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I cardinali massoni non esitano davanti all’omicidio

Per capire sino in fondo la tremenda gravità di quell’articolo, Cari fratelli massoni, scritto dal cardinale Gianfranco Ravasi su Il Sole — 24 Ore del 14 febbraio 2106, in contraddizione frontale con decine di documenti ufficiali del Magistero che mettono in guardia contro la Massoneria, definita assolutamente inconciliabile col cattolicesimo e nemica mortale della Chiesa, fra il pontificato di Clemente XII, nel 1738 (In eminenti apostolatus specula) e quello di Pio XII, fin oltre la metà del XX, è necessario avere ben chiaro che cosa significhi essere, al tempo stesso, principe della Chiesa e affiliato alle logge dei liberi muratori, cioè membro della massoneria ecclesiastica. Avendo parlato sovente di questo argomento e avendo usato sovente l’espressione massoneria ecclesiastica, ma quasi sempre in un contesto dottrinale e teologico, sentiamo il dovere di precisare meglio di che cosa si tratti e di chiarire eventualmente le idee a quanti avessero una percezione inesatta e incompleta del fenomeno.

Quando parliamo di cardinali, vescovi o alti prelati massoni, non stiamo parlando "solo" di uomini della gerarchia ecclesiastica i quali, a torto o a ragione – e magari a ragione – si sono convinti che la Chiesa ha sempre sbagliato nel giudicare la Massoneria, non ha compreso la realtà effettiva del suo ruolo storico e ha emesso nei suoi confronti un giudizio che deve essere rivisto, perché viziato da ingiusti pregiudizi e tipico di una mentalità bigotta e arretrata; nossignori: stiamo parlando di delinquenti della peggiore specie, di anime criminali che avrebbero fatto impallidire un osservatore come Lombroso. E la loro natura criminale si manifesta in due versanti, teorico e pratico. Sul versante teorico, il prelato massone è un uomo che conosce benissimo la vera natura della Massoneria; di un uomo colto che possiede tutti gli strumenti per capire perfettamente l’esattezza del giudizio dato dalla Chiesa su di essa e rinnovato nell’arco di quasi 300 anni: un vescovo o un cardinale sono uomini colti, che conoscono non solo il greco e il latino, la teologia e il diritto canonico, ma conoscono molto bene la storia della Chiesa e quindi sanno chi sono gli amici e chi sono i nemici, oggettivamente e indiscutibilmente, della Sposa di Gesù Cristo. Pertanto, se hanno deciso di andare contro il Magistero e contro la verità e la giustizia, affiliandosi alle logge, non lo hanno fatto per delle ragioni spassionate, dettate dalla coscienza, magari sbagliandosi in buona fede; al contrario: lo hanno fatto in perfetta malafede, da traditori pienamente coscienti delle proprie azioni, al fine di stravolgere la dottrina cattolica, confondere e danneggiare moralmente le anime al massimo grado possibile, e ridurre la Chiesa a nulla più che un mero strumento nelle mani del loro Gran Maestro. A questo hanno sempre teso i loro sforzi, già documentati al principio del XIX secolo: per esempio, dagli studi dello storico francese Jacques Crétineau-Joly, il quale toccò con mano come una parte della gerarchia fosse già passata dall’altra parte, e infine si vide proibito dal Sommo Pontefice Pio IX di pubblicare quel vasto studio sulla massoneria che pure gli era stato richiesto, e che con tanta fatica e con qualche rischio personale aveva condotto a termine, oltretutto subendo gli attacchi e gli ostacoli frapposti dalla Compagnia di Gesù. E a questo fine sembrano essere giunti al presente, con un papa come Bergoglio e un collegio cardinalizio che, dopo di lui, si accinge ad elevare al Soglio Pontificio personaggi sul genere del cardinale Tagle, cioè, se possibile, perfino peggiori del già pessimo argentino.

Ma c’è dell’altro. I "fratelli" che raggiungono il 33° grado vengono iniziati alla verità ultima della loro società, gelosamente nascosti agli affiliati di basso rango, ossia che l’Uno da essi adorato quale signore dell’universo non è certo il Dio cattolico (e del resto, come dice Bergoglio, Dio non è cattolico), bensì Lucifero, il Portatore di luce — beninteso, la falsa luce di chi odia la luce Vera e adora piuttosto le tenebre (Gv 3,19-21):

…la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.

Ora, gli adoratori di Lucifero sono, a tutti gli effetti, dei satanisti; e si sa come essi celebrano il culto del loro signore: con la messa nera e il sacrificio umano. Sarebbe ingenuo pensare che un cardinale di settanta o ottanta anni si sia affiliato alle logge solo per poter poi rivolgere ai fratelli massoni parole melliflue e poter agire in senso filo-massonico dall’interno della Chiesa. I prelati massoni di alto grado sono dei satanisti, dei pedofili e degli assassini, o mandanti di assassini: nelle loro infami messe nere non si limitano di certo a sacrificare qualche gallo o qualche gallina, come dei poveracci qualsiasi seguaci del Voodoo: essi offrono al loro signore e padrone il sacrificio più gradito, che è quello di una vita umana, e più precisamente di una creatura del tutto innocente, quindi un bambino. Questo si sa da sempre dei satanisti, e questo certamente avviene in tali ambienti, anche se fin dal XIX secolo la massoneria ha fatto di tutto per depistare, confondere e screditare le indagini su di sé, fino al punto di mettere in circolazione opere come quelle del provocatore Léo Taxil, destinate a far cadere nel tranello gl’ingenui lettori e poi condurre l’opinione pubblica alla conclusione che le dicerie sulla massoneria, e specialmente sulla massoneria ecclesiastica, sono delle pure e semplici invenzioni di menti bigotte e cervelli surriscaldati dalla troppa fantasia. Se davvero vi è stata una doppia messa nera, come affermato dall’ex gesuita Malachi Martin, la notte del 28 giugno 1963, per intronizzare Satana in Vaticano, a Charleston negli Stati Uniti e a Roma, nella Cappella Paolina, allora si può star certi che la vittima offerta al diavolo non è stata un gatto o un coniglio, ma qualcosa di ben peggiore (cfr. il nostro articolo: Nel 1963 Satana è stato intronizzato in Vaticano?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/09/18). Vi è una nota chiesa barocca, nel centro storico di Roma, della quale si dice che sia la sede delle messe nere notturne da parte dei prelati satanisti. Il suo aspetto è impressionante anche di giorno: niente banchi per inginocchiarsi, solo poltroncine — non sedie, ma poltroncine da teatro — tutte di colore nero, in file compatte, che spiccano sinistramente sul candore delle pareti decorate da leggiadri stucchi settecenteschi. Inoltre rivelazioni di ex massoni dicono che in Vaticano esiste un cimitero anonimo che raccoglie i resti delle vittime dei sacrifici al diavolo. Secondo Carpeoro, che a sua volta cita altre fonti, tra quei resti vi potrebbero essere anche quelli della povera Emanuela Orlandi, scomparsa dal centro di Roma, in pieno giorno, il 23 giugno 1983 (attenzione alla data: siamo nell’imminenza della notte di San Giovani, una data da sempre assai cara agli stregoni, ai maghi neri e ai satanisti) e mai più ritrovata, nonostante le ricerche condotte in mezzo mondo. Meno noto al grande pubblico è che un mese prima era scomparsa anche un’altra giovanissima ragazza romana, Mirella Gregori, anch’ella svanita nel nulla.

E non è ancora tutto: c’è dell’altro. I massoni e satanisti vestiti di porpora hanno anche stretti rapporti con il mondo equivoco della finanza, tramite i disinvolti affari della banca vaticana, lo I.O.R. Sappiamo che, specialmente in certi periodi, personaggi estremamente loschi hanno popolato quella zona grigia fra le alte sfere vaticane, la massoneria, la mafia e altri settori del mondo criminale, come la famigerata Banda della Magliana: in particolare, ciò è avvenuto negli ultimi anni del pontificato di Paolo VI e in quelli di Giovanni Paolo II. Nel mezzo, il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, della cui morte alcuni pensano che abbia direttamene a che fare con la massoneria ecclesiastica, e precisamente con gli elenchi dei prelati massoni che i carabinieri avevano compilato su richiesta di alte sfere ecclesiastiche; più precisamente, che aveva compilato il generale Enrico Mino, morto poi misteriosamente nel 1977, dapprima per conto del cardinale Giovanni Benelli, della Segreteria di Stato vaticana, poi del cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, quest’ultimo particolarmente interessato alle connessioni fra la massoneria ecclesiastica, la finanza vaticana e la mafia: erano i tempi in cui Michele Sindona e Licio Gelli avevano stretto un inconfessabile patto di ferro con il cardinale Paul Marcinkus, allora discusso e discutibile presidente dello I.O.R.. Ed erano i tempi in cui il giornalista Mino Pecorelli, fondatore dell’agenzia Op, sfruttando sia la sua amicizia col generale Mino, sia ciò che aveva appreso durante l’appartenenza, poi ricusata, alla Loggia P2 di Licio Gelli, cominciava a lasciar filtrare sulla sua rivista i nomi dei prelati massoni, imboccando quella pericolosissima strada che si sarebbe conclusa il 20 marzo del 1979 in una via centrale di Roma, quando un sicario gli sparò un colpo di pistola in bocca attraverso il finestrino dell’automobile, e poi, per buona misura, altri tre nella schiena, impedendogli di proseguire nelle sue indagini e nelle sue sensazionali rivelazioni (nel codice mafioso, sparare in bocca a qualcuno significa punirlo per aver detto cose che dovevano restare segrete). Del delitto furono accusati, come mandanti, insieme ad altri, due pezzi grossi della politica come Giulio Andreotti e Claudio Vitalone, anche per i famosi documenti sequestrati dalla prigione di Aldo Moro dopo l’assassinio dello statista, e finiti, si disse, nelle mani del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: assolti in primo grado, condannati in appello e definitivamente assolti in Cassazione, il 24 settembre 1999, per non aver commesso il fatto.

Citiamo una pagina del libro-inchiesta di Marco Corrias e Roberto Duiz Il delitto Pecorelli (Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1996, 1999, pp. 96-98):

Pochi mesi prima [della rottura di Pecorelli con Licio Gelli], il 31 ottobre del ’77, il generale dei carabinieri Enrico Mino, grande amico di Pecorelli, era morto in circostanze mai chiarite. L’elicottero AB 205 dell’Augusta Bell su cui volava assieme ad altri cinque carabinieri si era schiantato contro il Monte Covello, nei presso di Catanzaro. Enrico Mino era benvoluto dalla base dell’Arma ed era in forte attrito col generale Arnaldo Ferrari, capo di Stato maggiore. Credeva nei valori tradizionali dell’Arma e si opponeva a qualsiasi forma di deviazione e ingerenza politica. Nel ’75 era stato incaricato dal cardinale Giovanni Benelli, sostituto della Segreteria di Stato, di scoprire i assoni che si annidavano tra cardinali e prelati. Enrico Mino indagò e fornì un elenco di 114 nomi. L’anno successivo, su richiesta del cardinale Siri, arcivescovo di Genova, indagò sulle connessioni tra prelati massoni e l’alta finanza deviata, una pista che portava a Marcinkus, Calvi e Sindona. A che punto fosse arrivato il generale di quali segreti fosse entrato in possesso, non si sa ancora e forse mai si saprà. Quel che è certo è che i carabinieri calabresi incaricati dell’ inchiesta, compreso Franco Morelli, allora condante del gruppo di Reggio Calabria, erano tutti iscritti alla P2.

I risultati dell’inchiesta parlarono di cattive condizioni meteorologiche culminanti in un fatale banco di nuvole, escludendo qualsiasi tipo di sabotaggio. Pochi ci credettero e Pecorelli meno di tutti.

Che qualcosa andasse storto nella P2,che il gioco si facesse più duro e che il sistema di ricatti fosse in atto anche all’interno della stessa "congrega", Pecorelli l’aveva scoperto da tempo. La sua amicizia col generale Mino l’aveva indotto anche a cambiare fronte nell’alleanza con gli uomini del Sid, in lotta tra loro e tutti ugualmente affiliati alla P2. Era stato Mino a indurlo a entrare in relazione pacifica col generale Maletti, acerrimo nemico di altri tempi. Era bastata una cena a casa sua a suggellare la tregua, che poi, dopo la morte di Enrico Mino, si trasformò in una sorta di tacito patto d’attacco contro Gelli, a cerchi concentrici, partendo da lontano per avvicinarsi sempre più alla preda, tenendola così in crescente tensione.

Con linguaggio che egli stesso definiva "anfiboloso", Pecorelli prendeva spunto da un lancio dell’agenzia di informazioni Euroitalia per partire all’assalto della Gran loggia vaticana nel settembre del ’78. L’agenzia diffondeva i nomi in codice, il numero di matricola e la data di iniziazione alla massoneria di quattro cardinali indicati tra i più papabili alla successione di Paolo VI. "Op" non si limitò a pubblicare il breve elenco, ma lo integrò con altri 121 nomi di cardinali, vescovi e alti prelati.

«Lanciate le reti un po’ su tutte le piste della capitale, siamo rimasti in paziente attesa e non siamo andati delusi», scriveva Pecorelli. Ma c’è più di un motivo per pensare che quell’elenco altro non fosse che il frutto del lavoro svolto tre anni prima dal generale Mino per conto del cardinale Benelli. «Certo — avvertiva Pecorelli — la lista può essere apocrifa, certo persino la firma di un cardinale oggi può essere falsificata. Come che sia, l’unico modo per uscire dalla torbida impasse e dagli interrogativi è sottoporre la questione all’attenzione degli interessati».

E l’interesse, in quel momento, era acceso dalla fumata bianca che aveva annunciato Papa Luciani come successore di Paolo VI. «L’Italia vive un momento di grande incertezza — continuava Pecorelli -, le ideologie laiche sono tutte morte e seppellite, la crisi economica ha fatto giustizia del consumismo e dei suoi miti. Nel buio più totale, proprio in questi giorni, in occasione della morte di Paolo VI e di Aldo Moro, la Chiesa cattolica si è riproposta in tutta la sua luce Oggi è l’unico grande polo d’attrazione. Questo faro non deve presentare ombre né venature».

E concludeva: «Papa Luciani ha davanti a sé un difficile compito e una grande missione. Tra le tante,quella di mettere ordine ai vertici del Vaticano. Pubblicando questa lista di ecclesiastici forse affiliati alla massoneria, riteniamo di offrire un piccolo contributo. O una pioggia di smentite o, nel silenzio, l’epurazione». L’elenco comprendeva nomi di primissimo piano dell’aristocrazia ecclesiale, importanti esponenti del governo pontificio, prelati considerati integerrimi. Non poteva mancare, naturalmente, Paul Marcinkus, il banchiere vaticano presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, socio di Michele Sindona e Roberto Calvi.

Troppe, però, le aspettative riposte in Albino Luciani, che considerava il sesso un peccato veniale e mortali i peccati di ladrocinio e interessi materiali. Probabilmente il nuovo papa, che aveva assunto il nome di Giovanni Paolo I, non fece neanche in tempo a leggere quella lista per intero. (…)

Un altro "referto lacunoso", un’altra morte che si lascia dietro una scia di "interrogativi". La fine improvvisa del pontificato di Giovanni Paolo I ha suscitato molte perplessità e stimolato diverse congetture. Nulla esclude, anche se nessun indizio alimenta il sospetto, una congiura in stile Borgia marchiata P2. Certo non lo escludeva Mino Pecorelli.

Abbiamo citato questa pagina solo per dare una qualche idea del velenoso ginepraio che si tocca quando ci s’interessa ad argomenti come la massoneria ecclesiastica e le sue diramazioni interne e le connessioni esterne. Quel che volevamo evidenziare è che i prelati massoni non sono, come qualche ingenuo potrebbe pensare, semplicemente dei prelati i quali ritengono, come diceva il cardinale massone Carlo Maria Martini, che la Chiesa debba recuperare un ritardo di almeno due secoli (guarda caso, il tempo che intercorre dalla prima seria infiltrazione massonica nella Chiesa), e perciò dialogare con il mondo moderno (cioè con la massoneria), ma degli individui pronti a tutto, disposti a tutto, cinici e amorali al punto da non arretrare nemmeno davanti ai più odiosi delitti, sia che si tratti di sacrificare un bambino o una ragazzina, sia che si tratti, se necessario, di sopprimere un papa "scomodo" perché intenzionato a verificare quali principi della Chiesa abbiano tradito e siano passati al nemico, e quali, strada facendo, si siano anche riempiti le tasche con gli sporchi affari nel giro della finanza deviata e semi-mafiosa.

Tanto per strappare qualsiasi velo d’idealismo o di romanticismo dall’immagine di uomini così indegni, di pastori così infami da aver rinnegato Gesù Cristo per adorare il suo implacabile nemico, Lucifero, il principe di questo mondo.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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