L’essere che ci si mostra è l’ente: essere in atto
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10 Settembre 2021La medicina occidentale moderna ha, o meglio crede di avere, una risposta per tutte le domande riguardanti la salute e la malattia; e se non le ha oggi, è convinta che le avrà domani, perché nutre una fiducia pressoché illimitata nella tecnica, che effettivamente le ha permesso di fare un enorme balzo avanti rispetto alla medicina del passato. Eppure, non tutto è oro quel che luccica. Per quante terapie nuove siano in grado di curare i pazienti che un tempo erano giudicato incurabili, nuove malattie sono sopraggiunte, sotto forma di complicanze alle terapie stesse, perché la medicina basata sui farmaci prodotti mediante la sintesi chimica delle sostanze, oltretutto distribuiti fin troppo generosamente ai primi sintomi di un disturbo e senza minimamente porsi la domanda sul perché quel disturbo sia insorto in quel tale soggetto e proprio in quel determinato momento, produce incessantemente effetti collaterali che vanno a loro volta curati. Sicché alla fine ci sono dei malati che devono assumere una ventina di farmaci diversi per rimediare agli effetti del primo farmaco, e poi agli effetti del secondo, poi del terzo, e così via, in una catena che rischia di prolungarsi all’infinito e che rende il paziente un malato cronico, sempre più dipendente dal circuito vizioso degli effetti collaterali.
Ma cosa sanno, in realtà, o nostri medici di formazione accademica, delle malattie? Cosa sanno del rapporto che corre fra la mente e l’organismo, fra le energie fisiche e quelle spirituali? Di fatto, la maggior parte delle malattie non sono riconosciute, o non sono curate, dalla medicina occidentale moderna: è l’organismo che provvede a difendersi da sé stesso, mettendo in azione gli anticorpi contro i virus, e tutta una serie di reazioni spontanee contro altre patologie di origine interna o esterna. Un osso fratturato si rinsalda da solo, basta tenere fermo l’arto infortunato; l’ingessatura serve a questo e non ad altro. Una ferita smette di sanguinare perché il sangue produce da sé le sostanze coagulanti, e i margini di una ferita si rimarginano da soli, i tessuti e la pelle si ricostituiscono spontaneamente, basta solo tener lontane le infezioni disinfettando la parte rimasta scoperta e perciò esposta agli agenti patogeni. Tutti questi esempi, e molti altri che potremmo fare, indicano chiaramente che il nostro organismo possiede un potere di auto-guarigione e che la cosa migliore che il medico possa fare, in tali caso, è lasciare che la natura faccia il suo corso, eventualmente intervenendo per assecondare la reazione spontanea dell’organismo e non per sostituirsi ad essa. In altre parole, come ben sapevano i medici della prima scuola italiana di medicina del Medioevo, la scuola salernitana, primum non nocere: il primo dovere del medico è quello di non causare danni, e scusate se è poco.
Il secondo è quello di difendere sempre la vita, e a questo dovere la medicina occidentale moderna è venuta meno, scientemente e deliberatamente, con l’introduzione della legislazione sull’aborto e sull’eutanasia. Il terzo, come abbiano visto, dovrebbe essere quello di assecondare la natura e non di andare contro di essa (inutile dire perciò che la somministrazione di ormoni e l’intervento chirurgico per il cambio di sesso si configurano come l’antitesi della vera scienza medica). Il quarto dovrebbe essere quello di non perdere mai di vista la correlazione fra mente e corpo e quindi di non trascurare l’aspetto spirituale, morale e psicologico legato alle varie patologie: le quali insorgono, sostanzialmente, quando l’equilibrio interiore è compromesso, e non certo quando è in piena efficienza. Il quinto è non perdere di vista la relazione fra la parte e il tutto, fra l’organo ammalato e la totalità del’organismo, evitando per principio, se non in casi assolutamente indispensabili, di somministrare farmaci che producono certamente degli effetti collaterali negativi. Il sesto è quello di privilegiare, ogni volta che ciò sia possibile, le cure graduali ma sicure basate sui farmaci naturali, e di riservare come mezzi estremi i farmaci di sintesi chimica e gl’interventi chirurgici, i quali danno risultati immediati o a breve termine, ma si sostituiscono alla risposta naturale dell’organismo alla malattia e quindi tendono a indebolirli. Un tipico esempio è la somministrazione massiccia di vaccini antinfluenzali che distruggono gli anticorpi delle persone anziane e lasciano queste ultime drammaticamente indifese davanti al sopraggiungere di un virus diverso e non atteso: situazione che si è verificata a Bergamo nella primavera del 2020 in una popolazione anziana che era stata massicciamente vaccinata nell’autunno precedente e che era perciò particolarmente esposta all’aggressione virale del Covid-19.
Per introdurre il delicato discorso sulle mille insufficienze della medicina occidentale moderna, e in particolare sulla totale ignoranza e indifferenza che essa ha, e ostenta, nei confronti di un più ampio approccio alle questioni della salute, che tenga nel debito conto i fattori spirituali, ci piace riportare un episodio riportato da Steven Locke e Douglas Colligan nel libro La mente che guarisce. Una nuova frontiera della salute (titolo originale dell’opera: The healer within. The new medine of mind and body, New York, E. P. Dutton, 1986; traduzione dall’inglese di Laura De Rosa, Firenze, Gruppo Editoriale Giunti, 1990, 2001, pp. 19-20):
IL DOTTOR KIRKPATRICK E LO STREGONE.
Alla fine degli anni settanta, il dottor Richard Kirkpatrick, un medico di Longview, Washington, aveva una paziente di ventotto anni, filippina, che accusava un senso di stanchezza. Gli esami medici di routine dimostrarono che la donna era affetta da "lupus eritematoso sistemico", una malattia nella quale il sistema immunitario attacca i tessuti del proprio organismo: cuore, polmoni, reni. Non esiste una terapia risolutiva per il "lupus", ma può essere curato. Può anche presentare remissioni, scomparendo per anni improvvisamente come compare.
Kirkpatrick prescrisse gli usuali medicinali. Nessuno di essi ebbe un grande effetto. Comparvero diverse complicazioni. Furono prescritti altri farmaci ed una biopsia renale. A questo punto la donna rifiutò di proseguire la terapia e lasciò la città. Fece ritorno al remoto villaggio nelle Filippine dove era nata. Là si rivolse allo stregone locale. Questi le spiegò perché si fosse ammalata: un vecchio fidanzato le aveva fatto una fattura. Con uno speciale rito, le tolse la fattura e le disse di tornare negli Stati Unito, ma di rifiutare altri esami o farmaci.
Tre settimane dopo la donna ritornò a Washington, completamente guarita in base a tutti i parametri medici. Dal momento che il lupus è una malattia molto instabile, la remissione non era sorprendente. Peraltro, la velocità la velocità con cui era guarita, non solo dai sintomi della malattia ma anche dagli effetti collaterali di alcuni potenti farmaci che aveva assunto, era in contrasto con le spiegazioni mediche. Kirkpatrick fu così impressionato da questo caso che lo descrisse nel "Journal of American Medical Association" (JAMA) sotto il titolo: "La stregoneria ed il lupus eritematoso". Due anni e mezzo più tardi, sul KJAMA comparve una breve nota. Per la prima volta dalla visita allo stregone, la donna ritornò da Kirkpatrick per un nuovo problema, una piccola cisti. Questa volta gli lasciò effettuare un esame del sangue. Non vi era alcun segno della malattia.
Esistono storie di guarigioni miracolose da quando esiste la medicina. Di fronte a queste anomalie, tutto ciò che i medici potevano fare era dar loro nomi di derivazione latina o greca — effetto placebo, remissione, malattia psicogena – e dedicarsi a ciò che sapevamo trattare più agevolmente. I livelli della tecnologia medica sconfinano talvolta nel miracoloso. Attraverso una semplice iniezione, con un atto medico di routine, i medici possono rendere una persona immune verso alcune delle più letali malattie del pianeta. Il vaiolo, ad esempio, è una malattia attualmente estinta. Nella camera operatoria i chirurghi possono deliberatamente portare le persone ai margini della morte, fermarne il cuore e rimetterlo in moto. Ad un medico dell’inizio del secolo, la metà di ciò che oggi è routine medica apparirebbe miracolosa.
Tuttavia, scrivendo del futuro dell’insegnamento medico, Derek Bok, rettore dell’Università di Harvard, ha dichiarato che deve essere raccomandato un nuovo tipo di formazione medica. Egli ha affermato che il medico moderno rischia di venir sommerso dalle nozioni e sopraffatto dalla tecnologia. Gli studenti di medicina seguono corsi interminabili durante i quali sono bombardati da una gran mole di informazioni scientifiche. Parte di ciò che essi memorizzano, però, può rivelarsi di utilità marginale negli anni successivi. Un rapporto ha segnalato che quattro medici su dieci ammetteva nodi non essere più in grado di mantenersi al passo con lo sviluppo delle conoscenze nel loro stesso campo professionale.
La grande frustrazione è rappresentata dal fatto che rimangono settori della medicina che la tecnologia non può raggiungere. Il dottor Herbert Benson, cardiologo della facoltà di medicina di Harvard, e ideatore della risposta di rilassamento, afferma che l’arsenale di tecniche e di farmaci a disposizione dei medici consentono loro di curare soltanto circa un quarto delle malattie che affliggono il genere umano. Il rimanente è costituto da affezioni incurabili o autolimitanti; le quali, cioè, in un modo o nell’altro guariscono da sole.
Da molto tempo i medici sono consapevoli di un elemento della guarigione che non rilevabile al microscopio né rivela i suoi segreti ad una batteria di esami del sangue. Un qualche elemento nella mente del paziente determina una importante differenza nella risposta del’organismo alla malattia, qualcosa di tanto effimero come un atteggiamento o un sentimento che potrebbe lasciare il suo segno sull’organismo.
L’episodio di cui è venuto a conoscenza il dottor Kirkpatrick nella piccola città di Longview, nello Stato di Washington (nell’estremo Nord-Ovest degli Stati Uniti e non nel distretto federale della capitale, che ha lo stesso nome) solleva una serie d’interrogativi che mettono in causa tutta l’impostazione della scienza medica moderna, e particolarmente la sicumera e la faciloneria dalle quali molti medici, non tutti, si mostrano purtroppo contagiati, a ciò condotti da una impostazione degli studi universitari che tende a presentare il loro sapere come Legge Infallibile, e a ignorare o disprezzare qualsiasi altro approccio alla malattia e alla salute, aprioristicamente etichettato come non scientifico. Ma cosa dovrebbero fare dunque i nostri studenti di medicina, potrebbe obiettare qualcuno: forse aggiungere la stregoneria ai loro programmi di studi? Niente affatto: semplicemente a essere più umili e cercare le risposte alle malattie che resistono alle cure, in un orizzonte culturale più ampio, mostrando flessibilità e prontezza nell’accogliere punti di vista non contemplati dal loro corso universitario: non già per improvvisarsi loro stessi esperti di ciò che non conoscono, ma per accettare suggerimenti ed eventualmente collaborazione anche da ambiti del tutto diversi da quelli ad essi familiari. Cominciamo col dire che la qualifica di stregone per i guaritori filippini è certamente una semplificazione e una forzatura. Là dove la conoscenza dei segreti dell’arte medica, ivi compresi quelli di natura spirituale, prevale di gran lunga sulla pratica delle fatture e delle contro-fatture, non si dovrebbe parlare di stregoneria ma semplicemente di medicina indigena: che è una maniera diversa, ma non necessariamente disprezzabile, di curare il prossimo, sostenuta da conoscenza pratiche ampiamente collaudate e tramandate di generazione in generazione nel corso dei secoli. Una cosa comunque è certa e indubitabile: quel guaritore è riuscito là dove la medicina moderna, con tutti i suoi costosi apparecchi per gli esami clinici e i suoi farmaci brevettati, aveva fallito. Certo, gli scettici di professione possono aggrapparsi all’idea che il lupus sia scomparso da sé, come talvolta accade: ma la velocità della guarigione e la scomparsa altrettanto repentina degli effetti collaterali dei farmaci prescritti dai medici americani indicano chiaramente, se si vogliono considerare cose con onestà intellettuale e quindi con mente sgombra da pregiudizi, che la spiegazione non può trovarsi in una remissione spontanea della malattia, ma proprio nell’azione del guaritore filippino, il quale, ignaro di tutto ciò che forma il bagaglio della medicina occidentale moderna, nondimeno ha reso la salute alla malata, là dove quella non era stata capace di far nulla, se non aggiungere ulteriori disturbi causati dai farmaci.
In ogni caso c’è un grave problema di fondo che non si può eludere quando si parla di queste cose. La medicina moderna è dominata dalle multinazionali del farmaco, le quali a loro volta controllano gli istituti scientifici, le agenzie internazionali della sanità e, da ultimo, gli stessi governi. Ora esse hanno tutto l’interesse non a curare le malattie, ma a renderle croniche, in modo da trasformare il malato in un paziente bisognoso dei loro prodotti per tutto il corso della sua vita. È brutto da dire, ma è ben più brutto da fare: e le multinazionali farmaceutiche, controllate da personaggi ambiziosi e immorali come Bill Gates, lo stanno realmente facendo. Questo è l’ostacolo da superare, se si vuole tornare a una medicina a misura d’uomo, che abbia a cuore il bene delle persone e non altri interessi.
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