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Satana potrebbe redimersi e diventare santo?

Quando il signor Bergoglio ha incominciato a dire che anche Giuda Iscariota si è salvato, perché in fin dei conti si era pentito, per poi è tornare diverse volte sull’argomento, con strana insistenza, molti sono rimasti sconcertati, alcuni anche scandalizzati, ma pochissimi, crediamo, hanno compreso sino in fondo la malizia diabolica da cui nascevano quelle affermazioni. Noi stessi abbiamo impiegato del tempo prima di comprendere dove costui volesse andare a parare, e, lo confessiamo, pur conoscendo ormai la malvagità di quell’uomo, rotto a tutte le astuzie e a tutti gli inganni pur di recare il maggior danno possibile alle anime delle quali è stato indegnamente fatto pastore, quasi non volevamo credere che la sua cattiveria potesse arrivare così lontano. La conclusione cui siamo stati costretti a pervenire, mettendo insieme tutte le tessere del mosaico, è che Bergoglio vuol dare a intendere che Giuda si è salvato perché il suo vero obiettivo non è tanto la riabilitazione di Giuda, ma la riabilitazione di colui che è entrato nel corpo di Giuda, spingendolo all’odioso tradimento nei confronti del Nostro Signore Gesù Cristo: il Diavolo, come narrato nel quarto Evangelo (Gv 13, 21-30):

21 Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». 22 I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. 23 Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24 Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Di’, chi è colui a cui si riferisce?». 25 Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26 Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. 27 E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». 28 Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; 29 alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30 Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

C’è una cosa che bisogna sempre tener presente, quando si parla del modernismo e del neomodernismo, anzi quando si parla dello sviluppo di tutta la filosofia moderna, specialmente dopo Kant: il suo costante sottofondo gnostico e soprattutto cabalistico. Questo è un aspetto poco conosciuto e poco studiato, anche da quei testi di storia della filosofia e da quegli studiosi che pure si fanno un vanto di spingere lo sguardo da Hegel, passando per Heidegger, fino a Martin Buber e a Lévinass, e di estendere lo sguardo d’insieme sul pensiero contemporaneo fino agli sviluppi più recenti della teologia liberale, sia di matrice protestante che di stampo cattolico — quest’ultima, ovviamente, emersa dopo il Concilio Vaticano II. Il fatto è che Heidegger presuppone Hegel, e che Karl Rahner presuppone Heidegger; e che sia Ratzinger, sia Bergoglio, pur così diversi fra loro quanto a raffinatezza teologica, presuppongono tanto Hegel, che Heidegger, che Rahner — senza scordarsi dell’altro cattivo gesuita partito in avanscoperta sui campi sterili dell’eresia gnostica e panteista, Teilhard de Chardin. E la presupposizione è questa: che in ciascuno di essi, partendo da Hegel, esiste un’aperta propensione verso l’idea, tipicamente cabalistica, della conciliazione degli opposti, e più precisamente della riconciliazione finale del male con il bene. In un certo senso, tutto il pensiero moderno, e particolarmente l’idealismo, si pone sotto il segno della Cabala e della conciliazione degli opposti. Il merito di aver visto e compreso ciò, e di averlo chiaramente indicato, spetta a uno studioso argentino pochissimo conosciuto dal grande pubblico, il sacerdote Julio Mieinvielle, con la sua fondamentale opera Dalla Cabala al progressismo (recentemente tradotta in italiano dalla casa editrice Effedieffe). A lui bisogna poi accostare il nome di un altro studioso, italiano e vivente, anch’egli sacerdote: don Curzio Nitoglia, il quale in numerosi libri ha ripreso e sviluppato il concetto, rendendolo familiare ai non molti che s’interessano a questo aspetto della cultura moderna, e che sono aperti a riceverlo, sia pure come ipotesi di lavoro; perché nella maggioranza degli studiosi "ufficiali", specie gli accademici, vi è un rifiuto pregiudiziale nei confronti di ciò che, se preso seriamente in considerazione, potrebbe rivoluzionare tutto ciò che si sa, o si crede di sapere, circa la cultura della quale siamo figli.

Tre sono le basi dell’idealismo hegeliano, e tutte e tre sono di un’assurdità logica e di una presunzione speculativa a tutta prova. Le prime due sono comuni a tutto il filone della filosofia idealista: che il pensiero crea l’essere, e non l’essere il pensiero; e che tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale, reale. La terza asserzione fondamentale, o piuttosto il terzo postulato, indimostrato e indimostrabile, è che la tesi, venuta a confronto con l’antitesi, produce, invero miracolosamente, la sintesi: il che va contro il principio d’identità, per il quale A è A, e contro il principio di non contraddizione, per il quale A non è B, perché secondo la dialettica hegeliana una cosa e il contrario di quella cosa si ricompongono in una nuova essenza, che è la sintesi dell’una e dell’altra. Ebbene, questa è un’idea cabalistica: alla fine, non si sa come, gli opposti si riconcilieranno e perciò anche il male diventerà bene, non si quando né come, ma si sa che questo fatalmente avverrà, perché l’Uno è formato dagli opposti, i quali solo nella dimensione parziale del tempo e dello spazio appaiono separati e inconciliabili, mentre nella dimensione metafisica altro non sono che facce della stessa medaglia, e quindi intimamente uniti come il giorno lo è alla notte e la luce alle tenebre. Vi sarebbe il giorno se non vi fosse la notte, e vi sarebbe la luce se non vi fossero le tenebre? Così ragionano tutti quelli che sono attratti, e influenzati, dal pensiero gnostico e cabalistico: sicché si può dire che la Cabala non solo ha fatto proseliti ben al di fuori della sua area tradizionale, ma che ha impregnato di sé, e praticamente condizionato, se non addirittura conquistato, tutto il filone principale della filosofia moderna, e di riflesso anche quello della teologia cristiana più recente. C’è solo un piccolo problema, dal punto di vista della vera filosofia e della vera teologia: che tutto ciò non si regge sul filo della logica, e inoltre che tutto ciò non è cristiano, anzi non ha nulla di cristiano. La Cabala è tanto lontana dal pensiero cristiano quanto lo sono le varie forme di dualismo: essa postula una ricomposizione finale degli opposti, quello un’eterna separazione di due principi opposti ma ugualmente originari; mentre è evidente che gli opposti restano opposti, e, come diceva Kierkegaard, il cristiano, e non solo il cristiano, ma colui che si affida alla ragione naturale, non ragiona in termini di et… et, bensì di aut… aut: non questo e quello, ma questo o quello. E inoltre è chiaro che il principio del Bene e quello del Male, per il pensiero cristiano, non sono affatto entrambi originari, perché il Male è un principio secondario e derivato, non originario, e dunque subordinato all’altro, e non certo dotato di pari forza e di pari autonomia. L’idea che i due princìpi, della Luce e delle Tenebre, siano entrambi originari e che giacciano sullo stesso piano ontologico, era quella dei catari: e grazie a Dio il catarismo non ha prevalso, anche se c’è stato un momento, alla fine del XII secolo, in cui pareva che avrebbero potuto prendre il sopravvento nell’Europa occidentale; e incredibilmente la cultura progressista dominante continua a dolersi che le cose siano andate così. Evidentemente tutti questi signori politicamente corretti, e rigorosamente anticattolici, avrebbero preferito che si imponesse una religione che considera il corpo, il mondo e la vita stessa come la forma suprema del male; che odia il matrimonio e la generazione, perché considera che la cosa migliore sia favorire il suicidio dell’umanità mediante il rifiuto di riprodursi e, se possibile, lasciandosi morire di fame da parte dei "perfetti".

Ma torniamo all’idea cabalistica della riconciliazione finale del Bene e del Male. Il discorso sarebbe estremamente lungo e complesso; semplificandolo un po’, e tuttavia, crediamo, senza snaturarne il senso, citiamo una pagina del volume Il Diavolo (a cura di Angela Cerinotti e Davide Sala, Demetra Editrice, 2000, p. 32):

Lo "Zohar" è l’opera fondamentale della Cabala, un sistema esoterico, mistico e teosofico che ebbe il suo massimo sviluppo nel Medioevo. In tale opera hanno un ruolo centrale Samael (l’equivalente cabalistico di Satana) e Lilith, il demone femmina.

In effetti il problema della natura del male fu una delle principali indagini speculative della Cabala. Secondo alcuni l’uomo è incapace di ricevere l’intero influsso delle Sefirot ("numeri") per straniamento delle cose create dalla loro fonte di emanazione, e quindi in pratica IL MALE AVREBBE UNA REALTÀ NEGATIVA, MA NON METAFISICA. Secondo altri invece (per esempio lo "Zohar") il male è una MANIFESTAZIONE SEPARATA, COME CRESCITA SOVRABBONDANTE DEL POTERE DEL GIUDIZIO, resa possibile dall’assunzione a sostanza e della separazione della suddetta qualità del giudizio dalla sua abituale unione con le qualità dell’amore e della bontà. Così, per non procedere oltre con un discorso che, oltre che destinato agli addetti ai lavori, richiederebbe pagine e pagine, si può concludere che per molti, ALLA FINE DEI TEMPI, IL MALE SAREBBE RIDIVENTATO BENE E CHE LO STESSO SAMAEL SI SAREBBE PENTITO E AVREBBE FATTO RITORNO ALLA SANTITÀ.

Riassumendo. Il pensiero cabalistico insegue l’idea che alla fine dei tempi il Male si trasformerà in Bene e il Diavolo stesso si pentirà, si redimerà e addirittura diverrà santo, perché tutte le creature sono chiamate alla santità. Il signor Bergoglio, il quale intellettualmente è figlio della linea di pensiero che va da Hegel, a Heidegger, a Teilhard, a Rahner, a Buber e a Lévinass, da buon gesuita ultramodernista va predicando la salvazione finale di Guida perché Giuda è il più grande peccatore degli uomini. Nessuno ha commesso un peccato più grande di Giuda, il quale ha tradito il Salvatore per trenta denari (sì, lo ha fatto proprio per denaro: si rassegnino quanti vorrebbero vedere nel suo gesto chi sa quali nobili intenti, perché sappiamo che Giuda, cui era affidata la cassa degli Apostoli, era ladro da sempre: cfr. Gv 12, 4-6): pertanto, se perfino lui alla fine si è slavato, ciò equivale a dire che tutti alla fine sui salveranno. Ma se tutti sono destinati alla salvezza, ed effettivamente si salveranno, allora non ha senso che ci sia l’Inferno, né che si sia il re dell’Inferno: il Diavolo. Che senso avrebbe, infatti, un Inferno vuoto (con buona pace di Hans Urs von Balthasar, altro cattivo maestro modernista fatto passare per grande teologo, forse perché strettamente legato a Ratzinger, e dunque bisognoso di essere emendato da qualsiasi ombra o sospetto, per evitare che ombre e sospetti cadano anche su Ratzinger). Dire che l’Inferno è vuoto, o che alla fine verrà svuotato, equivale a dire che non esiste la pena eterna (e quindi, a rigore, neppure l’eterna beatitudine); ed equivale a lasciare disoccupato il principe dell’Infermo, Satana. Il quale, evidentemente, non avrà più anime da tentare e da spingere sulla via della dannazione, e dunque non gli resterà che una cosa da fare, non fosse altro che per ammazzare la noia: pentirsi, convertirsi, emendarsi e santificarsi. E così, da ultimo, come nelle zuccherose favole alla Walt Disney, tutti diverranno buoni e vivranno felici e contenti, rasserenati e rappacificati, buoni e malvagi, vittime e carnefici. Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, e chi ha dato, ha dato, ha dato: scurdammoce o’ passato, simmo e’ Napoule paisà, recitava la canzone di Peppino Fiorelli del 1944. Il concetto è chiaro anche per chi non mastichi troppo il dialetto partenopeo: non importa chi ha fatto del bene e chi ha fatto del male, perché bisogna voltare pagina sul passato e ricominciare da zero.

Questo perfido disegno, come sempre, il signor Bergoglio lo sta portando avanti con una certa malvagia destrezza, anche se alcune sue "sparate" rischiano di mettere in allarme i cattolici: perché, e la cosa è evidente, egli non possiede l’abilità, e soprattutto la pazienza, degli altri papi che si sono succeduti a partire dal conclave del 1958 e che hanno proceduto con astuzia a sostituire gradualmente la vera dottrina cattolica e la vera Chiesa cattolica con una dottrina e una chiesa che di cattolico hanno conservato, almeno fino ad oggi, solamente il nome, ma di fatto sono entrambe protestanti e ultraliberali. Quei pontefici, più abili di lui, e quindi meno precipitosi, sapevano che il sistema migliore per attuare una rivoluzione — e il supermodernismo scaturito come un fiume limaccioso dal Vaticano II è, a tutti gli effetti, una rivoluzione — consiste nel fare in modo che coloro contro i quali essa è diretta, non si rendano conto di quel che sta accadendo e sottovalutino, o non vedano affatto i pericoli e le incognite della situazione. Riabilitando Giuda, Bergoglio prepara la riabilitazione di Satana: solo allora potrà degnamente celebrare il sabba infernale di Astana…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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