Chi paga il prezzo più alto della storia?
31 Ottobre 2021
L’uomo veritiero è come un faro di luce nella notte
2 Novembre 2021
Chi paga il prezzo più alto della storia?
31 Ottobre 2021
L’uomo veritiero è come un faro di luce nella notte
2 Novembre 2021
Mostra tutto

Custos, quid de nocte?

Sentinella, quanto resta della notte?, oppure: a che punto è la notte?, chiede il profeta Isaia (21,11); e la risposta è: Viene la mattina, e viene anche la notte; se volete domandare, domandate pure: convertitevi, venite!

Quella che noi stiamo vivendo in questo momento storico è la notte: una notte buia e senza stelle; una notte popolata da ombre inquietanti, da passi minacciosi, da improvvisi lampi di luce che non si capisce da dove provengano e se siano recati da amici o da nemici, per portare l’attacco finale alla cittadella o per guidare i soccorsi salvifici. È la notte dell’intelligenza; è la notte della socialità; è la notte dell’anima. Di colpo tutto ciò che credevamo saldo e certo si è sfarinanto sotto i nostri occhi; le basi stesse della società in cui viviamo, le cose fondamentali nelle quali crediamo, i concetti determinanti del bene e del male, del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, hanno perso consistenza, sono divenuti elastici, estensibili, retrattili, e alla fine sono pressoché scomparsi, lasciandoci alle prese con un mondo disumano fatto di nuda prassi, una prassi determinata da meccanismi e progettualità che poco hanno di umano e sembrano piuttosto scaturiti dall’intelligenza artificiale di un calcolatore elettronico globale.

In un certo senso, questa notte improvvisa, innaturale, popolata da brutti sogni e cattivi presagi, che ha in sé qualcosa di spaventoso, ma anche, misteriosamente, il presentimento indistinto d’una possibile rinascita, è venuta per riscuoterci da sogni ancor più tetri, da dimenticanze ancor più dannose per l’integrità del nostro essere. Se ora non fossimo qui a domandarci a che punto è la notte, saremmo certamente perduti; invece ce lo stiamo domandando, e chi si fa questa domanda si è svegliato, sta all’erta, non si lascia più sorprendere. Il nostro sonno è durato anche troppo; ora è sopraggiunto il tempo della veglia, e anche se sentiamo che sarà una veglia spossante e difficile, pure sentiamo che in questa veglia si concentrano le nostre residue possibilità di salvezza. E dunque che sia benedetta la notte, con le sue ombre inquietanti e i suoi passi misteriosi, perché se non fosse scesa su di noi in maniera così sconcertante, ora noi saremmo perduti: non ci faremmo domande, dormiremmo il sonno dei troiani nell’ultima notte della loro patria, mentre invece stiamo in guardia, silenziosi e attenti.

Abbiamo detto che questa è anche, e forse prima di tutto, una notte dell’intelligenza. Una colossale menzogna è stata fatta passare per verità sacrosanta e, a cascata, una quantità di menzogne minori, funzionali alla prima, sono state imposte come verità ugualmente evidenti e necessaire. Eppure il loro carattere posticcio e fraudolento è talmente sfacciato che solo un vero e proprio offuscamento della ragione può spiegare come la maggioranza della gene non se ne sia resa conto e non abbia reagito nella maniera giusta. Chi non si vaccina muore o fa morire, ha detto, davanti a decine di persone, il presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma si tratta di un’affermazione ridicolmente falsa: chiunque avrebbe dovuto rilevarne il carattere di assoluta falsità e perciò l’assoluta malafede con la quale è stata pronunciata. Eppure nessuno ha reagito, nessuno ha protestato, nessuno ha fatto notare a quel signore imprestato alla politica, ma che della politica democratica non consoce neppure l’ABC e anzi lo disprezza profondamente, che i non vaccinati asintomatici non contagiano proprio nessuno e neppure muoiono, a meno che abbiano ottant’anni e soffrano di altre gravi patologie. Mentre è vero il contrario: che i vaccinati possono sia contagiarsi che contagiare gli altri, e ciò è testimoniato da migliaia di ricoveri dai quali risulta che si tratta, per la maggioranza, di persone che si erano già sottoposte ad una, due o anche tre dosi di (pseudo) vaccino. E dunque se l’intelligenza non serve a distinguere di primo acchito una grossolana falsità da una cosa vera, a che cosa serve? Facile la risposta: a lasciare intatto l’ordine di cose esistente. E a non chiedersi perché gente come costui menta in maniera così sfrontata: forse perché il loro scopo non è informare correttamente i cittadini, ma terrorizzarli, seguendo un’agenda scritta da qualcun altro.

Ora, per ritrovare il bene dell’intelligenza, c’è una sola via da seguire: tornare a farne uso, riscoprire il gusto e il dovere del ragionamento chiaro e rigoroso, che non si lascia fuorviare da fattori irrazionali, come l’emotività stimolata dalla paura. Su questo terreno ci piace riandare con la memoria alla luminosa figura di un grande pensatore italiano che recentemente ci ha lasciati per tornare alla casa del Padre, monsignor Antonio Livi, il quale aveva conservato, nel marasma intellettuale di questa pazza modernità, la capacitò di filosofare in maniera chiara, consequenziale, rigorosa e al tempo stesso così semplice, da poter essere inteso da tutti. Facciamoci dunque guidare da alcune riflessioni contenute nel suo bellissimo corso di filosofia per le scuole superiori La Filosofia e la sua storia (Società Editrice Dante Alighieri, 1996, vol. 1, pp. 3, 4, 5, 7):

Possiamo concludere che la filosofia è la tensione naturale, perenne e progressiva dello spirito umano verso il pieno possesso di una verità assoluta, considerata e anelata come causa e luce di tutte e verità parziali, come fonte di tutti i valori e quindi della piena felicità cui la natura umana tende. Tale è la visione filosofica: possesso delle cause, coscienza della causa prima, sguardo d’insieme che collega tutte le parti e le feconda, riverberandole della luce della mente. Ecco perché un’ansia tormentosa diventa compagna inseparabile del filosofo; un dissidio stridente lo strugge perché tropo spesso si vede incompreso e deriso. (…)

È possibile la filosofia come "scienza"? Occorre innanzitutto rifarsi alla nozione classica di scienza, e poi va detto che la filosofia come scienza è possibile perché IL SUO OGGETTO SPECIFICO, irriducibile l’oggetto delle scienze PARTICOLARI (della natura o dello "spirito" o del’uomo o della società), ESISTE: è la totalità dell’esperienza, ossia l’esperienza umana come totalità previa a ogni riduzione e considerazione settoriale, così come è universalmente vissuta da ogni uomo, indipendentemente dalle sue scelte culturali e dai suoi interessi specifici; è, insomma il senso comune, nella sua caratterizzazione di sistema organico e genetico di certezze che riguardano tutto l’uomo e che ogni uomo possiede. (…)

La metafisica è dunque la scienza del "mondo", ossia la scienza del reale in tutta la sua universalità. Dalla prima certezza del "sensus communis" scaturisce la necessità di una "scientia communis", non potendole scientiae particulares" rispondere alle esigenze di razionalità, alla problematicità che la nozione di universo comporta.

Tutte le nozioni del senso comune, organicamente strutturate, derivano geneticamente dalla nozione di "mondo" come totalità ordinata di cose, cioè enti finiti e contingenti: alla coscienza di sé, alla certezza della propria natura personale e libera e alla conoscenza di Dio come prima causa e ultimo fine si giunge a partire dalle cose del mondo viste nella loro universalità, nel loro insieme DI SENSO. Se il mondo fosse conoscibile attraverso l’accumulo delle conoscenze particolari o di settore, la metafisica non sarebbe necessaria: non ci sarebbe un oggetto SPECIFICO a esigerla dal punto di vista epistemico (le scienze, infatti, sono specificate dall’oggetto); e invece il mondo non conoscibile se non attraverso L’UNIVERSALE, che è il senso di tutte le cose particolari: il senso della loro diversità e anche della loro connessione e universalità (derivazione dall’Uno e finalizzazione all’Uno, come ben vide Aristotele (cfr Metafisica, I, 2). (…)

In questo senso ha ragione Prini nel dire «Non c’è atteggiamento filosofico autentico che non si ponga, infine, davanti all’alternativa tra la speranza e la disperazione. Ma da dove potrà venire la risposta? Su quale fondamento potrà essere operata la più impegnativa delle nostre scelte? Se il sapere assoluto è la manifestazione totale del mondo, esso non potrà realizzarsi se non "alla fine dei tempi", quando sarò inutile, ormai, e cederà il posto o alle ombre del nulla o all’amore di Dio. La domanda escatologica — fuori della quale, evidentemente, non può porsi nessun modo profondo di orientare la nostra avventura nel mondo — non ha senso se la risposta che essa attende non è, in qualche maniera, anticipatrice e profetica. La filosofia, proprio per il suo statuto epistemologico, si apre dunque a una verità che la oltrepassa: alla profezia, che è quanto dire alla rivelazione di Dio nel mondo, all’esperienza del Sacro». Qui sta la necessità, oltre che la possibilità, di una scienza dell’intero, che è SCIENTIA SALUTIS, sapere, sapere di salvezza: non perché la filosofia possa mai essere UN SAPERE CHE SALVA, ma perché è SAPERE CHE CERCA LA SALVEZZA.

Non sapremmo dare definizione più bella di questa della ricerca del vero: sapere della salvezza; non perché la filosofia porti in sé la salvezza, ma perché è cosciente del proprio limite e cerca essa stessa la salvezza in qualcosa che è al di sopra di lei. In altre parole: cercare la verità è il fine naturale dell’uomo, poiché quest’ultima coincide con la felicità: l’uomo è felice quando trova il vero, quando dà alla propria esistenza l’impronta del vero. Lo strumento per effettuare tale ricerca è la filosofia, che si basa sul retto uso della ragione naturale, adoperata non in una specie di vuoto cosmico, ma in accordo con il senso comune, ossia con quelle certezze fondamentali e universali sulle quali si basa ogni ulteriore conoscere: la certezza della propria coscienza, quella di Dio come causa prima di tutte le cose, l’esistenza degli altri io simili a me, ecc. Tali certezze non sono slegate e occasionali, ma sono tenute insieme in una rete organica e formano un tutt’uno con l’atto stesso di porsi in atteggiamento di domanda di fronte al mondo. Le singole scienze non possono rispondere se non in maniera settoriale e limitata alle grandi domande dell’uomo; la sola scienza, nel senso classico della parola, che può rispondere a tutto l’insieme di tali domande, cogliendo l’unità e l’universalità della condizione umana e del suo stesso interrogarsi è la filosofia e più specificamente la metafisica; conoscenza del tutto a partire delle sue cause. È evidente che la cosiddetta filosofia moderna, abolendo di fatto la metafisica, o trasformandola in qualcosa di puramente soggettivo, in una creazione più o meno fumosa e decisamente irrealistica dell’io (come nell’hegelismo), ha inferto un colo mortale al fine naturale dell’uomo, la felicità attraverso la ricerca e il conseguimento della verità. Dichiarando la verità o irraggiungibile o coincidente con la mia personale visione del mondo (soggettivismo e relativismo), la filosofia moderna ha condannato l’uomo a uno stato di perenne infelicità, angoscia e disperazione. È evidente, infatti, che se l’uomo non può giungere al proprio fine naturale, se gli viene inibito perfino il naturale protendersi verso di esso, in nome di una razionalità deviata che di fatto lo incatena agli ondeggiamento e ai parossismi inconcludenti dell’io chiuso in se stesso e prigioniero di se stesso, si ammala di disperazione finisce per impazzire. La società moderna è stata costruita, pezzo per pezzo, sulla base di una lucida e disperata pazzia che ha portato l’uomo a scartare tutto ciò che in lui avrebbe potuto guidarlo verso la verità e la salvezza, ed a murarsi vivo in una carcere tenebroso popolato di vani fantasmi, che però la sua presunzione e il suo orgoglio l’hanno indotto a rivestire di magnifici addobbi e a proclamare la città dell’Uomo realizzato, libero e autosufficiente.

Ecco: è questo il punto della notte in cui ci troviamo. È la notte dell’intelligenza, l’oscuramento del nostro senso comune: sono questi i fattori che ci hanno resi così fragili inermi di fonte al gigantesco inganno della falsa pandemia, finalizzata all’instaurazione di un disumano Nuovo Ordine Mondiale, nel quale il bene diventerà male e il male, bene; il giusto diverrà ingiusto, e l’ingiusto, giusto; il vero sarà chiamato falso e il falso, vero. Perciò dobbiamo ripartire da qui; dobbiamo riappropriarci del senso comune e della retta facoltà di ragionare. La sana ragione naturale conduce necessariamente ad un punto in cui bisogna andare oltre di essa (non contro di essa), perché la domanda ultima sul senso del mondo, che è l’oggetto della filosofia, eccede le sue possibilità e rinvia a una dimensione superiore, che è la sfera del divino. La cultura illuminista, gonfia di orgoglio antropocentrico, ha sempre presentato questo passaggio come un arretramento e una resa ad antiche superstizioni; mentre la verità è che si tratta del coronamento finale di un movimento del tutto naturale, dalla ragione naturale alla rivelazione soprannaturale. La ragione ci è data per attingere il vero, ma essa, da sola, non lo può fare, perché si muove pur sempre entro i limiti del finito; in compenso ci può condurre fino alle soglie dell’ultimo perché, non in maniera disordinata ed emotiva ma attraverso una serie di passaggi perfettamente logici: quelli illustrati da san Tommaso d’Aquino. La vera ragione naturale, quella di Aristotele e della logica greca, conduce in maniera del tutto spontanea a Dio, causa prima e fine ultimo di tutto ciò che esiste, creatore e signore di tutte le cose. Questo dice la sana ragione naturale, supportata dal senso comune: dobbiamo tornare ad essa e liberarci una volta per sempre dal ciarpame illuminista e neoilluminista, che offusca i nostri ragionamenti e ci nasconde il sole della verità che brilla alto nel cielo, facendoci credere che sia sempre notte. Ma è notte per colui che dorme; per chi è desto, il nuovo giorno è sorto.

Fonte dell'immagine in evidenza: Francescoch - iStock

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.