Il libro maledetto che fa dei morti anche se non esiste
11 Gennaio 2022
Siamo fatti per la felicità e la vita, non per la paura
14 Gennaio 2022
Il libro maledetto che fa dei morti anche se non esiste
11 Gennaio 2022
Siamo fatti per la felicità e la vita, non per la paura
14 Gennaio 2022
Mostra tutto

Il re Pescatore potrebbe simboleggiare Gesù Cristo?

Las prima opera in cui compare il Santo Graal è il Perceval le Gallois ou le Conte du Graal di Chrétien de Troyes (1113-1191), opera rimasta incompiuta per la morte improvvisa dell’autore. Pochi anni dopo, alla fine del XII secolo, furono scritti anche i due poemi Estoire du Graal e Le roman de Merlin di Robert de Boron, un monaco francese che era però suddito del re inglese Enrico II (quello dell’assassinio di Thomas Beckett), il quale lega il ciclo della materia bretone o arturiana, ruotante intorno ai Cavalieri della Tavola Rotonda e specialmente alla figura di Lancillotto, con la materia del Santo Graal, che qui viene identificato con il calice nel quale Giuseppe d’Arimatea raccolse alcune gocce del sangue di Cristo sulla croce, e che poi trasportò in Inghilterra, fondando la celebre abbazia di Glastonbury, mentre il mago Merlino si assumeva il compito di custodire la sacra reliquia. Pertanto la leggenda del Graal nasce senza riferimenti espliciti ad un significato cristiano dell’oggetto misterioso, significato che viene dato piuttosto per già conosciuto, anche se non è così, almeno per noi moderni, che restiamo perplessi dalla sua comparsa e dobbiamo forse lamentare la perdita di qualche prezioso anello di congiunzione fra le due leggende, quella di Artù e quella del Graal. D’altra parte la leggenda del Graal viene quasi subito "cristianizzata" ufficialmente e rivestita di elementi precisi, in particolare la Passione di Gesù Cristo, da Robert de Boron. Poi, nei primi anni del Duecento, non oltre la metà del terzo decennio, compare il Perlesvaus ou le Haut livre du Graal, di autore anonimo; finché la storia del Graal torna al centro di un importante poema cavalleresco, Parzival, suddiviso in sedici libri per un totale di 25.000 versi, per merito di Wolfram von Eschenbach, un poeta tedesco attivo presso la corte della Turingia e vissuto circa fra il 1170 e il 1220. Qui vediamo chiaramente un cavaliere in un "romanzo di formazione", proiettato alla ricerca di qualcosa che dia un significato più alto alla sua vita e che trascenda gl’ideali cortesi allora dominanti presso l’aristocrazia feudale.

La figura del re Pescatore (così chiamato perché passa il tempo a pescare) compare già nel Roman de Perceval di Chrétien de Troyes, nel quale, a dire il vero, Parsifal incontra non uno, ma due re feriti, padre e figlio, ma, per una forma di discrezione, non fa loro domande; poi però, lasciato il castello, scopre che avrebbe potuto guarirli se avesse chiesto loro del Graal, che a un certo punto aveva visto recato con solennità, quasi in processione, come un calice dal valore magico. Che si tratti della coppa che aveva contenuto il sangue di Gesù Cristo non viene detto: tale interpretazione è successiva, e per questo abbiamo detto che la leggenda originaria del Graal non è direttamente collegata a Gesù e al cristianesimo, ma potrebbe essere di origine diversa, pre-cristiana o comunque non cristiana. Del resto, non sappiamo che sviluppi avrebbe dato Chrétien alla storia, e specialmente che valore e quale significato al Graal, a causa della sua morte, che ha interrotto la stesura del poema. Nella parte finale vediamo Parsifal ritornare al castello, dopo aver scoperto di essere il nipote del Re ferito, in quanto sua madre è la figlia di lui; ma non sappiamo cosa avrebbe voluto fare dopo essere tornato alla presenza dei due dolorosi personaggi, se avrebbe potuto guarirli dalla loro infermità e se ne sarebbe stato ricompensato con il dono del Graal. In ogni caso, nel poema di Chrétien il Graal non viene presentato esplicitamente come il calice del sangue di Cristo, né come il calice dell’Ultima Cena; in realtà non viene detto nulla che possa collegare il Graal alla tradizione cristiana, il che ha fatto sorgere il dubbio che tale oggetto sia piuttosto da ricollegarsi con qualche elemento della mitologia celtica, e in particolare che la figura del re Pescatore si richiami in qualche misura a quella del dio Bran di cui si parla nel ciclo del Mabinogion, un insieme di testi in prosa del Galles medievale che si rifanno ad epoche antichissime, e a loro volte collegati con alcune leggende e racconti della tradizione irlandese.

È anche noto che, nel corso degli ultimi decenni, è sorta una scuola di ricercatori, i quali sovente si muovono al limite del romanzesco, quasi a caccia di elementi sensazionalistici, secondo la quale il Graal avrebbe, sì, attinenza con il cristianesimo, però non sarebbe un oggetto relativo alla Passione di Cristo, ma indicherebbe il sangue della discendenza reale che va da Gesù ai re merovingi. In tal caso l’espressione Saint Graal andrebbe tradotta con Sang Real, «sangue reale», e indicherebbe non già un oggetto, per quanto circonfuso di valenze simboliche e spirituali, ma con un fatto assai preciso: il sangue che scorre nelle vene dei successori di Gesù, che sarebbero stati i sovrani di Francia prima dell’avvento dei Carolingi. Va da sé che, per dare corpo a questa teoria, bisogna supporre che Gesù abbia avuto dei discendenti, e che tali discendenti si siano trasferiti dalla Palestina in Gallia, cioè in Francia, dopo la sua morte: il che contrasta in maniera radicale col racconto dei Vangeli. Per quanto tali ricercatori si siano arrampicati sugli specchi per trovare un appiglio alle loro teorie, nei Vangeli nulla si trova che possa suffragare una teoria così azzardata; e quanto all’ipotesi che Cristo si sarebbe sposato con Maria Maddalena, e da lei avrebbe avuto dei figli, come un qualsiasi genitore che, prima di lasciare la vita terrena, mette al mondo una prole che continui la propria linea di sangue, sembra più adatta come canovaccio per la stesura di un libro di Dan Brown che una possibilità storica capace di conquistarsi una sia pur minima credibilità presso degli studiosi seri. Naturalmente, alle obiezioni di chi domanda un qualche sia pur vago indizio che possa suffragare le loro affermazioni, essi rispondono puntando il dito contro la cultura cristiana dominante e contro la Chiesa cattiva, che, servendosi dell’Inquisizione, dei processi, delle torture e dei roghi contro gli eretici, ha sepolto nell’oblio il ricordo del "sangue reale" dei Merovingi e ha cristianizzato a forza la tradizione del Graal, negando però che nella figura del re Pescatore si possa vedere un’allegoria di Gesù Cristo. Sempre per il timore che legando troppo le due leggende, quella del Graal e quella di uno sbarco in terra di Francia di Giuseppe d’Arimatea, e forse di Maria Maddalena (magari con i figli avuti da Gesù) si sarebbe alimentata la credenza che Gesù ebbe realmente dei discendenti, dal che discenderebbe che i Vangeli non dicono la verità riguardo alla sua vita, alla sua condizione di uomo sposato e soprattutto alla sua discendenza. In breve, il cristianesimo, così come lo conosciamo, uscirebbe distrutto, o comunque radicalmente modificato, da una simile "variante", e ciò avrebbe spinto il clero a opporsi con ogni mezzo alla diffusione della "vera" storia del Graal.

Su questa linea interpretativa si colloca in particolare il "capostipite" del filone diciamo così complottista, Il Santo Graal di Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln, apparso nel 1982 (titolo originale: The Holy Blood and the Holy Graal, cioè «il sacro sangue e il sacro Graal»). Bisogna pur dire che l’idea di una discendenza "reale" da Gesù Cristo e da Maria Maddalena, trapiantata in terra di Francia, non è nata nella mente di tali autori contemporanei, ma è decisamente più antica, e s’intreccia con la storia dell’eresia catara. Infatti, quando i Catari erano molto forti e diffusi nella Provenza e in molte altre regioni della Francia meridionale, prima che la crociata bandita nel 1209 da Innocenzo III li sradicasse, una "voce" del genere circolava appunto fra di essi. Lo sappiamo da uno storico del tempo, il monaco Pietro di Vaux de Cernay (1185 circa-1218), autore di una Historia Albigensis, che, pur essendo decisamente partigiana, costituisce nondimeno, per l’accuratezza dell’informazione, una fonte indispensabile per la conoscenza di quel movimento e di quei drammatici eventi. In essa l’autore riporta, fra l’altro, la tradizione, raccolta e propalata dai Catari, secondo la quale santa Maria Maddalena era la concubina di Gesù Cristo, e che ella avrebbe avuto da Lui quantomeno una figlia. Fra i moderni, a riprendere questo "filone" spregiudicato non sono stati per primi Baigent, Leigh e Lincoln, ma un giornalista australiano oggi pressoché dimenticato, Donovan Joyce, autore nel 1973 di un best-seller che fece molto chiasso, The Jesus Scroll, ossia La pergamena di Gesù, che probabilmente è stato una delle maggiori fonti d’ispirazione del famigerato Codice Da Vinci di Dan Brown, pubblicato nel 2003, giusto trent’anni dopo. Nel suo libro, Joyce Donovan sostiene che Gesù non è morto sulla croce, ma è stato raccolto ancora vivo dai suoi discepoli e portato al sicuro; che si è poi unito ai difensori di Masada durante la guerra degli ebrei contro i romani, ed è perito nel corso dell’assedio; infine che aveva sposato Maria Maddalena e avuto da lei una figlia.

