Cadono i veli ipocriti del buonismo progressista
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29 Ottobre 2021La sofferenza è parte ineliminabile, e spesso parte preponderante, della vita umana. Non la si può evitare; non si può fare finta che non ci sia e che venga a bussare alla nostra porta. La sofferenza che esercita il più vasto influsso sulla vita umana è quella che si manifesta negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, quando essa si presenta come una forza selvaggia, devastante, incontrollabile — e non fa alcuna differenza se si tratta di sofferenza fisica o morale — che schiaccia la persona stessa, mostrandosi sproporzionatamente “più grande di lei”. Se il bambino, o l’adolescente, ne sono colpiti in maniera sostanziale, tale cioè che per un periodo di tempo prolungato essa diviene tutt’uno con la vita stessa, e se non hanno la fortuna di avere accanto dei genitori pieni di affettività matura, o comunque delle persone care che lo aiutano a reggerne l’urto, a padroneggiarne gli effetti, a metabolizzarne i contraccolpi, la sofferenza genera una ferita che non si rimargina più. Anche dopo che la sofferenza sia cessata, la vita di quel giovane continuerà a svolgersi sotto l’infausto effetto di ciò che egli ha provato quando era più debole e inerme, più esposto e indifeso, riportandone una serie di effetti collaterali di lunga e lunghissima risonanza. Usiamo la parola “risonanza” nel significato preciso che le danno alcuni psicologi del Novecento, come René Le Senne: un fattore emotivo condizionante dal quale la coscienza non riesce più a emanciparsi e attorno al quale la vita si organizza in maniera più o meno forzata e innaturale, come un albero che trovi sbarrata la via del proprio naturale accrescimento, ad esempio da un muro e che, per potersi sviluppare, si piega e si contorce in maniera tale da trovare lo spazio necessario, ma rinunciando per sempre alla sua struttura assiale orientata normalmente verso l’alto. Tale è la ferita segreta dell’adulto che ha fatto la terribile esperienza quando era ancora troppo giovane e inesperto per affrontarla razionalmente e per impedirle di soverchiarlo in una maniera tale che la sua ombra non se ne vada mai più.
L’impressione che il bambino o il pre-adolescente riceve dall’esperienza di essere investito dal ciclone della sofferenza è scioccante. L’idea che egli ne conserverà per il resto della vita è che esistono forze spaventose che devono assolutamente venire dominate, se si vuole evitare di esserne spazzati via; che gli uomini sono incapaci di prestare aiuto, che sono sostanzialmente egoisti, inefficienti e inadeguati, insomma che non si può contare su di loro; infine, nei casi più gravi, il soggetto matura una cieca volontà di vendetta e di rivalsa. Di vendetta contro la vita e contro il mondo; di rivalsa, contro tutti gli esseri umani, identificati come quei genitori inadeguati o come quei genitori assenti che non c’erano quando avrebbero dovuto esserci e quando il bambino aveva più che mai bisogno di venire protetto e confortato, e ai quali adesso bisognerà che il soggetto “gliela faccia vedere lui”, tanto per insegnar loro come si sta al mondo. E fa poca o nessuna differenza se i genitori non c’erano per la più valida delle ragioni, ossia perché erano già morti. In questo caso, l’esperienza sconvolgente della sofferenza può essere stata quella della loro prematura morte. Inconsciamente il bambino stenta a realizzare la differenza fra abbandono volontario e quello dovuto a circostanze insindacabili. Per un bambino malato, che vorrebbe la mamma sempre accanto al suo lettino, il fatto che ella a un certo punto debba alzarsi e uscire di casa, lasciandolo solo o affidato a qualche parente, è comunque una sorta di tradimento. Ed è inutile spiegargli che la mamma deve andare a lavorare, altrimenti non arriverebbero i soldi in casa per sostenere tutte le spese, comprese le medicine. Lo stesso meccanismo scatta quando la morte prematura dei genitori lascia il bambino abbandonato a se stesso: essi non avrebbero dovuto andarsene, e ciò li rende dei “cattivi”, col ricordo dei quali il bambino sarà in un rapporto ambiguo e altalenante, ma comunque ossessivo, sostanzialmente fatto di odio e amore.
Si sarà notato che le reazioni posteriori del bambino sofferente e infelice sono simili, almeno in parte, a quelle del bambino che ha subito violenze sessuali: e infatti l’abuso sessuale è una forma tipica della sofferenza infantile non mediata. Se poi, come purtroppo accade spesso, la violenza viene subita non solo fra le mura domestiche, ma proprio da parte di un genitore, uno zio o un fratello più grande, allora sarà la famiglia in se stessa a divenire un oggetto di odio incancellabile; se la violenza sarà stata subita in un collegio di religiosi, l’odio si riverserà sulla Chiesa tutta quanta, senza distinzioni. E di fatto, il mondo è pieno di uomini (e donne) che odiano la famiglia e che odiano la Chiesa precisamente per questa ragione: sono stati abusati, rispettivamente da parenti e da sacerdoti, e non sono mai riusciti a rielaborare l’accaduto, ma hanno semplicemente trasferito la rabbia e il dolore provati a suo tempo sul piano del disprezzo e della cieca avversione, senza riuscire minimamente a distinguere una famiglia dall’altra o un sacerdote dall’altro. Naturalmente non tutti i genitori abusano i loro figli e non tutti i preti nei collegi abusano i convittori o i seminaristi; ma alcuni purtroppo lo fanno, e così viene innescata la bomba a orologeria che scoppierà più tardi, condizionando l’età adulta di quelle persone.
Se, invece, il bambino che ha vissuto una grave e prolungata condizione di sofferenza — di qualsiasi natura: una malattia che l’ha escluso dai coetanei, un lutto traumatico e anche un abuso sessuale o una serie di abusi — ha la fortuna di essere accompagnato nella sua rielaborazione personale dalla figura rassicurante e autorevole di un adulto, è possibile che il suo destino successivo vada altrimenti. È possibile che riesca a superare il trauma e a trasformare l’odio e la rabbia, ma anche il segreto e tormentoso senso di colpa e di sporcizia, in una visione più ampia e pacificata del proprio vissuto e addirittura, in alcuni casi particolarmente ammirevoli, in un rinnovato sentimento di empatia e di solidarietà verso il prossimo, quale unica risposta ragionevole e possibile alla tremenda e misteriosa realtà del male che getta le sue ombre sinistre su tante vite spensierate e serene. Inutile aggiungere che la fede religiosa, se è una disposizione interiore sincera e profonda, fornisce un balsamo preziosissimo per attenuare o spegnere qualsiasi sofferenza e per chiudere in maniera costruttiva e responsabile i conti rimasti aperti sul passato. Ecco perché l’ammonizione più dura che sia mai stata pronunciata da Gesù Cristo riguarda proprio quei peccatori che distruggono il candore e l’innocenza di un bambino (Mt 18,6): Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.
Ora, fin da quando si è delineato il tragico disegno mondiale del Great Reset e fin da quando è apparso chiaro che Emmanuel Macron e Mario Draghi erano i due capi di stato e di governo più decisi a portare la stretta autoritaria fino alle estreme conseguenze, sempre sfruttando l’isterismo pandemico e una presunta sollecitudine per la salute pubblica, ci ha colpiti il fatto che nella biografia di entrambi vi è qualcosa che potrebbe essere posto in relazione con ciò che abbiamo fin qui esposto, e che potrebbe spiegare il loro particolare accanimento e il palese disprezzo per i loro concittadini, e per gli uomini in generale, nonché quel tratto di freddo sadismo, che consiste nel portare al livello più alto possibile le sofferenze morali e materiali del prossimo, senza battere ciglio e senza mostrare il minino senso di compassione — o, quantomeno, come fanno dei politici un po’ meno inumani, o forse soltanto più scaltri, fare finta di provarlo, magari attenuando con qualche espressione di circostanza e con qualche frase d’incoraggiamento l’amaro sapore di provvedimenti illegittimi e gravemente discriminatori come il green pass esteso, che di fatto non solo relega ai margini della società una quota non indifferente della popolazione, ma addirittura mette in forse il diritto al lavoro per tutti quanti non sono disposti a sottomettersi al macabro rito dell’inoculazione del siero genico, oltretutto insufficientemente sperimentato, fatto passare fraudolentemente per un normale vaccino.
Mentre frequentava il liceo dei gesuiti, Macron è stato concupito da una professoressa che seguiva un gruppo teatrale di studenti, la quale, benché sposata e madre di tre figli, non ha esitato a farne il suo amante nella maniera più esplicita. Lei stava per compiere quarant’anni, lui ne aveva quindici: nemmeno l’età dell’adolescenza, ma ancora quella della pre-adolescenza. Dopo di che, la vivace signora ha seguitato la sua relazione con l’amante-bambino e ha scansato, evidentemente grazie alle sue potenti amicizie progressiste e massoniche, la sorte che in qualunque altro caso avrebbe dovuto subire: la sospensione dall’insegnamento, l’apertura su un procedimento giudiziario e una condanna per circonvenzione e abuso di minore. In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti d’America, ove si sono verificati casi analoghi (come quello dell’insegnante Mary Kay Letorneau) la legge non scherza in simili casi: c’è la galera pronta per l’adulto, o anche per l’adulta, che si è macchiato di una tale colpa, resa ancor più grave dal rapporto esistente fra insegnante e alunno e quindi dalla fiducia che il ragazzo e i suoi familiari ripongono nell’istituzione scolastica e in tutti i suoi rappresentanti. In altre parole, siamo di fronte a un caso di pedofilia conclamato: ma la signora Brigitte, invece di essere chiamata a rispondere delle sue azioni, ha potuto lasciare il marito e i tre figli e andare a vivere tranquillamente con il suo giovanissimo compagno; mentre la stampa progressista francese, quando Macron è salito all’Eliseo, si è prodigata nel presentare come una romantica e dolce storia d’amore la turpe vicenda creatasi fra questi due disgraziati, la donna senza coscienza e il ragazzino che è stato abusato ma si è “innamorato” di colei che lo abusava, precludendogli per sempre la via di una crescita sana e di una normale sessualità adulta. Come è stato osservato da alcuni psicologi, anche italiani, ad esempio il dottor Adriano Segatori, a causa di questi suoi trascorsi il presidente Macron deve essere considerato a tutti gli effetti un pericoloso psicopatico che sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per dimostrare al mondo intero di essere un vero dominatore, un uomo senza paura di nulla. È la tipica reazione dell’abusato che si sente in colpa e si vergogna e che, per ritrovare la stima di sé, deve sempre viaggiare parecchio sopra le righe, ostentando una sicurezza e una padronanza di sé che è ben lungi dal possedere.
Nella biografia di Mario Draghi non c’è una storiaccia paragonabile a quella di Macron con la sua insegnante, però c’è ugualmente un fatto alquanto traumatico dal punto di vista dello sviluppo affettivo e comportamentale. Quando frequentava il liceo classico dei gesuiti (analogia non proprio insignificante con il collega francese), Draghi rimase orfano sia di padre che di madre: perse infatti il padre quando aveva quindici anni, e la madre quando ne aveva diciannove. Ora, ciò può non significare nulla: il mondo è pieno di persone che sono rimaste orfane nell’adolescenza e che poi sono cresciute benissimo, raggiungendo l’equilibrio emotivo e divenendo a loro volta padri o madri di famiglia perfettamente in grado di allevare nel modo migliore i propri figli. Tuttavia, è questo il caso di Mario Draghi? Nel suo modo di porsi rispetto agli altri; nel suo palese disprezzo per il parlamento; nella sua dichiarata volontà di costringere gli italiani, con le buone o con le cattive, a farsi inoculare il siero genico, e al tempo stesso nella sua totale incapacità di dialogare e di spiegare le proprie ragioni, cercando un punto d’incontro con l’interlocutore, si ravvisano i tratti dell’equilibrio e della maturità? Oppure ci troviamo di fronte a un altro soggetto sociopatico, che ascolta solo se stesso (e naturalmente i suoi referenti della BCE e della Goldman Sachs) ma che, per tutto il resto, procede come un rullo compressore sui sentimenti della gente, senza mai mostrare neppure un cenno di comprensione o di simpatia per i drammi umani della gente, aggravata dalla sua maniera autoritaria e irrazionale di gestire la crisi?
Una cosa ci sembra evidente, e non solo a proposito di questi due personaggi, né solamente da oggi. Il diavolo si serve di preferenza di persone che hanno una lacerazione interiore, ossia che per una ragione o per l’altra non sono riuscite a elaborare la loro sofferenza. Ci sono due modi di vivere la sofferenza: sublimandola e trasformandola in una scala verso l’alto, nonché in una offerta d’amore a Dio e al prossimo; oppure portandosela dietro con rabbia per tutta la vita, spiando di continuo l’occasione buona, o le occasioni buone, per sfogare la propria ira e il proprio rancore e prendersi la spietata vendetta contro coloro che ci hanno fatto soffrire — o piuttosto, visto che ciò non accade quasi mai, contro tutti gli uomini e le donne che, in qualche maniera, sono visiti come contigui ai responsabili delle proprie sofferenze. Dunque, chi ha molto sofferto può diventare un grande amico dell’umanità, un’anima nobile ed elevata, oppure può regredire al livello dei demoni, cercando ovunque il luogo e il modo per mordere e azzannare tutto quel che gli capiti a portata, illudendosi così di dare un sollievo al proprio tormento interiore. Ma è solo un’illusione: non è mai accaduto che qualcuno abbia trovato la pace mediante la vendetta, specialmente se si tratta di una vendetta sfogata alla cieca, sul primo che passava per la strada; al contrario, ci sono innumerevoli esempi di persone che hanno trovato la pace dopo aver imparato a perdonare e a staccarsi dal ricordo morboso e compulsivo delle proprie sofferenze passate. Il diavolo sta all’erta, perché sa riconoscere i suoi…
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