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Fin dove l’arte può trattare temi moralmente cattivi?

Ci siano sovente domandati, anche in parecchi articoli di vari anni fa, sin dove arrivino le frontiere della letteratura e dell’arte; fin dove sia lecito all’artista e allo scrittore trattare dei temi moralmente scabrosi, sconvenienti, capaci di suscitare morbose curiosità e un’attrazione perversa da parte del pubblico. La società in cui viviamo ha fatto della libertà di espressione — quando si parla di temi di fantasia!, perché guai a contraddire la Narrazione Unica sul terreno scientifico, ad esempio la falsa pandemia di Covid 19 — un tale dogma, un tale feticcio, che ci fa un po’ sorridere e un po’ fremere di sacra indignazione l’idea che romanzi come Madame Bovary di Gustave Flaubert, o raccolte poetiche come I fiori del male di Charles Baudelaire, siano stato portati a processo per offesa alla morale. Eppure, se si ha un minimo di onestà intellettuale, bisogna convenire che il problema sussiste e non si tratta del pigro trastullo di menti oziose o di spiriti retrivi e bigotti. L’artista, e in particolare lo scrittore, possono davvero dire qualsiasi cosa, sempre, anche oltrepassando di molto il confine della decenza, della morale e del sentire comune della società, infrangendo il tacito patto per cui di certe cose è bene non parlare in modo troppo esplicito, perché si rischia d’incentivarle? E se esiste un limite, chi e come lo stabilisce, lo riconosce, lo impone e lo fa rispettare, e, a sua volta, entro quali limiti?

La Chiesa cattolica, ad esempio, con il tanto deprecato (oggi) Indice dei libri proibiti, si è posta il problema e per secoli ha ritenuto di doveri assumere un ruolo di controllo e di sorveglianza, affinché le menti e i cuori non venissero fuorviati da scritti imprudenti, da pensieri eretici e da situazioni morbose o tali da alimentare la morbosità latente nell’animo umano. Da ultimo, nel corso del Novecento, essa ha conservato l’obbligo del nihil obstat per le pubblicazioni che trattavano argomenti teologici e che provenivano da sacerdoti o comunque da autori che professavano fedeltà e obbedienza verso la Chiesa stessa. Poi, con il Vaticano II, anche quest’ultima diga è caduta e ciascuno, anche all’interno della Chiesa, è stato libero di stampare qualsiasi genere di pubblicazione e di sostenere qualunque tesi, spacciandola per cattolica, anche se cattolica non è: come nel caso del falso teologo Enzo Bianchi, il quale va scrivendo che Gesù Cristo era solo un profeta, un uomo quindi, il quale "narrava Dio agli uomini". Anche lo Stato, fino agli stessi anni circa in cui la Chiesa gettava la spugna, ha cercato di tutelare il comune senso del pudore, esercitando una sorveglianza sui libri, sui film e anche sull’abbigliamento, compreso quello balneare: fino agli anni ’60 capitava ancora che pattuglie di carabinieri si avventurassero sulle spiagge e fra i bagnanti per sanzionare con la multa le signore o le signorine che prendevano il sole senza indossare la parte superiore del due pezzi. Al tempo stesso, l’adulterio, l’incesto e la bigamia erano perseguiti coi rigori della legge; e non solo la pratica omosessuale, ma, in certi Stati degli USA, per esempio, anche la sodomia fra uomo e donna era punita alla stregua di un crimine. Evidentemente, fino a mezzo secolo fa, e in alcuni Stati anche oggi — quelli a maggioranza islamica, ove la legge religiosa è tutt’uno con la legge civile — alla morale sessuale, anche al livello dei comportamenti privati, non vien riconosciuta una franchigia assoluta, ma solo una libertà parziale e condizionata, che in ogni caso non deve degenerare in disordine dal punto di vista della morale dominante, quella cioè riconosciuta dallo Stato stesso.

Ma torniamo al romanzo. L’arte, si dice da più parti, deve rappresentare la vita vera, e quindi lo scrittore ha tutto il diritto, se non addirittura il dovere, di mostrarla quale essa è, senza infingimenti, senza edulcorazioni, altrimenti non sarebbe più libera e spontanea, non avrebbe la necessaria autonomia, e diverrebbe moralismo repressivo che censura la realtà per soddisfare dei valori che una gran parte della popolazione non riconosce più come tali, e ai quali non è più disposta a rendere omaggio. Perché dovrebbe essere sconveniente trattare il tema dell’adulterio, come in Madame Bovary, o quello del lesbismo, come ne I fiori del male, se tradire il coniuge o praticare attivamente l’omosessualità non sono più visti come qualcosa di negativo da una bella fetta della popolazione, ma come libere manifestazioni della sessualità, cui ciascun individuo ha pienamente diritto, perché riguardano la sacrosanta ricerca della felicità, che sta alla base di tutta la concezione moderna della vita e della stessa legge? È chiaro quindi che nella società contemporanea, almeno in quella occidentale, i diritti dell’individuo prevalgono su quelli della comunità (anche se, con la presente dittatura sanitaria, questo assioma è stata ribaltato, in apparenza senza che i suoi più strenui paladini trovassero nulla da obiettare, anzi con molti di loro che si sono fatti paladini, da un giorno all’altro, della causa opposta). Chi non ricorda come, nel film Un bacio appassionato Ae fond kiss ) di Ken Loach, del 2004, tutti i sentimenti del pubblico sono indirizzati verso la piena simpatia verso la coppia mista, lei cattolica irlandese e lui islamico pakistano, i quali vogliono amarsi e vivere insieme, a dispetto di quel che pensano le rispettive famiglie e comunità? E chi non ricorda quanto antipatica, per non dire odiosa, appare la figura del sacerdote cattolico che si permette, guarda un po’, di mettere la giovane innamorata, insegnante di musica in una scuola cattolica, di fronte all’incoerenza delle sue scelte di vita, ricordandole che non può pretendere di conservare il suo posto di educatrice, se intende calpestare pubblicamente la morale cattolica con una convivenza, oltretutto con un giovane musulmano? La ragazza si sente ferita e indignata nel proprio diritto alla privacy; non la sfiora nemmeno l’idea che quel sacerdote, anche se — forse — con modi inopportuni, le ha ricordato una sacrosanta verità: che essere cattolici vuol dire anche e soprattutto vivere in maniera coerente con la morale cattolica. Non c’è una vita privata che possa essere in lampante contraddizione con la vita pubblica, anche se noi tutti ci siamo invece familiarizzati con una simile idea: basti dire che non facciamo una piega se uomini politici che si dichiarano cattolici e difensori dei diritti della religione cattolica e della famiglia cattolica, praticano il divorzio e magari anche l’aborto, vale a dire calpestano le basi stesse della morale cattolica.

Ora facciamo un esempio concreto nell’ambito letterario e prendiamo un classico della narrativa, I Maia (Os Maias) di José Maria Eça de Queirós (1845-1900), del 1888, considerato uno dei più importanti romanzi della letteratura portoghese della seconda metà del XIX secolo. Al centro della vicenda, come si scopre verso la fine della storia, c’è la scoperta che i due giovani amanti, Carlo Edoardo e Maria Edoarda, sono in realtà fratelli, cosa che porta entrambi a una crisi di disperazione, senza però che trovino la forza di lasciarsi, e il vecchio nonno Alfonso alla morte, a causa di una crisi di cuore. Il tema trattato, dunque, è quello dell’incesto: un classico tema tabù, in effetti trattato già dagli autori greci classici, e poi sfiorato da alcuni autori moderni, ma sempre sulla scia del mito di Edipo e raramente in chiave contemporanea. In un certo senso, questo tema è risultato difficile da raccontare perfino più di altri temi in apparenza più scabrosi riguardanti la morale sessuale: perché anche quello dell’omosessualità viene accennato e poi apertamente trattato a partire dalla metà del XIX secolo, ma l’incesto, specialmente tra fratelli, ha fatto esitare perfino scrittori piuttosto disinibiti e non facili a lasciarsi condizionare dalla morale comune. Prima di Eça de Queirós, il tabù sul tema dell’incesto era stato violato, nel clima romantico propenso alla narrazione degli amori maledetti, da un celebre poeta tedesco, Theodor Storm (1817-1888), in una poesia ambiguamente intitolata Amore fraterno. La genesi di essa è stata descritta da un altro importante scrittore tedesco, Theodor Fontane (1819-1898), in un ricordo di giovinezza che qui vogliamo riportare (da: T. Fontane, L’aria di Berlino; titolo originale: Von Zwanzig bis Dreiβig, 1898; traduzione di Carmen Putti, Treviso, Editrice Santi Quaranta, 2004, pp. 183-184):

Ci fu anche chi lesse [nel locale berlinese Il Tunnel, divenuto il ritrovo abituale di un gruppo di letterati] una poesia che trattava un amore incestuoso tra fratello e sorella. Non fu accolta bene, meno che mai da Storm che, al momento di esprimere il suo parere critico ci tenne a precisare che innanzitutto nella lirica mancava una certa "atmosfera opprimente". «Allora, Tannhäuser — lo apostrofò qualcuno — perché non ci prova lei?». Storm raccolse la sfida e due settimane più tardi presentò i verso di "Amore fraterno" ma subì un insuccesso umiliante. «Certo, la sua poesia è di gran lunga migliore della prima ma anche peggiore. Indubbiamente è riuscito a ricreare l’atmosfera opprimente di cui tanto sentiva la mancanza, ma in compenso incute un terrore folle a chi la legge». Credo che il giudizio fosse giusto e anche Storm ne convenne, lavorò ancora attorno a quei versi per cercare di recuperarli e, successivamente, tentò un’autodifesa attraverso lettere e colloqui. Senza ottenere successo. Una di queste lettere fu indirizzata anche a me.

«La prego di non spaventarsi se, ancora una volta, ritorno sulla mia ballata incestuosa. Ogni tradizione e comportamento, in cui noi forse scorgiamo solo una legge morale universale, possiede in realtà un fondamento reale e interiore da cui trae la propria giustificazione. Questa consuetudine, perché di effettivi divieti in quest’ambito non si può parlare, secondo cui fratello e sorella non si devono unire carnalmente, corrisponde ad una regola di natura, per cui trai due non può esservi attrazione. Nei casi però in cui questo tipo di attrazione si sviluppa, viene a mancare il fondamento reale che ha portato al consolidamento di questa consuetudine e il singolo individuo può considerarsi di buon grado come un’eccezione, pienamente giustificata, alla regola generale. Nella lirica ho voluto individuare il centro poetico in questa rivendicazione dell’individuo al proprio diritto naturale, dopo che ha cercato inutilmente di coniugare la sua attrazione per la sorella con la morale vigente e tutte le conseguenze che questo comporta. Ho elaborato un nuovo finale che, naturalmente, da un punto di vista cristiano sarà altrettanto poco accettato quanto il primo. Lo riporto qui di seguito…»

Faceva seguito il nuovo finale, con il quale la poesia è entrata a far parte della sua raccolta poetica. Malgrado l’elaborazione e l’impegno profuso, resta comunque una lirica piuttosto mediocre, come può facilmente verificare il lettore rileggendola.

Come si vede, Storm nella sua lettera a Fontane non si sofferma a giustificare la propria poesia sotto l’aspetto artistico, ma va dritto alla sostanza della questione, cioè al tabù dell’incesto tra fratello e sorella in se stesso. E per difendere la sua composizione, non si perita di assumere la difesa dell’incesto, adducendo la strana argomentazione che il congiungimento carnale tra due fratelli è interdetto da una legge di natura, ma che questa legge ha le sue eccezioni, e in tal caso la morale deve piegarsi a riconoscere quello che è un puro dato di fatto. Per quanto strampalata e contraddittoria sul piano logico, questa tesi è la stessa che la cultura contemporanea ha elaborato a sostegno della assoluta liceità delle pratiche sessuali più anormali: siccome tali forme di attrazione esistono, allora bisogna prenderne atto e concedere loro, in società, il pieno diritto di cittadinanza. Il che è come dire che gli istinti primordiali, anche i più biasimevoli e antisociali, devono prevalere, in ultima analisi, sulla legge morale riconosciuta da tutti: perché se il principio fondamentale è che ciascuno ha il diritto di assecondare la propria natura, ne consegue che chi si sente naturalmente attratto dalla propria sorella, ha ogni diritto di seguire il proprio istinto e di soddisfare le proprie voglie, benché la morale corrente condanni nella maniera più categorica un atto del genere. Si vede perciò che secondo Storm la concezione liberale del diritto è al servizio degli istinti naturali, e anche di quelli innaturali, purché questi ultimi vengano riconosciuti, a livello teorico, come delle eccezioni alla regola. È chiaro però che questa interpretazione del rapporto fra legge morale e diritto naturale apre una grossa falla nella legge stessa, e che questa falla può essere allargata a dismisura, sino a far crollare la legge e a creare una nuova legge, la quale altro non sarà che la codificazione dell’istinto — di qualunque istinto. Chi infatti porrà un limite o un freno alla proliferazione delle eccezioni; chi si arrogherà la facoltà di stabilire che questa o quella eccezione ha il pieno diritto di essere socialmente accettata, e quell’altra no? Per fare un esempio: se l’esistenza di un istinto anormale, ossia di un’eccezione alle leggi di natura, fa sì che talune persone sono sessualmente attratte dai bambini, in base al ragionamento di Storm non si vede perché tali eccezioni non dovrebbero essere tollerate e riconosciute, in base al supposto diritto di ogni minoranza ad esistere e a seguire le proprie inclinazioni.

Questa, ripetiamo, è precisamente la direzione che ha preso la cultura moderna, e che sta prendendo anche la legislazione moderna, in materia di morale sessuale: si veda il caso dei matrimoni fra persone dello stesso sesso e il loro presunto diritto ad avere dei bambini, adottandoli, acquistandoli o procurandoseli con la fecondazione eterologa. E come fissare un tetto, un limite quantitativo, a tali pretese? E poi, perché fissarlo? Se l’istinto va rispettato e riconosciuto, a che titolo porvi dei limiti?

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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