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Cari atei rassegnatevi: non ci sono popoli senza Dio

Abbiamo affermato più e più volte che il bisogno di Dio, l’aspirazione dell’anima verso Dio costituiscono un fatto, una realtà indiscutibile, scolpita nello statuto ontologico della creatura a suggello del suo legame con il Creatore. Qualcuno potrebbe obiettare: ma come si può affermare con certezza che sia un dato della sua struttura ontologia? Non potrebbe essere piuttosto un effetto dello sviluppo storico, per cui, cresciuto in ambiente religioso, l’uomo scambia per una tendenza naturale ciò che è solamente il risultato di un’azione culturale?

A questa obiezione si può rispondere in due modi. Il primo modo consiste nel rovesciare l’interrogazione e replicare: «Ma se non si tratta di una tendenza naturale, e dunque innata, come mai si crea un ambiente culturale che trasmette l’idea di Dio e della trascendenza alle nuove generazioni? Da dove piove questa idea sulla povera umanità ignara: forse da Marte o da Plutone?». Il secondo modo consiste nell’accettare la sfida sul piano storico e passare in rassegna tutti i popoli e le civiltà, presenti e passati, alla ricerca di una conferma o di una smentita della tesi ateista: se infatti essa possiede una sia pur minima base reale, allora si dovrà trovare per forza, cercando bene, almeno un popolo che non abbia alcuna nozione religiosa, alcun senso della trascendenza, alcuna ide di Dio. Il che è stato fatto. Specialmente verso la fine del XIX secolo, quando più andavano di moda le idee illuministe, positiviste, darwiniste, e poco dopo quelle freudiane, alcuni zelanti ricercatori si sono dati la pena di passare al pettine tutti i popoli conosciuti, del presente e delle epoche passate, convinti che tale paziente indagine avrebbe dato loro ragione: convinti proprio perché già sicuri della conclusione mentre formulavano l’ipotesi, tipico esempio di mentalità ideologica e antiscientifica. Ahimè, hanno fallito miseramente. Peggio; sono caduti in alcuni clamorosi abbagli e sono stati miseramente sbugiardati dai fatti, ossia da ricerche più serie e approfondite. In particolare, si erano messi in testa d’aver trovato il "loro" popolo negli indigeni della Terra del Fuoco, e più precisamente negli abitanti delle isole meridionali dell’arcipelago, gli Yàmana e gli Yàgan, popoli canoeros, ossia di pescatori che vagavano nei canali magellanici alla ricerca di pesce, frutti di mare, avanzi di balene spiaggiate.

Poiché Darwin li aveva incontrati nel suo viaggio intorno al mondo e aveva sommariamente concluso che essi non avevano alcuna nozione religiosa, benché non li avesse mai avvicinati in maniera effettiva, non avesse imparato una sola parola della loro lingua e non si fosse dato la briga di conoscere da vicino una sola delle loro tradizioni (salvo definirli gli esseri umani più vicini alle scimmie che avesse mai incontrato), e poiché Darwin era in un certo senso il loro nume tutelare, gli zelanti antropologi ateisti — non si dimentichi che l’antropologia nasce in ambiente massonico e illuminista proprio sulla scia dei grandi viaggi oceanici di Cook e Bougainville, sull’onda del mito del "buon selvaggio", creazione puerile della "coscienza infelice" europea — si misero in capo di aver trovato senz’altro il bandolo della matassa. Se i Fuegini erano un popolo senza Dio, allora si poteva sostenere, con qualche apparenza di ragione, che essi erano anche il popolo più antico al mondo; e che nella loro antichità conservavano ciò che gli altri popoli avevano poi perduto per influsso di fattori culturali successivi, ossia la beata innocenza di vivere senza alcuna nozione della vita dopo la morte, senza alcuna idea della creazione e soprattutto senza riconoscere e adorare alcun tipo di divinità.

Ragionamento in realtà sballato, perché gli abitanti della Terra del Fuoco non sono affatto così antichi come si voleva ipotizzare; hanno avuto la sfortuna, questo sì, di essere decimato al contatto con l’uomo bianco e di essersi avviati a una rapida estinzione, soprattutto a causa della tubercolosi e di altre malattie virali, non senza però aver fatto in tempo a lasciare a degli studiosi seri, come Martin Gusinde e Wilhelm Koppers, la vera testimonianza del loro mondo spirituale. In realtà essi non solo avevano una chiara nazione di Dio, ma di un Dio unico e creatore; di un Dio provvidente, che premia i buoni e castiga i malvagi; di un Dio che esige dagli uomini una condotta morale irreprensibile: vale a dire che avevano sviluppato la forma più alta di religiosità, loro, gli ultimi abitanti delle terre estreme e dimenticate: un monoteismo puro e permeato di valori morali altamente sviluppati.

Ecco la testimonianza di un valoroso sacerdote salesiano, geografo ed esploratore, Alberto Maria De Agostini (Pollone, 1883-Torino, 1960), che seppe avvicinare gli Ona, un altro popolo della Terra del Fuoco affine ai Patagoni del continente, con simpatia e comprensione, e poté osservare per così dire dall’interno il loro mondo spirituale e materiale (da: A. M. De Agostini, Trent’anni nella Terra del Fuoco, Torino, S.E.I., 1955, p. 303):

Dopo le pazienti ricerche compiute dai missionari salesiani, fin dall’inizio delle Missioni, si poté dimostrare che questi selvaggi, contrariamente a quanto asserito da alcuni viaggiatori

Tra cui il naturalista Darwin, avevano un’idea sufficientemente chiara di Dio ed ammettevano l’immortalità dell’anima.

Essi infatti credevano in un Essere Supremo, invisibile, denominato Timàukel o Timàulk (Dio o padrone che vive nell’alto), oppure Sciôn-Kòn (dottore del cielo) o Sciônaskà (cielo dentro abitare). Verso di quest’Essere Supremo non tributavano però alcun atto di culto, anzi quasi mai lo nominavano.

Credevano inoltre in alcuni spiriti cattivi, tra cui i più temuti erano quelli denominati Xarcai, il quale era nero e portava due corna ricurve, Sorten o Ksortene Alpen, donna molto cattiva.

Dopo morti i buoni, secondo essi, andavano in alto sopra le nubi Kònik-Sciôn (addentro il cielo) in un luogo delizioso, dove abbondava ogni specie di cacciagione, mentre i cattivi sarebbero andati in un luogo di pena, dove vi era sempre oscurità e freddo.

Credevano che gli stregoni, anche dopo morti, avessero il potere di mandare infermità agli individui delle tribù nemiche; ammettevano la metempsicosi, per cui le anime si trasformavano dopo morte in esseri o forze che animano la natura.

Da parte sua Renato Boccassino (1904-1976), eminente studioso di etnologia religiosa e docente in varie università, scriveva su La religione dei primitivi (in Storia delle religioni di p. Tacchi-Venturi, U.T.E.T., Torino, 1944, vol. 1, pp. 75-76):

Poiché gli abitanti della Terra del Fuoco furono ritenuti per lungo tempo popoli senza religione, s’imponeva la necessità d’indagare con ogni rigore se Watauinewa non fosse dovuto ad un influsso cristiano. Il Koppers dichiara: «Di questo ci siamo sincerati con cura particolare. Domandammo anzi tutto alle persone: – Già prima avevate tale concetto -, oppure – vi è stato comunicato dalle missioni cristiane? -. Risposero: – Non abbiamo imparato ciò dalle missioni, ma vi abbiamo sempre creduto -».

L’asserzione degli indigeni non sarebbe stata però sufficiente. Il Koppers e il Gusinde portarono i loro risultati a un vecchio missionario anglicano, J. Lawrence, l’unico superstite dei vecchi missionari, il quale si mostrò dapprima molto scettico:  «Può darsi: ora però si tratta di vedere se ci troviamo di fronte a una credenza originaria o a una importazione cristiana. Ella conosce a perfezione la lingua degli Yamana; esaminiamo dunque insieme i nomi dell’Essere supremo e le preghiere».

Dopo un primo esame il missionario dichiarò che tanto i nomi dell’Essere supremo quanto le preghiere non erano presi da lingue straniere, e concluse: «Se i concetti fossero stati presi da missionari cristiani, anche le denominazioni dovrebbero tradire  la stessa origine». Il missionario invece scoprì  che proprio nelle preghiere e nelle invocazioni si riscontravano parole  e costrutti non più usati nel linguaggio corrente. «Anche la liturgia degli Yamana è conservatrice!». Colpito dalla scoperta, il vecchio missionario interrogò per conto suo gli indigeni su Watauinewa, e giunse allo stesso risultato: gli Yamana hanno un concetto relativamente chiaro e preciso di un solo Dio al quale credono.

Dopo questi accertamenti il Koppers e il Gusinde domandarono ai vecchi indiani: «Perché non avete detto queste cose prima ai missionari?». Le risposte furono molto istruttive: «I missionari non ci hanno domandato nulla di ciò. E se non ci domandavano nulla non avevamo l’occasione di parlare loro di Watauinewa». Oppure: «Appena i missionari cominciavano a parlare con noi di tali cose, immediatamente avvertivamo che essi pensavano: – Le vostre credenze non sono che falsità, dovete abbandonarle -. E ciò ci causava davvero grande dolore; poiché quando i missionari ci parlavano del Dio dei cristiani, subito sentivamo ch’era la stessa cosa col nostro Watauinewa!».

Infine Martin Gusinde, austriaco, sacerdote austriaco, etnologo e storico delle religioni molto apprezzato per la serietà dei suoi studi (Breslavia, 1886-Mödling, 1969), che lavorò pazientemente e amorevolmente sul posto, conquistandosi la fiducia di quelle popolazioni, ha lasciato una commovente descrizione della religiosità di quei primitivi tanto maltrattai e denigrati da Darwin e dai darwinisti, nel suo libro Urmenschen im Feuerlamnd (Paul Zsolnay Verlag, Berlino-Vienna-Lipsia, 1946; traduzione in: Hubert Muschalek, Dio e gli scienziati, Edizioni Paoline, Alba, 1969, pp. 167-170):

È  degno di nota che nella Terra del Fuoco i genitori fanno derivare il loro dovere di educare figli anche da un preciso incarico  dell’Essere Supremo, l’unica divinità che venerano. Per un popolo primitivo del tipo di questi abitatori della Terra del Fuoco non c’è forza più grande che li sostenga nel loro sforzo educativo della convalidazione da parte del Dio Creatore!  Oltre ai genitori, ogni adulto è tenuto a promuovere l’educazione di tutti i bambini, naturalmente con differente responsabilità. In realtà i singoli non tralasciano di farlo; per lo meno si sforzano di dare l’esempio con un comportamento irreprensibile. Il padre si dedica quasi esclusivamente al figlio mentre la madre rivolge tutte le sue attenzioni ala figlia. Ogni bambino riceve l’istruzione adatta all’età e alle disposizioni del carattere.

Fra tutte le virtù insistentemente coltivate, la prima è il rispetto di ciò che è buono e antico, cioè la tradizione, il costume della stirpe e le usanze vigenti; ma anche dei rappresentanti di tutto ciò, i membri anziani e venerabili. (…)

Il lettore mi chiederà ora meravigliato: da dove una tale profondità di contenuto e tale cristallina purezza di principi, da dove la non irrilevante riserva di energie e la volontà decisa ad adempiere alle molteplici e più ampie esigenze? Ebbene, tutto ciò scaturisce dalla fede religiosa dei nostri uomini primitivi della Terra del Fuoco. Per quanto semplice, rappresenta indiscutibilmente la forma più alta di religione, il monoteismo – che sarà ulteriormente illustrata più avanti; e poiché è una fede viva, essa rende capaci i nostri indiani di agore moralmente e li aiuta nelle realizzazione dei più alti scopi educativi. Come promotore del particolareggiato cerimoniale della consacrazione giovanile riconoscono e chiamano il loro Hidabuan (= mio padre), il puro Grande Spirito, che sempre è, come l’unico potente.  Da lui derivano tutte le usanze e forme di vita vigenti, le leggi e gli obblighi; egli vigila sulla loro osservanza e punisce le mancanze con malattie o con morte precoce. Da lui derivano la vita e il benessere, la salute e ogni successo, il tempo sia buono che cattivo. Questo Grande Spirito è vivo nella coscienza dei nostri Yamana, ed ognuno si sente impegnato dalle sue esigenze. Che meraviglia, dunque, se anche tutta l’educazione giovanile è vivificata e sorretta da questa attiva fede in Dio; e poiché essa è un’educazione religiosa, si spiegano così i suoi successi sicuri ed eccellenti. Questi uomini primitivi del Capo Horn hanno compreso – e agiscono in conseguenza – che senza una fede in Dio viva ed efficace, manca il fondamento morale all’azione educatrice della gioventù.

«Molto chiaramente ci annunciarono gli antichi: – Tutto ciò che si compie in queste cerimonie non è invenzione degli Yamana, non è invenzione degli Yamana, ciò deriva da Watauinewa (= nome dell’Essere Supremo). Egli in persona ha fatto sapere ai nostri antenati come dovevamo celebrare la consacrazione della gioventù. Noi ci attenemmo esattamente a ciò, poiché egli osserva attentamente! – Poi ci ammonirono ad adempiere  fedelmente al dovere e dissero ad ogni candidato: – Osserva fedelmente i nostri consigli. Watauinewa desidera così. Egli vede esattamente se tu ti attieni ad essi! – A chi dimentica il dovere si minaccia come punizione una morte precoce: – Colui che sta lassù ti osserva, fannullone, e ti farà morire!- ».

Avevamo già in parte trattato questo argomento in un precedente articolo, al quale rimandiamo per ulteriori approfondimenti (La fede in Dio era il fondamento dell’educazione preso gli Yamana della Terra del Fuoco, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 18/08/08 e ripubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 01/12/17). Ci resta una sola domanda, a conclusione di queste riflessioni, che ci permettiamo di formulare quasi sottovoce. Se gli antropologi sono per la maggior parte della pasta di Darwin piuttosto che di Gusinde, chi ci scamperà dalle loro mistificazioni e dall’immagine distorta dell’uomo e del mondo che ci trasmettono, così come fanno incessantemente psicologi, psicanalisti, semiologi e filosofi di estrazione massonica e neoilluminista?

Fonte dell'immagine in evidenza: Image copyright © Archivio Luciano e Marco Pedicini

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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