Il segreto della buona morte è vivere bene
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22 Agosto 2021Il filosofo Ugo Spirito (1896-1979), il più grande discepolo di Giovanni Gentile, firmatario non pentito del Manifesto degli intellettuali fascisti del 1925 e teorico di spicco del corporativismo, era un pensatore originale e un uomo coerente e molto franco. Le sue serate di libera discussione, nell’aula magna dell’Università di Roma, che si tenevano ogni giovedì ed erano aperte a tutti, attiravano un folto pubblico, che ammirava in lui il pensatore aperto al dialogo su qualsiasi argomento, rispettava tutte le opinioni e nondimeno portava avanti una propria linea di ragionamento al vertice della quale c’era sempre la preoccupazione di giungere alla verità. E già questo era insolito, quasi incredibile, in un orizzonte filosofico sempre più dominato dal relativismo, dove ben pochi suoi colleghi dedicavamo altrettanta attenzione al tema della verità. Inoltre egli era sempre preciso e logico nelle sue argomentazioni, non faceva sconti a nessuno per ragioni ideologiche contingenti, convinto com’era che la verità non ha etichette, non è di destra o di sinistra, è una e per quanto sia arduo raggiungerla, nondimeno in ciò risiede tutto il significato e tutta la bellezza della ricerca speculativa.
C’è poi un altro aspetto che ne faceva una figura originale e anticonformista, benché in altri tempi la cosa sarebbe parsa perfettamente naturale: il suo vivo interesse e il suo profondo rispetto per il tema della ricerca religiosa. Tanto per cominciare, egli era convinto che Dio esiste, perché riconosceva la validità dell’argomentazione relativa alla Causa Prima: è impossibile che Dio non esista, visto che, negandolo, si renderebbe impossibile qualsiasi tentativo di spiegazione del mondo. Il mondo non può essersi fatto da solo, dunque Dio esiste. Non aderiva ad alcuna fede religiosa confessionale, però aveva un grande rispetto e una viva ammirazione per il cattolicesimo: riconosceva l’importanza suprema del ruolo storico da esso ricoperto nella costruzione della civiltà europea, e specialmente italiana; e non sopportava i filosofi atei che pretendono di spiegare tutto facendo però a meno dell’idea di Dio. In realtà, egli aveva in orrore sia il fanatismo superstizioso di certi credenti, sia il volterrianismo superbo degli intellettuali progressisti e “illuminati”; ma forse — crediamo – più il secondo del primo, anche perché, essendo tipico di una classe d’intellettuali palesemente slegati dalle radici popolari, gli appariva gratuito e ingiustificato, una sorta di escrescenza parassitaria sul tessuto della società viva e vitale. Se le persone comuni del popolo e alcuni dei massimi pensatori di ogni tempo hanno creduto nell’esistenza di Dio, ciò s’impone come un forte argomento, del quale si deve tener conto: non è saggia una filosofia che si prende il lusso d’ignorarli o di snobbarli, né merita veramente il nome di filosofia una speculazione che si limita alle cause seconde o terze, e si riduce a filosofia del linguaggio o delle strutture, o peggio ancora a una brutta copia di quella cosa già discutibile che è la psicanalisi. In questo senso, Ugo Spirito era ancora un pensatore “classico”; e pur non essendo dichiaratamente cristiano, gli spetta idealmente un posto nel grandioso filone che va da Platone e Aristotele, a Sant’Agostino, a San Tommaso d’Aquino, a Pascal e a Kierkegaard.
Poiché dopo la Seconda guerra mondiale si era avvicinato al comunismo, alcuni pensano, a torto, che sia stato uno dei tanti intellettuali pronti a cambiare casacca, passando disinvoltamente dal fascismo sconfitto al marxismo in ascesa; ma questa interpretazione è del tutto falsa e fuorviante. Spirito era sempre stato un fascista di sinistra e un grande fautore del corporativismo; inoltre era un uomo curioso nel senso migliore della parola, ed è perfettamente logico che si sia domandato, dopo il tramonto di quel fascismo nel quale aveva creduto, se non fosse possibile salvare la sua migliore eredità in ambito sociale, volgendosi verso le forze politiche che in teoria avrebbero potuto ereditarne la battaglia per una maggiore giustizia. Ma non tardò a rendersi conto che il marxismo era morto; e ciò è tanto più notevole, e depone per il suo acume intellettuale, in quanto, proprio negli stessi anni, la maggior parte degli intellettuali cadde nell’abbaglio di crederlo irresistibilmente lanciato verso la conquista dell’egemonia, e si accodarono quasi tutti, cattolici compresi, a venire a patti con esso, dando per scontato che non solo sarebbe rimasto un grosso fattore politico, ma che avrebbe finito per prevalere su tutte le altre ideologie. Spirito, al contrario, ragionando sul lungo periodo, era pronto a scommettere sulla forza di attrazione del cattolicesimo, e si aspettava che da lì sarebbe partita la costruzione di un mondo nuovo e più giusto. Il che non lo indusse mai a fare confusione, scambiando il cattolicesimo per un surrogato delle forze politiche di sinistra; al contrario, quando vide la piega che stava prendendo la Chiesa cattolica dopo il Concilio Vaticano II, egli, che pure aveva guardato con simpatia e ammirazione a Giovanni XXIII – e non fu certo il solo a cadere in un simile abbaglio, non comprendendo che proprio da Giovanni XXIII era partita la svolta conciliare, gravida delle peggiori conseguenze — ne rimase assai deluso, anzi diciamo meglio: scandalizzato. Si chiese, anche qui mostrando una notevolissima lungimiranza, dove sarebbe andata a finire una Chiesa cattolica che, invece di portare avanti con fierezza la propria visione del mondo, fondata sul Vangelo, in un certo senso si metteva al rimorchio, e sia pure in forma larvata ed implicita, e perciò anche ipocrita, di un’ideologia come il marxismo, che ormai aveva esaurito il suo ruolo propulsivo, anche se i suoi successi apparenti davano a tanti l’impressione che godesse tuttora di ottima salute.
Ad ogni modo, benché Ugo Spirito fosse una persona notoriamente calma e paziente, ci fu almeno un volta nella quale s’inquietò fortemente; diciamo meglio: rimase amareggiato e indignato, tanto da prendere carta e penna per mettere nero su bianco la sua vibrata protesta. E fu nel 1967, allorché il Segretariato Vaticano per i non credenti (grottesca istituzione: una delle belle novità del Vaticano II, di quelle che attrassero le cure paterne di alti prelati amici dei massoni, come il cardinale Carlo Maria Martini) gli inviò un formale invito a prendere parte ad una iniziativa in favore della pace. Non credente, cioè ateo, a me?, dovette pensare il filosofo aretino. Questa proprio non la mando giù: ateo sarà lei. Non avevano compreso, quei bravi sacerdoti modernisti e ultraliberali, che un laico intelligente non si sente affatto lusingato, come loro credevano e continuano ostinatamente a credere anche oggi, a mezzo secolo di distanza e dopo che il mondo è crollato loro sulla testa, di essere chiamato “ateo”: perché ateo significa che ha chiuso i conti con Dio e ha raggiunto la ragionevole certezza della sua inesistenza; il che, come si è visto, per Ugo Spirito era un controsenso, una vera e propria assurdità, della quale non c’era nulla di cui gloriarsi, tanto meno sul piano speculativo, semmai da vergognarsi.
L’episodio è stato riportato da un altro eminente filosofo contemporaneo, padre Cornelio Fabro, che lo ebbe amico e lo ammirò, nel quadro di un’affettuosa rievocazione complessiva della figura di questo notevole pensatore del Novecento che ha lasciato un’orma profonda dietro a sé, durante le esequie funebri che accompagnarono il suo ultimo viaggio mortale, a Roma, il 28 aprile 1975 (da: C. Fabro, Ricordo di Ugo Spirito, in Humanitas. Rivista bimestrale di cultura, Brescia, Editrice Morcelliana, anno XXXIV, n. 3, giugno 1979, pp. 283-284):
In occasione del Congresso internazionale di filosofia, tenutosi a Mendoza in Argentina verso la fine di marzo ed i primi di aprile del 1949, il sottoscritto fu pregato di celebrare la Messa per i congressisti credenti (era la domenica di Passione) ala quota di oltre 3.000 m. sulla Cordigliera delle Ande: quale non fu la mia sorpresa nel vedere davanti in piedi, voltandomi al primo “Dominus vobiscum”, dignitoso e raccolto Ugo Spirito. E scadendo proprio in quei giorni il trigesimo della scomparsa dell’adorata Mamma, mi pregò di celebrare per la sua anima una Messa di suffragio. E potrei continuare con altri episodi non meno pertinenti.
A differenza della maggior parte delle filosofie contemporanee, dedite alle analisi linguistiche, sociologiche, psicanalitiche… che egli non riconosceva per filosofia, Spirito non eluse il problema di Dio che per lui non era più un semplice problema, ma (come abbiamo già sentito) il riferimento indispensabile della ricerca della verità e della fondazione della libertà. A questo proposito c’è un episodio perentorio, riportato per intero nelle “Memorie” (al capitolo su Paolo VI). Si tratta dell’invito (ricevuto alla fine del 1967) dal Segretariato Vaticano per i non credenti (cioè atei) a partecipare, sotto quella qualifica, ad una manifestazione per la promozione della pace. Fu una delle poche volte che lo vidi indignato e fremente perché giudicava quella qualifica (di «non credente») un’intromissione illecita e insultante: alla sua protesta ferma e vibrata — che si può leggere per intero nelle “Memorie” (p. 212 ss.) — il Vaticano, per mano di Mons. Benelli, rispose con qualche ritardo inviando comunque, con garbo, le sue scuse.
Per lui, come ha detto più volte in questi ultimi anni, il comunismo di Marx-Engels-Lenin… l l’unico che riconosceva — è già morto e non ammetteva rinfrescamenti.
L’unica forza spirituale autentica nel mondo era per Spirito il cristianesimo e perciò si meravigliava, e ne soffriva, di certi atteggiamenti o avvicinamenti tattici della politica dei cattolici coi partiti laici atei e perfino del compromesso di fatto coi partiti marxisti che dovevano risolversi — i fatti l’hanno dimostrato e non solo in Italia — a tutto danno del cattolicesimo ed a confusione delle coscienze. Ovviamente, il cristianesimo a cui egli era approdato non era quello ufficiale e confessionale ossia articolato in dogmi precisi: era un cristianesimo essenziale che partiva e ritornava al Vangelo, anche se non si riferiva a definizioni di Concili: posso attestare a questo proposito che Spirito ammirò la figura di Papa Giovanni nella quale riconosceva una testimonianza autentica del Vangelo e sentì profondamente il dolore della sua scomparsa.
Più profonda ancora, a questo riguardo, è stata per Spirito la preoccupazione del problema di Dio ch’era diventato un assillo dominante degli ultimi temi. Egli lo ha risolto a chiari termini nell’intervista concessa al settimanale “Gente” dell’11 novembre 1978, un testo che si può considerare il suo testamento spirituale al quale perciò rimandiamo. Qui la sua formula è categorica: «Io so che Dio esiste, non so chi è» — e più precisamente: «Che Dio esista è certo perché è il principio di tutto, l’assoluto. Il solo fatto di ricercarlo — aggiungeva, riecheggiando Agostino — è una prova della sua esistenza. Ma a me uomo, non basta avere questa certezza. Io ho bisogno di dare un ‘volto’ a Dio, di sapere che cosa egli è realmente. C’è una domanda che urge dentro di me ed alla quale sento di dover dare una risposta: Chi è Dio?» (p. 137).
«So che Dio esiste» – e si sdegnava contro l’ateismo ora diventato di moda nella cultura e nei partiti, propagato dai docenti nella scuola, dalle elementari fino all’Università, ma anche contro quello mascherato dei nuovi teologi post-conciliari (alle volte tollerati, con suo grande rammarico, anche all’interno della gerarchia): come anche detestava lo sfruttamento politico della religione e del cristianesimo, in particolare da pare di gente senza pudore e dignità perché evitò di buttarsi nella mischia per impedire l’approvazione di leggi inique ed anticristiane.
«So che Dio esiste», quindi Spirito era convinto che il mondo non era opera del caso, che la ragione non è un’evoluzione della materia e che la storia dell’uomo – malgrado le sue contraddizioni, violenze ed ingiustizie… – era in cammino verso il golfo sicuro dell’eternità, del conforto di quel sabato della giustizia e della verità che, secondo Agostino, non conosce tramonto.
«Non so chi è.» Ma nessuno, nessun mortale e nessun credente (e credente si dice appunto perché non conosce) «sa» chi è Dio. La Bibbia stessa insegna che «Dio abita in una luce inaccessibile» (1 Tim. 6,16).
L’aquila degli Evangelisti, Giovanni, afferma che «Dio nessuno l’ha mai veduto» (Gv 1,18).
Ugo Spirito aveva ben compreso la cosa più importante di tutte: che il solo fondamento possibile della libertà è nella verità; e che senza verità, o con una verità adulterata o relativizzata, non si dà alcuna vera libertà, ma tutt’al più la sua cattiva imitazione. Inoltre disprezzava quei cattolici che non avevano voluto battesi negli anni ’70 sul divorzio e l’aborto. Basterebbe questo per metterlo di parecchie spanne al di sopra della maggior parte dei filosofi che si sono disputati il campo e i salotti buoni della cultura italiana, a partire dalla seconda metà degli anni ’40 fino ad oggi. Del resto, ora che la tragedia mondiale della falsa pandemia e del totalitarismo terroristico mascherato da perenne emergenza sanitaria ha fatto cadere le maschere, vediamo quanto poco si debbano prendere sul serio filosofi come Umberto Galimberti, che dichiara pazzi da ricoverare quanti non si lasciano ingannare dalla Narrazione Unica imposta dal grande potere finanziario globalista. In questa atmosfera mefitica, in questo quadro di sconcertante squallore e mediocrità, nel quale non spiccano per niente i teologi e gli esponenti della sedicente cultura cattolica, si rimpiangono più che mai il rigore e la dirittura di un pensatore veramente libero, e perciò aperto al mistero della fede, come Ugo Spirito.
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