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12 Gennaio 2022Chi conosce l’opera letteraria di H. P. Lovecraft sa che molti dei suoi racconti ruotano intorno a un libro di magia nera, il Necronomicon, scritto nell’VIII secolo da uno studioso arabo pazzo dello Yemen, Abdul Alhazred, e considerato apportatore d’immense sciagure, poiché contiene il segreto per evocare i Grandi Antichi, le divinità malefiche che abitano nello spazio e cercano di ritornare sulla terra, dove un tempo avevano la loro dimora (cfr. Il nostro saggio Gli dèi mostruosi venuto dallo spazio. Letture e riflessioni dall’opera di H. P. Lovecraft, pubblicato il 07/12/17 sul sorto dell’Accademia Nuova Italia, e che era il testo d’una conferenza tenuta il 30/03/07 presso il Palazzo Foscolo di Oderzo). E sa anche che quel libro non esiste: è solo un’invenzione letteraria dello scrittore di Providence, come lui stesso ha dichiarato a suo tempo. Ciò non toglie che molti fanatici ammiratori della sua opera non si sono rassegnati e hanno cercato ovunque per scovare il libro maledetto, ipotizzando che Lovecraft doveva sapere in proposito ben più di quanto non volesse ammettere. Tanto più che egli era solito schermirsi dietro l’immagine di un razionalista e un materialista scettico che amava comporre opere fantastiche per puro diletto, mentre si sa che egli era letteralmente ossessionato dalle creature dell’altrove; che le sognava ogni notte, fin da bambino; che conduceva una strana vita crepuscolare non proprio in linea con le dichiarazioni "ufficiali", per cui è legittimo il sospetto che volesse nascondere la sua vera natura ed i suoi veri interessi, coltivati per mezzo di studi assai approfonditi, simulando uno scetticismo che era solo una maschera. Sta di fatto che nessuno è riuscito a trovare una copia del libro, nonostante le indicazioni fornite dallo stesso Lovecraft nei suoi racconti; e tuttavia, in mancanza del libro, c’è stato chi si è provato a colmare la lacuna scrivendone uno con lo stesso titolo, il che a un certo punto ha creato qualche confusione fra ciò che è realmente uscito dalla penna dello scrittore e ciò che invece è stato composto da seguaci e ammiratori del "solitario di Providence".
Ebbene, chi crederebbe che questo libro-non libro, questo prodotto dell’immaginazione di uno scrittore inquietante e fantasioso, vissuto nei primi decenni del XX secolo come un recluso che si era ritirato in un mondo tutto suo, è stato capace d’ispirare azioni malvagie, di armare delle mani assassine e di spargere di morti la sua umbratile esistenza? Eppure è proprio quel che è accaduto e continua ad accadere. Non tutti gli ammiratori di Lovecraft sono tipi originali ma inoffensivi, degli innocui topi da biblioteca; ci sono anche delle persone deviate, crudeli, psicopatiche, per le quali il suo grimorio infernale è il testo sacro al quale s’ispirano per commettere atrocità senza nome; e questo non nei secoli oscuri del medioevo, ma ai nostri giorni, nelle grandi città moderne e all’ombra dei grattacieli.
Citiamo ancora una volta il libro Vampiri di Sondra London, la controversa scrittrice americana — controversa non in quanto giornalista, ché anzi è piuttosto ben documentata, ma dal punto di vista morale — da noi già utilizzato un’altra occasione (titolo originale: True Vampires, 2004; traduzione di T. Albanese e A. Orlando, Milano, Mondadori 2006, pp. 20-22):
Nel magico mondo delle persone che giocano a fare i vampiri, il "Necronomicon" è spesso usato a scopo cerimoniale. Ma anche se viene impiegato per un fine occulto, la sua natura e la sua origine non sono le stesse di un autentico prontuario di magia nera. Con questo libro ci spostiamo dal mondo della tradizione dell’occultismo a quello della fantasia.
La rivista "Weird Tales" fu fondata nel 1923 e i racconti di H. P. Lovecraft hanno incupito le sue pagine per tutti gli anni Venti. In una serie di tredici racconti lo scrittore evoca un modo incantato e magico, lontano nel tempo e nello spazio, in cui erano venerati Cthulhu i Grandi Antichi, e cita spesso le parole di un folle poeta iracheno chiamato Abdul Al-Hazred, la cui sapienza sarebbe stata tramandata a partire dall’VIII secolo in un libro di formule, incantesimi e fatture intitolato "Al-Azif", ovvero, nella versione inglese, "Necronomicon".