In una posizione in apparenza più moderata, anche se in realtà forse solo più abile e diplomatica, si pongono quegli autori, come gli spagnoli Carlos Cagigal e Alfredo Ros, i quali non affermano con certezza che il Graal designava la discendenza reale di Gesù Cristo, ma che tale possibilità esiste e che ha la stessa dignità della tradizione "cattolica" secondo la quale il Graal era il calice contenente il sangue di Gesù Cristo, o quello in cui Egli bevve durante l’Ultima Cena, o, ancora, la lancia del centurione Longino con la quale venne trafitto il Suo costato, comunque un oggetto legato alla Passione, e dunque una reliquia particolarmente sacra e preziosa. Secondo loro, anche la figura del re Pescatore è probabilmente un’allegoria di Gesù stesso, e la ferita da cui è afflitto richiamerebbe direttamente quella ricevuta sulla croce (in verità al costato e non alla gamba o all’inguine: ma tant’è, una volta che ci si mette sulla strada delle ipotesi azzardate, il salto nelle illazioni gratuite diventa inevitabile). Gesù non veniva forse rappresentato, dai primi cristiani, con il simbolo del pesce, dato che le lettere di questa parola, in greco Ichtùs, formano un acrostico che si può leggere: Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr, «Gesù Cristo, il Figlio di Dio Salvatore»? E dunque, cosa di più semplice che collegare il "pesce" della simbologia cristiana dei primi secoli con il re Pescatore dei poemi cavallereschi? Come si vede, anche in questo caso il salto è grande: c’è da spaccarsi le gambe. Ma ne vale la pena, quando si tratta di corteggiare il successo con un libro-scandalo che prenda a bersaglio la decrepita, oscurantista Chiesa cattolica, e offa una sorta di rivincita postuma, per conto dei Catari, a tutti gli gnostici del passato e del presente (e Dio sa se ce n’è, e son penetrati fin dentro la Chiesa, naturalmente col debito travestimento e la necessaria dose d’ipocrisia).

Ecco un breve saggio del "metodo" dei due ricercatori suddetti (in: Figli del Sangue Reale. I segreti della dinastia merovingia; titolo originale: El Grial secreto de los Merovingios, 2005; traduzione di Claudia Marinelli, Milano, Marco Tropea Editore, 2008, pp. 137-138):

IL PESCE, GESÙ E IL RE PESCATORE.

Dopo il significato occulto del Santo Graal, questo è un altro dei punti controversi. Le storie del Graal presentano il re Pescatore come un uomo circondato dal mistero. Sono stati diversi gli studiosi che hanno identificato questo enigmatico personaggio con la figura di Gesù Cristo; elementi come la lancia insanguinata; un re Pescatore infermo o ferito nel costato; simboli come la colomba, il pesce e un’infinità di altri elementi alludono a Gesù e al cristianesimo primitivo. Ora qualcuno potrebbe chiedersi: se ci sono elementi cristiani nelle storie del Graal, perché per la Chiesa cattolica le prime storie dovrebbero avere radici eretiche? Può sembrare un controsenso, ma in realtà non lo è. Le storie originarie, pur contenendo simbolismi prettamente cristiani, presentavano alcuni insegnamenti molto distanti dalle dottrine predicate dalla Chiesa. E per quest’ultima, anche se ormai si tratta di un’espressione in disuso, un "eretico" è ogni cristiano che sostenga dottrine differenti da quella ufficiale. Punto e basta.

In alcune storie del Graal l’enigmatico re Pescatore è uno dei personaggi centrali. Nel "Parzival" [di Wolfram von Eschenbach] questo sovrano protegge la pietra con cui Dio comunica con gli uomini ed è lo stesso Parzival a essere designato per sostituire il re Pescatore. Gran parte della polemica è connessa con questo misterioso personaggio. Molti studiosi lo hanno identificato con Gesù Cristo: per appoggiare la loro teoria hanno utilizzato alcuni passaggi dei vangeli, stabilendo una relazione tra le storie medievali del Santo Graal e la simbologia cristiana. Tra il pesce, il re Pescatore e Gesù Cristo. Per altro verso, la Chiesa cattolica e alcuni circoli accademici affermano che quel personaggio dei racconti graalici non presenta alcuna relazione con il Messia. Affermano addirittura che l’antico titolo di re Pescatore non si riferiva a Gesù. Eppure, anche se così fosse stato, non l’avrebbero certo ammesso a causa delle sue possibili implicazioni politiche e religiose.

Il pesce era un simbolo mistico, adottati dai seguaci della Chiesa primitiva per rappresentare Gesù e per manifestare la propria adesione alla fede cristiana. Il pesce e il re Pescatore sono sì due elementi cristiani delle storie del Graal, ma il loro significato si scontrava frontalmente con le dottrine predicate dalla Santa Sede.

Ciascuno si faccia la propria opinione. Per noi è chiaro che questa è pseudo storia. Basta la frase anche se così fosse stato, non l’avrebbero certo ammesso a causa delle sue possibili implicazioni politiche e religiose, per mostrare la prevenzione degli autori. Lo storico non processa le intenzioni…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.