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«Siate pronti a portare la croce affinché torni la pace»

La maggior parte dei credenti intende e pratica la preghiera quasi solo come impetrazione, ossia come una forma di richiesta per sé o per qualcun altro; e questo specialmente nella preghiera alla Madonna, che è considerata, e a ragione, come la Mediatrice per eccellenza, secondo il concetto espresso nella Divina Commedia da Dante Alighieri, per bocca di San Bonaventura (Paradiso, XXXIII, 12-15):

Donna, se’ tanto grande tanto vali,

Che qual vuol grazia e a te non ricorre,

sua disïanza vuol volar sanz’ali.

Eppure i credenti dovrebbero tener presente che la preghiera di gran lunga più bella, più nobile e più gradita a Dio, oltre che alla Madre Celeste, non è quella d’impetrazione, ma quella di lode e di ringraziamento; e naturalmente quella che ne è la diretta conseguenza e il pieno completamento, cioè la preghiera riparazione e di offerta. Pregare soltanto per chiedere qualcosa è come ricordarsi di un amico solo quando ci si trova ad aver bisogno di qualcosa: è lecito, ma non è una bella cosa; e qualsiasi amico umano, dopo tre o quattro esperienze del genere, si stancherebbe di essere cercato e supplicato solo per vedersi domandare qualche cosa, e poi non vedere né sentir più il richiedente per mesi o anni, fino alla prossima apparizione e alla prossima richiesta. Si tratta di un comportamento sconveniente e piuttosto fastidioso, perché tradisce un atteggiamento calcolatore e opportunistico e quindi mancanza di vera amicizia: dal momento che l’amicizia presuppone, sì, il chiedere con fiducia quando si è nel bisogno, ma anche l’offrire e anzi il prevenire le richieste dell’amico, quando ci si accorge che è alle prese con una difficoltà; e dunque la perfetta reciprocità sia nel chiede sia nel soccorrere. Un’amicizia nella quale uno dei due sa sempre e solo domandare, e l’altro è sempre usato per soccorrere l’altro, è a dir poco un’amicizia sbilanciata e asimmetrica; alla fine non è più un’amicizia, ma una relazione assistenziale a senso unico, un po’ come certi matrimoni che nascono, o si riducono, ad una forma di assistenza perpetua di uno verso l’altro, secondo ruoli fissi e un copione altrettanto scontato.

È cosa buona e giusta, dunque, non pregare solo per chiedere, ma anche per lodare e onorare Dio e per offrirgli qualcosa, cominciando dall’offerta delle proprie sofferenze e delle difficili prove che la vita ci fa sperimentare. Ma soprattutto è bello pregare per consegnare a Lui la propria volontà, o meglio per abbandonare il proprio volere e rendersi strumenti incondizionati della Sua santa volontà. Non quello che voglio io, ma quello che vuoi Tu (Lc 22,42), sono le parole della preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi, alla vigilia della sua Passione. Questo atteggiamento mentale e spirituale dovrebbe essere implicito nella recitazione delle parole iniziali del Padre nostro: sia fatta la Tua volontà, come in cielo, così in terra. Il fatto è che generalmente i credenti, quando le pronunciano, non considerano che non si tratta di una constatazione, ma di una promessa. Poiché Dio non è un tiranno e quindi non impone la Sua volontà, è necessario che il cristiano si impegni a fare la volontà di Dio assumendosene i costi e tutto ciò che essa comporta, anche in termini di sofferenze e difficoltà che sarebbero evitabili, qualora si faccia finta di non udire la Sua richiesta. Ma cos’è, in fin dei conti, la volontà di Dio? Non è altro che il disegno di perfetta armonia e di perfetta pace con cui l’universo è stato da Lui concepito, e che guida la Sua azione vigile e paziente, finalizzata alla conversione delle anime e quindi alla loro salvezza eterna. La vita ci è data per questo scopo: per conoscere, amare, servire Iddio; e da ciò deriva che conoscerlo, amarlo e servirlo equivale a riconoscere che tutto ciò che Lui vuole, non è altro che il Bene, anche e soprattutto il nostro bene: non il bene apparente, che viene dalle lusinghe del mondo e dalle sue fallaci promesse, ma il nostro bene vero, che noi stessi raramente riusciamo a scorgere e che siamo talmente pigri e pusillanimi da non volerlo cercare neppure quando l’abbiamo visto, o almeno intravisto. Fare la volontà di Dio, quindi, significa fare il Bene in assoluto e fare anche il proprio bene personale (poiché il bene individuale, se è veramente tale, non può essere in conflitto con il bene universale): farla, e non solo accettarla, perché nell’espressione: sia fatta la Tua volontà vi è una componente attiva e volontaria: io mi impegno non solo ad accettar la volontà di Dio, comprese le prove che Egli, nella sua infinita sapienza, ritiene di porre sul mio cammino, ma anche a operare concretamente secondo ciò che Egli vuole che io faccia. Non basta cioè, rendersi passivi strumenti nelle Sue mani; Lui non ci vuole passivi, ma ben desti e consapevoli, quindi si tratta anche di tradurre in atti e comportamenti il disegno di bene assoluto che è contenuto nella Sua volontà, e che richiede la nostra collaborazione per tradursi in realtà. Naturalmente non è che Dio abbia bisogno di noi, nel senso comune dell’espressione aver bisogno di qualcuno o qualcosa per portare a termine la propria intenzione. Non in quel senso Dio ci chiede di collaborare al Suo disegno, ma nel senso che se noi scegliamo liberamente di farlo, rimettendoci interamente a ciò che Lui vuole e non inseguendo il miraggio di ciò che vogliamo noi, soggettivamente e meschinamente, ecco che il nostro , il nostro fiat, è ai Suoi occhi prezioso come la scelta d’un collaboratore volontario, d’un amico che è disposto a qualsiasi sacrificio per onorare la propria amicizia, secondo le parole stesse di Gesù: nessuno ha un amore più grande di colui che dà la sua vita per i propri amici (Gv 15,13). Tale è l’amore di suprema amicizia che i martiri offrono a Gesù: dare la vita per Lui, così come Lui, sulla croce, l’ha data per gli uomini.

E ora riprendiamo questo concetto, che la preghiera più bella consiste nell’offrire a Dio la propria volontà, affinché sia fatta la Sua, e caliamolo nella realtà della preghiera a Maria Santissima, la grande Mediatrice. Consideriamo, in particolare, ciò che Ella dice in alcune rivelazioni private, ad esempio nelle quattro apparizioni di Marienfried, in Baviera, presso il villaggio di Pfaffenhofen, a quindici chilometri da Neu Ulm: il 13 maggio 1940, il 25 aprile 1946, il 25 maggio 1946 e il 25 giugno 1946. Soffermiamoci sulla quarta e ultima apparizione, nel corso della quale la Vergine Maria così diceva alla veggente Barbara Ruess, che aveva sedici anni al tempo della prima e ventidue all’epoca delle tre successive (da: Sabrina Farina, Le apparizioni di Marienfried. Un messaggio profetico, Editrice Shalom, 2013, pp. 28-29):

Io sono la Grande Mediatrice della grazie. Il Padre vuole che il mondo riconosca questo compito alla Sua Ancella. Gli uomini devono credere che io, continuando ad essere la Sposa dello Spirito Santo, sono la fedele Mediatrice di tutte le grazie. Il mio Segno sta per apparire. Così vuole il Signore. Solo i miei figli diletti lo riconoscono, perché esso si manifesta nel segreto, e perciò essi glorificano Dio. Io non posso manifestare adesso la mia potenza nel vasto mondo. Ora devo ritirarmi assieme ai miei figli.

Io compirò miracoli nel segreto delle anime, finché il numero delle vittime sarà completo. Dipende da voi abbreviar ei giorni delle tenebre. Le vostre preghiere ed i vostri sacrifici distruggeranno l’immagine della Bestia. Allora io mi potrò manifestare al mondo intero a gloria dell’Onnipotente.

Scegliete il mio Segno, affinché presto il Dio Uno e Trino sia adorati ed onorato da tutti.

Pregate e sacrificatevi a Dio per mezzo mio! Pregate sempre! Recitate il Rosario! Al Padre domandate tutto quanto vi occorre per mezzo del mio Cuore Immacolato! Egli concederà quanto chiedete, se questo sarà a Sua maggior gloria.

Recitate quel Rosario, sì ricco di grazie, dell’Immacolata, come io ti ho insegnato. Con questo Rosario non chiedete beni materiali, ma chiedete grazie per ogni anima, per le vostre comunità, per i popoli, affinché tutti amino ed onorino il Divin Cuore. Continuate ad onorare il sabato a me dedicato, come io ho chiesto. È necessario che gli apostoli ed i sacerdoti si consacrino in modo particolare a Me, affinché i grandi sacrifici che l’Imperscrutabile vuole appunto da loro, venendo posti nelle mie mani, aumentino in santità e valore.

Offritemi molti sacrifici! Fate che la vostra preghiera sia un sacrificio! Non siate egoisti! Oggi la cosa che solo vale è questa: offrire all’Eterno gloria e riparazione.

Se vi metterete completamente a mia disposizione, a tutto il resto provvederò io.

Io caricherò i miei figli diletti di croci, pesanti, profonde come il mare, perché io li amo nel mio Figlio immolato. Vi prego: siate pronti a portare la croce, affinché venga presto la pace.

Sceglietevi il mio Segno, perché presto sia onorato il Dio Uno e Trino. Io esigo che gli uomini compiano presto i miei desideri, perché questa è la volontà del Padre Celeste, e perché questo è necessario oggi e sempre alla Sua maggior gloria e onore. Il padre annuncia uno spaventoso castigo per coloro che non si vogliono sottomettere alla Sua volontà.

Il nucleo di questo messaggio è chiaro: Maria Santissima chiede ai suoi fedeli di offrirle molti sacrifici, di fare che tutta la loro preghiera sia un sacrificio; che offrano a Dio gloria e riparazione per i peccati e per tutto il male presente nel mondo. Li assicura inoltre che, se si affideranno totalmente a Lei, Lei provvederà a ogni cosa. Infine viene la parte più sconvolgente: Maria promette la croce, una croce assai pesante a chi le si offre come figlio, e lo farà proprio perché li ama, poiché vedrà in essi il riflesso del Suo stesso Figlio che si è immolato, per amore, sul legno della croce. È un linguaggio duro, quasi sgradevole, cui i cattolici non sono più abituati, benché un tempo fosse loro familiare: ma quando mai il clero, dopo il Concilio Vaticano II, ha parlato loro in questo modo? Tutto al contrario. Quando un tipico prete postconciliare sente espressioni come questa: offrire a Dio le proprie sofferenze, o come questa: Dio ci chiede di sacrificarci per Lui, di soffrire per Lui, di morire al mondo per amor Suo, ecco incomincia a schiumare bava e a digrignare i denti: è l’odioso linguaggio cattolico di prima del Concilio, vale a dire il vero linguaggio cattolico di sempre! Non sia mai: essi devono estirparlo e cancellarne anche il ricordo. Forse che Dio è un sadico, il quale si compiace del nostro soffrire? Non c’è già abbastanza sofferenza nel modo? Occorre dunque che noi ne facciamo crescere la misura, aggiungendovi volontariamente anche la nostra, quando potremmo evitarci ogni fastidio e coltivare in santa pace il nostro orticello? Ebbene: è proprio questo il punto che segna il discrimine fra la vera fede e quella fasulla, fra la vera Chiesa e quella contraffatta, fra il regno di Dio e la sinagoga di Satana: l’accettazione volontaria, lieta e perfino gioiosa della sofferenza. Perché chiunque comprenda un minimo di cose dello spirito, sa che il male chiama altro male; e che quando è stato fatto, i suoi effetti non possono essere tolti con le chiacchiere, ma coi fatti: e i fatti si concretizzano mediante l’espiazione vicaria, la sofferenza volontariamente assunta da qualche anima per compensare i suoi effetti, mediante un atto di riparazione e dedizione totale a Dio

Pensare che la sofferenza sia qualcosa da evitare ogni volta che ciò sia possibile, mettendolo in qualche modo d’accordo con il minimo sindacale della decenza, e che Dio non ce la chiede perché è troppo buono per farlo, non è pensare da cristiani, ma da satanisti. Che cosa dice infatti Gesù Cristo a san Pietro (a san Pietro, che poco prima aveva professato la sua fede nel Cristo e che Gesù aveva eletto a capo della sua Chiesa!) allorché questi ode la profezia della Passione, e protesta: Dio non voglia, Signore, questo non ti accadrà mai? Gli rivolge parole durissime; gli dice: Va’ via da me, Satana (lo chiama Satana!); tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini (Mt 16,23). Dove l’espressione "essere di scandalo" significa "indurre in tentazione"; come dire: «Tu m’induci in tentazione, perché esortandomi a fuggire la Passione, vai contro ciò che il Padre vuole da Me». E poiché il Padre vuole sempre e solo il bene, e in quel caso si trattava del bene incommensurabile della Redenzione, san Pietro, senza rendersene conto, di fatto ha favorito il perverso disegno di Satana: vanificare la Redenzione, far sì che gli uomini restino sprofondati nei loro peccati. Nondimeno, è un concetto sconvolgente e, guardato con occhi meramente umani, ha qualcosa di tremendo, perfino d’ingiusto: Ma come! Se io amo qualcuno, desidero per lui le cose più belle; non gli dico: ti metterò sulle spalle una pesantissima croce. Ciò tuttavia accade perché noi siamo pur sempre molto, troppo umani, anche quando crediamo di essere dei buoni cristiani. Certo: l’amico desidera il bene della persona amata; ma che cos’è il bene, se non il perfezionamento morale e la santificazione della propria vita? E quando mai qualcuno si mette sulla strada del perfezionamento spirituale e della santificazione, se non dopo essere stato messo duramente alla prova? Genitori, non siate troppo protettivi coi vostri figli: senza la prova, resteranno eterni bambini.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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