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Il male non è fuori delle cose, quindi non è assoluto

Generalmente quando si pensa alla dialettica aristotelica di potenza e atto, si tende a credere che l’atto sia successivo alla potenza, perché s’immagina che esso sia la realizzazione di qualcosa che esisteva allo stato latente o, appunto, potenziale. In realtà, non è così. L’atto precede la potenza, perché l’atto non è solo l’azione in se stessa, ma è anche il principio dell’azione e del movimento: il principio senza il quale nulla si muoverebbe, nulla agirebbe, nulla esisterebbe. La potenza, infatti, è possibilità che la cosa di cui si discute sia in un modo oppure in un altro, o anche che sia o che non sia; e ciò vale per tutte le cose sensibili, per cui si può dire che tutte le cose sensibili potrebbero essere o non essere, dunque sono potenziali e non sostanziali. L’atto, al contrario, è ciò che rende possibile il movimento e il cambiamento, dunque li precede entrambi. La salute, ad esempio, è atto: la possibilità di ammalarsi o di guarire è potenza rispetto alla salute. Ancora: una cosa buona è atto; se quel bene è in potenza, allora in potenza esiste anche il male di tale cosa. Le cose potenziali sono derivate e sono subordinate: le cose sostanziali sono eternamente sussistenti, e tale è la realtà dell’atto. Se una cosa può essere o non essere, se può essere in un modo o in un altro, allora non è atto, perché non è individuata, ma condizionata e relativa: l’atto, infatti, è il principio dell’individuazione assoluta.

Ciò premesso, concentriamo la nostra attenzione sulla questione specifica del buono e del bene. Una cosa che può essere buona, potrebbe anche essere cattiva, così come una bevanda che è dolce, potrebbe anche essere amara: nel suo essere non è stabilito a priori che sia in un modo o in un altro, ma solo che quella cosa sia, indipendentemente dal come. Tale è la potenza di quella cosa. Ma se un atto è buono, è buono e basta: l’atto è in azione, è in svolgimento, e dunque non può invertire il proprio movimento, né cambiare la propria natura in corso d’opera. Pertanto l’atto del bene non può essere, né diventare cattivo: è l’atto del bene, cioè un atto determinato, e in quanto tale niente e nessuno potrebbero mutarne l’essenza, così come non si può immaginare una forza che sia capace d’invertire la direzione dell’acqua che precipita da una imponente cascata, ossia dall’alto verso il asso: il suo atto è quello di cadere, e in nessun modo potrebbe risalire. Questo è un pensiero consolante: il male non ha esistenza al di fuori delle cose: sono le cose che possono essere buone o cattive, ossia, parlando più propriamente, possono avere un grado maggiore o minore di bene; ma il male in senso assoluto non esiste. Infatti la potenza è sempre potenza di essere in un modo o in un altro, migliore o peggiore; ma il male è la determinazione di ciò che è peggiore: dunque, un principio assolutamente cattivo non esiste, perché contrario alle leggi dell’esistente. Ciò che esiste, esiste per il bene, ossia per avere un grado maggiore di bene rispetto a un eventuale male: se il male prevalesse, quella cosa finirebbe per autodistruggersi, così come la malattia estrema finisce per distruggere la vita, mentre è la salute che mantiene in essere gli organismi.

Per evitare fraintendimenti, diciamo allora che il bene è la perfezione di un atto o di una potenza, mentre il male è una imperfezione più o meno grave. E come è perfetto un orologio che segna costantemente l’ora esatta, mentre è imperfetto uno che tende a restare indietro o ad andare avanti; e come è perfetto un quadro o un brano musicale o una sacra liturgia nei quali si esprime interamente l’idea che li ha ispirati: allo stesso modo è perfetto un atto buono nel quale non c’è nulla di cattivo, ma tutto è così come deve essere affinché sia perfetto. È inutile dire che una cosa assolutamente perfetta quaggiù non esiste, mentre esiste nel mondo incorruttibile: perché sono perfette quelle cose che non ricevono il movimento o il mutamento da altro da sé, ma lo imprimono a loro volta; mentre la discesa nella catena delle cause seconde, o terze, eccetera, ci mostra dei gradi sempre minori di perfezione, perché quanto più ci si allontana dal movimento originario e dalla causa prima, tanto più crescono l’imperfezione e il disordine.

Ecco cosa dice in proposito il Maestro di color che sanno (Aristotele, Metafisica, IX, 9; traduzione di Antonio Russo; in: Aristotele, Milano, Mondadori, 2008, vol. 1, pp. 927-928):

Che, poi, un atto buono sia migliore e più nobile di una potenza risulta chiaro da quanto segue.

Tutto ciò che noi consideriamo potenziale è potenza di cose contrarie, come ad esempio, ciò che si ritiene suscettibile di guarigione può anche ammalarsi, ed ha nello stesso tempo entrambe queste possibilità, giacché è potenza di essere in buona salute e di essere malato, di essere in quiete e di essere in movimento, di costruire e di cader giù. Pertanto uno stesso oggetto ha, in un medesimo tempo, la possibilità di ricevere i contrari; ma è impossibile che i contrari esistano nello stesso soggetto in un medesimo tempo, ossia è impossibile che, nello stesso tempo, coesistano gli atti (ad esempio, la salute e la malattia), sicché necessariamente il bene si identifica con una sola delle due cose, mentre la potenza si identifica parimenti o con tutte e due le cose o con nessuna delle due: e la conclusione è che l’atto è migliore. E, per quello che concerne i mali, il loro fine e il loro atto sono necessariamente peggiori rispetto alla loro potenza, giacché l’essere-in-potenza s’identifica con entrambi i costrutti. È evidente, allora, che non esiste il male al di fuori delle "cose", giacché per natura il male è posteriore alla potenza. E quindi neppure nelle cose primordiali ed eterne esiste al alcun male, o alcun errore o alcunché di corrotto (dato che anche la corruzione viene annoverata tra i mali).

Tuttavia, si potrebbe domandare, se il male assoluto nelle cose non esiste, esiste per caso nella dimensione dell’assoluto, ossia come male metafisico? Abbiamo visto che il bene assoluto esiste, ed è l’essere: perché l’essere è migliore del non essere, e ciò che esiste è più perfetto di ciò che non esiste (ad esempio, un bel vestito esistente è cosa assai migliore di un bel vestito solamente sognato o immaginato). Il bene assoluto si riversa, per così dire, nelle cose, e tende a renderle simili a sé, come l’originale di una pittura fornisce il modello alle copie, ciascuna delle quali si ispira ad esso ed è tanto migliore, quanto più riesce ad essere simile a lui. Ma c’è anche un male assoluto, che informa di sé le cose rendendole cattive e trasmettendo loro un certo grado d’imperfezione, al preciso scopo di renderle cattive? Se vi fosse, sarebbe il demoniaco. Anche il demoniaco, però, a ben considerare, non è che la corruzione del buono. Il male assoluto non è mai esistito per se stesso, perché sarebbe contrario alle leggi dell’esistenza: ciò che sa solo distruggere non può avere vita propria, può solo parassitare la vita altrui. Lucifero era l’angelo della luce: ma era libero, dunque poteva scegliere fra il male e il bene (potenza): e ha scelto il male. Lucifero è il bene che si è volontariamente degradato: non appartiene allo stesso statuto ontologico del divino; è solo una creatura, una creatura perversa. Ecco perché non può impadronirsi delle anime, senza il loro consenso: può, bei casi spettacolari di possessione, impadronirsi del corpo; ma per impadronirsi del corpo agisce mediante la tentazione insistente e gratuita, cioè indipendentemente dalla "chiamata" del soggetto (magari inconsapevole, come nelle sedute spiritiche); di fatto, molti Santi sono stati vittime dell’ossessione demoniaca, che Dio ha permesso per fortificarli nella fede attraverso la constatazione dell’umana debolezza. Il male quindi non è il principio opposto al bene: è la corruzione e il pervertimento del bene; e ciò che è corruzione e pervertimento mostra di per se stesso la propria natura imperfetta, la propria precarietà e ambiguità. Solamente l’atto del bene è del tutto buono ed esente dal male; in questo senso l’atto buono è anche l’Atto puro e coincide con Dio. Solo Dio, infatti, è assolutamente buono; ogni altro essere, anche gli angeli, gode di una perfezione derivata e quindi imperfetta.

Ma, di nuovo obietterà qualcuno: se Dio è il Bene assoluto, come si determina il bene, se non come principio opposto al male? In altre parole: se Dio è la totalità, in quanto assolutamente staccato e superiore dalle cose, che sono una sua creazione, come può essere solamente buono? Non dovrebbe contenere anche il principio opposto, il principio dell’oscurità e del male, per essere veramente "perfetto", e anche per poter spiegare la presenza del male nel mondo? Tale infatti è il nucleo del pensiero cabalistico: Dio è sia la luce che l’ombra, sia il principio maschile e "caldo"che quello femminile e "freddo", sia il bene che il male, perché Dio è il Tutto, e il Tutto comprende gli opposti, non li esclude. E se Dio è il Tutto, allora anche noi, che siamo nel Tutto, siamo Dio: siamo un dio che ancora non ha preso coscienza di sé, che ancora non si riconosce come tale, ma che un giorno aprirà gli occhi e scoprirà il ruolo che gli spetta. Chiaro che in questa visione "dio" è il mondo: si tratta di un panteismo variamente dosato e dissimulato, e magari superficialmente dipinto con la vernice cristiana, ma pur sempre un autentico panteismo. Abbiamo già visto come il pensiero moderno, nel suo filone principale, è direttamente o indirettamente influenzato dalla Cabala: da Hegel a Heidegger e oltre, passando per tutta la Scuola di Francoforte e per Lévinass, Martin Buber, ecc. (cfr. il nostro articolo: In cosa consiste il tradimento dell’uomo verso Dio, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 29/09/21). In pratica, l’elemento unificatore e caratteristico della filosofia moderna è lo sforzo di conciliare gli opposti per ricostituire l’unità primordiale: secondo lo schema dialettico hegeliano, ad esempio, se il bene è la tesi e il male è la sintesi, il superamento degli opposti consisterà in un nuovo fattore, che riunisce in sé parte del bene e parte del male, in una sintesi "superiore". Ora questo schema è passato da Hegel a Heidegger e da questi a Karl Rahner, e da lì ha infettato la teologia cattolica del XX secolo, senza dimenticare la notevole anticipazione del panteismo di Teilhard de Chardin (che imprudentemente, per usare un eufemismo, già Benedetto XVI aveva sdoganato, nonostante le condanne e le ammonizioni emesse dalla Congregazione per la dottrina della fede: a riprova del fatto che fra Benedetto e Bergoglio c’è continuità e non discontinuità teologica).

Per tale ragione è importante smascherare la falsa filosofia panteista e cabalista, partorita da menti malate, e al cui fondo c’è l’antica invidia della creatura che non vuole riconoscere il proprio statuto ontologico, ma pretende d’innalzarsi al di sopra di sé stessa, sostituendosi al Creatore. La tentazione è oggi fortissima perché le ultime frontiere della scienza e della tecnica hanno fatto un tale balzo in avanti, da dare realmente l’impressione (ai cervelli deboli) che non vi siano quasi più limiti a ciò che l’uomo è ormai in grado di fare grazie ai suoi strumenti, secondo l’antica formula di Sir Francis Bacon: knowledge is power, sapere è potere. E che altro è l’attuale progetto di Nuovo Umanesimo, o meglio di Transumanesimo, finalizzato alla creazione di una vita semiartificiale, impiantando sensori e circuiti elettrici nell’organismo degli esseri umani, così da poterli manovrare e monitorare a distanza, ventiquattro ore al giorno, rendendoli più simili ad automi che a delle persone vere e proprie, come le abbiamo sempre conosciute? Che altro è, se non la volontà di portare il dominio della tecno-scienza fino alle estreme conseguenze, in un certo senso rifacendo la creazione da cima a fondo, in maniera diversa — e naturalmente più perfetta — di come l’ha fatta Dio? Perché se Dio, ad esempio, ha creato un mondo nel quale ci sono dei virus pericolosi per l’uomo, ebbene l’uomo ora crea dei vaccini che eliminano radicalmente la minaccia di quei virus: perché prendersi il disturbo di curare le malattie, se si può andare a monte del problema e fare in modo che la gente non si ammali per niente? E se nella natura fatta da Dio ci sono delle ambiguità, come degli uomini che si sentono donne ma sono intrappolati in un corpo che non riconoscono come il loro, ecco che si possono correggere tali imperfezioni e attuare un totale cambiamento di sesso, così da accontentare non solo gli uomini che vogliono farsi donne e le donne che vogliono farsi uomini, ma anche una seconda o una terza richiesta delle stesse persone, in modo che non ci siano limiti a ciò che un individuo può volere e desiderare, anche contraddicendo le proprie scelte precedenti. Stesso discorso per la fecondazione artificiale: dato che ormai essa è diventata possibile in tutte le forme umanamente concepibili, perché non produrre la gravidanza negli uomini e perché non fare in modo che siano le donne a generare, accoppiandosi sia con altre donne, sia con uomini appositamente femminilizzati? Meglio di tutto: perché non delegare questa fastidiosa incombenza direttamente alle macchine, così da poter avere costantemente il controllo della curva demografica e stabilire entro quali limiti una nuova vita che viene al mondo è gradita e quando invece non lo è più? E perché non approfittare di tale metodo riproduttivo per selezionare le caratteristiche del nascituro, scartando all’origine qualsiasi nascita indesiderata?

Questo è il Nuovo Mondo che ci attende, se lasceremo che gli attuali padroni universali proseguano indisturbati per la strada demoniaca che hanno intrapreso. Loro sono molto sicuri di sé, ma hanno fatto i conti senza l’oste: il male non è un assoluto, ma carenza di bene; e alla lunga non può vincere.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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