Quando si prega, un dio vale l’altro?
15 Luglio 2021Lutero nega il libero arbitrio per sfuggire alla nevrosi
18 Luglio 2021La presente riflessione prende le mosse dal commento di un amico lettore al mio precedente articolo: Quando si prega, un dio vale l’altro?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il giorno 15/07/21 e apparso anche su alcuni altri siti, fra i quali Gloria.tv. In esso deploravo l’incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986, fortemente voluto da Giovanni Paolo II nella prospettiva dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, e proseguito poi da Benedetto XVI. Ho descritto quell’evento come la manifestazione spettacolare della rottura dottrinale, lacerante e irreparabile, operata nella Chiesa cattolica dalle idee introdotte dal Concilio Vaticano II — altro punto dolente, che ha suscitato la garbata obiezione di un secondo lettore – sostenendo che quell’evento è stato da un lato il logico sviluppo dell’idea di libertà religiosa espressa nella Dignitatis humanae e della valorizzazione delle varie religioni che sta al centro della Nostra aetate; e dall’altro il preludio al sabba infernale di Astana che Bergoglio si accinge a celebrare ai nostri dì. Quel lettore ha osservato che la nostra tesi gli pareva ingenerosa, perché — scrive, citando l’Apocalisse, invero in maniera opinabile — in ogni Religione (con la maiuscola) ci sono scintille di Verità (sempre con la maiuscola). Poiché si tratta di un’obiezione importante, fatta con cortesia, e poiché il tema trattato è realmente importantissimo, desidero tornarci sopra, per chiarire meglio il mio pensiero e mostrare, se possibile, che la mia tesi non è azzardata, né ingenerosa, né inutilmente severa ed escludente nei confronti di chicchessia.
Prima, però, mi sia consentito dire che vi ho molto riflettuto e che, in generale, non mi permetto mai di dire o scrivere qualcosa che non abbia lungamente studiato e meditato; mentre se non ho le idee chiare su un certo argomento, resto in silenzio, leggo e ascolto quello che altri hanno da dire. Perciò i miei gentili lettori non devono pensare che scriva mai qualcosa della quale non sono fortemente convinto: per cui, invece di invitarmi a cambiare idea facendomi qualche rapida osservazione, forse farebbero meglio a meditare a fondo ciò che ho esposto, anche se questo dovesse implicare una profonda revisione di antiche certezze o un confronto con idee che la mentalità oggi prevalente può far apparire come sgradevoli, perché lontane dall’idea del dialogo a oltranza con chiunque. E infatti in quell’articolo ribadivo il concetto, già espresso in altre occasioni, che Gesù Cristo non è mai stato un campione o un sostenitore del dialogo; che non ha mai dialogato con alcuno, e meno che meno con i seguaci o i sacerdoti delle varie religioni; che Egli ha sempre dato per scontato il più rigoroso e spirituale monoteismo; e che tutto ciò che ha insegnato e prescritto come Verità parte da questa base, escludendo alla radice qualsiasi tipo di culto prescinda da queste due caratteristiche: l’assoluta unicità e spiritualità di Dio.
Ora, per prima cosa, ciò che ho scritto in quell’articolo non è frutto di speculazioni personali, ma è, né più né meno, la dottrina della Chiesa così come è stata sempre custodita, insegnata e tramandata dalla Scrittura e dalla Tradizione, per mezzo del magistero. Inoltre è in pieno accordo con la ragione naturale, la quale, specialmente nel caso di alcuni filosofi greci, si era notevolmente avvicinata alla Verità rivelata, o meglio, era giunta ad un punto che rappresenta un’ottima base di partenza per accogliere quest’ultima, come si vede nel caso della filosofia di Aristotele, ripresa, sviluppata e perfezionata da san Tommaso d’Aquino, alla luce della Verità di Cristo. La ragione naturale, infatti, ci dice che nulla potrebbe esistere se non vi fosse una Causa Prima che l’ha prodotta; inoltre ci dà gli strumenti razionali per comprendere che questa Causa Prima è un Dio creatore, spirituale ed amorevole, che ha tratto ogni cosa dal non essere all’essere, e l’ha fatta con amore. Come scrive san Paolo nella Lettera ai Romani, 1, 18-20:
18 In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 18 In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità;
E sempre san Paolo, nel famoso discorso tenuto all’Areopago di Atene, così come ci è stato tramandato dagli Atti degli Apostoli, 17, 22-31:
22 (…) «Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. 23 Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. 24 Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo 25 né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26 Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27 perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28 In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo.
29 Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana. 30 Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, 31 poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».
Adesso vediamo da vicino quelle che ho chiamato le false religioni, sulla scia di Dante (li dèi falsi e bugiardi: Inferno, I, 72), il quale a sua volta si rifaceva all’esplicito insegnamento della Chiesa. Tale era anche il pensiero delle due più alte menti filosofiche del cristianesimo, Sant’Agostino e san Tommaso d’Aquino. Per il primo, come sostiene nella Città di Dio, gli dèi del paganesimo altro non sono che demoni; per il secondo, che si rifà ad Agostino, la religione è il culto rivolto a Dio e non ad un essere qualunque. Ma, aggiungiamo, il vero Dio è uno ed uno solo: dunque la sola religione, nel senso proprio della parola, è la cristiana. Parlare delle religioni, al plurale, è già un errore: infatti molti errori filosofici e teologici nascono da un uso improprio delle parole. Non ci sono svariate religioni, perché la religione è il culto rivolto al vero Dio, dunque ce n’è una sola; come non si può chiamare "moneta" la moneta falsa, perché solo alla moneta vera spetta il nome di moneta. Se ci fossero le religioni al plurale, allora è chiaro che ognuna di essere avrebbe la sua dignità e in ognuna si potrebbe trovare, appunto, qualche scintilla di Verità; ma non è questo che dice la ragione naturale e non è questo che ha insegnato Gesù Cristo. Egli non ha insegnato: Vedete un po’ di trovare nel paganesimo qualche scintilla di Verità: un tale pensiero gli era totalmente estraneo. E per una buona ragione: la Verità è una; e Lui stesso ci ha insegnato di essere la Via, la Verità e la Vita. Ancora: se parliamo di "religioni", implicitamente le consideriamo, tutte, sotto il profilo storico, ossia come fenomeni equivalenti e perciò paragonabili: ma la verità e l’errore non sono paragonabili perché non sono commensurabili. Allo stesso modo, se ci è consentito il paragone, non si può parlare di eterosessualità ed omosessualità, come due forme di sessualità, implicitamente entrambe naturali: la cosiddetta omosessualità non esiste, perché la sessualità, in biologia, è l’incontro dei gameti maschili con quelli femminili. L’inganno, o se si preferisce l’equivoco, nasce molto spesso dall’uso inappropriato del linguaggio. La Verità, con la maiuscola, è una, perché è Dio; e allora o ha ragione Berogoglio a dire che Dio non è cattolico, e si cade nel relativismo; o ha ragione Jean Guitton a dire che Dio è cattolico, e allora la Verità è il Dio dei cattolici.
Nel mio precedente articolo poi mettevo in evidenza come l’indifferentismo religioso sotteso all’evento di Assisi del 1987 è in contrasto con il Magistero di sempre; e inoltre che quell’evento ha posto sullo stesso piano non solo le cosiddette religioni superiori, non solo le cosiddette religioni monoteiste, ma anche tutte le altre, compreso la sciamanesimo e la stregoneria, per una preghiera comune che, rivolgendosi agli dèi falsi e bugiardi, se non addirittura ai demoni (e come altro chiamare gli spiriti invocati dagli stregoni africani?). Alcun, poi, rappresentate ad Assisi, come il buddismo, non sono neppure, propriamente parlando, delle religioni, ma filosofie; altre, come lo scintoismo, sono forme di politeismo vere e proprie. Tutti questi sacerdoti impartivano benedizioni (anche gli stregoni?, o non piuttosto maledizioni?); i buddisti posero un simulacro di Buddha sull’altare della chiesa di San Pietro, proprio davanti al tabernacolo, poi si prostrarono in adorazione. Di chi? Di Gesù Cristo? Di Buddha? Fa lo stesso, è la stessa cosa? Ma il Primo Comandamento non dice forse: Non avrai altro Dio fuori che me? I Dieci Comandamenti sono superati, archiviati, come tante altre cose della dottrina e senza che noi ce ne rendessimo conto, grazie alla "nuova pentecoste" (non ci regge il cuore di scriverlo con la maiuscola) del Concilio Vaticano II? O non si è trattato, invece, di una profanazione intollerabile, di un sacrilegio che grida vendetta al cielo? Buddha intronizzato davanti al tabernacolo, cioè davanti all’Altissimo, sull’altare di una chiesa cattolica!
Certo, una cosa del genere ormai non fa quasi più notizia: non abbiamo visto dei vescovi intronizzare la Pachamama nella basilica di San Pietro in Vaticano e nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, e Bergoglio adorarla insieme a laici e a consacrati? E non abbiamo letto, nel documento di Abu Dhabi, l’affermazione di un sedicente papa che Dio stesso, nella sua sapienza, ha voluto l’esistenza delle diverse religioni? E non abbiamo udito il decano dei vescovi amazzonici vantarsi del fatto che, in quarant’anni di "missione" (fra virgolette, per forza di cose), non solo non ha mai battezzato un solo indigeno, ma non ha mai avito alcuna intenzione di farlo, per rispetto verso le credenze (animiste, stregonesche e in parte antropofaghe) di quei nobili indigeni, minacciati e oppressi dai bianchi, così tremendamente cattolici ed etnocentrici? Tutto questo avviene oggi,certo; ma non è stato forse preparato dall’evento di Assisi del 1986? E quello, a sua volta, dal gesto inqualificabile di Paolo VI, che si è presentato in chiesa indossando la tavola pettorale dell’ephod, quella dei sommi sacerdoti ebrei, la stessa – per intenderci – che indossava un certo Caifa quando condannò a morte un certo Gesù Cristo? E, lungo la strada che congiunge tutti questi eventi, dal Concilio ad oggi, papi che baciano l’anello dei rabbini (e pazienza se il loro libro sacro, il Talmud, insulta e maledice Gesù e tutti i suoi seguaci), papi che baciano il Corano (che nega la divinità di Cristo e impreca contro chi l’afferma), papi che baciano la Bibbia valdese (di quei valdesi che tentarono di assassinare San Giovanni Bosco) e che domandano scusa a tutti, ma proprio a tutti, come se solo il cattolicesimo avesse delle colpe da farsi perdonare, e gli altri nessuna da farsi perdonare dai cattolici. È grazie a simili gesti se oggi la stragrande maggioranza dei cattolici ha introiettato un fortissimo senso di colpa verso tutti i non cattolici, e di vero e proprio auto-disprezzo. Senso di colpa e auto-disprezzo che danno l’ardire a un prete, nel corso della Santa Messa, di dire ai fedeli: Non vi faccio recitare il Credo, perché tanto io non ci credo; e a un altro di cancellare la santa Messa di Natale per rispetto verso la tragedia dei migranti; e a un altro ancora di appendere sulla porta della chiesa un cartello con la scritta: Razzisti, tornatevene a casa vostra. Il tutto nel silenzio assordante dei loro vescovi, i quali sanno far sentire la loro voce solo quando si tratta di riprendere, sgridare, umiliare pubblicamente un sacerdote che, di tanto in tanto, dica qualcosa di cattolico, perché crea divisioni ed esclusione.
Attenzione dunque al mito dell’unità ad ogni costo e dell’inclusione a oltranza, di chiunque. Questa mentalità è figlia del Vaticano II, il quale si è rifiutato di scomunicare le eresie e condannare il peccato e, con ciò, ha dato l’illusione che non ci si siano più né quelle, né questo. Così è venuto meno al primo dovere dei pastori del gregge: mettere in guardia contro i pericoli. Il fine della Chiesa è la salvezza delle anime. Ma come le si può salvare, se s’incoraggia l’idea che in ogni religione c’è una scintilla di Verità? Di verità, umana e naturale, forse; di Verità, soprannaturale e divina, no certo. Gesù non ha detto: Io e gli altri dèi siamo la Verità; ma piuttosto: Io sono la Verità.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash