sta il meno, se autentiche, e dunque vere, sono tutte le religioni, a maggior ragione lo saranno anche tutte le eresie. Infatti i due citati teologi "probati", commentando nella testé citata opera la "Costituzione dogmatica (sic) Lumen gentium", con particolare riferimento all’articolo 15, sottolineano che con essa "il concilio […] rinuncia ai concetti di eresia e scisma". Dunque il nuovo dogma della "Costituzione dogmatica" in esame (approvata con 2151 voti favorevoli con solo 5 contrarî) è che non esistono dogmi. Tre anni dopo l’approvazione della citata costituzione, nella sua famosa "Introduzione al Cristianesimo" (cap. V, par. d) Joseph Ratzinger riprendeva il medesimo concetto scrivendo: "Ogni eresia incarna invece (al contrario cioè di quanto si insegnava prima del Vaticano II) sotto forma di «cifra» una perenne verità che noi dobbiamo solo conservare in perfetta armonia con altri assunti ugualmente validi". È il "superamento" — professato da tutti gli esoterismi e chiave di volta del "dialogo ecumenico" — del principio di non contraddizione, e con esso della distinzione fra vero e falso e, di conseguenza, anche di quella fra bene e male essendo evidente che se tutto è vero, tutto è anche bene. Il Vaticano II col suo "ecumenismo", in vista del quale è stato convocato, fa dunque propria la dottrina cardine della massoneria e della magia: quella cioè della "coincidentia oppositorum" che Francesco Brunelli, "Sovrano Gran Maestro dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim", nel suo "Principi e metodi di Massoneria operativa" (Ed. Bastogi, 1982, p. 84) con efficace sintesi enunciò in questi termini: "L’iniziazione predica e insegna MORTE ALLA RAGIONE (maiuscolo testuale). Solo quando la ragione sarà morta, allora nascerà il nuovo uomo dell’Era veniente, il vero iniziato. Solo allora le pareti dei templi potranno crollare perché l’alba di una nuova era sarà spuntata ad oriente": la libera e felice era astrologica dell’Acquario contraddistinta dal ritorno alla innocente nudità adamitica del buon selvaggio di Rousseau e contrapposta all’era rigorosa e oppressiva, "rigida" insomma, dell’ichtys cristiano cui il "concilio" convocato da Roncalli era chiamato ad inferire il colpo di grazia. Non è chi non veda che un così profondo rivoluzionamento di prospettiva — dalla concezione cioè dell’uomo come essere razionale chiamato all’assiduo perseguimento del vero e del bene e alla altrettanto assidua lotta contro l’errore e il male, a quella che invece considera la ragione, e quindi la logica, il Logos, come principio malefico di discordia, di guerra e di crudeli e ingiustificati conflitti e tormenti interiori — postula un retroterra dottrinale e un obiettivo etico-giuridico, sociale e politico che, come quello cristiano, del quale però è lo speculare contrario, coinvolge l’intera umanità. La dottrina — spiega sempre il Gran Maestro Brunelli, peraltro citando le parole di un suo predecessore in quella carica iniziatica, Roberto Ambelain — è quella "tipicamente platonica" ma, aggiungiamo noi di sfuggita, anche neoplatonica e, risalendo più indietro, anche presocratica, in particolare empedoclea, di un mondo iperuranio dove tutte le "intelligenze" saldate in Unità da un vincolo di "Amore" vivevano "una vita libera quasi perfetta". A un certo punto però esse (non è chiaro se tutte o solo una parte) "per delle ragioni non ben definite dai filosofi" si staccarono da quella Unità precipitando nel mondo tenebroso e caotico della materia che le rivestì, inglobò e imprigionò nel carcere dei corpi, a detta di Platone vere e proprie tombe, in cui hanno perso il ricordo della loro preesistenza divina nell’Uno iperuranio. A questo riguardo va rilevato che l’insegnamento di Platone è contraddittorio: è assai difficile invero conciliare il buon Demiurgo formatore e ordinatore del "Timeo" col mito della caverna de "La Repubblica". Dovrebbe comunque essere evidente che anche la famosa dottrina della reminiscenza di Socrate si inquadra in questo contesto cosmologico e antropologico caratterizzato dal ciclo delle reincarnazioni. Sulla linea dei suoi precursori Rosa-Croce la massoneria, fra le due concezioni cosmologiche di Platone, quella ottimistica del "Timeo" e quella pessimistica della "Repubblica", opta per la seconda e su tale opzione — che fu poi quella di tutto lo gnosticismo che la massoneria espressamente professa specialmente nella sua 3 forma cabalistica contigua a quella ermetica — fonda la sua visione del cosmo, dell’uomo e della storia e il suo conseguente programma politico: se le scintille divine imprigionate nelle tombe di tenebrosa materia dei corpi immersi in questo mondo tutto materiale e oscuro sono irrimediabilmente insoddisfatte e infelici, ciò dipende dal fatto che, sia pur senza esserne consapevoli, esse avvertono la nostalgia dell’Unità originaria da cui sono sventuratamente precipitate e cui oscuramente anelano di fare ritorno. Lo scopo che la massoneria si propone è dunque, prosegue il Brunelli, "la Liberazione di questi esseri incarnati (che sono gli uomini, nota nostra) dalle insidie di questo mondo imperfetto e materiale, la loro ri-spiritualizzazione progressiva, la loro nascita in un universo sottile (che) costituisce ciò che i rosacruciani chiamano reintegrazione. Alla disperazione, all’isolamento individuale nelle spoglie carnali (il corpo-tomba di Platone, nota nostra) succederà dunque la ricostruzione dell’Essere Collettivo Unico, il quale all’origine era costituito da quelle intelligenze cementate insieme da un comune grande e totale Amore. Ora i Rosacroce intendevano applicare questa teoria metafisica sulla Terra, e da ciò nacque il piano ("piano", si noti e cioè progetto, programma non semplice dottrina filosofica, nota nostra) della formazione di uno Stato Universale e di una Unione di tutti i popoli in un’unica soluzione terrestre (il Governo Mondiale — sinonimo di Nuovo Ordine Mondiale — insomma la "repubblica universale" propugnata dalla massoneria sin dalle sue origini, nota nostra). Realizzare ciò sul piano materiale significa, secondo i Rosacroce, facilitare e accelerare la realizzazione di quest’altro piano nel Mondo Sottile. Si potrebbe definire la Reintegrazione come una presa superiore di coscienza da parte di tutta la totalità dell’umanità, ossia la riconquista del Primo Adamo". Il richiamo biblico ad Adamo è meramente nominalistico perché Adamo va qui talmudicamente inteso come sinonimo di uomo. In realtà il concetto di Reintegrazione si contrappone toto caelo non solo a quello di Redenzione ma anche a quello di Creazione. Con tale parola invero lo gnosticismo, di cui la massoneria è scuola, indica — come spiega il Brunelli — il preteso ritorno all’Uno divino pleromatico e iperuranio di quella sua scintilla che sarebbe l’anima umana caduta per qualche misteriosa sua colpa nel mondo tenebroso, mutevole e ingannevole della materia che la rinserra circoscrivendola nelle strettoie umilianti e mortali del corpo, vera e propria tomba, e nell’altrettanto illusorio carcere del mondo fisico. Quel mondo di inganno infatti, coinvolgendo e disperdendo l’anima nella molteplicità delle sue forme e nella fugacità del divenire le fa perdere il ricordo dell’Uno divino da cui è esule. Dove va tenuto presente che, paradossalmente, quello che dai massoni di grado più elevato, e quindi più consapevoli, è ritenuto l’aspetto più insidioso ed esecrabile del mondo materiale, è l’immateriale ragione che con la cogente barriera e i rigorosi condizionamenti del principio di non contraddizione, e in genere della logica, confuta in radice la presunta incondizionatezza divina dell’uomo. Di qui il MORTE ALLA RAGIONE del Gran Maestro Brunelli e di tutta la setta massonica. La cancellazione dei limiti posti dal mondo fisico e dalla ragione è dunque la via obbligata che il massone deve percorrere per giungere alla Reintegrazione che, per dirla col Brunelli, consiste per il singolo adepto e, in prospettiva, per l’umanità intera, nella "conquista della propria divinità". A questo punto è il caso di osservare che, cancellata la materia e la ragione, e con la ragione il pensiero — che comunque postula la dualità pensante-pensato — l’Uno pleromatico platonico e neoplatonico fatto proprio dallo gnosticismo si risolve in un plotiniano e cabalistico "al di là dell’essere": un "nulla" paradossalmente elevato a somma verità in contrapposizione alla illusorietà malefica dell’essere. Poste queste premesse dottrinali e tornando a leggere il passo del Gran Maestro Brunelli sul programma della massoneria constatiamo che esso si articola in due tappe incentrate entrambe sull’Uno: la prima è politica e cioè la formazione di un solo "Stato Universale e di una unione di tutti i popoli in una unica soluzione terrestre […]", la seconda il Brunelli la definisce "metafisica". Essa consisterebbe, grazie, evidentemente, agli immensi incontrastati poteri dell’unico governo mondiale, nella "liberazione di questo esseri incarnati" (che, ripetiamo, sono gli uomini platonicamente imprigionati nelle tombe dei loro corpi, nota nostra) dalle insidie di questo mondo imperfetto e materiale. Una volta cancellato, o comunque riassorbito, il regno tenebroso della molteplicità materiale e cioè, per gli gnostici, del male "alla disperazione, all’isolamento individuale nelle spoglie carnali, succederà quindi la ricostruzione dell’Essere Collettivo Unico il quale all’origine (e cioè prima 4 della caduta nel mondo fisico, materiale, nota nostra) era costituito da quelle intelligenze cementate insieme da un comune grande e totale Amore". Sarà, questa, la "Reintegrazione" dell’Uno, dell’Uomo cosmico unico "rispiritualizzato" e quindi caratterizzato dalla scomparsa di tutti i corpi materiali che spezzettano l’umanità in frammenti molteplici. A prescindere dalle risolutive armi nucleari, quali saranno le vie per risalire a questo "Primo Adamo" divino solo "spirituale", liberato dalla materia, dai corpi e dalle catene logiche della ragione? Alcune di tali vie, molto promettenti, sono già sotto gli occhi di tutti: l’aborto generalizzato di decine di milioni di bambini ogni anno; le pratiche anticoncezionali, il più delle volte anch’esse abortive con sempre più efficaci pillole fai da te incoraggiate dai legislatori; la cosiddetta "educazione sessuale", o, in linguaggio ONUsiano, scuola di "salute riproduttiva", che distrugge il concetto e il senso di famiglia riducendo il rapporto fisico fra uomo e donna da atto finalizzato principalmente alla nascita della prole ad atto ludico in una prospettiva in cui il concepimento è gnosticamente visto non come un dono, una grazia, ma, al contrario, come una disgrazia da prevenire o cui ovviare il più in fretta possibile; la diffusione delle droghe che, oltre ad aprire un varco nel "muro" illusorio della realtà materiale, distruggono il senso dei doveri, dei ruoli e dei compiti genitoriali. Fanno parte del piano anche il lavoro esterno delle donne strappate alle loro primarie funzioni materne e di amministratrici e insostituibili custodi dell’ambiente e della vita familiari, la diffusione, più o meno larvata, di trattamenti sterilizzanti, l’apologia della sempre infertile perversione sessuale, la legalizzazione su scala crescente dell’eutanasia e l’incoraggiamento al suicidio, la devastazione finanziaria delle economie, il disorientamento religioso e quindi etico e giuridico derivante anche da un pianificato rimescolamento dei popoli… e l’elenco non è esaustivo! Tutte queste novità, come è ben noto, sono definite e promosse, come nuovi diritti e come progresso, sotto l’egida universalmente riverita dell’ONU, delle sue Agenzie e delle sue ONG, preposte allo svuotamento della sovranità degli stati. Si tratta ovviamente di un progresso che va interpretato sulla base della dottrina nichilistica della Reintegrazione. Al termine della sua esposizione del grande programma massonico il Gran Maestro Brunelli così conclude: "vi è da notare (ed è anche interessante) che tale nozione di una umanità totale, costituita da un solo Essere Collettivo, non è affatto estranea al pensiero di Carlo Marx come pure a quello di de Chardin". Lasciando da parte Marx e il sanguinoso fallimento del suo socialismo scientifico, è davvero "interessante", oltreché chiarificante per comprendere cosa in realtà è stato il "concilio ecumenico Vaticano II", osservare che il pensiero di de Chardin non solo non è estraneo a quello degli alti gradi della massoneria, ma ben si può dire che, salvo qualche variante secondaria e al netto di interne contraddizioni su cui non è qui il caso di soffermarsi, coincide con esso. Teilhard infatti sostiene che "il Cristo — che chiama anche Punto Omega — principio di universale vitalità o Spirito della Terra" che vive in ogni atomo del nostro pianeta, forzati, attraverso l’evoluzione biologica prima e sociale poi (il ben noto "progresso" illuministico) gli "sbarramenti (materiali) della sua prigione terrestre, aggre(gherà) a sé l’intero psichismo della Terra. E quando avrà in questo modo radunato tutto, raggiungerà con un atto finale il Focolaio divino dal quale non è mai uscito e si racchiuderà così su di Sé e sulla sua conquista. E allora, dice San Paolo, «vi sarà soltanto Dio tutto in tutti». Forma superiore di «panteismo» […] Attesa di perfetta unità, nella quale, per esservi immerso, ogni elemento troverà, contemporaneamente all’Universo, la propria consumazione". "Non", dunque, "progresso indefinito", secondo le prospettive del più rozzo illuminismo, "bensì un’estasi fuori dalle dimensioni e dagli scenari dell’Universo visibile". Tale "estasi", scomparso il mondo fisico, reintegrate in "perfetta unità" in dio di cui sono parte e da cui erano cadute nella prigione cosmica tutte le anime, tolta di mezzo, sempre in quella unità perfetta, anche l’alterità pensante-pensato, non potrà non risolversi che nell’«al di là dell’essere», e dunque nel non essere, nel "nulla" di Plotino, di Proclo e di quell’adattamento del neoplatonismo che è la Cabala ebraica. Tale è la dottrina, di origine egizio-caldaica, grecizzata e gnosticizzata, enunciata da de Chardin, che fu fatta propria dal Vaticano II. Una dottrina cioè nella quale l’evoluzione darwiniana, ma prima ancora anassimandrea, viene inserita come una tappa della "Reintegrazione": la prima tappa è quella dalla materia che quel "teologo" pretende animata e in cui dio, l’Uno, sarebbe prigioniero frammentato nella illusoria 5 molteplicità dei corpi (è l’antico animismo rispolverato a nuovo in salsa darwiniana dallo Haeckel), alla biologia nelle sue due forme, la vegetale e la animale. La seconda tappa è quella in cui la biologia evolve nell’uomo. La terza tappa — il prossimo, grande e definitivo balzo di cui saremmo in attesa — è quella in cui all’Uomo spezzettato e imprigionato nelle crisalidi innumerevoli dei corpi, succederà la solo spirituale "noosfera" nella quale, secondo la dottrina del neoplatonico Proclo, la divinità, caduta e dispersa, dimentica di sé nell’inganno multiforme della materia, dopo una schellinghiana Odissea, colle sue metastoriche Sirene e Circi, tornerà appunto attraverso l’uomo e superandolo, alla sua originaria unità: all’Uno assoluto dei neoplatonici e degli egizî. Va qui per inciso sottolineato il radicale contrasto fra la concezione cristiana e quella platonico-gnostico-panteistica. Per la prima infatti il cosmo è "cosa buona" (Gn 1, ripetuto 6 volte), opera eccellente del Creatore che, con la bellezza, la grandezza, l’armonia e le leggi immutabili dell’universo, manifesta all’uomo la sua "gloria", "la sua eterna potenza e la sua divinità" (Sal 18, Rm 1, 19-20, Sap 7, 17-21, ma anche 13, 3-5, Sal 91, 6 e 138, 6 e 15-16). È la dottrina del grande libro della natura scritto da Dio, professata da Sant’Agostino e da San Bonaventura, su cui Galileo ha fondato la scienza moderna. Al "concilio" comunque de Chardin si prese, anche se post-mortem, la rivincita sulle censure, sul "Monitum" del Sant’Uffizio e soprattutto sull’enciclica Humani generis promulgata da Pio XII proprio per contrastare l’allarmante e, per il vero, piuttosto grottesco riemergere del panteismo pagano di cui quel Papa avvertiva il torbido sobbollimento tra le file di un clero e di una società sempre più mondanizzati. Quella rivincita gli fu offerta su un piatto d’argento da Angelo Roncalli che, con ostentata simbologia, spalancò "all’aria fresca" del mondo le finestre del Vaticano e, tanto per cominciare, chiamò a Roma come "consultori" della Commissione Teologica preparatoria del concilio i due sostenitori più in vista del panteismo evoluzionistico teilhardiano: il gesuita de Lubac e il domenicano Congar, radiati dalle cattedre e dalle librerie cattoliche per lo scandalo delle loro esoteriche dottrine. Il primo di quei personaggi, in una "Memoria" del 1980 così narrò l’evento: "Lessi nella «Croix» la lista dei teologi scelti dal Papa come consultori della Commissione Teologica preparatoria del Concilio. Il mio nome vi figurava come quello di padre Congar. Erano due nomi simbolici. Senza dubbio Giovanni XXIII aveva voluto far capire a tutti, così, che le difficoltà (scil. l’enciclica Humani generis e gli interventi del Sant’Uffizio) dovevano essere dimenticate" e dunque che la "teologia" di Teilhard — che era poi quella del Gran Maestro Brunelli, della massoneria e dei suoi precursori Rosa-Croce — era ortodossa, anzi era l’«ortodossia» che avrebbe ispirato l’imminente "concilio". Dice insomma de Lubac che "senza dubbio" Roncalli mettendo sul candelabro quei due nomi "simbolici" aveva voluto "far capire a tutti" che la "nuova teologia" avrebbe soppiantato l’antica, ribadita da Pio XII nella Mystici corporis e nella citata Humani generis, e la chiesa conciliare quella Cattolica. Ma forse non fu proprio così, forse il messaggio, benché oggettivamente inequivocabile, era destinato non a tutti ma solo ai partecipi del progetto eversivo e per gli altri, per la massa di un episcopato sonnecchiante ed amorfo, era solo uno spiraglio che, in quanto appunto semplice spiraglio preparatorio, non avrebbe dato luogo a immediate ed esplicite reazioni di rigetto. Forse Roncalli, oltretutto vecchia volpe della diplomazia, ben sapeva quanto basso era il livello di spiritualità, e quindi anche di fede, di dottrina, e dunque di reattività, dell’episcopato dell’epoca, ancora solo molto tiepidamente cattolico e che esso, spiritualmente e di riflesso anche intellettualmente, semisordo e semicieco com’era, non avrebbe capito, come infatti non capì, un bel nulla del "ribaltone" in corso, nonostante la sua palmare evidenza. I vescovi, in buona ma pisolante fede, si sentivano rassicurati anche dalla preliminare esclusione di enunciazioni dogmatiche. È lecito chiedersi, viste le successive ancor più clamorose e dirompenti iniziative di Giovanni XXIII, passate anch’esse inosservate, se quei presuli avessero letto e meditato la ripetuta enciclica Humani generis che fin dal suo esordio, in nome del creazionismo cristiano, condanna come erronea e matrice di "aberrazioni" "l’ipotesi monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione", o se l’avessero invece riposta in qualche trascurato scaffale, insieme, peraltro, coi due Testamenti a partire dal Genesi. Nel medesimo metaforico scaffale dovevano aver riposto le loro anche più elementari nozioni di fisica, dal momento che quella scienza, scoperto il fenomeno dell’entropia da quasi 6 centocinquant’anni, escludeva l’eternità, e quindi l’assolutezza increata dell’universo. Per non parlare della teoria del Big-Bang, che è del 1931 e di quella dell’espansione dell’universo di Lemaître-Hubble che è del 1929. Che la teologia, e dunque la religione della chiesa conciliare, non sia quella illustrata da San Tommaso, ma quella di Teilhard de Chardin e di de Lubac, coincidente con quella della massoneria enunciata dal Gran Maestro Brunelli, fu manifestato in maniera eloquente e pubblica da Paolo VI. Infatti nel suo libro "Il Padre de Lubac" Hans Urs von Balthasar, considerato il miglior interprete di quel "padre" e significativamente onorato, al pari di de Lubac, del titolo di cardinale da Giovanni Paolo II, riferisce che alla chiusura del Congresso tomista del 1963 Giovanni Battista Montini, già insediato sul supremo soglio, invitò il de Lubac a parlare di Teilhard de Chardin "nella grande sala della cancelleria". Del resto — leggiamo nella stessa opera — già da arcivescovo di Milano Montini aveva rivolto a Teilhard "parole di adesione e di incoraggiamento". Anche il "pontificato" conciliare di Giovanni Paolo II fu all’insegna dell’adesione alla religione monistico-panteistica teilhardiana, e quindi al culto della Natura assolutizzata e pertanto divinizzata, dichiarato aberrante da Pio XII. Un culto con tutta evidenza radicalmente contrario al creazionismo cristiano. A tacere di molto altro basti qui richiamare il conferimento da parte di Karol Wojtyla del titolo "cardinalizio" a de Lubac e a von Balthasar. Più specificamente, da un articolo pubblicato sul numero del 30 novembre 2009 di "Sì sì no no", da cui abbiamo preso spunto, traiamo questo illuminante passo: "L’Osservatore Romano del 10 giugno 1981 dedica a sorpresa la prima pagina al centenario della nascita di Teilhard e pubblica una lettera del cardinal Segretario di Stato Agostino Casaroli, indirizzata al rettore dell’Istituto Cattolico di Parigi. In essa si legge: «Una potente intuizione del valore della natura, una percezione acuta del dinamismo della creazione (parola, notiamo noi, depistante, perché non confacente alla concezione teilhardiana del cosmo), una vasta visione del divenire del mondo si congiungevano in lui con un innegabile fervore religioso […] un uomo afferrato da Cristo sin nelle profondità del suo essere […] che ha risposto quasi in anticipo all’appello di Giovanni Paolo II: Non abbiate paura, spalancate le porte a Cristo […] Sono felice di comunicarvi questo messaggio a nome del Santo Padre»", che quindi pienamente condivide. Dove va tenuta presente la contraddittorietà intrinseca della teoria: da un lato invero si assolutizza e in tal modo si divinizza l’universo fisico-materiale, dall’altro lo si aborre come "prigione" delle anime che dovrà "svanire" sostituita dalla noosfera. La spiegazione è fornita dalla concezione orfico-pitagorica e neoplatonica, fatta propria dagli gnostici: vero è soltanto l’Uno, la molteplicità e la multiformità dei corpi materiali che a noi paiono costituire il cosmo è il risultato di una misteriosa caduta e dispersione dell’Uno, in sostanza però è solo un’illusione, e il volgere ciclico del tempo riconduce all’Uno-Nulla, né materia né pensiero, che, paradossalmente, pur non essendo, solo è e in cui tutto si riassorbe e ricompone: proprio come nel famoso Punto Omega o Cristo cosmico di Teilhard. Rivivono in ambito iniziatico le dottrine monistico-emanatistiche di Plotino e Proclo, ma anche l’Uno ciclico di Empedocle che quel filosofo chiama Lo Sfero. Sono poi sempre presenti le immaginose e contraddittorie suggestioni di Platone, anch’esse ancorate all’Uno ineffabile e inessenziale. Con la differenza che in Teilhard non è previsto l’eterno ritorno ciclico, accolto invece da Nietzsche. La teologia della "chiesa conciliare" è dunque quella di Teilhard. Ce lo conferma con inconfutabile autorità Joseph Ratzinger, particolarmente qualificato perché per ben 23 anni Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (scil. conciliare), poi assurto nel 2005 al sommo sacerdozio della chiesa del Vaticano II e oggi, dall’11 febbraio 2013, "Papa emerito". Nel suo libro del 1968 "Introduzione al cristianesimo", recentemente da lui fatto ripubblicare, e quindi riconfermato, quel personaggio così conclude: "se il cosmo è storia (si noti il concetto tipico del "progressismo" della storia umana come fase ulteriore dell’evoluzionismo darwiniano) e la materia rappresenta un momento (si noti: solo un momento) nella storia dello spirito, è tanto evidente che non si dà un perenne affiancamento neutrale fra materia e spirito, ma esiste invece un’ultima complessità in cui il mondo trova il suo (teilhardiano) Omega e il suo stadio UNITARIO. Vuol dire allora che c’è un’ultima stretta connessione fra materia e spirito, un’interdipendenza in cui va a sfociare il destino 7 dell’uomo e quello del mondo […] Verrà un ultimo giorno nel quale riceverà il tocco perfettivo anche il destino del singolo uomo per la semplice ragione che si è ormai adempiuto il destino dell’umanità" (tutta intera). La meta agognata dal cristiano non è una beatitudine privata bensì la realizzazione del tutto (vale a dire dell’Uno-tutto). Egli crede in Cristo, crede quindi nel futuro del mondo (identificato col "Cristo cosmico")". I poveri cristianucci preconciliari, abituati a orientare le loro vite nella prospettiva dei quattro Novissimi, morte, giudizio, paradiso, inferno, restano spaesati e strabiliano. Bisogna però dire che nella sua prefazione all’opera in questione, nel 1968 Ratzinger così aveva esordito: "Il problema di sapere esattamente quale sia il contenuto e il significato della fede cristiana è oggi avvolto in un nebuloso alone di incertezza che è fitto e spesso come forse mai prima d’ora lo è stato nella storia". In realtà a quella data ciò ancora non valeva per quelli che abbiamo testé chiamato "poveri cristianucci" alle cui oggi terribilmente ristrette file ci ascriviamo. All’epoca infatti pressoché tutto coloro che si dicevano cattolici — cristianucci preconciliari insomma — proclamavano ogni domenica la loro adesione al Credo niceno-costantinopolitano e studiavano le limpide formule del catechismo di San Pio X. Molti anni dopo "il Concilio" nella sua autobiografia ("La mia vita"), pubblicata in Italia nel 2005 corredata da una sua "omelia" di quell’anno, Ratzinger rievoca la sua esperienza, la "grande ora del Concilio" e ricorda con nostalgia "il dono dei molti incontri con uomini della statura di Henry de Lubac, Jean Daniélou (altro famoso teilhardiano), Yves Congar, Gérard Philips" (anche quest’ultimo esponente di punta dell’ala conciliare "progressista"). A proposito di "statura" ci pare interessante rilevare che, a prescindere dai contenuti e dal celebrato valore scientifico dell’opera di Teilhard, (il suo panpsichismo platonico e pagano professato quattro secoli dopo Galileo appare piuttosto che "modernista", nel senso cioè di ispirato alla moderna scienza galileiana, mitico e archeologico) quel gesuita non fu affatto l’originale ideatore di una cosmologia di nuovo conio. Abbiamo infatti visto come tale cosmologia, che presume di inglobare nel suo schema l’intera storia umana, riprenda pressoché tutte le dottrine dei Rosa-Croce, e quindi della massoneria, esposte dal Gran Maestro Brunelli. È peraltro il caso di aggiungere che, sia pure in forma letteraria e con una terminologia molto diversa, le stesse dottrine erano state esposte con grande successo dal francese di ceppo israelita Henri Bergson. Anche quel filosofo, infatti, considera la materia come fattore negativo limitante che, con la molteplicità delle forme corporee, occulta l’Uno, al pari della ragione che, come si è visto, apparterrebbe anch’essa dunque al regno della materia perché distinguendo, classificando e spazializzando contribuirebbe a mantenere l’inganno del molteplice che impedisce di attingere l’Uno "al di là" del sensibile e del razionale. Anche Bergson è evoluzionista. La sua opera principale, del 1907, è intitolata appunto "Evoluzione creatrice". A suo dire uno "spirito", che chiama "slancio vitale", attraverserebbe la greve staticità della materia — che apparterrebbe anch’essa a quell’unico slancio vitale ma ne sarebbe un arresto, una passività — animandola e ritagliandone le forme della vita, gli esseri viventi: regno animale e regno vegetale. In questo suo percorso ascensionale di riscatto, esso perverrebbe a due manifestazioni evolutive: l’istinto e l’intelligenza propria solo dell’uomo. Quest’ultima però, per i motivi appena detti, sarebbe incapace di cogliere l’unità del cosmo, che l’istinto invece coglie, ma in maniera inconsapevole. Nel prossimo balzo evolutivo, dall’umanità raziocinante si svilupperà una "nuova specie", o piuttosto la specie umana verrà liberata "dalla necessità di essere una specie". Lo slancio vitale superindividuale, superrazionale e superumano culminerà nell’unità di "una intuizione mistica diffusa" dove non ci sarà né materia, e dunque corpo, né pensiero. Quello slancio inessenziale, quel nulla insomma, a dire di Bergson "è divino o è Dio stesso". Se all’espressione "slancio vitale" sostituiamo quella "Cristo cosmico" o Anima mundi il risultato non cambia. Dove va rilevato che in questo ordine di idee monistico, l’Uno-Tutto in cui tutto coincide e si risolve, richiede, come suo propedeutico antecedente, una religione "aperta" in cui tutte le religioni distinte e contrapposte, che Bergson chiama religioni "chiuse", abbattute, per dirla rispettivamente con von Balthasar e il Gran Maestro Brunelli, "le pareti dei templi" o "i bastioni" crollano dissolvendosi e confondendosi in un’unica religione appunto aperta e dialogante in cui la ragione e le parole attraverso cui essa si esprime perdono la loro valenza definitoria e separativa che 8 appartiene al regno oscuro del molteplice materiale e si riconoscono reciprocamente come aspetti complementari di un unico "al di là" neoplatonico da cui il concetto razionale di verità unica ed esclusiva è rigorosamente bandito. È la religione del Vaticano II che ha introdotto e che professa due parole chiave complementari, "ecumenismo" e "dialogo" e le ha più nitidamente teorizzate in due "Dichiarazioni conciliari", la Nostra aetate in cui, come si è visto, "al di là" delle più abissali diversità dottrinali e morali, viene riconosciuto il valore salvifico di tutte le religioni, nessuna esclusa, e la Dignitatis humanae in cui viene proclamato l’«ordine stabilito da Dio» del "libero esercizio della religione", quale che essa sia, coi suoi relativi "atti", purché venga rispettato "l’ordine pubblico", ovviamente individuato e stabilito dallo Stato etico hegeliano e cioè dall’uomo che, sbarazzatosi delle "catene" metafisiche e quindi immutabili del Decalogo, si erge a fonte del diritto e dei diritti, appunto, umani e, come tali, immersi nel tempo, relativi e modificabili a loro piacere dai detentori del potere politico. L’«ordine» del Vaticano II è dunque quello dello Stato etico-burocratico di Hegel, dello stato cioè che nega il Decalogo e mette l’uomo al posto di Dio come fonte del diritto e quindi come metro del giusto e dell’ingiusto, del bene e del male. Tale ordine che, col suo arbitrario relativismo, domina oggi l’intero sistema giuridico occidentale ci richiama dunque al sistema del filosofo di Stoccarda che qui esponiamo nei suoi punti salienti attenendoci alla antologia e alla sintesi di un suo profondo conoscitore. Dovrebbe infatti essere evidente — in forza delle logiche equazioni: vero = bene = giusto = diritto; falso = male-peccato = ingiusto = torto — che due dottrine che coincidono sul piano etico-giuridico devono presentare quanto meno profonde affinità su quello veritativo in senso stretto. Premesso dunque che per quel massimo maestro del Romanticismo che fu appunto Hegel la filosofia "è essenzialmente teologia razionale e servizio divino", giova precisare che il suo dio è, grecamente, "l’anima del mondo" o il "Concetto", vita, spirito, libertà, un continuo processo di animazione che però "si perde per così dire inanimato nella materia sensibile", nel "molteplice" neoplatonico che è "cadavere del processo vitale", carcere cosmico. Entro di esso e contro di esso lo Spirito lotta per trasformare gli esseri indipendenti in membri di un tutto unico e riportare la differenza in una unità soggettiva, un "io" cosmico. La materia insomma è "illusione" e l’intero universo fisico un’enorme "automistificazione" di Dio; se Dio si è nascosto dietro questa "maschera stellata" che lo rende inconoscibile "la sua azione consiste nel sopprimere questa mistificazione", nel togliere progressivamente i veli che lo nascondono per manifestarsi finalmente nel suo vero aspetto che è l’aspetto dello Spirito. Perciò l’ultima manifestazione della natura è la morte: "il suo scopo è sich selbst töten", cioè "darsi la morte" per permettere al Concetto (l’Anima mundi) di "rompere la corazza" della materia sotto la quale è sepolto, e di rinascere come Vita e Spirito. Dopo quanto si è detto a proposito degli altri personaggi passati in rassegna a partire dal Gran Maestro Brunelli, non può stupire che anche per Hegel la ragione, e la parola, che ne è inscindibile, appartengano al regno del molteplice e dunque della materia illusoria e ingannatrice. Attraverso di esse, infatti, l’uomo, distinguendo e classificando, occulta l’unicità dell’Uno. Tutto ciò che l’uomo tocca attraverso il suo pensiero cade dall’albero della vita, si stacca dal suo contesto e perde ogni realtà, perciò la "bellezza impotente" del Romanticismo "odia l’intelletto" che non realizza il mondo e lo dissolve in morte astrazioni. Il nodo centrale che fa della ragione — e della parola — la grande matrice dell’inganno cosmico, falsando la realtà, è il principio di non contraddizione su cui poggia tutta la logica formale. La contraddizione, sostiene infatti Hegel, lungi dall’essere il punto di blocco, il limite insuperabile che denuncia e condanna l’errore, è invece l’essenza delle cose: "tutte le cose sono contraddittorie in sé" perché tutto l’universo è una sola e unica tensione fra la totalità infinita (l’Uno) e i suoi momenti finiti (il molteplice e il suo divenire eracliteo, teso però al ritorno all’Unità). Senza ulteriormente seguire il complicato iter di un sistema programmaticamente contraddittorio, ci limitiamo a dire che per Hegel le tappe del ritorno all’Uno sono tre. Posto invero che il Dio vivente, l’Anima mundi o Concetto, è prigioniero della materia morta, la vita che "folgora" la materia, l’animale quindi, o comunque la biologia, è la prima liberazione di dio e pertanto è, panteisticamente, dio che si libera. Ma la liberazione biologica è ancora solo superficiale, perché inconsapevole, soltanto l’uomo che è l’autocoscienza 9 di dio, il termine in cui il dio panteista diviene consapevole di sé, è chiamato a dissolvere il carcere materiale: l’uomo, poiché è il Concetto (id est, l’Anima mundi, dio) deve negare la natura, sopprimere la materia, la fissità, la finitezza, finché esse cessino di resistere allo Spirito, finché esse entrino nel vortice della sua vita mobile (l’«élan vital» di Bergson). L’uomo, poiché è il Logos incarnato, è essenzialmente il nemico dell’Essere: egli è "l’essere negativo che esiste solo nella misura in cui sopprime l’essere" e cioè il mondo della materia nel senso greco che si è visto: l’oggetto distinto dal Soggetto o Spirito, il molteplice distinto dall’Uno. Dove va tenuto presente un "postulato" fondante del sistema hegeliano: e cioè che la realtà umana è sopraindividuale e totale e che quindi l’individuo particolare, l’uomo singolo, l’io personale è solo un’«astrazione» dell’intelletto. Con la comparsa dell’umanità il processo evolutivo verso la reintegrazione nell’Uno procede attraverso la storia che, essendo storia dell’uomo, del Logos incarnato, e dunque di dio, è, al tempo stesso teogonia, teofania e teodicea, dio in azione. La storia dunque è la terza tappa dell’evoluzione romantico-hegeliana. Per capirne il significato nel quadro di questo sistema occorre tenere sempre ben presente che il monismo-panteismo, assolutizzando e in tal modo divinizzando la natura e l’uomo e pur negando quindi la stessa possibilità dell’esistenza dell’errore e del male, inammissibile in un contesto divino, (tutto è uno, tutto è vero, tutto è bene, tutto è necessario) platealmente contraddicendosi respinge come errore fondamentale il concetto di creazione e con esso, in perfetta continuità con l’illuminismo, quello di trascendenza fondato sulla credenza in un unico vero Dio Creatore e Legislatore. La negazione della trascendenza divina implica anche quella del peccato. Se invero l’uomo, al di là delle sue apparenti personalizzazioni individuali, è uno solo ed è dio, come può esservi in lui peccato contro una legge a lui superiore che lo trascenderebbe? E come può esservi distinzione-contrapposizione, alterità tra bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso nella prospettiva monisticopanteistica hegeliano-romantica secondo la quale tutto è Uno e tutto è vero? Contraddicendo il principio di non contraddizione, e quindi il concetto di verità, Hegel incorre nella contraddizione assoluta che coinvolge e inficia tutto il suo sistema. Ma ciò non può spaventare chi ha eretto la "verità" della contraddizione — e quindi della negazione della verità — a cardine della propria filosofia. Negata la Weltanschauung creazionistica cristiana Hegel elogia il paganesimo degli antichi greci che sarebbero vissuti in armonia col Tutto ignorando l’infelicità della trascendenza. Il paganesimo — egli sostiene — era la religione degli uomini liberi e socialmente realizzati, era la religione dell’uomo per il quale "l’idea della patria, dello stato era […] la realtà invisibile per la quale egli lavorava […] lo scopo finale del mondo". L’antico cittadino nell’ambito della sua polis "ubbidiva alle leggi che lui stesso si era dato", agiva "per un’«idea»" e "davanti a questa idea la sua individualità scompariva". Si realizzava insomma, sia pure nell’ambito ristretto di una società-stato, il cennato principio secondo cui la realtà umana è unica, sopraindividuale e totale e l’individuo è solo un’astrazione. In altre parole i greci avrebbero ignorato la scissione società-persona. Mentre dunque il paganesimo sarebbe stato — come si è visto — la religione degli uomini liberi e socialmente realizzati, il cristianesimo, frutto del dispotismo cesareo romano, sarebbe invece la religione degli schiavi-sudditi di quel dispotismo che, per crearsi uno spazio di illusoria libertà, avrebbero sognato una vita, appunto illusoria, in un mondo diverso da quello reale: il Paradiso. Così facendo essi avrebbero privato il mondo — e in esso l’uomo — della sua personalità e divinità: lo avrebbero reificato immaginando il feticcio di un Dio oggettivo e trascendente, creatore e legislatore. In tal modo avrebbero considerato la Natura, negandole la sua Anima, come un oggetto inanimato e conseguentemente avrebbero degradato l’uomo da "Dio vivente", da autocoscienza della divina Natura, a schiavo di una legge a lui esterna e superiore che sacrilegamente lo giudicherebbe considerandolo soggetto all’errore, e dunque anche al male, al peccato. Fortunatamente però — gioisce Hegel — proprio ai suoi tempi la Storia era giunta a una svolta, una nuova aurora si profilava all’orizzonte: la religione della trascendenza dell’«infelicità» e dello strazio stava venendo superata e travolta dalla Rivoluzione francese, inizio del ritorno all’unità primitiva che, respingendo il Decalogo del Dio-feticcio Trascendente, con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, faceva sì che quest’ultimo, come nel paganesimo greco, tornasse a "obbedi(re) alle leggi che egli stesso si era dato". Con la Rivoluzione 10 — scriveva Hegel — "verità, presenza e realtà sono riunite, i due mondi si sono riconciliati, il cielo viene trasposto sulla terra". Non più dunque distinzione-frattura fra trascendenza e immanenza, Dio e universo, astratto e concreto. All’insegna del motto famoso: "tutto ciò che è reale è razionale (pensiero astratto) e tutto ciò che è razionale è reale", la marcia della Storia verso la reintegrazione dell’Uno accelerava il passo: si poteva pensare nuovamente di costituire un "Io che sia un Noi, un Noi che sia un Io", il "Sé universale", l’uomo cosmico unico e totale, l’Adam Qadmon dei cabalisti, figlio delle contraddizioni talmudiche e nipote dell’orfismo e in genere della religione dei Misteri greca che ebbe in Platone, Plotino e Proclo i suoi più autorevoli esponenti, istruiti peraltro, a loro volta, alle dottrine segrete dei sacerdoti egizî. In questo ordine di idee, il 13 ottobre 1806, all’indomani della battaglia di Jena che sanzionò la fine del Sacro Romano Impero di nazionalità germanica, Hegel vide Napoleone e così annotò: "Vidi l’Imperatore, questa Anima del Mondo mentre attraversava a cavallo le vie della città […] È un sentimento prodigioso vedere questo individuo che, concentrato in un punto, fermo sul cavallo, dilaga su tutto il mondo e lo domina". Il programma di Napoleone di unificare e omologare l’Europa, l’intero bacino mediterraneo e in prospettiva il mondo intero all’insegna dei "diritti dell’uomo" in tal modo omologando e cancellando, con l’aiuto della rete tentacolare delle logge massoniche e paramassoniche, religioni e tradizioni, fallì nel modo che tutti conoscono: i tempi non erano ancora maturi ma l’algido Stato ateo e burocratizzato teorizzato da Montesquieu e divinizzato da Hegel impostato su costituzioni rousseauianamente intese come "contratti sociali" concordati fra uomini, da essi quindi modificabili a piacere, divenne un modello pressoché universale. Il grigio livellamento antropocentrico, accentratore, burocratico, spersonalizzante — democratico o dittatoriale non importa — forgiando l’anonimo "cittadino" dello stato rivoluzionario, educato in standardizzate scuole di Stato, per non parlare di altri accorgimenti collettivizzanti, hanno spianato la via all’accettazione dell’innaturale e mistificante principio romantico-hegeliano secondo cui l’individuo è solo un’«astrazione» e solo lo Stato, in prospettiva l’umanità, è reale: il "male" dell’uomo — scrive Hegel — "è la sua soggettività". Questa fase preparatoria consapevolmente hegeliana, prodromica all’unificazione mondiale — propiziata e accelerata dalle due guerre pure mondiali, madri rispettivamente, in conformità a programmi storicamente accertati e non confutati, della Società delle Nazioni e di quel loro potenziamento che è l’ONU — venne sufficientemente sintetizzata dal fascismo italiano nel motto: "tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato". Questa "teologia" dell’umanità, dell’uomo cosmico disincarnato superindividuale, del "Sé universale" elevato ad Assoluto, postula la negazione (e cioè un atto che già di per sé contraddice radicalmente il sistema hegeliano perché la negazione implica il principio di non contraddizione che Hegel respinge — ancora contraddicendosi — come errore fondamentale) di tutti i limiti che, circoscrivendo sia il singolo, considerato mera astrazione, sia l’umanità nel suo complesso, ne dimostrano la finitezza e la conseguente relatività. Come in Eraclito e in Empedocle, al termine del processo-progresso cosmico, l’Uno che è dio, e cioè per Hegel l’umanità-Logos, che egli chiama anche Concetto e Spirito e che sarebbe tutt’uno con l’Anima mundi, emancipato dalla molteplicità illusoria dei corpi-tomba e della materia-natura, carcere anch’essa ancor più stringente, pur se del pari illusoria, dell’Anima Universale, tornerà a se stesso, alla sua "unità assoluta", liberato da ogni limite di alterità e di pluralità, compreso quello della parola, della logica e quindi della ragione, che spezza e divide con le sue distinzioni e contrapposizioni. Sotto il soffio potente della teofania monistico-panteistica dell’Uno-Tutto, del "soltanto il Tutto è il Vero" le prime a fluidificarsi e a unificarsi saranno le contraddizioni fondamentali vero-falso, bene-male. Cadranno così come illusorie le dualità concetto-oggetto e pensantepensato. In dio — spiega Hegel nella sua "Enzyclopädie" — "nulla è fisso" e quindi, al termine del processo di reintegrazione dell’Uno, appunto perché "nulla è fisso, nulla rimane come essere, bensì tutto è ideale e non è che apparenza". E invero tolto di mezzo come mera apparenza l’universo e anche la dualità pensantepensato che spezzerebbe anch’essa "l’unità assoluta", non resta nulla. E ciò è perfettamente coerente al sistema: cancellato tutto ciò che limita l’uomo, dal corpo-tomba all’intero mondo fisico, al pensiero, non resta proprio nulla. La coerenza del nichilismo hegeliano-romantico si riscontra anche nel suo postulato 11 fondante secondo cui la contraddizione è l’essenza delle cose perché "tutte le cose sono contraddittorie in sé". Infatti questo assunto non può sfociare che nel nulla risultante dalla reciproca elisione dei termini fra loro in contraddizione. Ora, sebbene il "nulla" da loro chiamato Ein-Sof sia, con somma contraddizione, considerato dai cabalisti l’origine del tutto e da Hegel stesso, sulla loro traccia, sia identificato con l’essere nella sua assolutezza indeterminata (essere assoluto = nulla assoluto), è evidente, a prescindere da qualunque altra possibile considerazione, che il nulla assolutizzato e sostantivizzato è un mero non senso verbale come risulta chiaro dalla sua definizione: il nulla assoluto è ciò che assolutamente non è. Anche per il più autorevole teologo del panteismo romantico e del correlativo riscatto dell’errore e della contraddizione elevati a componenti dell’Uno divino, concludere la grandiosa vicenda della storia cosmica e umana, e con essa tutte le proprie ponderose trattazioni, in un oltreché illogico anche autolesionistico "nulla" è piuttosto imbarazzante. Nel vano tentativo di sfuggire a questo imbarazzo nella sua "Fenomenologia dello Spirito" Hegel scrive che per il romanticismo "il bello, il sacro, l’eterno, la religione, l’amore costituiscono l’esca necessaria a svegliare lo slancio di ritrovare l’essenza, non tanto il concetto, ma l’estasi, non tanto la fredda e progressiva necessità della cosa, ma l’entusiasmo ardente […]". Per sottrarsi alle implicazioni della parola "nulla", che non può non investire e invalidare, nullificandolo, anche tutto il suo sistema e le sue argomentazioni, Hegel ricorre a parole del tutto incongruenti a tale sistema. Posto, invero, che l’uomo, "il Logos incarnato", dio insomma, sarebbe "l’essere negativo che esiste solo nella misura in cui sopprime l’essere", riducendo tutto, se stesso compreso, al nulla, esito e scopo di tutto il suo agire, ci si chiede: come può Hegel parlare di "essenza" a proposito del "nulla" e cioè del non essere "assoluto"? E come può questo non essere consistere in un "entusiasmo ardente", quasi avesse sentimenti o, con ancor più grave contraddizione, in un’«estasi» (da eksistemi, stare fuori) nella contemplazione cioè di qualcosa di esterno e superiore ad esso? Come è possibile che vada in "estasi" l’Assoluto? Si dirà che Hegel non teme la contraddizione, anzi ne fa la chiave, il fondamento della sua filosofia, a conclusione della quale l’unica verità, con contraddizione estrema, sarebbe che non c’è alcuna verità. Va peraltro osservato che l’assimilazione in stato di "estasi" dell’Uno-Nulla ("al di là dell’essere") si riscontra testualmente e concettualmente identica in Plotino (Enn. VI 9, 11) come "epécheina tes ousías", come punto di arrivo della "contemplazione" misteriosofica di matrice orfico-platonica assimilata dai cabalisti): la grande modernità di Hegel definito "il primo dei modernisti"! (Reale-Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, ed. La Scuola, 1983, vol. II, p. 72). L’aspetto che più ci preme mettere in evidenza è che la citata "ESTASI fuori dalle dimensioni e dagli scenari dell’Universo visibile", il "Punto Omega" o "noosfera", la "perfetta unità" reintegrata di Teilhard, de Lubac, von Balthasar, Ratzinger etc. coincide in tutto e per tutto con quella di Hegel. Ricordando che anche Rahner, seppur per sentieri diversi, respingendo il principio di non contraddizione pone il postulato fondante del panteismo: il "tutto è vero, nulla è vero" — e con esso l’identità di reale e razionale, di mondo fisico e pensiero — che esclude il piano della Trascendenza, e cioè del dover essere oltre e sopra l’essere, della verità oltre e contro l’errore e del bene oltre e contro il male. A prescindere da Rahner, il cui compito "conciliare" sembra essere stato quello di travisare San Tommaso per mimetizzare-occultare l’abisso dottrinale tra la religione del "Concilio" e quella così felicemente illustrata dall’Aquinate, è agevole constatare che le teologie cosmologiche di Teilhard, Ratzinger e Bergson, in tutto simili, come si è detto, a quelle di Hegel, si svolgono con diversità di esposizione verbale, ma senza note di vera originalità lungo le medesime tappe e verso il medesimo obiettivo. Il punto di partenza comune, esplicito, o implicito è un Uno-Nulla che ricorda molto da vicino lo Sfero di Empedocle "d’ogni parte e per tutto infinito. Sfero rotondo che di sua solitudine gode", oltreché il fuoco e l’«armonia dei contrarî» di Eraclito, tanto citato da Hegel. Questo Uno-Nulla — che Teilhard chiama anche "Spirito" — per quella che, per usare sempre le parole di Teilhard, sarebbe stata una "qualche catastrofe o deviazione primordiale", precipita e si sbriciola, restandovi prigioniero, nelle forme del molteplice-materiale dalla cui scorza comincia a liberarsi in un processo evolutivo 12 che si manifesta prima nella vita, specialmente in quella animale, poi nell’uomo che è, appunto hegelianamente, lo Spirito, il Concetto, il Logos incarnato. L’evoluzione prosegue oltre prolungandosi nella storia nel fluire della quale lo "Spirito" ancora disperso nella peraltro sola apparente molteplicità degli esseri umani, abbandonato l’errore della credenza in un Dio trascendente, creatore della natura in tutte le sue forme e in tutte le sue leggi comprese quelle morali, si concentra e si omologa socializzandosi e spersonalizzandosi nella struttura dello stato burocratico-etico retto da un "diritto" puramente umano: i Diritti dell’uomo appunto. Il prossimo balzo storico-evolutivo sarà l’evoluzione dell’umanità in unico corpo politico: un Governo Mondiale. Sarà questo il prodromo e la vigilia dell’epifania del dio Anthropos. Ma come avverrà l’ultimo e definitivo trapasso, quello dal Governo Mondiale all’indiamento o, per dirla con Teilhard, alla cristificazione dell’Umanità intesa come grande Soggetto unico comprendente tutte le generazioni vissute nell’arco dei millenni? Come si verificherà il passaggio, che Teilhard chiama anche "Parusia", alla "perfetta unità" del "Punto Omega", nel quale, cancellati tutti i limiti e i vincoli dell’universo visibile e della razionalità con le sue strutture logiche e con la separatività discriminante delle parole, resterà solo, esattamente come dicono all’unisono Hegel e Teilhard, un’«estasi», di cui abbiamo denunciato l’inconciliabilità col concetto di "Assoluto"? Con riferimento specifico a Teilhard abbiamo già riportato (a p. 4) una sua spiegazione che non spiega un bel nulla. In un altro passo quel teologo, avendo posto in precedenza la premessa panpsichista, presocratica e platonica secondo cui "senza discussioni possibili" (!) tutta la materia è animata perché se così non fosse non ci sarebbe potuta essere l’evoluzione (il concetto cattolico di "creazione" è così tacitamente archiviato in favore del mondo come Grande Animale di Platone), così illustra la sua "fine del mondo": "l’Umanità presa nel suo insieme (evidenziaz. testuale) dovrà […] abbandonare il suo supporto organo-planetario per ex-centrarsi sul centro trascendente della sua crescente concentrazione, allora per lo Spirito della Terra sarà la fine e il coronamento […] La fine del Mondo, rovesciamento di equilibrio che distacca lo Spirito finalmente compiuto dalla sua matrice materiale per farlo ormai riposare con tutto il suo peso, su Dio-Omega". A prescindere dall’inquietante "Spirito della Terra" e dalla ridondanza delle parole, non è chi non veda che in questo discorso di scientifico non c’è un bel nulla. Esso anzi è tutto fondato sul presupposto magico, e quindi antiscientifico per eccellenza, dell’animazione universale, dell’«Anima mundi», basti ricordare il "De sensu rerum et magia" di Tommaso Campanella. È lo stesso presupposto su cui Ernst Haeckel fondò alla fine del XIX secolo la sua "religione monistica" cui diede il nome di "ecologia" che, a suo dire, era destinata a soppiantare tutte le altre religioni e filosofie in un contesto, peraltro, rigorosamente materialistico. Teilhard dunque non è un pensatore originale: la sua filosofia-teologia si presenta come una variante di quella di Hegel, eliminate le punte esplicitamente pagane e anticristiane, sostituite da una superficiale verniciatura solo nominalistica di reminiscenze cattoliche. Lo stesso discorso vale per Ratzinger mentre Bergson, essendo di religione ebraica, anche se con dichiarate propensioni cattoliche forse fraintese o forse solo strumentali, non aveva bisogno di così faticose forzature mimetiche. Ed ecco allora la domanda: dobbiamo dunque considerare Hegel il fondatore di questa religione di matrice pitagorico-anassimandreo-neoplatonica e soprattutto gnostica dell’uomo, come dio in fieri attraverso l’evoluzione e della storia e del suo ritorno all’Uno assoluto passando per la tappa del Governo mondiale? La risposta è negativa, come abbiamo visto ce l’ha già fornita il Gran Maestro Brunelli: Hegel è soltanto portavoce o, se si preferisce, "apostolo" della dottrina dei Rosa-Croce, e cioè della società segreta iniziatica venuta clamorosamente alla luce nel XVII secolo che professava il luteranesimo esoterico ermetico-alchemico-cabalistico e che trasmise tutta la sua eredità alla massoneria che le intitola il suo 18° grado (Principe Rosa-Croce). Il brindisi di quel grado, riferisce Henry Clausen, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Concilio del Mondo, è "L’uomo è Dio e figlio di Dio e non vi è altro Dio che l’uomo": l’inversione cioè del Primo Comandamento: "Non avrai altro Dio fuori che me". Del resto con un ammiccamento non comprensibile ai profani, ma tipico dell’ambiente iniziatico e comprensibilissimo invece dai suoi adepti, Hegel scrisse che il compito della filosofia è quello di "riconoscere la ragione come la rosa nella croce del presente". È poi agevole constatare che, al di là di dissensi marginali, anche Schelling percorre la stessa strada animistica ed evoluzionistica e 13 arriva alle stesse conclusioni di Hegel: governo mondiale e successive dissoluzioni del cosmo che torna all’Uno. Di fronte a queste dottrine del ritorno all’Uno-nulla plotiniano, altrimenti detto "estasi", "Punto Omega" o "noosfera" — Brunelli dice "Mondo sottile" — ci si chiede come l’antropolatria massonica possa presumere di far svanire con l’umanità anche il cosmo, quello che Hegel chiama "la maschera stellata" che andrebbe soppressa come "mistificazione" illusionistica. Il problema si può dire che si aggravi continuamente perché, a detta degli astronomi, ci sono centinaia di miliardi di galassie e se ne scoprono sempre di nuove. Gli adoratori dell’Umanità non hanno problemi, nulla di più semplice: siccome, giusta l’insegnamento romantico-cabalistico esplicitato da Fichte, il mondo fisico è un "Non Io" illusoriamente proiettato dall’Io, scomparso l’Io e cioè l’Umanità, scompare anche il Non-Io-cosmo, che ne è soltanto l’ombra. Hegel infatti definisce la materia "sistema di pensieri inconscio" onde nella "Fenomenologia dello Spirito" scrive: "l’oggetto è soltanto così come la coscienza lo conosce". Ne segue che "cambiando il sapere si trasforma anche l’oggetto […] l’oggetto diventa un altro perché apparteneva essenzialmente a questo sapere". Del resto l’illuminismo con Kant fantasmizza il mondo. Basti qui ricordare, senza soffermarsi su altri aspetti del pensiero di quel filosofo che furono invocati dagli idealisti come fondamento dei loro sistemi, che egli considerava lo spazio e il tempo strutture soggettivistiche o forme della sensibilità umana destinate pertanto a venir meno col venir meno di essa. Se ne deduce che, alla stregua di questa filosofia illuminata, quando un astronomo scopre una sin lì ignota galassia in realtà è lui che la produce perché prima non era nel raggio creatore e, al tempo stesso, illusionistico dell’Io. Sorge allora la domanda: la produce solo per sé e un pugno di suoi colleghi o anche per il resto dell’umanità che neppur ne sentirà mai parlare? Riferendosi ad atteggiamenti siffatti e alle problematiche che ne conseguono Galileo nella lettera a Pietro Dini del 21 maggio 1611, argomentando con logica stringente, li definisce "cosa ridicola" e nella Terza Giornata del "Dialogo dei Massimi Sistemi" li attribuisce a "presuntuosa, anzi temeraria ignoranza degli uomini". Le parole cui ricorre il grande Pisano: presunzione, temerarietà, ignoranza, ridicolaggine, sono espressioni forti ma certamente condivisibili. Ai suoi oppositori dell’epoca va però riconosciuta l’attenuante di non essersi probabilmente resi conto della vastità delle implicazioni filosofiche del loro soggettivismo-relativismo essendosi trovati di colpo sorpresi, smarriti, increduli e quasi balbettanti di fronte a novità che sconvolgevano tutto quello che fino alla pubblicazione del "Sidereus Nuncius" l’umanità aveva creduto sulla natura del cielo e sul moto degli astri. Le scoperte di Galileo diroccavano inoltre la medicina dell’epoca, in gran parte fondata sugli influssi dei sette pianeti visibili a occhio nudo, e archiviavano il concetto corrente di scienza, tutto incentrato sui gratuiti "ipse dixit" panteistici di Aristotele. Questa attenuante non poteva più essere invocata quando, circa duecento anni dopo il Sidereus Nuncius, Fichte condannava la scienza galileiana come "primo passo verso l’errore". Il concetto di creazione invece è il punto di partenza e il fondamento della Weltanschauung di Galileo che, sulla linea di Sant’Agostino e San Bonaventura, considera l’universo come un "grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi" disposto "in misura, numero e peso" (Sap., 11-21) dal suo Creatore e Legislatore. Quel libro l’uomo può bensì decifrarlo con la certezza obiettiva delle scienze matematiche, ma solo a fatica e in ben piccola parte, perché le sue conoscenze in quelle discipline sono come "un zero" rispetto a quelle di Dio che, solo, le conosce tutte. Per Galileo dunque l’«immaginazione produttiva» idealistica di Fichte che produce inconsciamente le cose che, appunto, immagina l’«Io» che pone e quindi produce il "non Io", è "ridicola" e "temeraria" follia. Noi diremmo piuttosto delirio, il massimo e più ridicolo dei deliri che si possa immaginare: l’uomo che nella sua caducità e insignificante piccolezza, nelle sue stoltezze, iniquità e miserie si fa dio ergendosi ad autore del cosmo in tutte le sue forme. Il fatto che questa paradossale e luciferina teomachia gnostica, idealistico-romantica, soggettivista, relativista e panteista, venga insegnata nelle scuole come conquista del pensiero umano senza considerarne la radicale contrarietà con l’oggettivismo creazionistico veritativo di Galileo e del metodo scientifico da lui fondato — una contrarietà che pone un aut aut ineludibile — è segno dell’opzione anticreazionistica, antirazionale e anticristica che caratterizza il nostro tempo. 14 Che l’obiettivo rosacrociano della massoneria sia l’annichilimento dell’umanità visto come liberazione da tutti i limiti fisici e razionali che la definiscono risulta anche dal fatto che la "parola sacra" del grado di Principe Rosa-Croce (18° del Rito Scozzese Antico e Accettato) è "INRI", intesa non come acronimo di Jesus Nazarenus Rex Judaeorum, bensì della formula "Igne Natura Renovatur Integra" e cioè "la natura viene rinnovata nella sua integrità dal fuoco". Il riferimento è alla dottrina greca (e non solo) dei cicli cosmici, più specificamente nella versione di Eraclito che definisce l’universo "fuoco eternamente vivo che secondo misura si accende e secondo misura si spegne" annichilendosi. Quell’universo che scompare è l’Uno inessenziale di Plotino, non corpo e neppure spirito, come lo Sfero di Empedocle, in altri termini, come si è visto, è la reintegrazione del Primo Adamo, l’«estasi» dell’«Essere Collettivo» nel "mondo sottile" dei Rosa-Croce e del Gran Maestro Brunelli, l’«estasi» di Hegel, anch’essa fuori dagli scenari dell’«Universo visibile» come quella di Teilhard che, seguito da Ratzinger, la chiama anche "noosfera" o "Punto Omega", ed è pure lo "Slancio vitale" liberato dalla materia di Bergson. Giova ribadire che questo obiettivo della cancellazione fisica del genere umano e — nella prospettiva monistica, anticreazionista e antigalileiana del "Non Io", e cioè dell’universo — è la chiave per comprendere il concetto di "progresso" propugnato dalla frammassoneria tramite l’ONU. I conti tornano tutti se si pensa che Bergson fu il primo presidente di quella "Commissione internazionale di cooperazione intellettuale" della Società delle Nazioni, che fu poi sostituita dopo la seconda guerra mondiale dall’UNESCO, l’organizzazione dell’ONU per l’educazione, la scienza e la cultura, centro dottrinale e programmatico delle Nazioni Unite che erano succedute con più ampi poteri, ma identico obiettivo, alla Società delle Nazioni. Il primo Direttore Generale dell’UNESCO fu Julian Huxley che ne enunciò i principî filosofici e le linee operative in un libro-manifesto pubblicato nel 1946 e intitolato "UNESCO: its purpose and its philosophy" nel quale, oltre all’ovvia meta del Governo mondiale, è esplicitamente formulato il programma di cancellare tutte le religioni e tradizioni del mondo sostituendole con una "base filosofica unitaria (unitary philosophic basis)" caratterizzata da un "approccio evoluzionistico (an evolutionary approach)" "davvero monistico (truly monistic)", vale a dire panteistico, articolato secondo le triadi della filosofia hegeliana e greco-antica (the thesis, antithesis and syntesis of hegelian philosophy) con esplicita esclusione del principio di non contraddizione. La nuova fase dell’evoluzione, riferita peraltro solo al genere umano, non sarà più casuale, come sarebbe stata quella teorizzata da Darwin, ma pilotata dagli "allevatori" dell’ONU che stabiliranno il numero dei capi e controlleranno le attitudini dei singoli per assegnar loro i compiti che riterranno opportuni. Tale il programma pubblicato nel 1946 ma soggetto a modifiche. L’ONU infatti nella sua ottica evoluzionistica in eracliteo divenire sostiene che "nulla è immutabile ed eterno in materia di morale" (UNESCO: its purpose and its philosophy, cit., § 11). Tanto meno in quella di diritto, se pur di diritto si potrà ancora parlare in una prospettiva in cui l’umanità è considerata come una specie di mandria da gestire evoluzionisticamente, capo per capo e momento per momento, salvo decisioni di massa per motivi genetici, ambientali o di qualsiasi altro genere. Tali essendo il programma e la filosofia dell’ONU resi pubblici da Julian Huxley, è illuminante ai nostri fini ricordare che di Huxley Teilhard era amico e corrispondente tanto che quel personaggio scrisse la prefazione alla traduzione in inglese del suo "Il fenomeno umano". A questo punto la nostra esposizione può diventare più rapida perché ben note sono le tappe cui ci riferiamo: con l’elezione di Angelo Roncalli — che fra il generale stupore si fregiò del nome inquietante di Giovanni e che nel 1951 era stato nominato osservatore all’UNESCO, si registra una sempre più esplicita adesione di quel personaggio al programma ONUsiano di governo mondiale, che esplicitamente invoca nelle sue encicliche "Mater et magistra" e "Pacem in terris". Nella seconda di dette encicliche l’ONU viene esplicitamente citata con l’augurio che possa raggiungere il suo obiettivo. Di più: dopo aver elogiato la "Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo" proclamata dall’ONU nel 1948 definendola "un atto della più alta importanza", Roncalli la chiosa articolo per articolo incurante del fatto che essa si risolve più o meno in un aggiornamento della anticristica "Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino" che fu la bandiera ideale della Rivoluzione francese del 1789. Se poi si prendono in mano gli atti del Vaticano II, si constata che le espressioni 15 di adesione all’ONU e ai suoi programmi mondialisti sono talmente numerose, oltreché facilmente verificabili, che sarebbe troppo lungo elencarle. Basti qui dire che nel discorso di apertura di quell’assise Roncalli disse che "Il Concilio Ecumenico Vaticano II" "si propone" di "prepara(re) e consolida(re) la via verso quell’unità del genere umano che si richiede […] perché la Città terrestre si componga a somiglianza di quella celeste". Giovanni XXIII — chiamiamolo pure così — non nasconde poi che vuole trasformare la Chiesa in qualcosa di completamente diverso, perciò parla esplicitamente di "un nuovo ordine di rapporti umani" (il Novus Ordo Seclorum della piramide illuminatica del dollaro?) che il concilio vuole contribuire a instaurare per "il compimento di disegni superiori (?) e inattesi" (sic). Nella "Costituzione" di indizione del concilio aveva definito lo stesso "una novella Pentecoste" in vista della "svolta in un’era nuova", evidentemente diversa da quella cristiana in corso. Spigolando fra le tante citazioni possibili per documentare le finalità mondialiste cui era preordinato il Vaticano II, scegliamo il paragrafo 82 della "Costituzione pastorale" "Gaudium et spes" promulgata da Montini succeduto nel frattempo al defunto Roncalli: "è chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale […]" per "interdire del tutto ogni ricorso alla guerra […] venga istituita una autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti". Ovviamente i "diritti" della citata "Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo" del 1948 (e del 1789). Il 4 ottobre 1965, prima della promulgazione della citata "Costituzione", Montini aveva tenuto a New York, nella sede dell’ONU, davanti alla Assemblea Generale di quella organizzazione, appositamente convocata, un solenne discorso preceduto da un messaggio scritto "a nome" — come egli stesso disse — "dell’intero Concilio Ecumenico Vaticano II riunito in Roma". Con avvertenza che entrambi i documenti, su richiesta dei "Padri" del Concilio "benignamente" accolta da Montini, costituiscono parte ufficiale degli atti del Vaticano II. La loro lettura, specialmente quella del discorso ridondante di entusiastici elogi, di ribadite adesioni e di lirici, se non addirittura adoranti entusiasmi, non lascia adito a dubbi: la gerarchia conciliare ha aderito senza riserve a tutti i principî, gli obiettivi e le iniziative dell’ONU offrendo al suo incondizionato servizio le proprie strutture e i propri uomini. Nel raccomandare l’attenta e integrale lettura di quegli atti davvero illuminanti, ci limitiamo ad alcune succinte citazioni: già nel messaggio introduttivo rivolto da Paolo VI ai membri dell’Assemblea si legge: "Altro sistema atto a provvedere al bene pubblico che interessi l’intero genere umano non può sussistere diverso dal vostro, fondato sul rispetto del diritto, della giusta libertà, della dignità della persona". Nessun altro "sistema"! è una vera e propria abdicazione. Poco più oltre, parlando dell’«eccelso dono della pace», Montini aggiunge: "continuate con la vostra operosità, diligenza e pazienza per tale inestimabile bene", la "Chiesa cattolica vi è vicina con la sua cordiale simpatia […] prestando tutta la sua collaborazione". Ma come — sussurrerà qualche arretrato arnese preconciliare — non aveva Gesù detto (Gv 14, 27) "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi"? Chi solleva questa obiezione dimostra di non saper leggere i "segni dei tempi": dopo la roncalliana "svolta di un’era nuova" le cose si sono girate: non è più il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa a dare la pace al mondo, ma il mondo rappresentato dall’ONU a insegnare le vie della vera pace alla chiesa conciliare. Il Gloria infatti non si canta più a Dio nell’alto dei cieli, ma ai membri dell’ONU riuniti nel palazzo costruito sul terreno donato ad hoc dai Rockefeller. Quel Gloria Paolo VI, sempre "a nome dell’intero Concilio", così lo intona: "Grazie a voi e gloria a voi che da vent’anni per la pace lavorate […] Grazie a voi e gloria a voi per i conflitti che avete prevenuti e composti […] Signori, voi avete compiuto e state compiendo un’opera grande: l’educazione dell’umanità alla pace. L’ONU è la grande scuola per questa educazione. Siamo nell’aula magna di tale scuola: chi siede in quest’aula (dove, è il caso di ricordarlo, all’epoca sedevano i membri di tutti paesi comunisti del patto di Varsavia, a partire dall’URSS e quelli della Cina di Mao-Tse-Tung) diventa alunno e diventa maestro nell’arte di costruire la pace". Eh, sì perché "qui si instaura un «sistema di solidarietà»" che "è l’ideale dell’umanità pellegrina nel tempo; è il riflesso, noi osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra […] perché qui voi proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell’uomo (ovviamente quelli della dichiarazione universale ONUsiana del 1948), la sua dignità, la sua libertà e per prima la libertà religiosa 16 (quella cioè — enunciata dal concilio nella "Dichiarazione" "Dignitatis humanae" — di seguire la religione o la filosofia che si preferisce, nessuna esclusa, a proprio insindacabile giudizio). Noi sentiamo che voi siete gli interpreti di ciò che vi è di più alto nella sapienza umana, diremmo quasi il suo carattere sacro". Potremmo andare avanti un pezzo citando passi altrettanto enfatici e ancor più impegnativi, ma quelli qui riportati sono sufficienti a giustificare la sconcertante opzione ancillare fatta da Montini a nome dello Stato del Vaticano ma, a ben vedere, della "chiesa" conciliare: "(Noi) non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere […] se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di poter servire in ciò che a Noi è dato fare con disinteresse, con umiltà, con amore". Osserverà forse qualcuno che questo asservimento del Corpo mistico del Verbo Incarnato, di Dio Figlio, ad una organizzazione umana è un totale capovolgimento del concetto di Chiesa, una bestemmia, ma Montini, riprendendo le parole di Roncalli spiega che siamo entrati in "una nuova era dell’umanità". Ne segue che: "dobbiamo abituarci a pensare in maniera nuova l’uomo; in maniera nuova anche la vita comune degli uomini; in maniera nuova infine la voce della storia e i destini del mondo": tutto "nuovo" insomma, tutto cambiato. Dopo quanto si è detto e visto, non ci par dubbio che le vie e i destini cui si riferisce Montini siano quelli additati dai Teilhard e, prima di lui, da Hegel e dai Rosa-Croce. La menzione della società segreta dei Rosa-Croce di cui, come si è detto, la massoneria, in buona sostanza, è l’istituzionalizzazione in forma organizzata e graduata, ci richiama alla mente la nota opera del Padre paolino Rosario Esposito — tra i protagonisti del "dialogo" chiesa conciliare-massoneria e massone onorario — pubblicata nel 1987 col titolo "Le grandi concordanze fra Chiesa e Massoneria" tutta dedicata al citato dialogo culminato nella pretesa cancellazione della scomunica irrogata dal Codice di Diritto Canonico a tutti gli adepti di quella setta. In quell’opera ampiamente documentata, quel religioso, premesso che in seguito agli studî, che fecero grande scalpore, di Léon de Poncins "tutto il mondo seppe in quale ambiente (appunto massonico) e sotto quali segni (pure massonici) la Società delle Nazioni (di cui l’ONU è la nuova versione potenziata dopo la seconda guerra mondiale) nasceva" conclude che, la recente scoperta da parte dell’ONU "della grande vicinanza alla Chiesa coi propri ideali potrebbe consentire l’applicazione del principio scolastico quae sunt eadem uni tertio, sunt eadem inter se, e cioè due realtà che sono identiche con una terza, sono identiche anche tra loro, e le tre realtà sono appunto, in questo caso, la massoneria, la Società delle NazioniONU e la Chiesa". Sulla base del principio logico richiamato e di quanto abbiamo testé ricordato e inoltre della voluminosa ulteriore incontestabile e convergente documentazione probatoria addotta da Padre Esposito, la sua equazione appare ineccepibile, escluso anche il condizionale di quel "potrebbe" messo lì per attutire lo sconcerto del lettore di fronte a una così inaudita e traumatica novità. Va peraltro fatta salva una sola ma importantissima precisazione: la "chiesa" cui Padre Esposito si riferisce è quella "conciliare", quella cioè del solo "concilio Vaticano II" cui il nome "chiesa" si può attribuire solo in senso strettamente etimologico. Per la Chiesa dei precedenti 21 concilî il discorso è precisamente contrario. Contro la massoneria infatti, dopo la prima scomunica del 1738, altre ne furono fulminate e altre innumerevoli condanne pronunciate — lo stesso Padre Esposito dice di averne recensite oltre tremila aggiungendo che nel corso dei secoli nessuna eresia ne aveva accumulate così tante. Il documento pontificio che rinnova in termini più diffusi la già allora antica condanna è l’enciclica "Humanum genus" di Leone XIII. In essa, riprendendo la nota figura agostiniana delle due città, la città di Dio e la città del suo Avversario, quel Pontefice dice che la seconda "è il regno di Satana" e precisa: "ai tempi nostri i partigiani della città malvagia, ispirati e aiutati da quella società che, largamente diffusa e fortemente congegnata, piglia il nome di Società massonica, pare che tutti cospirino insieme e tentino le ultime prove". "Capitale nemico che usciva fuori dai covi di tenebrose congiure", "la setta dei massoni (era) sorta contro ogni diritto umano e divino". "Nulla — denunciava il Pontefice — può esservi di più perverso dei suoi dogmi" il cui "rio veleno largamente serpeggia negli Stati". In quell’«empia setta» — egli diceva — "si vedono chiaramente l’orgoglio contumace, la perfidia indomita, la simulatrice astuzia di Satana". Tali sono rimasti, anche se purtroppo dopo il 1896 non si sono approfonditi gli studî sui "misteri" della setta, il giudizio e la condanna della Chiesa fino al Codice di Diritto Canonico del 1917 e a tutto il pontificato di Pio XII. Ne segue che, ragionando in ottica preconciliare, anche solo sulla base 17 della scomparsa della scomunica dal codice wojtyliano del 1984, l’equazione di Padre Esposito va così integrata: massoneria-satanismo = ONU; chiesa conciliare = ONU; chiesa conciliare = massoneria-satanismo. E in realtà solo con l’entrare in massoneria al grado più basso, quello iniziale di "apprendista", si aderisce al regno dell’anticristo. Spiega infatti Leone XIII: "con aprir le porte a persone di qualsiasi religione si ottiene il vantaggio di persuadere col fatto il grande errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti, via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia, esser messa in un fascio con le altre". È precisamente ciò che la chiesa conciliare contrabbanda mimetizzandolo sotto il nome di "ecumenismo". Per concludere il nostro necessariamente molto sintetico riepilogo sulla grande novità del "Concilio" ci sembra che nulla possa addursi di più autorevole e significativo del nocciolo centrale del discorso con cui il 7 dicembre 1965 Giovanni Battista Montini, che ne aveva promulgato tutti gli atti e sostenuto gli inizi, chiuse quell’assise e congedò i convenuti. Ecco il testo, già citato con sconcertata deplorazione da qualche autore, ma, in generale almeno, evitando, forse per timore, di soffermarsi sulle sue necessarie implicazioni: "L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella (sua) terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si fa uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) [nel testo latino "talis enim est aestimanda"] dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto, uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del buon Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso". Dunque Montini dice in termini inequivocabili che il Vaticano II, con novità inaudita, è consistito nell’incontro tra due religioni: "la religione (cattolica) del Dio che si fa uomo e la religione (perché tale è, talis enim est aestimanda) dell’uomo che si fa Dio". Ora non è chi non veda che questa seconda religione è quella del "sarete come dei" (Gn 3, 5) che l’orgoglioso Lucifero in forma di serpente suggerì ai nostri progenitori e che è il contrario della prima. Nei confronti di essa, evidentemente insinuatasi come "rio veleno" nei ranghi della gerarchia ecclesiastica, "il Concilio" non solo non ha manifestato un inorridito rigetto riconoscendola sotto la maschera, peraltro molto grossolana, del panteismo hegeliano e teilhardiano, ma ha concepito "simpatia" (da syn-patho = sento assieme) e cioè un affratellante sentire. Anzi "una simpatia immensa" e questa "simpatia immensa" "lo ha tutto (si noti bene: "tutto") pervaso", impregnandolo di sé. Nelle parole del suo capo e pilota, "il Concilio" si presenta dunque nella veste di una triade hegeliana nel cui contesto la religione cattolica del Dio che si fa uomo è la tesi, la religione luciferina dell’uomo che si fa dio è l’antitesi e "il Concilio" è la sintesi. Due dottrine contrarie però, checché ne pensino i panteisti, se messe su pari livello non generano nessuna sintesi, ma o si elidono reciprocamente non lasciando un bel nulla, o impongono una scelta. Ora è evidente che chi mette Lucifero allo stesso livello di Dio, ha già optato per Lucifero. Ciò è tanto vero che lo gnosticismo, perfezionato nella cabala e istituzionalizzato nella massoneria, con radicale intrinseca contraddizione contraddice il principio di non contraddizione e professa la dottrina dei due "Principi" cosmici fondamentali in eterno bilanciamento: quello del bene e quello del male. Dove il Principio del Male sarebbe il Demiurgo, non è ben chiaro se creatore o solo legislatore, del basso e mendace mondo della materia che imprigiona le anime, scintille "divine" precipitate dall’Ein-Soph, dal Nulla primordiale, mentre il Principio del Bene sarebbe il Portatore di Luce, il Lucifero che, appunto con la sua "luce", svela e dissolve il grande inganno cosmico. Con una certa confusione di ruoli e molta esoterica nebbia l’umanità sarebbe, secondo la citata definizione di Hegel, "l’essere negativo che esiste solo nella misura in cui distrugge l’essere" e con l’essere il principio di non contraddizione che lo esprime: "l’essere è". Il Logos di Hegel che nega quel principio è l’Antilogos. Lo schema è, misteriosoficamente, quello già cennato di Empedocle secondo il quale "l’amicizia" e cioè il bene, si afferma nell’unità inessenziale dello Sfero, mentre il cosmo, con la molteplicità delle sue forme — prodotto di un implicito evoluzionismo dello Sfero che si spezza nelle forme molteplici — sarebbe il regno della "contesa", e cioè del male che occulta e profana il fulgore perfetto dell’Uno-Nulla. Essere e Nulla sono la tesi e l’antitesi della prima triade hegeliana. Anche il famoso 18 mito platonico della caverna si inquadra nella concezione orfica del mondo e cioè del molteplice come inganno che occulta la perfezione dell’Apollón, l’Uno-Nulla. Che la sintesi delle due religioni tentata dal "Concilio" non sia riuscita né potesse riuscire, perché la Verità non ammette contaminazioni, risulta con maggiore evidenza che altrove dai due documenti più sinteticamente espliciti di quella assemblea: la "Dignitatis humanae" che, riprendendo nel titolo quasi alla lettera il famoso "manifesto" cabalistico "De hominis dignitate" di Pico della Mirandola, mette in ombra, o meglio, nega la sovranità di Dio dicendo che ognuno ha il diritto intangibile di seguire la propria coscienza e quindi la religione o l’ideologia che più gli aggrada. In tal modo infatti vengono accantonati, insieme a tutta la religione cattolica, i Dieci Comandamenti a partire dal primo: "Io sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Dio fuori che me". L’uomo, il singolo uomo viene assolutizzato, divinizzato, divenendo il legislatore, la regola, la legge infallibile di se stesso. Il secondo documento è la già citata "Dichiarazione conciliare" "Nostra aetate" che — come si è visto — passa in sommaria rassegna tutte le principali religioni e categorie di religioni e tutte altamente le elogia come buone, e quindi, al di là delle più stridenti contraddizioni, vere, perché il falso non può sicuramente essere buono. Tante vie di salvezza dunque. Viene così negato in radice il concetto stesso di Redenzione, insieme col principio di non contraddizione, all’insegna del panteistico e monistico tutto è buono, tutto è vero, cui consegue il grande e unico "comandamento" del satanismo: "Fai quello che vuoi". Tale è lo stato della questione manifestatosi evidentissimo al mondo intero il 27 ottobre 1986 con la famosa giornata della "preghiera universale" di Assisi, di cui il Dalai Lama, l’esponente più in vista del nichilismo buddistico, fu il secondo protagonista dopo Karol Wojtyla. Sulla stessa linea di esplicita apostasia si colloca la giornata del grande "Mea culpa", celebrata solennemente, sempre sotto la presidenza di Wojtyla, all’apertura del nuovo millennio nella chiesa di san Pietro in Roma. Quel "rito" consistette nella solenne proclamazione di sette, peraltro rozzissime, formule in cui tutta l’opera e la vita della Chiesa, fino al Vaticano II escluso, venivano esecrate e rinnegate come delittuose. Al termine della lettura di ognuna delle dette formule veniva pronunciato un reboante e tombale "mai più" e il Prefetto della Dottrina della (nuova) Fede, Joseph Ratzinger, accendeva una candela su un candelabro a sette braccia che ricordava molto una menorah ebraica. La Chiesa fino a tutto il pontificato di Pio XII veniva così umiliata e denunciata al mondo come la prostituta di Babilonia e contestualmente, ciò che per essa è il bene, veniva aborrito come male. E viceversa. Sembrava impossibile, a quel punto, che la gerarchia della "chiesa conciliare" potesse spingersi più oltre e con l’elezione di Ratzinger, personalità caratterialmente più misurata, meno dirompente e meno propensa alle grandi esibizioni e coreografie teatrali, i toni divennero più pacati, quasi a consolidare le posizioni raggiunte e ad evitare reazioni di rigetto da parte di chi continuava a riconoscersi nella fede bimillenaria. Non va peraltro dimenticato che anche Ratzinger portò comunque il suo rilevante contributo all’opera di adeguamento alla "teologia" conciliare. Basti a tale riguardo richiamare alla rinfusa l’«abrogazione» del Limbo, la visita alla Camera della Meditazione dell’ONU e alle sinagoghe di Colonia e di Roma, la rinnovazione, sia pur più felpata, della panteistica cerimonia di Assisi, la "beatificazione" di Wojtyla e quindi della sua opera, l’affermazione della "profonda corrispondenza fra cristianesimo e illuminismo" e il ricevimento in Vaticano di due delegazioni della massoneria ebraica del B’nai B’rith, rispettivamente nel 2006 e nel 2011. Il procedere di Ratzinger parve però troppo circospetto a chi, più in alto di lui, presiedeva al grande processo mondialista e riteneva i tempi ormai maturi per i più estremi ed espliciti ardimenti. Fu così che, con manovra che lasciò sorpreso il mondo, il timone della chiesa conciliare fu strappato dalle sue mani e affidato a quelle rozze, brusche ed esplicite di Jorge Mario Bergoglio. Va comunque rilevato che la "chiesa conciliare", a differenza della Chiesa cattolica, non si presenta come arca di Verità e di salvezza di cui non si può negare un solo dogma senza negarla tutta, ma come struttura triadica, appunto hegeliana, articolata in "tradizionalisti", "progressisti" e "moderati": tesi, antitesi e sintesi. Un contesto relativista in cui i dogmi, riconosciuta la cattolicità di chi li nega o li archivia, appaiono ballerini 19 e la sintesi si pone come tesi di una nuova triade sempre più in allontanamento dalla stabilità intangibile del Vero. Con Bergoglio in particolare, a partire, ma solo a partire, dal suo famoso "Chi sono io per giudicare?", la chiesa conciliare si manifesta sempre più, coi suoi simboli, i suoi "sinodi" e in genere tutte le sue esteriorizzazioni, come la "chiesa" mondialista arcobaleno, la "chiesa" ONUsiana protesa alla lotta contro la "sovrappopolazione". Basti ricordare a questo riguardo che, al di là di contraddizioni strategiche, l’icona femminile esemplare che Bergoglio ha additato alle donne italiane non fu la sorpassata e preconciliare Santa Maria Goretti, cara a Pio XII che, essendo un "profeta di sventura", dimostrò così di non saper leggere i "segni dei tempi" su cui si orientava Roncalli, ma Emma Bonino, che costruì gran parte della sua straordinaria carriera politica proclamando di avere fatto 10.141 (dicesi diecimilacentoquarantuno) aborti clandestini e facendosi fotografare mentre ne praticava uno con una pompa da bicicletta. Il nobile fine era quello di normalizzare quel crimine e aprire la strada anche in Italia alla grande mattanza propugnata dall’ONU come importantissimo "diritto umano", indispensabile ai fini ecologici, così cari anche a Bergoglio. Altre battaglie di quel modello dell’etica conciliare sono quelle per la legalizzazione della droga, per l’eutanasia, per le "nozze gay", per la sostituzione etnica degli italiani — e degli europei — sulla linea simbolica della bergogliana croce di Lampedusa. Alla Bonino, infatti, scrive Giuliano Perna in uno dei suoi famosi "ritratti", Bergoglio "telefona regolarmente per dichiarare all’inclita e al colto il suo incantamento per la novella Angelica". Anche al sesso maschile l’attuale capo della chiesa conciliare ha proposto il suo modello, peraltro non esattamente ricalcato su quello di San Francesco: l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano, notorio massone di alto profilo e comunista di antica data, idealmente e programmaticamente assai prossimo alla Bonino con cui ha uno stretto rapporto di fiducia, consiglio e collaborazione. Fra le gesta di Napolitano è molto ricordata l’approvazione che diede all’operazione dell’Armata Rossa allorché, nel 1956, violati i confini di stato, schiacciò sotto i cingoli dei suoi carri armati l’anelito alla libertà del popolo ungherese. Più recente è stato il suo appoggio istituzionale all’eutanasia quando è intervenuto con tutto il peso della propria posizione stroncando il tentativo di Silvio Berlusconi di salvare la vita di Eluana Englaro. La perfetta sintonia etico-politica di Bergoglio con la Bonino e Napolitano ("Napolitano e Bonino sono tra i grandi dell’Italia di oggi"), per la già richiamata proprietà transitiva, rimanda a un livello molto più alto: Giorgio Soros, da cui notoriamente la Bonino dipende e di cui rappresenta la più ufficiale pedina politica in Italia, al punto di essere soprannominata, per lo strano copricapo che indossa, "il Turbante di Soros". Quel sulfureo, spregiudicato speculatore ebreo-ungherese è il più noto pescecane dell’Alta Finanza. Le sue ciniche mosse più famose e devastanti furono quelle del 1992 quando ammaccò o addirittura affondò le valute, e con esse le economie di mezzo mondo, dalla sterlina, al rublo, a quelle delle cosiddette "tigri asiatiche" da lui ridotte a semplici gattini, alla lira italiana che perse il 30% del proprio valore con un impoverimento del paese di cui ancora oggi subiamo le pesanti conseguenze. Attraverso la sua "Foundation" di cui la Bonino fa parte, Soros è il più noto promotore e fautore, nel nome programmatico della propria "Open Society" dell’economia globalizzata mondiale e mondialista auspicata e pronosticata dalla Gaudium et spes e con essa del governo mondiale ONUsiano all’insegna di una omologazione ideale ed etnica che passa attraverso la cancellazione e l’abbattimento dei confini degli stati e delle aree di civiltà, le migrazioni di massa, il "melting pot" delle razze e delle religioni, la mistica della droga, l’eutanasia e tutte le altre battaglie in vista del governo mondiale che la Bonino assiduamente combatte. Si desume allora, senza tema di errore, che l’aureola di santità conciliare che circonfonde il "Turbante di Soros" brilla con ancor maggior fulgore sul capo di quel Grande Vecchio della finanza. Ne segue che chi vuol decifrare le opzioni etico-politiche di Bergoglio ci arriva per via più diretta e autorevole individuando quelle di Soros, che peraltro coincidono in tutto e per tutto con quelle dell’ONU. Certo, pur non essendo al vertice della gerarchia mondialista che lo ha a un certo punto cooptato, Bergoglio vi riveste comunque un ruolo molto importante essendo colui che è attualmente preposto a 20 quell’occultamento del principio di verità e di quello da esso inscindibile di non contraddizione che "il Concilio" ha codificato. È dunque precisamente nella linea di questo insegnamento che nella sua predica mattutina del 14 maggio 2020 quel personaggio così sintetizzò l’antidiscriminatorio e "inclusivo" credo conciliare e wojtylianamente assisiate: "Per questo oggi tutti, fratelli e sorelle di qualsiasi confessione religiosa, preghiamo Dio. Forse ci sarà qualcuno che dirà: «Questo è relativismo religioso e non si può fare». Ma come non si può fare, pregare il Padre di tutti? Ognuno prega come sa, come può, come ha ricevuto dalla propria cultura (che magari, come il buddismo, nega Dio come tante religioni asiatiche e africane o, come tosto ricorderemo, lo stesso Bergoglio che adora non "il Padre", ma la Madre Terra, etc. etc. — nota nostra). Noi non stiamo pregando l’uno contro l’altro, questa tradizione religiosa contro quest’altra, no! Siamo uniti tutti come esseri umani (l’Adam Qadmon cabalistico, il "Concetto" di Hegel, i diritti dell’uomo — nota nostra), come fratelli, pregando Dio secondo la propria cultura, secondo la propria tradizione, secondo le proprie credenze, ma fratelli, e pregando Dio, questo è l’importante". Insomma: ancora una volta il "tutto è vero, tutto è bene" col correlativo "Fai quello che vuoi" del "Concilione". Naturalmente in questo romantico e dolciastro pistolotto Gesù Cristo non trova posto. Coi suoi arcidivisivi "chi non è con me è contro di me", "chi non raccoglie meco disperde", "Io sono la porta", "Io sono la verità" e via dicendo, espressioni che, insieme col concetto di Redenzione, contraddicono in termini il tutto è vero hegeliano e teilhardiano, egli appare come il nemico numero uno della pax panteista ONUsiana; la verità è sempre divisiva: i martiri furono uccisi perché spezzavano la concordia del Pantheon. Non può stupire che sulla base di un siffatto "magistero" Bergoglio abbia raccolto molti qualificati e qualificanti riconoscimenti da parte delle logge massoniche. Nel "ritratto" che gli dedicò nel 2018 Giancarlo Perna, ricordando anche il suo noto, autoritativo intervento del 2016 a favore del preservativo nell’ambito di una controversia sorta all’interno dell’Ordine di Malta, citava una ricerca del vaticanista de "La Stampa" Marco Tosatti. Quel giornalista aveva individuato ben 63 elogi massonici guadagnati sul campo da Bergoglio a partire dal 2013 "dalle logge italiane alla ebraica B’nai B’rith, alle statunitensi, al Grande Oriente do Brazil" etc.. Nel suo sconcertato ritratto Perna ricordava anche "una visita del 2006 del cardinale Bergoglio a Licio Gelli, quello della P2, a Villa Wanda". Le clamorose osannate manifestazioni celebrative per i 500 anni della "riforma" luterana si inseriscono perfettamente nell’ambito del monismo panteistico conciliar-bergogliano. A ben vedere infatti il libero esame protestante, con le generalmente taciute ma ben individuate premesse cabalistiche e quindi gnostiche derivategli da Reuchlin, di cui Lutero si professava discepolo, si risolve infatti in un appena felpato "tutto è vero nulla è vero" conciliare. A tutti questi inconfutabili dati ed elementi se ne sono aggiunti altri due più attuali che mettono in ancor maggiore evidenza l’aut aut, l’ineludibile scelta di campo cui il cattolico non può sottrarsi, pena un’adesione tacita alla "chiesa" del "Superconcilio" — che, ci ripetiamo, pretende di abrogare tutti i ventuno Concilî della Chiesa cattolica — un’adesione cioè alla "chiesa" ONUsiana arcobaleno, la "chiesa" LGBT, le cui opzioni sodomitiche di principio appaiono, come in massoneria, ispirate, a livello esoterico, — che pure esiste nella chiesa conciliare — al mito platonico dell’androgino originario. In questa prospettiva il non prendere esplicita posizione sulle circostanziate, qualificate, ben note e palesemente veridiche accuse dall’arcivescovo Mons. Carlo Maria Viganò, il non sostenerlo e quindi, in sostanza, l’isolarlo lasciandolo solo a combattere la sua coraggiosa battaglia, significa svalutare quelle accuse con notevole vantaggio per Bergoglio e la sua "chiesa conciliare". Né vale circoscrivere le critiche, magari verbalmente severe, alla persona di Bergoglio, consequenziale e fedele interprete ed esplicatore della "teologia" della "chiesa conciliare", continuando a riconoscere in lui, benché egli stesso neghi di esserlo, il Vicario di Cristo. A prescindere da ogni altro elemento, il suo culto per l’idolo sudamericano Pacha Mama lo connota senza possibilità di equivoci, o anche solo di eufemismi, per un idolatra, e gli atti di quel culto lo connotano altresì come uno stregone. Il cattolico esitante è a tal punto esposto al reale pericolo di professare implicitamente ma inequivocabilmente un nuovissimo dogma: non solo un luterano, ma anche un idolatra, uno stregone, oltreché un adepto palese di quella che prima del 21 "Concilio" veniva chiamata Sinagoga di Satana, può essere Papa e di conseguenza, gli incombe l’obbligo di pregare in unità di fede con lui. A questo punto, perso ogni consistente riferimento, per i sedeplenisti Bergoglio o chi per lui continuerebbe ad essere Sommo Pontefice anche se, more azteco, sacrificasse di sua mano decine di persone sugli altari di qualche dio, magari del Lucem ferens della massoneria. È forse il caso di osservare che, almeno a quanto si legge in Internet, l’idolo Pacha Mama simboleggia la Madre Terra, la dea dell’«ecologia integrale» del "sinodo" amazzonico. Ora è ben noto che tutte le divinità telluriche sono divinità ctonie, abissali, e che l’animismo di Platone, o di Teilhard col suo "Spirito della terra", tutto animando e divinizzando — ricordiamo l’Anima mundi — giustifica l’idolatria e la teurgia. Chi si riconosce in Bergoglio e nella sua "chiesa conciliare" si colloca dunque nel perimetro della "chiesa" arcobaleno, la controchiesa del panteismo ecumenico cioè "dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti" professato dalla massoneria ed esecrato come diabolico da Leone XIII nella Humanum genus. Noi sappiamo bene però che non vi è un’unica platonica e teilhardiana Anima mundi e che invece le anime rispondono a Dio una per una. Poiché anche noi di anime ne abbiamo una sola e per giunta temiamo molto della nostra perseveranza nell’inasprirsi della già attuale persecuzione, ci siamo sentiti obbligati a esporre questa riflessione e messa in guardia all’indirizzo di quei cattolici che, vigili, intendono resistere al culto del "dio" della menzogna e della morte. Carlo Alberto Agnoli Paolo Taufer
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione