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24 Maggio 2021La maggior parte dei cattolici non nota nulla di strano e non si pone neppure il problema se la Messa Novus Ordo, quella uscita dalla riforma liturgica del 1969, sia davvero conforme alla liturgia cattolica e quindi alla vera dottrina (perché la liturgia non è un abito esteriore, ma è la traduzione mediante segni della dottrina). Perfino tra quelli che hanno più di cinquant’anni e perciò ricordano la Messa tridentina, vale a dire la Messa cattolica di sempre, pochi hanno notato qualcosa d’insolito nel passaggio dall’una all’altra, e meno ancora hanno trovato difficoltà ad abituarsi al nuovo rito. Quelli, poi, che sono nati dopo quella data, hanno sempre conosciuto solo questa Messa e non si sono mai chiesti se essa esprima pienamente, coerentemente e perfettamente, non solo le forme, ma anche i contenuti della fede cattolica. C’è poi una sparuta minoranza che un certo qual disagio, o un certo qual senso d’incongruenza, lo avverte, sì, e tuttavia stenta a dargli un volto preciso, a chiarire cosa esattamene crei quella sensazione di dissonanza. E ciò perfino tra quelli che, avendo sessant’anni o più, ricordano, o dovrebbero ricordare, le forme della vecchia Messa, e quindi dovrebbero anche cogliere quali sono gli elementi che non quadrano, né si armonizzano, con l’autentica espressione del rito cattolico.
Alcuni notano l’incongruenza del nuovo altare, architettonicamente stonato, messo in maniera tale da spezzare la fuga prospettica dello sguardo verso il punto focale dell’altar maggiore: sicché non solo durante la santa Messa, ma anche appena entrati nel sacro edificio, avvertono che le cose non sono come dovrebbero essere, perché lo sguardo del fedele non viene naturalmente indirizzato verso il Santissimo, che spesso non si sa nemmeno dove si trovi, ma verso un altare che non è un vero altare, è piuttosto una tavola, e infatti si presta magnificamente alla celebrazione di un pasto, di una "cena", come avviene per i protestanti, ossia per la commemorazione dell’Ultima Cena di Gesù Cristo, più che per il rinnovarsi perenne del mistero della Presenza Reale, cioè per la manifestazione di Gesù nel suo Corpo e nel suo Sangue, in una semplice particola di pane e in un semplice calice di vino. Altri notano che le lingue nazionali in cui si svolge la santa Messa non possiedono il fascino liturgico del latino, e intuiscono che ben altro doveva essere il senso di raccoglimento allorché ciascun fedele sapeva che, in ogni angolo dell’orbe terracqueo, ovunque il sacerdote celebrasse il sacro rito, tutti usavano le stesse identiche parole, come un’orchestra perfettamente affiatata. Altri ancora sono lievemente disturbati dai canti e dagli strumenti che li accompagnano, perché gli uni e gli altri non esprimono lo stesso grado di solennità e di concentrazione dei canti in latino e del suono dell’organo. Ma questi, in fondo, sono, se non proprio dettagli, aspetti comunque secondari. Più sostanziale il fatto che, a un certo punto, i fedeli sono invitati a scambiarsi una stretta di mano, il che comporta sempre un maggiore o minore scompiglio e una generale distrazione: stretta di mano che ricorda spiacevolmente quella in uso fra i massoni. Ma soprattutto colpisce la modalità con cui il fedele si accosta all’Eucarestia, ricevendo l’Ostia sul palmo della mano e portandosela in bocca, restando in piedi, come se dopotutto non si trattasse di qualcosa di straordinario, ma di una faccenda d’ordinaria amministrazione. Peggio ancora, con la scusa della scarsità di sacerdoti, in molte chiese sono i diaconi, e anche le diaconesse, sebbene quest’ultima figura non esista nella Chiesa cattolica, a distribuire la santa Comunione, rafforzando l’impressione che si tratti di cosa piuttosto ordinaria che straordinaria. Eppure, nessuna di queste cose che abbiamo citato, o di altre ancora che avremmo potuto citare, come i recentissimi cambiamenti nelle formule rituali, comprese le parole stesse del Padre Nostro, con l’espunzione della formula e non indirci in tentazione, va al cuore del problema. Al cuore del problema infatti non c’è questo o quel gesto, questo o quell’atteggiamento, bensì il sublime Mistero che della santa Messa costituisce il cuore e la ragione stessa d’esistere: la formula della consacrazione del pane e del vino, affinché divengano il Corpo e il Sangue di Cristo.
Per comprendere bene questo punto, che è assolutamente centrale in qualsiasi discussione sulla Messa novus ordo, citiamo una pagina di don Mario Tranquillo nel saggio Il problema della nuova Messa (nel volume collettivo Le tenebre della "Nuova Pentecoste". La Rivoluzione nella Chiesa, Parte Seconda, a cura di Massimo Viglione, I Quaderni dei Triarii, 2020, pp. 48-49):
Il 30 novembre 1969 papa Paolo Vi pubblicava un nuovo Messale Romano, nella sua edizione latina, poi tradotta in tutte le lingue, per l’uso liturgico del rito romano. Tale messale era destinato, nelle intenzioni del pontefice, a sostituire definitivamente (e con un’immediatezza pressoché totale) il precedente messale, codificato da san Pio V nel1570, che altro non era che la riedizione corretta dei libri liturgici usati precedentemente. Il messale di Paolo VI, poi noto come "Novus ordo Missae", o "nuovo rito", o "nuova messa", fu invece il frutto di un’elaborazione a tavolino di alcuni "esperti" riuniti nel "Consilium ad exsequandam Constitutionem da Sacra Liturgia", di fatto guidato dall’allora padre Annibale Bugnini, che si proponeva di implementarle linee guida fornite dalla recente costituzione "Sacrosanctum Concilium", promulgata durante il Concilio Vaticano II, allora appena concluso 1962-1965). Si sa che a commissione furono invitati anche sei pastori protestanti, essendo lo scopo della riforma liturgica quello di facilitare il cammino ecumenico. Scrive il padre (poi monsignor) Bugnini: che il nuovo rito fui elaborato «per facilitare ai nostri fratelli separati il cammino dell’unione, scartando ogni ostacolo che avrebbe potuto costituire anche solo l’ombra del rischio di una pietra d’inciampo o di un dispiacere» (Bugnini, "Documentation Catholique", n. 144 (1965), col. 604). Paolo VI stesso ha confidato al suo amico, lo scrittore Jean Guitton, che a sua intenzione di cambiare la Messa veniva dal desiderio di un riavvicinamento al modo protestante: «L’intenzione di Paolo VI su ciò che è comunemente chiamata la Messa, era di riformare la liturgia cattolica in modo tale che potesse coincidere con la liturgia protestante. Vi era in Paolo VI l’intenzione ecumenica di togliere, o almeno di correggere, o almeno di affievolire, ciò che era troppo cattolico in senso tradizionale nella Messa e, lo ripeto, avvicinare la Messa cattolica alla Messa calvinista» (J. Guitton, al dibattito organizzato da "Lumière 101", giornale radio della domenica di Radio Courtoise, 19 dicembre 1993, sul libro di Y. Chiron, "Paul VI, le pape ècartelé").
Questa premessa alla nostra analisi ci deve far capire due cose fondamentali: 1) il rito di Paolo VI, prima ancora di esaminarne il contenuto dottrinale, è un rito prodotto a tavolino, con pochi e non sostanziali riferimenti a ciò che precedeva; è una ri-formulazione radiale di tutto il culto cattolico (non fu cambiato il solo messale, sul quale ci soffermeremo, ma tutti i libri liturgici); non può essere messo in parallelo, sotto questo aspetto, al messale voluto dal Concilio di Trento e pubblicato da san Pio V, che è solamente un’edizione espurgata e corretta di quanto già esisteva. 2) La causa finale di questa riforma è ecumenica, cioè di modificar eil rito della Messa cattolica perché sia assimilabile anche da coloro che rifiutano i dogmi cattolici sulla Messa.
Tale nuovo rito fu immediatamente oggetto di una pesantissima critica teologica, cui faremo spesso qui riferimento, formata da due importanti cardinali, Ottaviani (che era capo del Sant’Uffizio) e Bacci. Questo documento, una lettera indirizzata a Paolo VI, è noto sotto il nome di "Breve esame critico del Novus ordo Missae", e dà questa valutazione generale del nuovo rito: «il Novus Ordo Missae, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino».
Non semplice cambiamento delle forme liturgiche, dunque, ma modifica e stravolgimento di tutto l’impianto teologico del quale la santa Messa è espressione: dato che la santa Messa evidentemente non è un rito a sé stante, ma è il coronamento ed il culmine di tutta la fede cattolica, un compendio di essa e, nello stesso tempo, il momento più solenne della manifestazione di Dio ai suoi fedeli, secondo la sua indefettibile promessa. In particolare, l’aver modificato l’espressione: questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per molti, con l’altra, che recita: versato per voi e per tutti, non è un piccolo aggiustamento formale, ma modifica il cuore della teologia cattolica. Se il Mistero Eucaristico è aperto a tutti, e se il sangue di Cristo è stato sparso in redenzione di tutti, ciò implica che quel Mistero e quella Redenzione sono indirizzati a tutti, dunque anche a quanti non li vogliono, li rifiutano, li detestano e li odiano. Ma c’è di più, e di peggio. Nella Messa novus ordo, il celebrante formula le parole della consacrazione dando l’impressione che non si tratti di una impetrazione con valore effettivo e immediato, ossia la Transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma di una semplice commemorazione: perché il celebrante parla come se fosse Gesù Cristo a dire: questo è il mio corpo, ecc.; il che ha tutto l’aspetto di una commemorazione e non di una formula dal valore perenne. Perfino l’espressione mistero della fede, che il celebrante pronuncia staccata dalla consacrazione, rafforza l’impressione che il mistero non sia la Transustanziazione, ma la commemorazione del Mistero della Passione e Morte di Gesù Cristo, il quale si offrì — allora, ma forse non più oggi — per la salvezza degli uomini. Come si vede, la questione è di enorme importanza e delicatezza: perché se la nuova formula della consacrazione, che solo in apparenza ricalca la precedente, viene intesa dal celebrante in senso protestante, vale a dire se la sua intenzione è effettivamente quella di commemorare l’Ultima Cena e non d’impetrare la Transustanziazione, allora la messa non è più la santa Messa dei cattolici, quella di sempre, ma è la cena dei luterani e dei calvinisti, i quali cinquecento anni fa si separarono da Roma anche, e forse soprattutto, per questa differente interpretazione del Sacrificio Eucaristico. Ma quale Sacrificio Eucaristico, se Gesù non è realmente presente nelle specie del pane e del vino, ossia nella materia del Sacramento? E c’è da dubitare che, in una messa così concepita, l’intenzione del celebrante sia proprio quella di celebrare un Sacrificio: non sarà piuttosto quella di commemorare un evento che accadde duemila anni fa, una volta per tutte, e che ora non si sta ripetendo? Qui siamo proprio al cuore della dottrina cattolica. Giova ricordare che per il massimo filosofo e teologo della cristianità, san Tommaso d’Aquino, il Sacrifico della Messa è un miracolo perfino più grande della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù: perché quest’ultimo è avvenuto una volta sola e non si ripeterà mai, mentre il Sacrificio Eucaristico si rinnova sempre, in qualunque angolo della, terra anche nella comunità più remota e isolata, o anche alla sola presenza del celebrante. Perché se la Presenza Reale c’è, allora non ha importanza se i fedeli presenti sono molti o pochi, potrebbe anche non esservene alcuno, basta che ci sia il sacerdote che invoca la manifestazione concreta e salvifica di Gesù Cristo nelle specie del pane e del vino. Accanto a Lui ci sono comunque gli Angeli in tripudio, ci sono le anime sante del Paradiso e del Purgatorio; c’è tutta la comunione dei santi.
Del resto, come può essere pienamente cattolica una Messa che è stata concepita per piacere ai protestanti, cioè togliendo quanto di autenticamente cattolico v’era in essa? Fino a tanto vollero spingersi i papi del Concilio: ad auto-mortificare i fedeli cattolici per compiacere i "fratelli separati", senza darsi alcun pensiero per il rispetto della Verità e dell’onore dovuto a Gesù Cristo. E tutto questo, in realtà, venne fatto alla luce del sole, anche se l’intenzione recondita di Paolo VI era ancor più radicale, ossia spingere la Chiesa stessa verso l’apostasia. La terribile affermazione di Jean Guitton, frutto dei suoi colloqui privati con Paolo VI, l’intenzione di Paolo VI su ciò che è comunemente chiamata la Messa, era di riformare la liturgia cattolica in modo tale che potesse coincidere con la liturgia protestante, venne resa di dominio pubblico, alla radio, nel 1993. Avrebbe dovuto scatenarsi il finimondo: invece non accadde nulla. I cattolici tacquero: si vede che trovavano la cosa perfettamente normale, se non addirittura lodevole. Il giudizio stroncante dei cardinali Ottaviani e Bacci è addirittura del 1969, cioè l’anno stesso della riforma liturgica supervisionata dal massone padre Annibale Bugnini: il nuovo rito della Messa costituisce un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino». E Ottaviani era stato nominato da Pio XII segretario del Sant’Uffizio! Ma Paolo VI, impassibile, non ne tenne conto: anche da ciò si giudichi che valore può avere la canonizzazione di Montini da parte dell’eretico Bergoglio. Cosa concludere da tutto questo: che la Messa novus ordo è invalida? No, certo. Non è invalida, perché vi traspare ancora qualcosa della vera Messa di sempre. Ma quante scorie andrebbero tolte, per ridarle lo splendore originario!
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI