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Di cosa si serve il nemico per ridurci in suo potere

I padri della Chiesa, i sacerdoti e i teologi dei primi secoli del cristianesimo erano perfettamente d’accordo con la posizione di un pagano sensibile e intelligente come il filosofo Lucio Anneo Seneca circa l’immoralità e il rischio per le anime rappresentato dalla partecipazione agli spettacoli pubblici, specie quelli del circo. Essi pensavano giustamente che la mente e il cuore non restano indifferenti davanti allo spettacolo della violenza, della lussuria, della crudeltà, e che esporsi volontariamente a simili spettacoli equivaleva a mettersi nelle condizioni di peccare, perché le passioni disordinate conducono inevitabilmente al peccato, a cominciare dal peccato di desiderio (se il tuo occhio ti dà scandalo, strappatelo, ecc.: cfr. Mc 9,41-50). Questo è un discorso che oggi nessuno osa fare, nemmeno i preti, perché, ad esempio, l’idea che si possa causare del male al prossimo sul piano morale, provocandolo con il proprio abbigliamento, o che si possa fare del male a se stessi, esponendosi a delle situazioni cariche di tentazione, come frequentare le spiagge affollate da uomini e donne seminudi, è del tutto scomparsa dalla coscienza ed è stata sostituita dall’idea moderna dei diritti della persona, libera di fare quel che le pare e piace (salvo poi lasciarsi spogliare senza reagire dei diritti più elementari, col pretesto di un’emergenza sanitaria che non c’è, a cominciare da quello di uscire di casa, passeggiare, andare al ristorante, salire su un treno, lavorare o esercitare il diritto di sciopero).

Così Tertulliano, il grande apologista cristiano, descrive il pericolo rappresentato per l’anima dagli spettacoli teatrali e circensi (dal De Spectaculis; cit. in Elémire Zolla, I mistici dell’Occidente. II, Mondo antico cristiano, Milano, Rizzoli, 1963, 19776, vol. 2, pp. 246-248):

Dio ci comandò di usare ampiamente e dolcezza e serenità trattando con lo Spirito Santo, che è di natura così dolce e gentile, evitando di mai turbarLo con impeti di furia, di bile, d’ira, di dolore, Ma come restare in tal pace con lo Spirito se non si abbandonano gli spettacoli? Nessuno spettacolo, infatti, si svolge senza turbare a fondo lo spirito: dov’è il piacere è altresì la passione, la quale naturalmente provoca il godimento; dov’è la passione è anche una rivalità che dà motivo alla passione, ma dove esiste una rivalità sono altresì la furia, la bile, l’ira, il dolore e tutti gli altri sentimenti che, come questi, sono inconciliabili con le leggi morali. Ancorché taluno assistesse agli spettacoli con moderazione e saggezza, secondo la sua posizione sociale o l’età o anche in ragione del suo carattere, tuttavia non sarebbe né perfettamente sereno nell’animo né esente da una recondita passione nello spirito. Nessuno accede al piacere senza passione, nessuno soggiace a una passione senza cadere in peccato; le cadute stesse alimentano la passione. D’altronde se la passione cessa, nessun godimento avanza, e già si può tacciare di vaneggiamento chi si reca dove non ha scopo veruno da perseguire e già il vaneggiare ci è alieno. E che dire di chi si condanna da solo, cacciandosi fra coloro di cui si professa avversario, simile in tutto a loro? Non basta non far nulla di ciò ch’essi fanno, se poi non ci teniamo lungi da coloro abituati a simili azioni. «Se vedevi un ladro — dice la Scrittura — era come se ti accordavi con lui». Volesse il Cielo che neanche nel mondo ci trattenessimo in loro compagnia, tuttavia almeno nelle occasioni di mondanità, separiamoci da loro perché il mondo è di Dio, ma la mondanità del diavolo.

Poiché la furia ci è vietata, siamo esclusi di conseguenza da qualsiasi spettacolo, anche nel circo, dove la furia imperversa come a casa sua. Osserva il popolo che corre a questo spettacolo già preda della furia già tutto turbato, già come abbacinato, già sottosopra per le scommesse. Per costoro il pretore arriva sempre troppo tardi: sempre gli occhi si rimescolano nella sua urna insieme coi biglietti del sorteggio: poi pendono in ansia al segnale del "via": l’urlo che si alza unanime scaturisce da una massa compatta. Riconosci la demenza dal loro delirio: gridano: "via!", e si annunziano poscia a vicenda ciò che è già stato visto da tutti. Ho la prova che sono ciechi: non vedono ciò che è stato lasciato cadere; la credono una bandierina, ed è l’effigie del diavolo precipitata dall’alto. Da questo istante in poi, gesti d’iracondia e frenesia e risse e tutto ciò che non è lecito a sacerdoti della pace. Di qui maledizioni, ingiurie senza motivi d’odio, come entusiasmi senza motivi d’amore. Quale guadagno si ripromettono mai, che cosa ci stanno a fare codesti uomini che non sono più se stessi? Forse ci stanno proprio perché non sono se stessi, dolendosi dell’altrui sventura e rallegrandosi dell’altrui fortuna, alienati da ciò che desiderano, come da ciò che detestano, talché perfino l’amore è in loro ingiustificato e l’odio ingiusto. O forse dovrebbe esser più lecito amare che non odiare senza motivo? Dio certo vieta l’odio anche se ce n’è ragione poiché Egli vuole che si amino i nemici. Anche se ce ne sarebbe motivo, Dio non permette che si maledica, anzi vuole che siano benedetti i maledichi. Ma che cosa è più sgradevole del circo, dove non si ha riguardo neanche per i governanti o i propri concittadini? Se una cosa per cui al circo si delira conviene in altro luogo ai cristiani, sarà lecita anche nel circo; se però in nessun [altro] luogo è lecita, allora: neanche nel circo.

L’equivalente odierno degli spettacoli del mondo romano sono i grandi concerti di musica rock, specialmente quelli che hanno un carattere più spinto e si rivolgono esclusivamente a dei giovani o giovanissimi, con forti connotazioni trasgressive o ribellistiche. Con la notevole differenza, però, che mentre per i romani la cosa principale era lo spettacolo in se stesso, con tutte le emozioni che suscitava nell’alternarsi dei combattimenti dei gladiatori, o delle corse dei cocchi, o delle venationes (lotte fra uomini e animali feroci), in questi le emozioni sono scatenate soprattutto dal ritmo, dal volume, dal complesso del messaggio veicolato dalle canzoni e quindi lo spettacolo non è tanto da vedere, quanto da introiettare. Infatti non sono rari gli svenimenti e gli stati alterati di coscienza, nonché le esperienze simili all’orgasmo sessuale, specie se favorite dall’assunzione di sostanze psichedeliche, fra i giovani che frequentano assiduamente i concerti rock, ciò che attesta che, per essi, si tratta del surrogato di un’estasi mistica, o qualcosa di simile, che implica una fuga totale, anche se temporanea, dalla realtà contingente. In molti di tali concerti la coreografia, gli effetti speciali, l’abbigliamento e lo stile adottato dagli artisti sono improntati a un satanismo più o meno velato, a volte reso del tutto esplicito dai testi delle canzoni e dal look del cantante, tale da renderlo simile a un vampiro o a un demonio, con orribili tatuaggi e i canini appositamente affilati in modo da conferirgli un aspetto quanto mai demoniaco. Il fatti che dei ragazzini e delle ragazzine di buona famiglia siano soliti partecipare a tali eventi, e che i loro genitori o non sappiano o non vogliano sapere di che cosa si tratta effettivamente, non può non lasciare pensosi, e getta una luce significativa sulla distanza abissale, il più delle volte non percepita e non evidente, che separa ormai la vita, gli interessi e i valori delle due generazioni che sono più direttamente a contatto, quella dei padri e quella dei figli.

Non rientrano in questa tipologia di spettacolo moderno i concerti di musica leggera destinati a un pubblico di mezza età, o i concerti di musica classica; o altre forme di spettacolo come il circo, dirette essenzialmente alle famiglie con bambini; o le partite di calcio, appuntamento irrinunciabile dei tifosi sportivi. In tutti questi casi non vi sono quegli elementi di rottura e di violenta emozionalità che contraddistinguono invece i megaconcerti rock. Questi ultimi sono e restano quanto di più simile agli antichi spettacoli circensi, proprio per la loro capacitò di suscitare le passioni più forti nell’animo degli spettatori, e per il fatto che questi ultimi tendono a perdere le loro caratteristiche psicologiche individuali per fondersi in una entità collettiva, la massa, dotata di emozioni proprie e di un proprio codice di segni e di espressioni. È chiaro che si tratta di una regressione e di una perdita del senso di responsabilità, come si vede quando, per un pericolo reale o anche immaginario, la folla si mette bruscamente in movimento e travolge tutto ciò che le fa resistenza, calpestando e provocando gravi danni ai suoi membri più deboli e impacciati. Per fare un esempio, il 3 giugno 2017 a Torino, in Piazza san Carlo, in occasione della partita fra Juventus e Real Madrid che il pubblico seguiva da un maxischermo, alcune persone si misero a correre disordinatamene dopo che dei rapinatori di origine magrebina, in seguito identificati, processati e condannati, avevano spruzzato lo spray al peperoncino sulle vittime designate; e ciò provocò un enorme e concitato spostamento di folla, nel quale oltre 1.600 persone rimasero ferite. Ci furono purtroppo anche tre morti, due donne e un uomo, deceduti dopo un lungo e doloroso calvario, in un caso protrattosi per due anni dal giorno dell’incidente.

C’è tuttavia un aspetto importantissimo che differenzia nettamene l’idea e la fruizione dello spettacolo nel mondo antico e nella società odierna, quello legato alla tecnologia e in particolare alla tecnologia elettronica. Oggi chiunque, anche un bambino, è in grado di godersi il suo particolare spettacolo semplicemente sedendo di fronte allo schermo del televisore o a quello del computer, attraverso il quale può accedere a canali televisivi che offrono svariati generi di film, reality, talk-show, eventi sportivi, ecc. Nell’antichità lo spettacolo si svolgeva in un luogo preciso, era un evento pubblico e attirava gli spettatori da casa; oggi lo spettacolo conserva le apparenze di un evento pubblico, ma in realtà si è trasformato in un evento privato, così privato e adattabile alle esigenze di ciascuno che una persona può assistere ad un concerto rock a tutto volume standosene in una stanza d’ospedale, senza disturbare i suoi compagni di degenza, grazie alle cuffiette che lo separano totalmente dall’ambiente in cui si trova, audio compreso. Questa privatizzazione dello spettacolo e questa digitalizzazione dei suoi aspetti tecnici dà alle persone la sensazione illusoria di esercitare un pieno controllo su ciò cui vogliono assistere, ma in realtà le cose stanno diversamente. Lo spettatore solitario — che, ripetiamo, non di rado è un bambino o un adolescente – viene infatti investito dalle emozioni di uno spettacolo che è stato concepito per le masse e che normalmente si svolge in presenza delle masse, per cui si trova nella curiosa condizione di dover metabolizzare delle scariche energetiche e delle onde emozionali che in altri tempi avrebbe condiviso, bene o male, con tante altre persone, ammortizzandone in qualche misura gli effetti sulla propria psiche. La stessa riservatezza della fruizione le dà un carattere segreto ed eventualmente proibito, specie se si tratta di uno spettacolo che coinvolge la sfera sessuale e che perciò scatena, in un giovane soprattutto, una vera e propria tempesta ormonale, che nessun amico e soprattutto nessun adulto lo aiuteranno a "digerire" e a riportare entro proporzioni ragionevoli; con la possibilità che non solo ne divenga dipendente, ma che per lui ciò diventi un’ossessione incontrollabile. In questo senso, possiamo tranquillamente immaginare che milioni e milioni di persone, dietro le apparenze della loro normalità quotidiana, coltivino una segreta ossessione che si alimenta e si manifesta nella fruizione incessante, compulsiva, e sempre più destabilizzante dal punto di vista psichico e affettivo, di spettacoli televisivi più o meno trasgressivi, erotici, violenti, angosciosi, con gli effetti a medio e lungo termine che si possono facilmente immaginare

Meditando anche le parole di Tertulliano, è facile capire quanto siano di attualità e quanto l’anima si trovi continuamente in pericolo per il fatto di mettersi in situazioni di estrema tensione emotiva, di disordine emozionale e perciò, in definitiva, di tentazione sul piano morale. Non si assiste senza conseguenze a spettacoli che eccitano i più bassi istinti e che fanno leva su ciò che di più primitivo e incontrollabile si agita sul fondo della psiche. E non si può neanche dire che si tratti di spettacoli piacevoli: se il lato sessuale, ad esempio, è quasi onnipresente, ci sono pure numerose situazioni che evocano la rabbia, la paura, l’angoscia, la disperazione: vi è un vero e proprio gusto per tutto ciò che è orrido, patologico, sanguinario, bestiale. È chiaro che una persona psichicamente normale, e dotata di un sano equilibrio affettivo, si dovrebbe tenere alla larga da simili spettacoli; tuttavia sta di fatto che questi riescono ad "agganciare" un numero impressionante di persone. Da cosa dipende? Essenzialmente dal fatto che il passaggio della televisione di stato alle televisioni commerciali ha portato un totale scardinamento dei fini pedagogici del mezzo televisivo e ha introdotto la violenza, la pornografia e la passionalità disordinata non solo all’interno di programmi specifici, rivolti a determinate categorie di pubblico, ma le ha per così dire generalizzate, immettendole in ogni sorta di programmi e facendo sparire la distinzione tra fasce orarie per bambini, per famiglie e per adulti. Non solo. La pubblicità, il collante malefico di qualsiasi programma televisivo, si è fatta veicolo di stupidità, arroganza, erotismo sfrenato e ogni sorta di bruttezza, anche sul piano meramente estetico; e ciò ha lentamente ma inesorabilmente condotto a una decadenza del gusto e della intelligenza e a una forma di dipendenza crescente. Perciò, se ai tempi di Tertulliano i cristiani non assistevano agli spettacoli del circo, oggi non dovrebbero guardare per niente l’oscena televisione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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