Lovecraft usa riferimenti ai contenuti del libro leggendario come espediente narrativo ricorrente. I suoi racconti impressionarono tanto i contemporanei che alcuni altri autori di "Weird Tales" cominciarono a richiamare nelle loro storie il pota arabo e i suoi deliri.
Fino a oggi, la versione lovecraftiana di un mitico libro di potenti rituali ha dato origine ad almeno una mezza dozzina di diversi volumi, tutti intitolati "Necronomicon".
Al tempo stesso, una nuova generazione di lettori, noncuranti del contesto in cui si muoveva Lovecraft, è stata talmente suggestionata dal gergo incomprensibile del libro, da credere che fosse autentico e da includere quegli incantesimi nei propri rituali.
Pu sapendo che si tratta di un motivo romanesco usato da un movimento letterario, come i "Principia Discordia", ci sono dei praticanti eclettici e diligenti che trovano le sue invocazioni altrettanto efficaci di quelle raccolte dalle fonti storiche, codificate per un pubblico moderno da Anton La Vey. Queste perone dicono che i rituali, semplicemente, "funziona". Se questo è vero, non ci sono dubbi che il potere scaturisca dalla mente umana piuttosto che dalle formule magiche.
La funzione degli incantesimi è indurre una trance, permettendo al lettore di oltrepassare il confine che separa il conscio dall’inconscio, incanalando l’energia psichica e la volontà. Per i creduloni il "Necronomicon" può fungere da porta d’accesso verso le possibilità infinite di un mondo magico e affascinante, lontano dalle limitazioni della realtà terrena, nel quale è facile credere che si possa plasmare la propria volontà malefica incanalando il rancore e la rabbia.
Oltre a essere una porta per la mente, il "Necronomicon" offre anche a queste persone un’occasione per riunirsi, cantare e far incantesimi. Non c’è nulla di sinistro nei rituali di gruppo; qualsiasi cerimonia devozionale comprende qualche genere di rituale, ma recitando le maledizioni del "Necronomicon" si invocano i poteri dell’ira, della vendetta e del rafforzamento di una volontà ipertrofica.
In un paio di crimini molto simili compiuto da gruppi di vampiri adolescenti, le indagini rivelarono che era stato usato il "Necronomicon". È opportuno chiarire che non si verificarono fenomeni sovrannaturali, non comparvero spiriti invocati, non si manifestarono poteri magici come il volo o l’invisibilità. Ma l’odio risvegliato con questi rituali era così potente che spinse gli adolescenti oltre il normale ritegno e la tendenza alla buona condotta di ciascuno. Questi ragazzi intossicati si prepararono al crimine recitando formule occulte e si svegliarono dai loro sogni vampireschi in carcere.
È interessante rilevare che H. P. Lovecraft aveva familiarità con la vera letteratura dell’occulto, anche se negò sempre di praticare la magia e disprezzava le legioni di ammiratori che gli chiedevamo se le sue storie fantastiche fossero vere. «Mi trovo costretto a dire che la maggioranza di esse sono un puro frutto della mia immaginazione» scrisse in una lettera del 1936. «Non è mai esistito un Abdul Al-Hazred o un "Necronomicon", poiché io stesso ho inventato questi nomi.»
Tra i veri vampiri, so,o una minoranza ha qualche interesse per la letteratura fantastica e la magia cerimoniale. Ma tra le vittime del fascino dei vampiri, il "Necronomicon" è diffuso quanto la "Bibbia satanica", se non di più. Questo volume di formule e rituali non è un tomo antico o una truffa; fu creato a scopo di semplice intrattenimento.
Il "Necronomicon" rappresenta un buon esempio di letteratura e magia cerimoniale. Il libro in sé e il movimento letterario che lo produsse vi sfidano ad accoglierlo nel loro stesso spirito di improvvisazione estemporanea.
Esistono, dunque, delle persone che sono capaci di commettere dei crimini ispirandosi a un libro malvagio che non c’è,che è il semplice frutto dell’inventiva di uno scrittore fantastico; così come ve ne sono che subiscono l’influsso negativo, o comunque non buono, di libri realmente esistenti, sebbene di origine controversa, come Le stanze di di Dzyan, esposte nel primo e secondo volume de La dottrina segreta di H. P. Blavatsky (1888), la fondatrice del movimento teosofico (cfr. il nostro saggio: Il malefico Libro di Dzyan" e la storia segreta dell’umanità, prima e seconda parte, pubblicate sul sito di Arianna Editrice il 23/04/08 e il 27/04/08, e ripubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 20/01/18). Del resto, non si tratta che di casi estremi d’una tematica assai più ampia, sulla quale ci siamo interrogati di recente, ossia cosa sia lecito dire da parte di uno scrittore o un artista, tenendo conto dell’influsso che letteratura e arte esercitano sul pubblico e quindi sulla società intera, influsso che probabilmente è assai più cospicuo di quanto in genere si creda (vedi L’arte deve glorificare Dio ma solo in modo esplicito?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia l’11/01/22).
In altre parole: lo scrittore, l’artista, e naturalmente il filosofo, dispongono di un potere non indifferente. Sono in grado di trasmettere immagini, sentimenti, pensieri coi quali esercitare un profondo influsso sulle persone comuni, e, alla lunga, sulle istituzioni, cominciando dalla scuola, l’università, le accademia d’arte, il cinema, la televisione. Limitandoci alla letteratura, possiamo dire che lo scrittore, e naturalmente anche quel genere particolare di scrittore che è il poeta, benché in misura forse minore di un tempo, cioè prima della diffusione massiccia della cultura tecnica e scientifica, influenzano il sentire comune in misura importante e contribuiscono in modo forse decisivo a spingere il sentire di una società, i valori estetici e morali, l’atteggiamento complessivo verso la vita (e verso la morte) in una certa direzione piuttosto che in un’altra, o a distoglierla dalla visione comunemente accettata per indirizzarla su vie nuove e magari antitetiche a quelle della tradizione. Questa è la situazione tipica della società contemporanea, dominata dall’ideologia del progresso illimitato e perciò continuamente proiettata oltre il presente, in una furiosa rincorsa del "moderno" che arriva, però, fatalmente troppo tardi e quindi è sempre antiquato, sempre bisognoso di essere scavalcato e se possibile dimenticato, in vista di un moderno più recente, più moderno ancora. Una vera fatica di Sisifo, visto che la modernità è un concetto relativo e dinamico, non assoluto né statico: si è più o meno moderni di qualcos’altro o di qualcun altro, ma non si può mai dire di essere assolutamente moderni. La fretta, dunque, l’ansia, il timore di giungere in ritardo all’appuntamento con il destino, sono tratti caratteristici e ineliminabili della civiltà moderna: fanno parte del suo DNA, tanto che, se li si potesse attenuare o limitare, essa non sarebbe più tale, perderebbe la propria caratteristica essenziale. Ed è chiaro che una società dominata dalla fretta, dall’ansia e dal timore di giungere in ritardo, anche se non si sa bene rispetto a che cosa, non è una società serena, ma è, al contrario, una società malata, o perennemente sul punto di ammalarsi e di far ammalar ei suoi figli. Sta di fatto che l’enorme diffusione delle malattie fisiche e psichiche è un fatto oggettivo, sotto gli occhi di tutti, e che chiunque abbia almeno sessant’anni, forse anche meno, comparando lo stato di salute della maggior parte delle persone dei nostri giorni, con quello dei propri genitori e dei propri nonni, non può fare a meno di constatare quanto essa si sia indebolita nel giro di appena un paio di generazioni; e di quanto la serenità sia svanita dall’orizzonte esistenziale della maggior parte della gente. Il canto individuale, in particolare, è pressoché scomparso: e un tale fatto, accompagnato dalla professionalizzazione del canto, è, secondo Hilaire Belloc, l’indizio più certo che una società si sta avviando verso la fine.
Sorge spontanea la domanda se gli scrittori non abbiano esagerato nel parlare del male; se non abbiano ecceduto in una rappresentazione morbosa e compiaciuta di esso. Troppi delitti, troppa crudeltà, troppi mostri, troppi soggetti patologici, abnormi, deviati, hanno saturato l’immaginario collettivo, specialmente quello dei più giovani, abituandoli a una sorta d’indifferenza davanti allo spettacolo del male morale e della sofferenza del proprio simile. Gli uomini, ai nostri dì, sono più che mai turbati, confusi, angosciati: cercano disperatamente una parola di rasserenamento e di pace, ma non la trovano, neppure là dove tradizionalmente si trovava: presso i sacerdoti e nel conforto della religione cattolica. Oggi il clero ha imboccato tutta un’altra strada: a partire dal Concilio Vaticano II si è talmente impegnato a "dialogare" con il mondo, che dallo sguardo viperino del mondo è rimasto catturato, e non riesce più a levare lo sguardo verso il cielo, a parlare ai fedeli di Dio e dell’eternità. Anche per questo, oggi, gli uomini hanno una paura della morte così cieca e irrazionale, alimentata con perfida malizia da chi li vuol tenere imprigionati in una bolla d’isterismo collettivo per i propri fini inconfessabili di controllo e di dominio, i quali nulla hanno a che fare con la sollecitudine per la salute pubblica. Cari scrittori, così non va: tornate a parlare del vero e del bene.
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels