Serve capire donde inizia l’attacco all’ordine sociale
16 Giugno 2021«Io sono la luce del mondo»
19 Giugno 2021Più si studia la cosa, più ci si rende conto che il Concilio Vaticano II fu qualcosa di peggio di una riforma velleitaria e confusa: fu un deliberato tradimento della fede e un passo decisivo verso l’apostasia, attuati però con tale luciferina astuzia e sfruttando con tale abilità le circostanze culturali complessive che si erano venute a creare in quegli anni, che la stragrande maggioranza dei fedeli e dello stesso clero non se ne rese conto, non ne ebbe affatto l’esatta percezione e anzi cadde nel tranello di vedere in esso una grande occasione di rinnovamento, dialogo e apertura, quasi un ritorno alle origini dopo secoli d’incrostazioni tutto sommato arbitrarie. E il suo frutto immediato, la cosiddetta riforma liturgica, fu il suggello di tale opera malefica: al punto che i cardinali Ottaviani e Bacci, nel loro Breve esame critico del Novus Ordo Missae, definirono la nuova Messa, detta di Paolo VI, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della santa Messa, quale fu formulata nella sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i canoni del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Magistero. E Ottaviani era stato pro-prefetto della Congregazione per la dottrina della fede! Ebbene egli parlava di impressionante allontanamento dalla teologia cattolica e di difesa contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Magistero. Altro che Concilio meramente pastorale; altro che riforma meramente liturgica! Le questioni in ballo riguardavano la teologia cattolica e l’integrità del Magistero: e ciò era evidentissimo fin da subito a un uomo di Chiesa che per cultura ed esperienza doveva ben saperne qualcosa più del semplice fedele.
Fatta questa premessa, se ci si chiedesse di sintetizzare in una frase, in un concetto, in che cosa il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica di Paolo VI furono un tradimento e un’apostasia, senza esitare risponderemmo: nel rovesciamento della dialettica fra la Chiesa e il modo La Chiesa è l’istituzione divina, fondata da Gesù stesso, per realizzare il fine della Redenzione: condurre le anime verso la loro patria soprannaturale, la beatitudine assoluta presso Dio, e quindi la salvezza; il mondo è tutto ciò che si oppone a tale fine, tutto ciò che, come dice l’evangelista Giovanni, preferisce le tenebre alla luce, perché le sue opere sono malvagie. Il cristiano lo ha sempre saputo; il Magistero lo ha sempre insegnato; la Chiesa lo ha sempre trasmesso: il mondo non è buono, perché ferito dalle conseguenze del Peccato originale; non è neppure del tutto cattivo, perché vi traluce comunque un riflesso dello splendore del suo Creatore: è sospeso sul filo di rasoio del libero arbitrio. Perciò gli uomini sono chiamati a fare la loro scelta: o con la luce o con le tenebre, o col peccato o con la grazia, o con Gesù o con il suo nemico. Non si può piacere a Dio e anche al mondo, perché il mondo non riconosce il vero Dio e, pur avendolo conosciuto, perché Egli stesso si è fatto conoscere, lo rifiuta e lo disprezza. Chi vuol piacere al mondo non può che dispiacere a Dio, e viceversa: nessuno può servire due padroni. Perciò la condizione del cristiano è quella di un pellegrino che vive nel mondo, ma non appartiene al mondo; si trova materialmente in mezzo al mondo, ma sa che la sua patria vera è tutt’altra, e dirige i suoi passi verso di essa. Nel fare ciò, egli non può che allontanarsi da tutto quel che piace al mondo: perché, per il mondo, il Vangelo è follia o bestemmia contro la vita, contro l’uomo, contro il diritto dell’uomo a essere il signore di se stesso, senza riconoscere nulla e nessuno al di sopra di sé.
Ma poi è arrivato il conclave del 1958; è arrivato il pontificato dei Giovanni XXIII; è arrivato il Concilio Vaticano II (nel quale, non lo si dimentichi mai, un ruolo decisivo ebbero massoni come monsignor Bugnini, pastori protestanti, rabbini del B’nai B’rith amici del cardinale Bea, e gli accordi segreti col regime comunista sovietico). Il conclave del 1958 è un conclave discusso, perché l’elezione del "delfino" di Pio XII, il cardinale Siri, avrebbe dovuto esserne il logico coronamento; Giovanni XXIII è un papa controverso, perché, nonostante la leggenda di papa buono che gli è stata cucita addosso fin da subito, e a dispetto della sua canonizzazione da parte dell’indegno Bergoglio, è pressoché certa la sua affiliazione alla massoneria, il che pone tutta la sua opera sotto una luce nuova e inquietante; e resta un eventi di divisione il Concilio, che egli fu incaricato di convocare e che infatti convocò a sorpresa, senza consultarsi con alcuno, pochi mesi dopo la propria elezione, lui che per motivi di età e di salute avrebbe dovuto essere un papa di transizione e che invece sconfessava implicitamente tutto ciò che Pio XII aveva fatto (compresa la ferma decisione di non convocare un concilio, cosciente com’era della trappola che i cardinali massoni andavano tessendo intorno a un simile evento). È a partire dal pontificato di Giovanni XXIII e dalla "svolta" conciliare, nonché dalla riforma liturgica di Paolo VI, che la percezione del mondo da parte della Chiesa subisce un brusco mutamento. Il mondo non è più l’insieme delle forze tenebrose che si oppongono al regno di Cristo, non è più un valle di lacrime e una foresta di tentazioni che l’anima deve attraversare per fare ritorno alla Casa del Padre, ma un luogo bello e buono in se stesso, popolato solamente da persone in buona fede, da seguaci di altre religioni che meritano stima e rispetto, da atei militanti che devono essere anche loro ascoltati e rispettati, anzi ai quali il cristiano deve sforzarsi di piacere, o comunque di non disgustarli, perché in tal caso si perderebbero i frutti del "dialogo" e la Chiesa tornerebbe indietro, sulle posizioni puramente difensive del passato. In che cosa poi consisterebbero questi meravigliosi frutti del dialogo, non si è mai capito, né mai è stato spiegato in maniera soddisfacente: a meno di considerare il bacio del Corano, o della Bibbia valdese, o dell’anello dei rabbini, da parte del romano pontefice, come dei frutti buoni in se stessi; e a meno di guardare alle Giornate di preghiera inter-religiosa di Assisi come il massimo della bellezza nell’incontro fra la Chiesa e il mondo. E pazienza se intanto le chiese si sono svuotate, i seminari si sono svuotati, e i pochi preti rimasti si permettono ogni sorta di abuso e di licenza liturgici e pastorali; pazienza se dal pulpito sanno parlare solo di politica (in senso progressista e modernista) e di questioni sociali; pazienza anche se una falsa pandemia è sufficiente a far sì che un siffatto clero si sdrai totalmente sulla narrazione menzognera che il modo fa di essa e dei terribili pericoli che le sarebbero connessi, e si adatti a chiudere le chiese e a sospendere le Messe e i Sacramenti nell’interesse della salute e della tutela della sicurezza collettiva. Pazienza, insomma, se la Chiesa ha smesso di parare di Dio, di far incontrare Dio alle anime, di celebrare il Sacrificio Eucaristico, di additare la meta finale del viaggio terreno, e si è ridotta a una sorta di organizzazione non governativa impegnata a promuovere i diritti umani (quelli massonici del 1789, o da essi derivati), la salute, l’ambiente, il clima e l’immigrazione illimitata, il tutto spacciato per tutela del creato e applicazione pratica dei precetti evangelici, mentre ne è il radicale e irreversibile snaturamento. In compenso, che bella cosa dialogare con il mondo!
Uno scrittore cattolico oggi assai poco conosciuto, il francese Ernest Hello (Lorient, 4 novembre 1828-ivi, 14 luglio 1885), seppe vedere con estrema chiarezza l’inconciliabilità che esiste fra il mondo e il regno di Dio, e mise in guardia i cattolici dal lasciarsi sedurre dalle sirene del mondo con la facile esca del miele, delle belle maniere, della dolcezza e dell’affabilità con le quali il mondo è maestro nel presentarsi agli sprovveduti e agl’ignari. Scriveva Hello nella sua opera maggiore, L’uomo (titolo originale: L’homme. La vie, la science, l’art, 1872; traduzione a cura di Francesco Berti, Rinascimento del Libro, 1928; cit. in : Il breviario dei laici, a cura di Luigi Rusca, Milano, Rizzoli, 1957, pp. 592-595):
Che cos’è dunque il mondo? Quest’odiosa parola fa l’effetto che non significhi niente e tuttavia rimane sempre odiosa. L’etimologia ci servirà poco, apparentemente. "Mundus" in latino significa puro; il mondo invece è l’impurità stessa. "Cosmos" in greco significa ordine, e nello stesso tempo mondo. Il senso attuale della locuzione "uomo di mondo" non si riferisce, almeno apparentemente, né a "mundus" né a "cosmos". Se ritorniamo all’etimologia sarà per un rigiro. Il mondo non è forse il peccato? No, evidentemente. Fra l’una e l’altra cosa c’è una differenza enorme. Il mondo è sena dubbio NEL peccato ma vi sta sempre in una regione speciale; esso ha, nel regno del male, i suoi propri domini, e sono appunto questi che si tratta di determinare o almeno d’indicare. Un assassino è un peccatore; il ladro della grande strada, come si diceva in altri tempi, è peccatore. Santa Maria Egiziaca prima della sua conversione era una peccatrice. Tutti questi sono peccatori ma non sono gente di mondo. Fra le molte parole terribili degli Evangeli ce n’è una che è fra le più terribili: "Non pro mundo rogo" (Gv 17,9). Io non prego per il mondo. Colui che dice questo conosce la profondità delle cose e sta per morire in riscatto dei peccatori. E tuttavia non prega per il mondo: è san Giovanni che ce lo racconta; fu a quella medesima cena in cui egli posò la testa sul petto di Gesù Cristo; fu in quel momento solenne in cui le braccia di Dio stavamo per aprirsi sulla croce, che san Giovanni udì la Verità dire: "Io non prego per il mondo". (…)
Il mondo somiglia ad un’osteria in cui i passanti trovano alloggio. Se fuori passa un errore, e vuole entrare, i commensali si spostano un poco e gli fanno posto al banchetto. Ma se la Verità bussa alla porta, allora tutti i posti son presi, e certi viaggiatori, perfettamente scelti, sono cacciati fuori: "Quia non erat eis locus in diverso rio" (Lc 2,7). Il mondo, così cieco e così limitato, possiede un istinto meraviglioso quando si tratta di riconoscere e di cacciar fuori. Non s’inganna e colpisce giusto; si fa giustizia e si esilia. S’esilia deliberatamente, perché lo straniero che se ne va porta via la città abitabile. E il mondo si condanna al deserto. Che importa se quaggiù questo deserto si chiama la folla? Non cessa per questo di essere il deserto, vale a dire la morte. (…)
Il mondo ama il male purché sia inzuccherato, imbellettato, dipinto e vestito secondo le sue abitudini; ama il peccato purché sia affettato, gentile, lustro e pettinato. Nei domini del peccato si mente per interesse, per passione, per vergogna e per paura. Nei domini del modo, senza interesse, senza passione, senza vergogna e senza paura. Si mente perché si è del mondo, per amor proprio, per vanità, per tiepidezza; si mente perché si mente; si mente come si respira, perché la menzogna è in quell’ambiente identica alla parola. Che si direbbe, nel mondo, se non si mentisse? Il peccatore può, dopo aver mentito, dire anche la verità. Ma il mondo no; quando ha mentito continua a mentire, e se dice la verità mente ancora. La verità diventa menzogna sulle sue labbra. Quando infatti il mondo dice la verità crede di esprimere un’opinione come un’altra; vuole che sia contornata di menzogna e che viva con essa in buoni rapporti. Vuole che sia disonorata da infami contatti, e quando ‘ha imbrattata fino al punto da non poterla più riconoscere, allora la tollera perché è diventata menzogna. Questa menzogna è preziosa perché ripara le altre, le autorizza, le salvaguarda; toglie loro quello che avrebbero di troppo violento, di troppo crudo e di troppo deciso. Questa verità divenuta menzogna, col tomo, coll’accento, coll’accerchiamento, con il contesto finisce per confondere il bene col male; e la gente di mondo è soddisfatta…
Il mondo è la vecchiaia. È difficile immaginare quanto gli uomini di mondo siano vecchi. Sopra tutto i giovani si distinguono per la loro decrepitezza, perché in essi è più mostruosa e perciò più notevole. Tutti questi vecchioni di vent’anni senza entusiasmo e senza desideri che fuggono la faccia di san Giovanni, la sfuggono lentamente, goffamente, tristemente e miserevolmente. Si trascinano su di una strada dove non si respira, su di una strada senza panorami e senza montagne, senza aria e sena orizzonte. Si condannano alla disperazione. Per fuggir la faccia di san Giovanni voltano le spalle a Dio; seguono le loro occupazioni senza mai adorare e s’annoiano irrimediabilmente… E qual è il legame che unisce fra loro gli uomini di mondo? Si direbbe anche qui che non ve ne fosse alcuno. Stanno a gomito a gomito, ma non si toccano mai. In realtà, però, esiste un punto di contatto, una parola di collegamento L’unità — abbiamo detto ha una parodia che è la coalizione. Gli uomini di mondo non sono amici ma coalizzati. L’unità vive d’amore; la coalizione d’odio. I coalizzati sono nemici privati che si uniscono contro il nemico pubblico.
Quanta verità in queste riflessioni, e quanta lungimiranza rispetto al cattolicesimo futuro. Per voler essere moderna, la Chiesa del Concilio è caduta nel più antico di tutti gli errori: lasciarsi sedurre dal mondo; col risultato che ora è costretta ad inseguire la modernità sul suo stesso terreno, e a logorarsi e auto-distruggersi inesorabilmente, perché nulla è mai abbastanza moderno per il mondo moderno. E quanta acutezza da parte di Hello nel vedere come il mondo non coincide col regno del peccato: perché si può essere peccatori, e tuttavia non appartenere al mondo. Il mondo è qualcosa di più tremendo del peccato: è l’ostinazione proterva e pervicace nell’orgoglio umano; è l’opposizione implacabile e testarda a tutto ciò che viene da Dio. Forse i cattivi maestri della "svolta", Teilhard, Rahner, Küng, Schillebeeckx, non furono peccatori in senso positivo; ma certo furono del mondo…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI