Pregare Gesù Cristo o pregare con Gesù Cristo?
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14 Giugno 2021Vi sono parole malefiche, scelte apposta da chi controlla il linguaggio, per seminare la confusione, per disarmare i combattenti, per far cadere le difese, quelle psicologiche e morali prima ancora di quelle materiali; parole adoperate al preciso scopo di seminare sensi di colpa e ricatti spirituali, così da avere la meglio anche sugli spiriti forti, sfruttando la carica di ambiguità in esse presenti e il vantaggio di sgominare in partenza qualsiasi resistenza, perché nessuno oserebbe sparare, come si dice, contro la Croce Rossa. Ebbene, è giunto il tempo di smascherare questo gigantesco inganno, questa frode costruita da un nemico sleale, cinico, immensamente malvagio, che non si fa alcuno scrupolo di farsi scudo delle cose più sacre, dei sentimenti più nobili. In altre parole è giunto il tempo di sparare contro la Croce Rossa: perché ormai bisogna capire che il simbolo della Croce Rossa viene indegnamente sfruttato da chi ci sta attaccando al cuore e vorrebbe distruggere noi e la nostra civiltà, il nostro modo di vivere, la mostra stessa umanità. Non bisogna farsi scrupoli di fronte a chi non se ne fa e non se n’è mai fatti, e ha conquistato un immenso vantaggio giocando sulla nostra bontà e sulla nostra ingenuità. Certo, la regola è che pacta sunt servanda: ma quando si ha a che fare con un nemico vile e menzognero, che protegge le sue navi corsare dietro le apparenze di navi-ospedale, quando invece esse si tengono pronte a silurare le navi cariche di passeggeri inermi, di donne e bambini, ebbene a quel punto rispettare le regole e i trattati sarebbe colpevole follia, perché il nemico si serve di regole e trattati per legare le mani all’avversario, mentre da parte sua non esita a vibrare il colpo a tradimento.
Sappiamo chi è questo nemico e sappiamo che la lotta è entrata nella fase finale, quando la situazione si è fatta gravissima e ogni esitazione, ogni incertezza, ogni buonismo ci sarebbero fatali: dunque non è più tempo di rispettare le regole, perché il nemico non vi si attiene, anzi se ne serve allo scopo di abbatterci definitivamente. Una delle parole malefiche delle quale egli si serve, e che ha diffuso al punto tale da farla apparire come un valore etico di per sé evidente, è dialogo. Al suono mellifluo di questa parola siamo stati cresciuti, e fin dai banchi di scuola l’abbiamo sentita adoperare come la più bela, la più nobile, la più ammirevole di tutte. Sei un uomo di pace? Devi dialogare. Sei un amane della verità? Devi dialogare. Ti sta a cuore la sorte degli uomini, specie dei più lontani e indifesi? Devi dialogare. Dialogo e civiltà sono divenuti pressoché sinonimi: solo i barbari più feroci, gli egoisti più incivili non dialogano, non rispettano il dialogo, né apprezzano i benefici che derivano da esso. L’umanità si divide in due campi: quelli che dialogano, cioè i buoni, i tolleranti, i rispettosi, gl’illuminati e i generosi, e quelli che non sanno, né vogliono dialogare, cioè i cattivi, gl’intolleranti, i fondamentalisti, i crociati, i nazisti. Eppure è facile vedere dove sta l’inganno: perché i campioni del dialogo a oltranza, i fautori del dialogo sempre e con chiunque, in realtà non dialogano minimamente con chi la pensa diversamente da loro. Forse oggi un giornalista può scrivere o dire apertamente che i numeri non consentono di parlare di pandemia, che non esiste alcuna evidenza scientifica sull’efficacia delle mascherine o del coprifuoco, e che un vaccino fabbricato in quattro e quattr’otto, anche con cellule di feti abortiti, e gravido di effetti collaterali avversi, non è la soluzione alla lotta contro il virus, tanto meno quando si pretende di vaccinare a forza l’intera popolazione, compresi i bambini e i giovani che non corrono alcun rischio? No di certo, perché un tale giornalista verrebbe licenziato in tronco e trattato da nemico pubblico, né gli verrebbe dato modo di dire simili cose. E forse a un membro delle forze armate o delle forze di polizia viene consentito di dire che le forze armate e le forze di polizia non sono state istituite per imporre il rispetto di norme assurde e criminali, trattando i pacifici e onesti cittadini come potenziali delinquenti, chiudendo gli esercizi commerciali che danno da vivere a milioni di persone, multando chi va a fare la spesa al di fuori del proprio comune di residenza, braccando con i droni un anziano signore che fa un po’ di moto in mezzo al verde, o una signora che prende il sole su una spiaggia deserta? No: non viene loro consentito di dire queste cose, né di ricordare che gli uomini delle forze armate e delle forze di polizia non hanno giurato di servire il Paese sui decreti del presidente (non eletto) del Consiglio, ma sulla Costituzione della Repubblica Italiana, nella quale c’è scritto l’esatto contrario di ciò che da quasi un anno e mezzo i decreti del presidente del Consiglio pretendono e impongono. Oppure ad un medico, o ad un infermiere, viene permesso di protestare contro l’imposizione di protocolli sanitari che calpestando la scienza e la coscienza della professione medica, e l’ABC del normale trattamento sanitario di una malattia come quella provocata dal Covid-19; o contro la pretesa di scrivere sul certificato di morte che un certo paziente è deceduto a causa del virus, anche se la causa effettiva del decesso è tutt’altra (perfino un incidente automobilistico!); o contro la cremazione forzata dei deceduti, senza eseguire alcuna autopsia, quando l’umanità e la legalità vorrebbero che ci sia il consenso dei familiari e che si effettuino le autopsie proprio per capire meglio quali sono i mezzi più idonei ad affrontare la situazione? No: a nessun medico, a nessun infermiere, è mai stato consentito di far presente la benché minima obiezione all’applicazione pedissequa e integrale di quei protocolli, anche se è evidente che quanti li hanno redatti non hanno mai esercitato la professione medica e probabilmente non hanno mai visitato né curato un paziente in carne ed ossa, né visto concretamente come funziona la vita di un qualsiasi reparto ospedaliero; e quanto ai vaccini, non hanno la minima idea di cosa in realtà siano, di come vengano fabbricati, di come li si debba sperimentare e secondo quali modalità e quali tempi. Ora, se così stanno le cose, ed è palese che stanno proprio così, perché mai bisognerebbe seguitare un dialogo con chi non è disposto, non diciamo a dialogare, ma nemmeno a lasciar esprimere una opinione professionale e deontologica, e reagisce subito con le minacce, i ricatti, le diffide, i licenziamenti e le denunce amministrative e penali, trattando chi osa avanzare delle obiezioni alla stregua d’un pericoloso terrorista?
Se poi ci si sposta dal versante della società civile a quello della vita religiosa, ci si accorge che lo stesso uso fraudolento, odioso e ricattatorio del concetto di dialogo è stato fatto da quanti, costruendo la nuova chiesa del Concilio Vaticano II e sostituendola alla vera chiesa di Gesù Cristo, quella di sempre e di tutti gli altri venti concili che si sono succeduti nell’arco di quasi due millenni, fino al Vaticano I, hanno tradito e ingannato la stragrande maggioranza dei cattolici, dando loro a credere che Gesù sia venuto sulla terra per inseguire le virtù del dialogo e per dialogare con tutti quanti, e che così debbono fare anche i suoi seguaci, se vogliono esser degni di fregiarsi del Suo Nome. Ma questa è una colossale mistificazione, che non è stata denunciata e smascherata, ma anzi ha finito per imporsi e vestire i panni della normalità e perfino della ovvietà, solo grazie alla profonda decadenza degli studi teologici, alla corruzione della dottrina e all’anarchia vigente nella pastorale, per non parlare della liturgia, sempre quali frutti "maturi" del tanto, troppo glorificato Concilio Vaticano II, del quale i suoi apologisti parlano implicitamente come se fosse superiore perfino alle Scritture e alla Tradizione, creando, così, una sorta di "rivelazione" parallela. Che non è tanto quella di Nostro Signore Gesù Cristo, ma quella di don Lorenzo Milani, di Karl Rahner, di Helder Câmara, e così via: di tanti personaggi che hanno preteso di mescolare la materia di fede, che è il dogma, con tutta una serie di cose le quali con la vera dottrina non c’entrano affatto, ma sono opinioni personali, talvolta legittime, talaltra del tutto illegittime e perfino contrarie alla Rivelazione cristiana, nonché profondamente estranee allo stesso ambito religioso, come la politica, l’ambiente e perfino il clima, tanto che da ultimo abbiamo dovuto assistere allo spettacolo, grottesco e indecente, di un prelato cattolico, l’arcivescovo di Berlino, il quale si è permesso di paragonare l’adolescente instabile e strumentalizzata Greta Thunberg a Gesù Cristo. Dunque, proviamo a domandarci, con mente sgombra da pregiudizi; Gesù Cristo è stato, per caso, come Socrate, una specie di grande maestro del dialogo? No, niente affatto: nel modo più assoluto. Gesù non è venuto sulla terra per dialogare con gli uomini, e tanto meno per dialogare con il mondo, poiché il "mondo" è l’insieme delle forze tenebrose che odiano la Luce e che da sempre si oppongono al disegno divino; ma è venuto per insegnare la Verità, mostrando che Egli Stesso è la Verità, ed è, nello stesso tempo, la Via e la Vita. Non ci sono altre verità, non ci sono altre vie e non c’è altra vita all’infuori di quelle che s’incarnano nella divina Persona di Gesù Cristo. Questo Egli è venuto a fare: a convertire il mondo, se possibile, nel rispetto del libero arbitrio; e, se no, a salvare gli uomini di buona volontà, vale a dire quella minoranza di esseri umani che scelgono la luce al posto delle tenebre, e perciò stesso escono dal mondo e cessano di far parte del mondo, pur continuando a vivere, materialmente parlando, in esso, almeno finché dura la loro esistenza terrena. Ma il vero seguace di Gesù è colui che vive nel mondo senza essere del mondo e senza appartenere al mondo. Chi è del mondo ama le tenebre e le preferisce la luce; solo chi è di Cristo rifiuta le tenebre e cerca la luce. La grande battaglia, perciò, è questa: fra le tenebre e la luce, fra il mondo e Cristo, fra il Diavolo e Dio. Non si può dialogare con entrambi, non si può tenere il piede in due scarpe. Gli Apostoli non dialogavano con il mondo, non dialogavano coi sacerdoti delle false religioni, non dialogavano coi filosofi ateniesi o di qualsiasi altra scuola: niente affatto, essi insegnavano il Vangelo e battezzavano gli uomini nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E la stessa cosa, nell’ora presente, si richiede ai seguaci di Gesù Cristo, proprio come allora: non dialogare, ma insegnare e dare l’esempio della vita cristiana. Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri: sono le parole precise di Gesù. Ma, intendiamoci bene, amare il prossimo non significa dialogare con l’errore, essere indulgenti con l’errore, chiudere gli occhi davanti alla colpa e al peccato per non dispiacere al mondo; perché, così facendo, si finisce per dispiacere a Dio, il che è molto, ma molto più grave.
Del resto, osserviamoli un po’ da vicino, i soggetti coi quali i falsi teologi e i falsi pastori del Concilio Vaticano II vorrebbero che i fedeli perdessero il loro tempo a dialogare. Dialogare con gli islamici? Ma li avete osservati come si vestono, come si muovono, come parlano, anche se risiedono in Italia da anni e anni, anche se hanno fatto figli e nipoti in terra italiana? Vogliono dialogare, costoro, con la società che li ha accolti, con i valori sui quali essa si regge? Li rispettano, si conformano ad essi, oppure continuano a ostentare i proprio valori, le proprie tradizioni, anche quando essi sono in palese e irrimediabile contrasto con quelli del Paese che li ospita e dà loro da vivere? E che dire dei fratelli maggiori, i figli del Talmud? Si può dialogare con quelli che pregano su dei testi "sacri" nei quali si insultano atrocemente e si bestemmiano Gesù Cristo, la Vergine Santissima e tutto ciò che per un cattolico è santo? Passiamo ai campioni del gender e dell’universo LGBT. Sono disposti a dialogare, costoro, con gli altri? Il dialogo nasce dal rispetto: ma che rispetto hanno per la famiglia naturale, formata da un uomo, una donna e dei bambini, quelli che predicano l’utero in affitto, il cambio di sesso propagandato fin negli asili e nelle scuole elementari, la fecondazione eterologa, e ostentano nei Gay Pride tutti gli atteggiamenti più provocatori e offensivi nei confronti della sensibilità altrui? E che ora vorrebbero varare una legge che provocherebbe un procedimento penale immediato per chi osasse dire che un bambino nasce dal’amore di un uomo e di una donna? Oppure parliamo dei migrazionisti, quelli che trovano cosa buona e giusta favorire l’invasione dell’Italia da parte di milioni di clandestini, venuti come falsi profughi e ben decisi a non integrarsi, ma a sostituire la popolazione italiana, impadronendosi del Paese e dei frutti del lavoro secolare del nostro popolo, cancellando la sua stessa civiltà e perfino la sua memoria. Non si può dialogare con chi definisce razzista e fascista chi esprime opinioni diverse dalle sue, e, di nuovo, ricorre alla magistratura per far mettere sotto processo non chi, violando le leggi italiane, entra con la forza nei porti, speronando le unità della Guardia Costiera, ma chi, da ministro, cerca di fermare tali atti illegali, a tutela della sovranità italiana e a difesa dei cittadini onesti. È perciò evidente che la falsa chiesa vuole spingerci a un dialogo suicida, a un dialogo a senso unico dal quale usciremmo distrutti, perché la controparte non ha la minima intenzione di dialogare. E, dal suo punto di vista, ha ragione. Questa è una guerra: e in guerra si combatte, non si dialoga. Certo, il cristiano combatte con le armi della fede: ma non è detto che la fede in certi casi non possa spingere ad impugnar le armi. Quando i Vandali assediarono Ippona, sant’Agostino non predicò agli abitanti di aprire le porte, dicendo che il cristiano è un uomo di pace, ma esortò i suoi concittadini a lottare e a resistere E quando l’esercito ottomano assediò Vienna, il beato Marco d’Aviano non predicò la mansuetudine e l’accoglienza, ma la lotta: e celebrò la santa Messa sul colle del Kahlenberg, poco prima che si accendesse la dura battaglia in cui si decise il destino dell’Europa, l’11 settembre 1683. Ebbene: il nostro modello è Marco d’Aviano. Perché non è più tempo di chiacchierare, ma di lottare.
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