Per s. Tommaso si può insegnare qualcosa agli altri?
4 Gennaio 2022Assassinio nella cattedrale di Eliot, tragedia cristiana?
6 Gennaio 2022I vampiri psichici sono quelle persone che si alimentano dell’energia mentale prelevata, ma sarebbe meglio dire "predata", al prossimo: sono sempre negative, sempre accigliate, e stanno bene, per così dire, solo quando possono tenere sotto scacco qualcuno, tenendolo all’angolo e agendo su di lui con tutta la malizia consumata di cui sono capaci, senza che egli si renda conto delle loro reali intenzioni e senza perciò che possa difendersi dai loro attacchi. Ne avevamo già parlato a suo tempo in diverse occasioni (cfr. gli articoli: Da dove vengono ansia, paura, tristezza e angoscia?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia l’11/12/20; Dobbiamo difenderci dai "vampiri psichici" con le armi della positività e della Grazia, il 20/01/18 e, prima, sul sito di Arianna Editrice il 24/07/08; "Loro" sono qui, e ci stanno dicendo qualcosa, il 31/0720; e Predatori e prede, il 205/20). Ora vogliamo tornare sull’argomento perché ci sembra che come non mai, in questi tempi oscuri della Grande Menzogna, si siano create le condizioni sociali e spirituali favorevoli a questo tipo di aggressioni, e perciò è necessario saper riconoscere i segni del pericolo, e prendere le opportune misure per proteggersi.
Citiamo una pagina del famoso libro autobiografico La storia di San Michele di Axel Munthe (Milano, Garzanti, 1941, pp. 228-230):
Mamsell Agata non lasciava mai la casa, eccetto la domenica, quando sedeva tutta sola su un banco della chiesa svedese, al boulevard Ornanot, pregando il Dio dell’ira, Il banco era sempre vuoto, nessuno osava sedere vicino a lei. Il mio amico, il cappellano svedese, mi raccontò che la prima volta che le mise l’ostia in bocca, durante la santa messa, lo fissò con uno sguardo tanto feri che ebbe paura che gli volesse staccare il dito con un morso.
Rosalie [l’altra domestica] aveva perdutola sua naturale allegria, sembrava magra e abbattuta e parlava di andare a vivere con sua sorella maritata in Turenna. Naturalmente per me era più facole, perché ero via tutto il giorno. Appena tornavo a casa, ogni forza sembrava abbandonarmi e una stanchezza mortale cadeva, come polvere, sul mio cervello. Quando scoprii che Mamsell Agata era sonnambula, le mie notti diventarono ancora più agitate e irrequiete. Spesso mi sembrava di sentirne l’odore anche in camera mia. Finalmente mi sfogai con Flygare, il cappellano svedese, che veniva di frequente a casa e aveva, credo, un vago sospetto della terribile verità.
«Perché non la mandate via», disse un giorno il cappellano, «non potete andare avanti così, veramente comincio a credere che abbiate paura di lei. Se non avete il coraggio di mandarla via, lo farò io per voi».
Gli offrii mille franchi per la sua chiesa se fosse riuscito a liberarmene.
«Stasera licenzierò Mamsell Agata, non state in pensiero, venite alla sacristia domani dopo l’ufficio, e avrete buone notizie».
L’indomani, domenica, non c’era nessun ufficio nella chiesa svedese, la sera avanti il cappellano si era improvvisamente sentito male, troppo tardi per trovare un sostituto.
Mi recai subito in casa sua in Place des Termes; sua moglie disse che era sul punto di mandarmi a chiamare. Il cappellano era tornato a casa la sera avanti quasi svenuto, bianco n faccia come se avesse visto uno spettro, diceva sua moglie.
Forse ne ha proprio visto uno, pensai, mentre entravo in camera sua. Il cappellano mi disse che aveva appena cominciato a dire a Mansell Agata la sua ambasciata e si aspettava di vederla molto arrabbiata: invece ella gli aveva soltanto sorriso. All’improvviso si era accorto di uno strano odore nella stanza, aveva sentito che stava per svenire, senza dubbio a causa dell’odore.
«No», dissi, «a causa del sorriso».
Gli orinai di rimanere a letto fino al mio ritorno. Mi domandò cosa mai avesse, risposi che non lo sapevo… non era vero, lo sapevo benissimo: riconoscevo i sintomi.
«A proposito:» dissi mentre m’alzavo per andarmene, «vorrei che mi raccontaste qualcosa di Lazzaro; voi che siete cappellano certamente lo conoscete meglio di me. Non c’è una vecchia leggenda…»
«Lazzaro», disse il cappellano con voce debole, «era colui che dalla tomba. Dove per tre giorni e tre notti era stato in potere della morte, tornò vivo alla sua dimora. Su questo miracolo non c’è nessun dubbio, fu visto da Maria e da Marta e da molti suoi amici».
«Mi domando com’era?»
«La leggenda dice che la decomposizione prodotta dalla morte sul suo corpo, arrestata dal potere miracoloso, era sempre evidente nell’azzurro cadaverico della sua faccia, e che le lunghe dita vischiose erano fredde pel gelo della morte; le sue unghie scure erano cresciute smisuratamente, un forte odore di tomba gli era rimasto negli abiti. Mente Lazzaro avanzava tra la folla, che si era radunata per festeggiare il suo ritorno alla vita, le gioiose parole di benvenute morirono sulle labbra di tutti e una terribile ombra scese come polvere sui loro cervelli; ad uno ad uno fuggirono via con gli animi agghiacciati alla paura».
Mentre il cappellano recitava la vecchia leggenda, la sua voce si affievoliva sempre di più, si agitava inquieto nel letto, la sua faccia si faceva bianca come il guanciale che aveva sotto il capo.
«Siete sicuro che Lazzaro sia il solo risorto dalla tomba?» dissi «siete sicuro che non avesse una sorella?»
Il cappellano si coprì il viso con un grido di terrore.
E non è ancora finita. Il racconto prosegue con una vicenda assai simile e altrettanto impressionante della disavventura capitata al pastore luterano. Uscendo dalla stanza, l’autore s’imbatte in un’altra sua conoscenza, l’addetto militare svedese a Parigi, un anziano colonnello che si è distinto nella guerra franco-prussiana del 1870 ed è stato ferito a Gravelotte, il quale ha sposato una francese e si è molto bene inserito nel nuovo ambiente. Costui lo invita a riaccompagnarlo a casa e gli parla con franchezza di certi sgradevoli pettegolezzi che girano fra i clienti del dottore riguardo alla sua governante, la quale si rende antipatica a tutti e per giunta viene da molti indicata come la sua amante; conclude con l’energico invito a licenziarla, per difendere la sua reputazione. Munthe non perde tempo a spiegargli che non si tratta della sua amante, ma di un’orribile megera che si è trovato in casa e della quale non sa come liberarsi, perché ne ha letteralmente paura, come tutti del resto. Più di una volta egli ha preso la "ferma" risoluzione di annunciarle la rottura del contratto, ma ogni volta una forza inspiegabile lo ha trattenuto; e così, col pretesto di rimandare la decisione a un altro momento, in pratica ha finito per rassegnarsi alla propria impotenza. A quel punto il colonnello, pieno di amichevole zelo come il cappellano, si offre di risolvere lui il problema: se il dottore non ha il coraggio di licenziare l’arpia, lo farà lui, che si vanta di non aver mai avuto paura di nessuno in tutta la sua vita.
I due si danno appuntamento per l’indomani, all’ora di pranzo: il colonnello, saputo che la donna è svedese, si dice assolutamente certo di poterla non solo licenziare, ma se necessario anche di farla espellere dalla Francia, sfruttando le proprie conoscenze presso il personale della legazione. Il povero dottore si sente talmente male al pensiero di quel che potrà accadere, pur essendo stato sollevato della parte più difficile del piano stabilito, che è sul punto di vomitare sul tappeto; e solo ingurgitando una generosa porzione di brandy riesce a conservare un minimo di controllo di se stesso. Questo per dire in quale stato di tensione e di prostrazione si trovasse. Arriva il giorno dopo e Munthe si presenta all’ora di pranzo, come convenuto: ma deve mettersi a tavola da solo con la moglie del colonnello, perché quest’ultimo, gli viene detto, non si è sentito molto bene e ha dovuto stendersi a letto. Colpa della vecchia ferita ricevuta nella battaglia di Gravelotte, dice la signora. Ma il dottore intuisce che la verità è ben altra e si fa introdurre in camera del malato. Qualche ora prima, questi aveva affrontato la terribile donna: e il risultato era che adesso giaceva lì, nel letto, con una compressa fredda sul capo e un’espressione di smarrimento negli occhi, quale mai gli era stata vista sino ad allora. Il dottore chiede all’amico, senza preamboli, se avesse sorriso, senza neanche specificare il soggetto della frase; e non attende neppure la risposta per sapere che la scena si è svolta esattamente come nel caso del pastore luterano. Il quadro, poi, si fa ancora più tetro e inquietante se si aggiunge che, nel presentare il personaggio di Mamsell Agata, Munthe aveva fatto questa osservazione: che quando i suoi pazienti erano sul punto di morire, ella pareva pervasa da una straordinaria e insoluta allegria, come se l’avvicinarsi della morte di qualcuno le infondesse energia e buon umore.
Che dire di persone come la cameriera Agata? Gli indizi per comprendere la loro vera natura, nel brano sopra riportato, ci sono tutti: a cominciare dall’inesplicabile senso di stanchezza che assale il dottore ogni volta che torna a casa, e che lo spinge a trattenersi fuori, per lavoro, il più possibile, così da ritardare al massimo l’ora del rientro. Si tratta di vampiri psichici: persone che vivono succhiando l’energia spirituale del prossimo e che se ne cibano, così come un leone, sul piano fisico, va a caccia di prede da divorare, perché quella è la sua natura, e non potrebbe in alcun modo farne a meno. La spossatezza che sperimentano coloro i quali si trovano a contatto coi vampiri psichici è il segno inequivocabile che stanno "cedendo" la propria energia ad una forza esterna, che se ne nutre nel senso letterale della parola, e che non ne potrebbe fare a meno, perché non ne possiede una propria, e dunque ha bisogno di predare quella di qualcun altro. E tuttavia non c’è solo questo; c’è dell’altro, e di peggio. La notazione che la signorina Agata sembrava più allegra quando i pazienti gravi del dottore si avvicinavano alla fine sembra indicare che costei si nutriva anche dell’energia dei morenti: che traeva da essi, pur non essendo materialmente presente al loro capezzale, l’ultima linfa vitale che ancora soffiava nei loro corpi in agonia. Ne estraeva per così dire gli estremi aneliti e se ne appropriava, traendone un’intima e assai macabra soddisfazione. E tutto ciò ha a che fare non più e non solo con la psicopatologia, ma con il demoniaco. È proprio di un essere demoniaco alimentarsi non solo della sofferenze e dell’angoscia, ma proprio della morte di un essere umano, rubando all’anima che sta per lasciare il corpo le sue ultime scintille di energia, e sottraendo così al morente la lucidità e la pace necessarie per prepararsi nella maniera migliore al difficile momento del distacco finale. Sono gli istanti in cui l’anima, se la mente conserva la sua lucidità, fa un bilancio e si dispone a presentarsi al giudizio di Dio. Che un altro essere umano sfrutti quella circostanza particolarissima, che si crea una volta sola nella vita, per piombare sulla preda come uno sciacallo, fa pensare non solo a un "normale" predatore, ma a un demone che vuol divorare l’anima o la vuole indebolire in maniera tale da sottrarle le ultime risorse di cui dispone, e che le sarebbero così necessarie per la propria salvezza eterna, ad esempio chiedendo perdono a Dio per una grave colpa mai confessata. In tali casi non si tratta più soltanto di vampirismo psichico, ma di dedizione assoluta al male, di compiacimento mostruoso nel male, attestato da quella oscena allegria che si manifesta in presenza del dolore e della morte altrui. Un’anima che sceglie il male, cioè che consapevolmente sceglie di vivere nutrendosi della sofferenza, della tristezza, dell’angoscia e addirittura della morte del prossimo, ha perduto quasi tutto ciò che la caratterizza in senso umano e si è fatta simile a un demonio, cioè ad un essere che vive per il male, non desidera altro che il male e non cerca di fare altro che il male.
Come difendersi da simili mostri? Prima di tutto, riconoscendoli e cerando di evitarli. Non è questione di coraggio o di forza di volontà. Sia il pastore luterano, sia l’addetto militare dovevano averne a sufficienza; il secondo poi, era un vecchio soldato che si era distinto in guerra e che di certo non si faceva delle vuote vanterie allorché diceva di non aver paura di niente e di nessuno, Non aveva operò considerato che una creatura come Mansell Agata non porta i suoi attacchi su piano materiale, né solo su quello psicologico, ma sul piano spirituale e quindi anche a livello preternaturale. Di fronte a simili attacchi, il coraggio fisico e la forza di volontà sono impotenti, come una spada di latta contro una spada di ferro. Costei era così certa del proprio potere che, di fronte alle parole del suo interlocutore, si limitava a sorridere: sapeva benissimo che non sarebbe mai stata licenziata, e sapeva anche che chi aveva osato mettersi contro di lei sarebbe stato debitamente punito. II forte e improvviso malessere che costringe a letto, quasi su due piedi, un uomo di chiesa e un energico colonnello dell’esercito è la dimostrazione del fatto che simili attacchi non si possono fronteggiar vittoriosamente sul piano psicologico. Ci vuole una protezione più alta: ci vuole l’aiuto della grazia. Le vite dei Santi ci raccontano numerosi episodi nei quali è la protezione celeste che li mette in grado di difendersi dagli attacchi diabolici: poiché si tratta in tutto e per tutto di attacchi diabolici, nei quali agisce una forza malefica che non è solamente umana e supera di molto le possibilità d’una malvagità meramente umana. Senza dubbio un essere umano può odiare tutto e tutti fino a rendersi spaventoso: si noti lo sguardo di Mamsell Agata quando si accostava alla Comunione, e che riempiva il pastore di raccapriccio e paura. Contro tali attacchi ci vogliono la preghiera, la fede e la grazia di Dio. Quella del vero Dio, ovviamente, adorato nel modo giusto; per cui vien fatto di pensare che una chiesa eretica e scismatica come quella luterana, che a stento crede alla realtà della possessione diabolica e all’efficacia dell’esorcismo, non offre gli strumenti sufficienti per una valida difesa.
Un’ultima domanda. Mamsell Agata era creduta, sia pure a torto, l’amante del dottore; e la sua vigilanza faceva sì che egli non avesse una vita affettiva, spostando sul lavoro il baricentro di ogni suo pensiero. Era forse innamorata e gelosa di lui? Se sì, senza dubbio ciò la rendeva ancora più pericolosa: terribilmente pericolosa.
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione