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La Chiesa deve scrollarsi irragionevoli sensi di colpa

Il fattore psicologico principale sul quale hanno giocato, e stanno tuttora giocando, i nemici della Chiesa per distruggerla, è la diffusione sistematica, capillare, incessante, ossessiva, del senso di colpa. I cattolici si devono vergognare di quel che la Chiesa è stata per secoli e secoli: si devono vergognare per le Crociate, per l’Inquisizione, per Giordano Bruno, per Galileo Galilei, per l’alleanza dell’altare con il trono, per lo sfruttamento dei poveri, per aver frenato e ingabbiato la ragione, per aver ritardato la scienza, per aver combattuto la libertà di pensiero, per aver represso gli istinti, per aver promosso il maschilismo, per aver relegato la donna in un ruolo subalterno, per non essere stata abbastanza accogliente, inclusiva e misericordiosa in una quantità di occasioni, l’ultima delle quali è l’ondata dei migranti che da tre decenni si abbatte sulle coste del nostro Paese. Di tutte queste cose, e di molte altre ancora, essa è colpevole: al punto che un cattolico, per sentirsi a posto con la coscienza e accettato dal mondo, se non in posizione di parità, quantomeno di tollerato dai non cattolici e dai non cristiani, deve mostrare un particolare zelo nell’imprecare contro la storia due volte millenaria della propria Chiesa. Deve riconoscere che essa è stata solo questo: dalla crociata contro gli albigesi alla conquista dell’America sotto il segno della croce, e dalle guerre di religione del XVII secolo ai rigurgiti di clericalismo, di papismo e di oscurantismo dei tempi più recenti, ad esempio l’ingiusta condanna del modernismo e le ingenerose diffidenze verso il Concilio Vaticano II. Ecco appunto: il Concilio. È quello il discrimine fra l’epoca della Chiesa brutta e cattiva, alleata dei ricchi e fautrice dell’ignoranza fra le masse, e l’epoca luminosa del cattolicesimo adulto, dei papi aperti, dei vescovi dialoganti, dei preti di strada che non paiono più nemmeno preti, anche esteriormente, perché sono preti operai, sono preti impegnati nel sociale, sono preti con la mascherina, sono preti pro vaccino, sono preti pro ambiente, pro clima, pro Greta, pro Rackete, pro Fedez, pro Davos, pro Soros, insomma pro tutto quel che vogliono i signori della globalizzazione e i loro lacchè: quelli del Forum Economico di Klaus Schwab, del gruppo Bilderberg, della Commissione Trilaterale; quelli della grande finanza, della Goldman Sachs, della Lehman & Brothers, i Rotschild e i Rockefeller. Allora sì, che anche i cattolici – perfino i cattolici! – hanno il diritto di parlare e di essere ascoltati. Ne hanno il diritto quando appendono fuori della porta delle "loro" chiese, come don Biancalani, un cartello con la scritta: Proibito l’ingresso ai razzisti (cioè a quelli contrari all’invasione dell’Italia e alla distruzione della sua identità, e contrari anche alla politicizzazione sfacciata della Chiesa); quelli che, come don Farinella, annullano la santa Messa di Natale per rispetto verso il dramma dei migranti; quelli che, come padre James Martin, vogliono costruire ponti, preferibilmente dei colori dell’arcobaleno, in modo da far entrare nella Chiesa tutti i non cattolici, tutti quelli che non amano Cristo, tutti quelli che non vogliono saperne della sua volontà e della sua legge morale, e farne uscire, al tempo stesso, gli ultimi cattolici veri, quelli oscurantisti, negazionisti, populisti, quelli che chiamano l’immigrazione col suo vero nome: invasione, e la globalizzazione: usura e sottomissione dell’umanità ai super-oligarchi della grande finanza; quelli che non vogliono sentir predicare, davanti al Santissimo, sempre e solo di questioni ambientali, sociali, politiche, ma anche e soprattutto di Dio, della grazia, del peccato, della morte (sì, della morte inevitabile e non dell’elisir di lunga vita) e del giudizio, dell’infermo e del paradiso. Tanto per ricordare a se stessi che il cristiano sa che la vita terrena è una prova temporanea, un pellegrinaggio in terra straniera, un’occasione unica che viene data per scoprire quale ne sia il senso: e sono giunti alla conclusione che il senso della vita è conoscere, amare e servire il vero Dio. Non un Dio qualsiasi, magari amazzonico, magari la Madre Terra o la Pachamama; non il dio degli islamici, o dei giudei, o magari — perché no?, se la religione è una questione di libertà di coscienza — dei satanisti, i quali infatti in alcuni Stati degli USA hanno raggiunto la parificazione con le altre fedi e si son visti riconosciuto lo statuto ufficiale di culto legalmente riconosciuto dalle pubbliche autorità. Perché ciò che vogliono i vari don Biancalani, don Faerinella e padre Martin è precisamente questo: costringere i cattolici ad andarsene e far entrare, si fa per dire (perché non ci entreranno affatto, o ci entreranno solo a parole, e del resto sarà molto meglio così) tutti gli anticattolici, i modernisti, gli eretici e i peccatori impenitenti, o magari i "cattolici non praticanti" i quali, a dire di don Ivo Seghedoni, professore di teologia in quel di Modena, sono apprezzabili (e lo è anche l’emergenza sanitaria) proprio questo aspetto: il fatto di non andare in chiesa, di non frequentare la santa Messa, di non ricever ei Sacramenti. Infatti. E basta con queste vecchie storie, logore, stantie, che sanno di polvere e muffa. Il Sacrificio Eucaristico: e cosa sarà mai? Una formula del passato, che non significa proprio nulla. Oggi che la Chiesa ha dato ragione a Lutero (con la Dichiarazione congiunta cattolico-protestante del 31 ottobre 1999), anche i sassi hanno capito che non ci si giustifica davanti a Dio con le opere, ma solo con la fede; e che di conseguenza il Sacrificio Eucaristico è solo una vuota formula, perché Dio non ci salva con quello, ma con la fede; l’Eucarestia non è che una "cena", un memoriale, un ricordo dell’Ultima Cena di Gesù Cristo. Questo, e non altro: niente Transustanziazione, niente Presenza Reale, niente Miracolo Eucaristico. Quelle solo favole, buone per i bambini e per i nostri nonni, che le bevevano con la massima ingenuità. Ma noi, educati dai don Biancalani, dai don Farinella e dai padre Martin, siamo invece cattolici adulti e vaccinati (vaccinati alla lettera, e non per modo di dire, secondo la giusta e opportuna raccomandazione di Bergoglio; vuoi mettere?). Noi abbiamo capito che il vero cattolicesimo nasce col Concilio Vaticano II, e che la vera Chiesa è quella pot-conciliare. Prima c’erano le tenebre, c’era l’amore cieco del passato; c’erano i papi reazionari, Pio IX, Pio X, Pio XII. Quelli che dicevano sempre no, no a questo e no a quello, no alla Scrittura senza la Tradizione e no alla Scrittura senza l’interpretazione del magistero, no al mondo moderno, alla critica storicista, al socialismo, al liberalismo, alla democrazia, alla sovranità popolare… Sempre no, solo no: che barba, che noia: meno male che poi è arrivato quel sant’uomo di Giovanni XXIII, il primo papa buono della storia (finalmente!, sia lodato il Cielo), che ha rimesso le cose a posto: ha relegato in un angolo le vecchie e inutili credenze, ha promosso il dialogo col mondo, non ha scomunicato alcuno, non ha riaffermato la verità, non l’ha difesa, anzi ha lasciato che la corrodessero dall’interno, con opera paziente e certosina, chiaramente predisposta da molto, molto tempo… fino a quando la massoneria lo ha fatto eleggere papa gli ha dato l’incarico di convocare un concilio, per il quale i vescovi modernisti si erano preparati nell’ombra ed erano pronti a scattare, sorprendendo la buona fede di molti, giocando sulla loro ingenuità, impiegando largamente l’arma del linguaggio ambiguo, pieno di sottintesi, col quale hanno insinuato nella dottrina il cuneo che, negli anni seguenti, altri preti e cattolici adulti e vaccinati avrebbero usato per aprire lo squarcio da cui, ai nostri dì, hanno fatto irruzione ogni sorta di eresie, sconcezze, bestemmie, peccati e scandali.

Uno dei pochissimi intellettuali che hanno visto per tempo il flagello del vano rimorso, e compreso che esso viene inoculato, come un veleno ad azione lenta, da forze esterne a ciò interessate, e non è un prodotto spontaneo, diciamo così, della cultura europea, è stato lo scrittore belga di lingua francese Alexis Curvers (Liegi, 24 febbraio 1906 – 7 febbraio 1992), purtroppo quasi sconosciuto in Italia. Il suo libro di maggior successo è il romanzo La ville eternelle (ossia La città eterna), pubblicato da Robert Laffont nel 1957, dopo essere stato rifiutato da Gallimard, che gli valse il Prix Sainte-Beuve, e dal quale venne ricavata, nel 1963, una versione cinematografica dal regista Denys de La Patellière, con il titolo italiano Tempo di Roma e girato, appunto, a Roma nel 1962 (mentre la versione italiana è più nota con il titolo L’esame di guida). Tuttavia, se sapeva scrivere romanzi divertenti, adatti a ispirare dei film del genere brillante, Curvers era un intellettuale a tutto tondo e un cattolico pensoso e coerente: le sue riflessioni sulla crisi morale che stava attanagliando la Chiesa cattolica — in Francia erano gli anni ruggenti della Nouvelle théologie, precorritrice diretta del famigerato "spirito" conciliare — nonché delle elucubrazioni semi-panteiste del gesuita Teilhard de Chardin e dell’esperienza dei preti operai dell’arcivescovo di Parigi, Emmanuel Suhard, esperienza destinata a portare il marxismo nelle file del clero — sono di una rara acutezza e colgono con sorprendente anticipo la diagnosi che sarebbe stata fatta da altri intellettuali, francesi e no, solo molti anni più tardi.

Scriveva, dunque, Alexis Curvers a proposito degli assurdi rimorsi e degli irragionevoli sensi di colpa, che sono stati iniettati nella mente e nel cuore dei cristiani, specialmente dei cattolici, da chi aveva l’interesse a fare ciò, nel saggio Pio XII, il papa oltraggiato (titolo originale: Pie XII, le pape outragé, Paris, Laffont. 1964) cit. in: Vittorio Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Edizioni Paoline, 1992, pp.411-412):

È in atto da gran tempo, ma oggi si è rafforzata, una campagna in grande stile per minare la saldezza morale della Chiesa con l’ipertrofia del sentimento più morboso e vano: quello della colpevolezza. Il punto d’importanza capitale, perché il mezzo più sicuro per spinger al suicidio un qualsiasi organismo consiste nell’inoculargli il veleno del rimorso. Una cosa è il pentimento lucido e creatore che supera e ripara il male col bene che vi sostituisce; altra cosa è il rimorso che rode, che talvolta segretamente si compiace del suo inferno, abitato dai fantasmi di una vergogna che porta alla disperazione. Il rimorso non compensa nulla. Al contrario, distrugge tutto. Compie l’opera del peccato rendendola in qualche modo eterna, togliendo al peccatore la fiducia e il coraggio necessari al suo raddrizzamento e alla sua difesa. (…)

Quel rimorso è il germe di morte che un’Impresa di Sovversione insinua da tempo, in mille maniere, nell’anima della Chiesa e di quella Europa che così profondamente la Chiesa stessa ha contribuito a creare. I duemila anni di storia della cristianità non sono certo immuni da macchie. Ma sono macchie antiche, che non hanno impedito al fulgore di manifestarsi di nuovo. Eppure, quelle chiazze sbiadite sono di continuo ravvivate, segnate con segni indelebili, mostrate senza posa agli occhi dei credenti, e, in genere, degli europei di tradizione cristiana, in modo tale che ciò che dovrebbe costituire solo un ricordo deplorevole, si fissi nelle coscienze e vi diventi un’ossessione. Inquisizione, colonialismo, invasione delle Americhe, Galileo, antisemitismo, collusioni col fascismo: per sempre, si grida, voi siete responsabili o almeno solidali con questi crimini; gli equivalenti dei quali, tra l’altro, purché non siano imputabili alla Chiesa e all’Europa, purché anzi essi ne siano le vittime, godono di tutte le indulgenze. Inventate e gestite da persone intelligenti, lucide nel loro programma di distruzione del cristianesimo e propagate da una folla di sciocchi, di disinformati, di masochisti all’interno steso della Chiesa, queste mitologie, queste "leggende nere" trionfano in un organismo ecclesiale in cui si è inoculato il germe del rimorso. Tutte le tecniche di condizionamento degli spiriti contribuiscono all’impresa di infezione morale, magistralmente abbozzata fin dalla scuola elementare e sorretta dal sistema dei "media", concepiti espressamente per distogliere dalla possibilità di saper leggere e, per conseguenza, pensare. Il terreno così trattato è pronto a ricevere le sementi della propaganda e a centuplicarle: tanto che i seminatori della zizzania del rimorso, vedendo levarsi una bella messe, tentano oggi (validamente aiutati da "cristiani", da "cattolici") di strappare dal suolo tutto quanto resiste ancora alla loro opera di disarmo degli spiriti, di affievolimento delle ultime capacità di resistenza della fede.

Oltre alla capacità di prevedere quel che sarebbe accaduto nella scia del Vaticano II (il saggio di Curvers è appunto del 1964), colpisce in questa diagnosi l’individuazione precisa della centrale da cui parte l’operazione senso di colpa: non un processo spontaneo, dunque, della coscienza cattolica, ma un qualcosa di estraneo che viene introdotto surrettiziamente dall’esterno, e che è alimentato di continuo, affinché i cattolici non possono mai sottrarsi ai suoi dolorosi e paralizzanti effetti. Questa centrale ha un nome, ed è lo stesso che già era stato individuato dai papi pre-conciliari, dichiarato in numerosi documenti ufficiali, e additato anche da anime sante, come padre Pio da Pietrelcina o Massimiliano Kolbe: la massoneria, nelle cui alte gerarchie è particolarmente forte la presenza ebraica. È quello il nodo, quello è l’arcano innominabile, che infatti quasi nessuno, dopo il Concilio, osa non diciamo nominare, ma neppure accennarvi in maniera velata. Proibito, tabù assoluto. I cattolici devono solo vergognarsi; essi, invece, hanno solo crediti da riscuotere. E si noti che il senso di colpa è, per sua natura, qualcosa di malsano e distruttivo, perché non ha un oggetto preciso, razionalmente definibile, ma si regge su un sentimento vago e perciò inafferrabile. Altra cosa è il sentimento della colpa, una colpa precisa, che è sempre espiabile. Per questo è venuto Gesù Cristo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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