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A chi dava fastidio l’albero della Sacra Famiglia?

A chi dava fastidio l’esistenza di un giardino nei sobborghi del Cairo, che la pia tradizione identifica con quello ove trovarono rifugio Gesù, Giuseppe e Maria dopo la fuga da Betlemme a causa della Strage degli innocenti, e nel quale sorgeva un albero millenario che, si diceva, protesse e ristorò con la sua ombra i tre membri della Sacra Famiglia, venuti fino alle rive del Nilo per sfuggire all’odio del re Erode?

È bello citare qui un passo del notissimo bes-seller dello scrittore, giornalista e saggista Werner Keller (1909-1980) La Bibbia aveva ragione (titolo originale: Un die Bibel hat doch Recht, Düsseldorf und Wien, Econ Verlag, 1955; traduzione dal tedesco di Guido Gentili, Milano, Garzanti Editore, 1956, 1977, vol. 2, pp. 318-320):

Chi fugge all’estero si reca possibilmente dove si trovano connazionali. Chi per di più porta seco un lattante, darà la preferenza a un luogo subito dopo il confine.

Sulla via dalla Palestina in Egitto, circa 10 chilometri a nord del Cairo, si trova sulla riva destra del Nilo la piccola e tranquilla località di Mataria. Non occorre dunque attraversare il largo fiume. Tra i vasti campi di canne da zucchero occhieggia la cupola della "Sanctae Familiae in Aegypto Exuli", la "Chiesa della Sacra Famiglia". Essa fu costruita da gesuiti francesi ai quali le antichissime tradizioni collegate al vicino giardinetto sembrarono motivo sufficiente per erigere il piccolo tempio.

Oggi, come in passato, pellegrini di tutto il mondo aprono la cigolante per entrare nel giardino e si fermano di fronte al decrepito tronco di un sicomoro, chiamato "l’albero della Santa Vergine". Nella cavità del suo tronco, come narra una pia tradizione, si sarebbe rifugiata Maria col Bambino Gesù durante la fuga dai suoi persecutori. E un ragno avrebbe intessuto sui fuggitivi una tela così spessa che essi non furono scoperti.

Si è molto discusso sulla vera età dell’albero venerando. Le più antiche testimonianza oculari al riguardo risalgono, però, solo a pochi secoli addietro. Un’altra menzione di questo luogo risale in compenso a quasi duemila anni fa.

Il giardino di Mataria era famoso nel medio evo come orto botanico, perché produceva delle piante che non crescevano in nessun altro posto dell’Egitto. «Alberelli sottili che non sono più alti della cintura d’un cavaliere e somigliano ai rami delle viti selvatiche», informa l’inglese John Maundeville che li vide durante un viaggio nell’anno 1322. Egli descriveva così le balsamine. Come quei preziosi arbusti fossero venuti in Egitto ce lo dice il dotto storiografo Giuseppe Flavio.

Dopo l’uccisione di Cesare, Marcantonio si recò ad Alessandria. Cleopatra, l’ambiziosa regina d’Egitto, si alleò con lui. Con questa alleanza ella mirava segretamente al ripristino dell’antica potenza dei suoi avi e al riacquisto della Palestina. Pi volte ella visitò il paese giudaico e Gerusalemme, e tentò perfino di irretire il re Erode, insediato da Roma, e di trarlo dalla sua parte. Erode era in realtà tutt’altro che un misogino, ma era tropo intelligente e sensato per capire perfettamente che una simile avventura gli poteva procurare l’inimicizia del potente Marcantonio,. Tuttavia poco mancò che anche l’aver respinta Cleopatra gli costasse la testa. Troppo profondamente ferita nella sua vanità femminile, ella intrigò, infatti, presso Marcantonio contro Erode e riuscì a far citare il re giudeo ad Alessandria sotto gravi accuse. Cleopatra aveva architettato il suo piano con la massima raffinatezza, ma Erode era ancor più furbo di lei. Egli si presentò a Marcantonio carico di aurei tesori, e riuscì ad ammansire il romano corrompendolo Era una nuova grave umiliazione per la regina. Ma neppure lei rimase a mani vuote. Erode dovette cederle tutta la preziosa costa della Palestina con le sue città; Marcantonio ne fece dono all’amata come si fosse trattato d’una sua proprietà personale, e vi aggiunse la città di Gerico sul Giordano insieme con le piantagioni circostanti; in vasti giardini profumati vi crescevano le più pregiate piante, germogliate dai semi che un giorno la regina di Saba, come si narra, portò in dono al grande Salomone: le balsamine.

La nuova proprietaria, registrò con mota precisione Giuseppe, se ne portò a casa dei virgulti, che fece piantare intorno al tempio di Eliopoli, la On della Bibbia (Gen 41,50). Grazie alle cure di esperti giardinieri ebrei venuti dalla valle del Giordano le rare e preziose pianticelle attecchirono sulla terra del Nilo e vi formarono il famoso orto botanico di Mataria.

Trent’anni dopo, quando Marcantonio e Cleopatra già da tempo si erano tolta la vita in seguito alla battaglia navale perduta presso Azio, in quegli olezzanti giardini Giuseppe, Maria e Geàù avrebbero trovato un rifugio sicuro presso i giardinieri ebrei,

Molti sono gli indizi che convergono insistentemente verso questo luogo; un giorno forse uno di essi si rivelerà di autentico valore storico.

La tradizione cristiana indicava in particolare un possente sicomoro come l’albero il cui tronco si sarebbe miracolosamente aperto per offrire rifugio alla Sacra Famiglia inseguita dai briganti che la inseguivano, e da allora quell’albero è stato conosciuto nei secoli come l’albero della Vergine Maria. È passata la storia — siamo su una delle maggiori vie di traffico e d’invasione militare, quella fra il Medio Oriente e l’Egitto, che passa per una sottile striscia di terreno semidesertico lungo la costa del Mediterraneo -, ci sono stati i due assedi di Damietta durante le crociate, nel 1218 e nel 1249; c’è stata la battaglia delle Piramidi, vinta da Napoleone contro i Mamelucchi nel 1798; c’è stata la battaglia di Beer Sheva nel 1917, che vide la svolta della campagna britannica contro i Turchi nella Prima guerra mondiale: e il giardino di Mataria è sempre rimasto lì, coi suoi cari ricordi, e il gigantesco sicomoro di Maria ha continuato a levare la sua immensa impalcatura verso il cielo, come se un destino superiore lo avesse consegnato all’eternità. Ma ecco che nel’ottobre del 2013 giunge, come un fulmine a ciel sereno, e si ripercuote in tutto il mondo, la bruttissima notizia: in una data imprecisata, l’albero è stato aggredito, qualcuno lo ha parzialmente tagliato. A darne notizia è stata l’agenzia di stampa cristiana Mcn. In un primo tempo le autorità egiziane avevano cercato di accreditare la versione secondo cui a colpire il tronco possente del sicomoro sarebbe stato un fulmine, ma le immagini hanno mostrato senza possibilità di dubbio che si è trattato invece di un taglio effettuato da mani umane, adoperando un’ascia. Il padre Barshoom Shaker, sacerdote della Chiesa di Santa Maria di Mataria, presso la quale sorge l’albero millenario, ha ricordato che la chiesa non c’entra con il sito archeologico, il quale dipende dalla Soprintendenza per le opere archeologiche. È stato inoltre notato che anche il muro, che un imprenditore cristiano copto aveva costruito attorno al sicomoro, per meglio proteggerlo, è stato in parte abbattuto: il che conferma l’accusa apertamente formulata da padre Shaker, secondo il quale i responsabili dell’accaduto sono stati gli islamisti (fonte: https://www.tempi.it/catastrofe-storica-tagliato-albero-della-vergine-maria-al-cairo-per-la-tradizione-ospito-la-sacra-famiglia/).

L’agenzia Mcn è convinta che si sia trattato di un atto doloso, deliberatamene rivolto contro uno dei luoghi più visitati al mondo dal turismo religioso, per via della tradizione che lo lega al soggiorno in Egitto della Sacra Famiglia, ma le autorità hanno proibito di svolgere dei servizi giornalistici sul posto, per cui possediamo solo le immagini scattate dai cellulari, che mostrano il grande albero gravemente danneggiato da un taglio netto, quale non può essere stato provocato dal maltempo o da un crollo spontaneo. L’albero è così antico da essere stato posto sotto la protezione dei Beni archeologici, per cui oltre al suo valore religioso — per i copti e per tutta la cristianità — esso riveste anche un notevole valore storico e naturalistico: l’attentato contro di esso si configura pertanto come una barbarie assoluta, animata da un odio cieco. Il quale peraltro non dovrebbe stupire, alla luce di tante altre manifestazioni dell’odio islamista contro tutte le religioni non islamiche: si pensi solo alla distruzione, effettuata con l’esplosivo, dei millenari e grandiosi Buddha di Bamian, da parte dei talebani afghani, atto che si configura non solo come fanatismo irragionevole di matrice religiosa, ma proprio come odio contro la civiltà, se si tiene conto che il buddhismo è scomparso dall’Afghanistan da secoli e secoli e che pertanto quelle immense culture avevano un valore ormai puramente storico-artistico. Bisogna dire che non tutti gli islamici nutrono sentimenti di avversione nei confronti dei cristiani; alcuni residenti di Mataria si sono detti addolorati dall’accaduti e hanno vissuto con pena lo sfregio contro un albero secolare che faceva parte del paesaggio da tempo immemorabile. Ma è pur vero che la situazione complessiva dei copti nel Paese del Nilo non è affatto buona, specie negli ultimi decenni, da quando l’ala radicale dell’islamismo si è inasprita e le stesse autorità, teoricamente imparziali, non risparmiano pressioni e sottili persecuzioni alla minoranza cristiana, soprattutto nell’ambito della scuola e della pubblica amministrazione. In ogni caso, nessuna inchiesta ufficiale è stata aperta e nessuna responsabilità è stata formalmente addebitata agli islamisti, anche se il fusto del sicomoro perfettamente segato lascia sussistere pochi dubbi sulla vera natura dell’episodio https://erebmedioriente.tumblr.com/post/63940586511/egitto-abbattuto-lalbero-di-gesu-giuseppe-e-maria).

La vicenda dell’albero della sacra Famiglia a Mataria ci fornisce l’occasione per riflettere su una questione di carattere più ampio. Anche se la tradizione che lega li sicomoro di quel luogo alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia è storicamente incerta (e il padre Giuseppe Ricciotti, nella sua accurata Vita di Gesù Cristo, evita di esprimersi circa il luogo del soggiorno egiziano di Giuseppe, Maria e Gesù Bambino), per la buona ragione che il Vangelo di Matteo non precisa la località e i Vangeli apocrifi, viceversa, sono fin troppo larghi di notizie, ma senza alcuna base realistica, il problema sollevato dell’attentato del 2013 deve suggerire una riflessione più ampia sul fatto che tutti i luoghi santi sulle origini della religione cristiana sono controllati dai seguaci di un’altra religione, per cui ogni visita, ogni pellegrinaggio, ogni preghiera e ogni sacra funzione dipendono dalla benevolenza o meno delle autorità, rispettivamente ebraiche o islamiche. Si tratta indubbiamente di una situazione a dir poco anomala: il pio cristiano che voglia pregare sui luoghi della vita terrena di Gesù, dalla Basilica dell’Annunciazione Nazareth alla Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, deve confidare nella benevolenza delle autorità di uno Stato che ha ereditato la traduzione giudaica anticristiana (quella di Anna e Caifa, per intenderci, gli autori materiali del processo contro Gesù); e di quella dei seguaci di un’altra religione, la quale storicamente è sorta per distruggere il cristianesimo, e di fatto ha islamizzato vastissime regioni già profondante cristiane, dal Medio Oriente al Marocco, i quali tengono le chiavi, stabiliscono gli orari e che, in caso di controversia, hanno l’ultima parola. Nel caso della Basilica del Santo Sepolcro, ad esempio, dal XII secolo, cioè da oltre 700 anni, le famiglie palestinesi musulmane Nusabya e Ghudayya, incaricate dal Saladino in quanto neutrali, sono le custodi della chiave dell’unico portone d’ingresso, sul quale nessuna Chiesa cristiana può vantare il benché minimo diritto (consulta la voce di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_del_Santo_Sepolcro). Non sappiamo se il concetto è abbastanza chiaro: sarebbe come se i pellegrini islamici, in visita alla Kaaba o a qualunque altro luogo santo della loro religione, come la Moschea di Omar, dovessero dipendere dal buon volere di un custode cristiano, al quale solo spetta la proprietà delle chiavi, e alla cui discrezione si deve rimettere chiunque voglia vistare devotamente quei luoghi. Per quanto poi riguarda la Basilica della Natività di Cristo a Betlemme, come non ricordare che dal 2 aprile al 10 maggio 2002, essa venne assediata e colpita con armi da fuoco dall’esercito israeliano, durante la seconda Intifada, a causa del fatto che alcuni militanti palestinesi vi avevano cercato rifugio, invocando l’extraterritorialità del luogo; e che solo dopo un sofferto e complicatissimo negoziato, durato ben trentanove giorni, si era giunti al cessate il fuoco e all’evacuazione dei palestinesi, destinati all’esilio in alcuni Paesi europei o nella Striscia di Gaza? Ci domandiamo che cosa sarebbe accaduto se le armi automatiche di una potenza cristiana fossero state rivolte contro una sinagoga e se ufficiali di un esercito cristiano avessero trattato un luogo di culto della religione ebraica alla stregua di un campo di battaglia. Il problema di fondo è sempre lo stesso, e risale a millecinquecento ani fa. Da quando i luoghi santi della religione cristiana sono passati di mano a uomini di altra fede e sono sotto una giurisdizione estranea, è come se si fosse prodotta una scollatura fra le radici del cristianesimo e la storia presente di quella stessa fede. Certo, la cosa più importante è vivere la fede in interiore homine; però la fede è anche un fatto sociale, che si manifesta in atti pubblici di pietà e devozione e ha bisogno di ancorarsi a dei luoghi fisici ben precisi.

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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