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16 Luglio 2021Se dovessimo indicare la data che segna la svolta e la rottura decisiva con la Tradizione, nella maniera più devastante, da parte della gerarchia e del clero cattolici, indicheremmo senz’altro il cosiddetto incontro interreligioso di Assisi del 27 ottobre 1986, indetto da Giovanni Paolo II come una preghiera comune per la pace. Due cose colpiscono in modo particolare nell’iniziativa di Wojtyla: primo, l’indifferentismo religioso che vi è sotteso; secondo, l’adozione del concetto di pace in un senso puramente umano, anzi nel senso (massonico) delle Nazioni Unite, e il totale oblio del concetto della pace cristiana, così come definita da Gesù stesso: Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo (Gv 14,27).
La scena di Assisi, e particolarmente la sfilata nella Porziuncola, è stata così rievocata a Domenico Del Rio, un vaticanista che era particolarmente legato a Wojtyla perché aveva ritrovato la fede sotto il suo pontificato e ne attribuiva a lui il merito, e quindi nella biografia a lui dedicata smorza o ignora sistematicamente le ombre e si sforza di porre in evidenza le luci (da: D. Del Rio, Karol il Grande, Milano, Edizioni Paoline/Famiglia Cristiana, Milano, 2003, pp. 160-162):
Il primo ad aprire le processione fu un piccolo monaco buddista, gentile, sorridente, con la tunica arancione; si inchinava a mani giunte e salutava. Si avviava verso la grande pedana posta davanti alla Porziuncola fra gli applausi della gente che era dentro la basilica. Poi, in fila, tutti quanti in chiesa: buddisti, scintoisti, musulmani, ebrei, ortodossi… Il papa, sulla porta, era come un parroco all’antica che mandava dentro i parrocchiani. Solo che lì erano pochi quelli che credevano in Cristo. E chi ci credeva era/è un fratello "separato" dai cattolici.
Passarono i monaci giapponesi, lindi, con le calze bianche; arrivò un sikh solenne, con una splendida barba e un maestoso turbante, accompagnato da un’elegante signora; passarono i preti della foresta africana, i piedi scalzi sul pavimento freddo, il capo agitato da un lungo pennacchio di crine verso la folla acclamante; arrivarono i pellirosse con grandi penne colorate in testa, tenendo fra le mani il calumet della pace.
Infine, entrò il papa. Alla sua destra c’era l’arcivescovo ortodosso Metodio, inviato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Dimitrios; alla sinistra era il primate anglicano Runcie. Il papa era vestito di bianco, Metodio di nero con un velo in testa e un bastone ornato d’argento. Runcie vestiva di scarlatto. Tutti sedettero su un semicerchio di poltrone; il papa al centro, alla sua destra i cristiani, ma la fila terminava con gli ebrei, con il rabbino Toaff; alla sua sinistra i non cristiani, primo il Dalai Lama, ultimo un pellerossa.
Nella grande basilica, si alzò un coro potente in greco: «Tutte le creature lodino il Signore». Il papa diede a tutti il benvenuto, e spiegò perché li aveva chiamati lì. Infine, un coro gentile di voci giapponesi cantò "Lodate il Signore, genti tutte". E i rappresentanti delle religioni mondiali ripresero a sfilare verso la porta della basilica. Si portarono su ad Assisi, dentro tre pullman, verso i luoghi separati di preghiera e di digiuno.
La mattina passò così: i cristiani con il papa nella cattedrale di San Rufino, gli altri in chiese diverse, in sale di monasteri, di conventi o del municipio; solo gli ebrei si erano tenuti un disparte all’aperto in una piazzetta. Tutti pregavano. Pregavano per la pace. Pregavano a modo loro. Pregavano con il fuoco, pregavano con l’acqua, i pellirosse pregavano fumando il calumet. I buddisti, nella chiesa di San Pietro, ponevano un Budda davanti al tabernacolo dell’altare e facevano prostrazioni.
La gente, gente cattolica, andava a vederli. Entrava nelle chiese come se andasse a una messa, ascoltava le preghiere incomprensibili e si prendeva le benedizioni e le abluzioni di quei misteriosi celebranti arrivati dall’Estremo Oriente, dalle foreste africane e dal far West americano.
L’attenzione forse, più che dal papa, fu attratta da quella sfilata di uomini oranti, spettacolari nel loro insieme. E, forse, era anche questo ciò che voleva il papa, il quale, anche se soltanto egli solo parlò, con tre discorsi, era lì come colui che ospitava e non come chi presiedeva. Quello che importava era il pensiero della pace. La pace era dentro questo spettacolo di preghiere multiformi e colorate.
Veramente nel leggere questa relazione, che vorrebbe essere solenne nell’evocazione di esotiche e quasi magiche atmosfere, non si sa se ridere o piangere: ma davvero un cronista cattolico, che scrive per dei cattolici in omaggio ad un papa cattolico, può aver perso la bussola fino a questo punto? Davvero può aver scambiato fino a tal segno la forma per la sostanza, lo spettacolo per la fede, la corografia per il contenuto? E, soprattutto, davvero la grande massa dei cattolici può aver visto quell’evento con i medesimi suoi occhi; e davvero un successore di San Pietro può aver concepito, inscenato e glorificato un così plateale stravolgimento della liturgia e della dottrina cattoliche, spingendosi fino alla profanazione delle chiese e dei tabernacoli, in una serie di quadri viventi che ricordano l’adorazione del Vitello d’Oro, il tutto fra il plauso ammirato di una folla inconsapevole, sedotta dai colori e dalle apparenze e del tutto dimentica del primo Comandamento: Io sono il tuo Dio; non avrai altro Dio fuori di me?
Vediamo. La gente dentro la basilica di Assisi applaude all’ingresso della lunga, fastosa e tragicomica sfilata, aperta dal piccolo monaco buddista tutto sorridente, e chiusa dal vicario di Cristo. Applaudiva? Sì, applaudiva. Come allo stadio, come ai concerti di musica leggera. E che cosa applaudiva, esattamente? Niente: l’ingresso in una famosa basilica cristiana di una quantità di esponenti delle altre religioni, cioè di quelle che, fino al Vaticano II, e secondo il Catechismo di san Pio X, erano, propriamente parlando, e sono tuttora per un vero cattolico, le false religioni. Una folla di cattolici applaudiva, come al circo, la sfilata dei falsi preti delle fase religioni, ammirando le loro vesti dai colori sgargianti, i loro pennacchi, i loro gesti enfatici. Quale immensa tristezza produce una tale scena; che testimonianza eloquente della decadenza non solo della fede, ma anche della ragione e del buon senso; quale trionfo dello spirito laicista, massonico e anticristico, vera e propria anticipazione del sabba infernale di Astana dei nostri giorni.
Il papa, sulla porta, era come un parroco all’antica che mandava dentro i parrocchiani. Davvero? Provate a immaginari un buon vecchio parroco dei tempi passati che si presta ad una simile pagliacciata sacrilega: ci riuscite? No, è impossibile; il più umile parroco di campagna aveva abbastanza sensus fidei da capire d’istinto che tutto ciò era profondamente sbagliato, grottesco, blasfemo. Solo che lì erano pochi quelli che credevamo in Cristo. E chi ci credeva era/è un fratello "separato" dai cattolici. Appunto. E che cosa ci facevano tutti costoro, dentro una chiesa cattolica? Cosa erano venuti a fare, chi li aveva invitati e a quale scopo? A pregare? A pregare i falsi dei per una pace intesa in un senso interamente umano, immanente e materiale? Bella cosa davvero; da andarne fieri in quanto cattolici "adulti" e dialoganti.
Passarono i monaci giapponesi, lindi, con le calze bianche; arrivò un sikh solenne, con una splendida barba e un maestoso turbante, accompagnato da un’elegante signora. Dunque un vero caravanserraglio: dove il costume specifico di ciascuno è motivo di stupore, di meraviglia, di entusiasmo, come quando, da bambini, ci si reca con i genitori in visita ai padiglioni di una fiera d’oltremare. Calze bianchissime; barbe solenni; turbanti maestosi; signore eleganti. Cosa c’è di cattolico, anzi cosa c’è di spirituale in tutto questa esibizione spettacolare? E infatti la gente — non più i fedeli, ma la gente, gli spettatori — non si raccoglie, non prega: applaudisce. Come al torneo di tennis; come al passaggio del Giro d’Italia.
Passarono i preti della foresta africana, i piedi scalzi sul pavimento freddo, il capo agitato da un lungo pennacchio di crine verso la folla acclamante; arrivarono i pellirosse con grandi penne colorate in testa, tenendo fra le mani il calumet della pace. E da quando gli stregoni africani si chiamano "preti della foresta africana"? Gli stregoni sono preti; la parola prete è adatta a designare chi si dedica alla stregoneria? Li conoscono bene, i missionari cattolici, codesti "preti" della foresta africana: li conoscono per aver visto le loro opere infernali, i malefici, gl’incantesimi, le tecniche occulte del terrore con le quali tengono soggiogate quelle infelici popolazioni. E i pellirosse, che altro sono se non degli sciamani? Tengono in mano il calumet della pace; benissimo: ma quando pregano, invocano Manitù. Invocare Manitù e adorare Gesù Cristo sono cose equivalenti? Vanno bene entrambe? Si possono fare assieme gomito a gomito, in nome della fratellanza umana? Quale fratellanza? Quale idea di uomo e di umanità le accomuna? Di certo, non l’idea cristiana; ma che importa? Dio, parola di Bergoglio, non è cattolico.
Poi, il colpo di teatro conclusivo. Il papa vestito di bianco, l’arcivescovo ortodosso vestito di nero e il primate anglicano vestito di rosso: che magnifico colpo d’occhio! Ci voleva un innamorato del teatro come Wojtyla, lui stesso attore dilettante da ragazzo, per concepire una simile coreografia. Vuoi mettere con i papi di prima del Concilio, così spenti, così grigi, così noiosi nella loro compassata prevedibilità? Quello di Assisi sì, che è uno spettacolo, una vera gioia per gli occhi; e solo il papa viaggiatore quant’altri mai, colui che ha fatto centoquattro viaggi apostolici (più centoquarantasette visite pastorali) in centoventisette Paesi del mondo, tutti a spese dei fedeli naturalmente, e sempre con le danze etniche o altre forme di spettacolo per un pubblico dal palato grosso, poteva concepire una cosa del genere.
Nella grande basilica, si alzò un coro potente in greco: «Tutte le creature lodino il Signore». Il papa diede a tutti il benvenuto, e spiegò perché li aveva chiamati lì. Infine, un coro gentile di voci giapponesi cantò "Lodate il Signore, genti tutte". Già: ma di quale Dio si sta parlando? Quale Dio pregavano e invocavano i monaci buddisti e scintoisti e confuciani, gli stregoni e gli sciamani, gli islamici e gli ebrei? Ciascuno il proprio, evidentemente. Plastica dimostrazione dell’equivalenza di tutte le religioni: concreta applicazione delle idee già espresse nella Nostra aetate del 27 ottobre 1965 e nella Dignitatis humanae del 7 dicembre 1965. Il Concilio, dunque; ancora e sempre il Concilio. Wojtyla, descritto da molti come un papa conservatore, perfino un po’ reazionario, è stato in realtà il più convinto assertore delle novità conciliari: le più dirompenti, le più contrarie al Magistero di sempre. Sì, perché l’idea che tutte le religioni sono vere, o hanno una parte di verità, e che senza scandalo le si può accostare in una cerimonia comune, con un fine comune, è totalmente contraria a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato: sempre, senza mai deflettere d’un millimetro. Impossibile immaginare un Pio IX, un Leone XIII, un Pio X, o anche un Pio XII, assumere un’iniziativa di quel genere: impossibile, perché contraria al Magistero. Dunque, il Concilio è contrario al Magistero; e le sue implicazioni ed i suoi sviluppi conducono le anime sempre più lontane dalla Verità rivelata — e anche, vogliamo aggiungere, da ciò che la sana ragione naturale mostra con la massima evidenza. Forse che per la ragione naturale possono esister due, tre, quattro, trenta verità contemporaneamente? Ciascuna delle quali, a suo modo, vera; e dunque ciascuna egualmente rispettabile?
Abbiamo detto che è impossibile immaginare un qualsiasi papa, fino a Pio XII compreso, farsi promotore di un’iniziativa come l’incontro di Assisi del 1986. Di più: è impossibile immaginarsi Gesù Cristo fare una cosa del genere. Gesù non ha mai dialogato, e tanto meno pregato coi sacerdoti delle false religioni; tanto meno con stregoni e fattucchieri. Il modello di vita e di fede, per qualunque cattolico, è innanzitutto Gesù Cristo; tutti gli altri modelli, compresi i santi più gradi della storia, vengono dopo, infinitamente dopo. Gesù non ha mai umiliato la Sua missione mettendo la propria Parola al livello delle altre parole umane, e meno che mai al livello degli insegnamenti delle false religioni. E sì che ce n’erano, nella Palestina ellenizzata dei suoi tempi, e specialmente nella regione attorno al lago di Galilea, dove Egli visse e predicò più a lungo, di culti religiosi: per tutti i gusti e tutte le razze. Ma Gesù semplicemente li ha ignorati: si è regolato come se non li vedesse neppure. E senza dubbio c’erano, anche sacerdoti e pretesi uomini di Dio che predicavano il sincretismo e l’indifferentismo: ciò era tipico della cultura ellenistica; ma per Gesù era come se non esistessero neppure. Non ne ha mai parlato, non ha mai dialogato con essi, neppure per una disputa o un contraddittorio, cosa allora assai frequente. E dunque? Si arriva alla conclusione inevitabile che dal Concilio i papi, i vescovi, i preti e i semplici fedeli hanno sviluppato una strana pretesa: quella di pensare, parlare ed agire come se si ritenessero migliori di Gesù. Più avanti di lui, più aperti, più moderni. E questa è la prova del nove che il Concilio ha portato la Chiesa all’apostasia.
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