Aver paura dei propri figli
17 Maggio 2021La Chiesa dal sì al trapiantismo al sì al vaccinismo (segue)
19 Maggio 2021L’ecumenismo, come ci viene presentato oggi, è una tipica idea moderna; e come tutte le idee tipicamente moderne, ha in se stessa la sua buona dose di veleno, anche e soprattutto quando si presenta come candida e innocente, perché carica di buone, anzi di ottime intenzioni. Ora è cosa nota che la via dell’inferno è lastricata di ottime intenzioni: vediamo dunque in che cosa consista il veleno dell’idea ecumenista. La buona intenzione è quella di ristabilire l’unità dei cristiani: aspirazione lodevolissima, come si può dubitarne? E come negare che la divisione dei cristiani in una serie di chiese separate costituisca uno scandalo, davanti a Gesù Cristo e davanti ai fedeli stessi, nonché a quanti cristiani non sono? Eppure da tale lodevole intenzione scaturisce un atteggiamento che è di fatto gravemente sbagliato e carico di funeste conseguenze. Se così non fosse, vorrebbe dire che l’unità è un valore assoluto, prioritario rispetto a qualsiasi altro valore. Ma c’è almeno un valore che viene ben prima di esso, e cioè la verità. È intuitivo e non servono tanto ragionamenti per spiegarlo. Che senso può avere l’unità dei cristiani, se viene perseguita a discapito della verità? La verità, per il cristiano, è Gesù stesso, il quale dice di Sé: Io sono la via, la verità e la vita; nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me. Dunque, se Gesù è la verità, e infatti è il Verbo Incarnato, cioè la stessa Parola divina, ciò significa che niente e nessuno viene prima di Lui: neanche l’ideale dell’unità. Che cosa penseremmo degli Apostoli, se avessero insegnato che l’importante era l’unità dei cristiani, anche a discapito della verità? San Paolo dice chiaramente: Se qualcuno vi insegnasse un vangelo diverso da quello di Gesù Cristo, fosse anche un Angelo del cielo, sia anatema. Oppure ammettiamo, per amore d’ipotesi, che Giuda avesse resistito alla tentazione d’impiccarsi, senza però confessare pienamente la sua colpa e senza farne piena penitenza. Gli altri Apostoli avrebbero fatto bene a restare in comunione con lui, a considerarlo sempre uno dei discepoli di Gesù, anche se aveva tradito il Maestro? È evidente che pensare una cosa del genere equivale a qualcosa di assurdo. Dunque, l’unità non è un valore assoluto; c’è qualcosa che viene ben prima dell’unità, che pure è una cosa certamente desiderabile: la verità. Essere uniti nella verità, questo è un ideale buono in se stesso; essere uniti a qualunque costo, anche a costo di sacrificare la verità, questo è un ideale sbagliato. È una tipica idea moderna, che nasconde il veleno proprio là dove pretende di essere incontestabilmente buona (cfr. il nostro vecchio articolo: Ma che cos’è questo ecumenismo?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 21/03/19).
Per capire che il cosiddetto ecumenismo è un’idea falsa non occorre scomodare la teologia: basta la ragione naturale, dunque la sola filosofia. Una cosa non può essere vera e non vera al tempo stesso: ciò andrebbe contro il principio di identità. Inoltre una cosa non può essere altro da se stessa: ciò andrebbe contro il principio di non contraddizione. Dunque, se la Chiesa cattolica romana è la vera chiesa di Gesù Cristo, come essa da sempre sostiene e come la Scrittura e la Tradizione confermano, conferendo validità assoluta al suo magistero, le varie chiese separate, scismatiche ed eretiche, che pure si richiamano, nel nome, ma soltanto nel nome, alla vera Chiesa di Gesù Cristo, non possono essere altrettanto vere. Non si danno due o più verità differenti riguardo alla medesima cosa: questa è logica, oltre che buon senso. Ma, obietterà qualcuno, si può tuttavia ammettere che in tali chiese permanga, nonostante tutto, una scintilla, per così dire qualche frammento, della Verità originaria, se non altro perché esse si dichiarano seguaci di Gesù Cristo, e dunque non possono essere del tutto false, né del tutto incompatibili con il magistero perenne. Questo è in realtà un falso ragionamento, ed è tipicamente moderno: vorremmo dire idealista, e più precisamente hegeliano. L’idea che la verità possa permanere anche attraverso la negazione di sé medesima, e ripresentarsi, dotata misteriosamente di una rinnovata verginità, anche dopo aver pienamente sconfessato ciò che era, è un’idea hegeliana. Se qualcuno è seguace di Gesù Cristo, ma poi si allontana dai passi del Maestro e fonda una chiesa per conto proprio, non ha senso sostenere che in lui rimane qualcosa della fede originaria, e perciò anche della verità originaria. Non ha più senso di quanto ne avrebbe affermare che in Giuda, anche dopo il tradimento di Cristo e anche in assenza di una sua richiesta di perdono, rimane qualcosa del vero insegnamento ricevuto dal divino Maestro. Se permanesse qualcosa, Giuda non dispererebbe del perdono, e dunque lo chiederebbe; ma Giuda si è bensì pentito, senza però chiedere perdono, quindi ha rinnegato l’insegnamento del Maestro, il quale tante volte, per mezzo di parabole e con discorsi diretti, ha ribadito questo concetto: che qualunque peccato può essere perdonato, tranne quello contro lo Spirito Santo, purché il peccatore non si ostini in esso, ma si getti ai piedi del Signore e invochi la sua misericordia, confessandosi colpevole, senza attenuanti.
Ma vediamo più da vicino, sul terreno teologico, perché l’idea ecumenista è sbagliata e falsa in se stessa. È falsa un’idea che contraddice un’altra verità evidente e dimostrata, oppure una serie di verità evidenti e dimostrate. Ora, l’idea ecumenista, così come viene sbandierata a partire dal Concilio Vaticano II — prima, infatti, non era affatto diffusa tra i fedeli, o se era presente, ciò accadeva perché il magistero la condannava — implica almeno tre condizioni che sono in lampante contrasto con il magistero perenne:
1) che in tutte le chiese che si dicono cristiane permanga una parte della Verità di Cristo;
2) che la responsabilità della rottura dell’unità sia da attribuirsi a tutte, quindi anche alla Chiesa cattolica romana;
3) che la ricomposizione dell’unità sia perseguibile semplicemente con un atto di buona volontà e quindi mettendo in secondo piano la questione della sola Verità di Cristo.
La prima affermazione è falsa perché la Verità è una e indivisibile, e dunque o c’è o non c’è. Una cosa può essere parzialmente vera o parzialmente falsa quando si parla di realtà empiriche, non quando si parla della verità in se stessa. A forza di pensare in maniera storicista, a causa della sciagurata svolta antropologica dei Karl Rahner e della Nouvelle théologie, i cattolici moderni si sono scordati che la Chiesa ci appartengono, e nella quale sono entrati con il Battesimo e con la Cresima, non è una costruzione umana, ma un’istituzione divina; e quindi che la verità da essa custodita non varia nel tempo, non è soggetta a compromessi, estensioni o restringimenti; non è negoziabile, non è divisibile, non è modificabile in alcun modo. La verità è una e piena, o non è: perché una mezza verità, una verità parziale, è di fatto una menzogna o un errore, e questo già sul piano umano e terreno; sul piano dell’Assoluto, a maggior ragione.
Il secondo enunciato è altrettanto incontrovertibile. Qui non si fa questione, attenzione, di orgoglio o di mitezza puramente umani; il punto non se i cattolici abbiano in se stessi abbastanza umiltà e mansuetudine da riconoscersi parte del problema, e mettersi sullo stesso piano dei "fratelli separati". Qui si sta parlando della Verità, quindi dell’Assoluto. La mitezza e l’umiltà non c’entrano; anzi, quando si tratta della Verità, è giusto e doveroso che i miti diventino leoni, e che gli umili diventino intransigenti. Vi è una santa intransigenza che non ha nulla a che fare con l’ostinazione tipicamente umana. Uno può essere accomodante con ciò che è suo: ad esempio, può accettare di prendersi una colpa, o parte di una colpa, che in realtà non gli toccherebbe, semplicemente per amor di pace e ristabilire un dialogo con l’altro. Ma uno non ha il diritto, né il potere, di negoziare su ciò che non è suo, né mai gli è appartenuto. I cattolici non possiedono la verità: la ricevono, e hanno l’obbligo di custodirla fedelmente, inalterata e perfetta. Non possono fare i generosi con essa, praticando sconti e ribassi. Non possono riconoscere che la Chiesa cattolica è in errore, e sia pure parzialmente: non perché la Chiesa cattolica sia, o sia sempre stata, composta di soli santi, ma perché, nonostante l’indegnità di una parte dei suoi membri, essa ha sempre custodito la Verità tutta intera, fedelmente e infallibilmente. Quindi, se la Chiesa cattolica si riconoscesse colpevole, cioè manchevole, sul piano della Verità, sconfesserebbe non solo se stessa, ma Gesù Cristo che l’ha istituita e dotata di tutti i mezzi per rimanere fedele alla sua santa volontà. Gesù dice (Mt 18,18): Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo. Non è questa una solenne promessa d’infallibilità, sul piano della vera dottrina? Come potrebbe Gesù Cristo dare questo potere ai pastori della sua Chiesa, se non li dotasse anche di una sapienza soprannaturale per tutto ciò che riguarda la trasmissione del suo insegnamento?
La terza affermazione è falsa in maniera evidente. Sul piano storico, sono state le altre chiese a staccarsi dalla vera Chiesa di Gesù Cristo, quella cattolica e romana: o mediante scismi, come nel caso della Chiesa d’Oriente, o mediante scismi che erano anche eresie e apostasie, come nel caso della cosiddette chiese riformate. Ora, specialmente se la rottura dell’unità si verifica sul piano della dottrina, come è possibile ritrovare l’unità, se coloro che hanno tradito il mandato di Gesù Cristo non lo confessano, riconoscendo il proprio errore, e invece ribadiscono di aver agito bene, tutt’al più mostrandosi disposti a una qualche forma di compromesso? Per fare un esempio pratico: i protestanti non credono alla Presenza Reale di Gesù nel Sacrificio Eucaristico; di più: non credono che la santa Messa sia un Sacrificio Eucaristico (come non lo credono più, purtroppo, anche molti che si dicono cattolici, a cominciare dal clero), ma la considerano una semplice "cena", ossia un memoriale dell’Ultima Cena di Gesù coi suoi Discepoli. Come potrebbe la Chiesa cattolica trovare un punto d’incontro coi protestanti, se non rinunciando a ciò che è il cuore della santa Messa, il cuore della dottrina, ossia il rinnovarsi perpetuo della Presenza e del Sacrificio di Gesù Cristo in mezzo ai suoi fedeli?
A questo punto dovrebbe apparire chiaro perché la Chiesa cattolica, fino al Concilio Vaticano II, ha sempre condannato la dottrina dell’ecumenismo: che, infatti, nasce in ambito protestante, nei primi decenni del XX secolo. Specialmente Pio XI, con l’enciclica Mortalium animos, del 6 gennaio 1928, e Pio XII, con l’enciclica Orientalis Ecclesiae, del 9 aprile 1944, hanno messo in guardia contro di esso; e spiegato chiaramente le ragioni per le quali, nella forma in cui era presentato, i cattolici non potevano assolutamente aderirvi. Chi sa come, la musica cambia completamente a partire dal Concilio; tanto che uno dei sedici documenti solenni redatti dai padri conciliari, il decreto Unitatis Redintegratio di Paolo VI, del 21 novembre 1964, è dedicato specificamente a questo argomento. D’improvviso, in maniera repentina e inspiegabile, l’ecumenismo diventa una cosa non solamente desiderabile quanto al fine, ma buona in se stessa.
Rileggiamo cosa scrive Pio XII nella Orientalis Ecclesiae:
Purtroppo, come in quel lontanissimo tempo, così anche al presente, venerabili fratelli, per promuovere quell’auspicabile conciliazione dei figli dissidenti nell’unica chiesa di Cristo, conciliazione alla quale tutti i buoni anelano, senza dubbio una sincera ed efficace benevolenza d’animo apporterà, col favore della divina grazia, il più valido contributo. Questo benevolo affetto infatti riscalda la mutua conoscenza. (…)
L’effetto peraltro della fede e della carità si rivelerebbe addirittura manchevole e inefficace allo scopo di rassodare l’unità nel Signore nostro Gesù Cristo, se non si appoggiasse a quella inconcussa pietra sopra la quale è stata da Dio fondata la chiesa: vale a dire nella suprema autorità di Pietro e dei suoi successori. (…)
Noi pertanto, venerabili fratelli, nel celebrare la memoria quindici volte centenaria di questo avvenimento [la saluta al cielo di S. Cirillo d’Alessandria], niente desideriamo e auguriamo più vivamente, se non che quanti si fregiano del nome cristiano, col patrocinio e l’esempio di s. Cirillo promuovano ogni giorno più il ritorno dei fratelli orientali dissidenti, a Noi e all’unica chiesa di Gesù Cristo. Unica sia per tutti l’intemeratezza della fede, unica la carità che tutti insieme ci saldi nel mistico corpo di Gesù Cristo, unica infine e premurosamente attiva la fedeltà alla sede del beato Pietro.
Il discorso è chiaro, per chi lo vuol capire: ubi Petrus, ibi Ecclesia. Pertanto sì all’unità dei cristiani; ma non a qualsiasi prezzo; non al prezzo di sacrificare la sola Verità, che nella Chiesa romana appunto è fedelmente custodita. Oggi però, per la prima volta nella storia, si fa strada nell’animo dei credenti una terribile domanda, posta da circostanze inaudite: che fare se Pietro cade nell’eresia e la Chiesa di Roma perde la fede e diviene, come profetizzato da Maria Vergine a La Salette, sede dell’Anticristo? Una cosa sola: restare uniti a Roma, anche a costo di disobbedire a un (falso) Pietro.
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI