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Quella mano misteriosa che pare agisca sulla storia

Parliamo dello scandalo Harden-Eulenburg nella Germania del 1907. Scrive Franz Herre nella sua biografia Guglielmo II. L’ultimo Kaiser (titolo originale: Wilhelm II, Köln, Verlag Kiepenheuer & Witsch, 1993; traduzione dal tedesco di Anna Martini, Milano, Mondadori, 1996, pp. 294-295):

Un giornalista ebreo, Maximilian Harden, aveva sferrato un attacco contro la camarilla e, di conseguenza, contro l’imperatore stesso. Guglielmo II sosteneva di non curarsi di quanto scrivesse un pecorone in un giornale, ma gli articoli pubblicati nella rivista "Die Zukunft" richiamavano necessariamente la sua attenzione, lo incalzavamo e gli facevano tenere non solo per il buon nome degli amici, ma anche per la propria reputazione.

Neanche l’idea che Harden, alias Witkowski, intendesse saldare vecchi conti con la corte migliorava la situazione. Quel giornalista tanto brillante quanto mordace sembrava non perdonare Guglielmo per avergli fatto fare inutilmente anticamera ai tempi in cui era un giovane monarca, e in ogni caso per averlo accusato più volte del delitto di lesa maestà condannandolo a pena detentive per un totale di un anno.

Harden considerava non a torto il "governo personale" dell’imperatore come il problema principale del Reich, tuttavia — offendendolo ancora più profondamente — si mostrava incline ad accordare all’imperatore le circostanze attenuanti, sostenendo che in tale governo non era il colonnello a detenere il comando, ma la cricca di aiutanti.

I suoi strali erano rivolti principalmente contro Philipp Eulenburg, primo e migliore amico di Guglielmo, da quest’ultimo elevato al rango di principe nel 1900. Harden lo considerava il principale suggeritore dell’attore assolutista e non comprendeva, o meglio non voleva comprendere, che era proprio Eulenburg a mettere in guardia Guglielmo da falsi accenti e da passi azzardati. «Se il mio re mi avesse prestato maggiore attenzione, molte cose sarebbero andate diversamente» avrebbe osservato Eulenburg poco prima di morire nel 1921. Guglielmo l’aveva seguito sempre meno per abbandonarlo infine dopo che Harden aveva pubblicamente rivolto contro di lui l’accusa di omosessualità.

L’accusa rimase senza prove. La serie di processi intentati al riguardo non poté concludersi, in quanto Eulenburg, rovinato dalla scandalo nella salute e nel buon nome, fu impossibilitato a partecipare ai dibattimenti. Tuttavia, a Guglielmo il sospetto fu sufficiente per prendere le distanze dal proprio paladino.

Dunque, proviamo a fare il punto di tutto questo. Un giornalista ebreo, dalle colonne di un giornale molto aggressivo, si scaglia con veemenza contro alcuni uomini della cerchia dell’imperatore Guglielmo II, accusandoli apertamente di omosessualità, il che, all’epoca, costituiva un reato punito dal codice penale; ma soprattutto poteva causarne la rovina morale e professionale, come si era visto pochi anni prima con la vicenda del processo di Oscar Wilde in Gran Bretagna. L’accusa colpiva quelle persone, specialmente il principe Eulenburg, sul piano della condotta privata, ma inevitabilmente aveva un riflesso immediato nella sfera politica. Guglielmo II era il sovrano di una monarchia costituzionale, ma il suo governo aveva un carattere spiccatamente personale e autoritario, e per colmo di sfortuna della Germania, egli era afflitto da disturbi psichi abbastanza seri, che più volte lo avevano condotto a intemperanze verbali e gesti discutibili, tali da compromettere la sua lucidità e gettare un’ombra sulla sua autorevolezza quale capo di un grande Stato. Il conte Eulenburg era uno dei suoi intimi, anzi era notoriamente il suo migliore amico, confidente e consigliere: pertanto l’accusa rivolta ad Eulenburg colpiva di riflesso anche Guglielmo, e infatti quasi tutti compresero subito che il vero obiettivo di quell’attacco era lui, il kaiser, e non il suo amico e consigliere. Dobbiamo perciò domandarci che cosa disturbasse gli ambienti di cui Harden si faceva interprete con la sua azione aggressiva e scandalistica. Chi era Harden, anzitutto? Il suo vero nome era Felix Ernest Witkoski, un ebreo convertito al luteranesimo, ex attorte passato al giornalismo d’inchiesta; un personaggio estremamente ambiguo, dalle grandi e confuse velleità politiche e di carriera, con lo sguardo allucinato, che un altro ebreo tedesco, lo scrittore Karl Kraus, conosceva così bene da scriverne la parodia. Direttore per trenta anni del giornale Die Zukunft (Il Futuro), dal 1892 al 1922, si era fatto una fama di paladino della verità e della giustizia con una serie di roventi inchieste sul gabinetto e sulla cerchia gravitante attorno al sovrano, persuadendo una parte dell’opinione pubblica che la politica interna ed estera della Germania, sotto il regime personale del kaiser, era influenzata da ambizioni e interessi privati non del tutto chiari, né limpidi, fino all’attacco diretto contro Eulenburg e il generale Kuno von Moltke del 1907, che costituì il più grosso scandalo della Germania guglielmina e causò al sovrano un gravissimo danno d’immagine, arrivando a lambire la sua stessa persona. Ma perché prendere di mira proprio Eulenburg? Nel suo caso, la posta in gioco non era la denuncia di interessi privati nell’azione di governo, ma la sua vita privata. Perché ciò avrebbe dovuto attirare l’attenzione di un giornalista che, evidentemente, veniva finanziato generosamente da qualcuno per portare avanti il giornale e pagarsi le notevoli spese processuali che dovette affrontare a seguito delle sue accuse? Questa è la vera domanda, e qui cominciano le vere sorprese per lo storico. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, sul piano politico Eulenburg era uno dei consiglieri più intelligenti e più moderati dell’impulsivo e disordinato Guglielmo II. Se c’era una personalità in grado di consigliarlo in maniera ragionevole, trattenendolo da certi eccessi e mostrandogli la via della prudenza, quello era lui. In quel momento, la Germania era uscita diplomatica sconfitta e isolata dalla conferenza di Algeciras, che aveva sancito il successo francese nella prima crisi marocchina. Tutte le grandi potenze, tranne l’Austria-Ungheria, si erano schierate contro di essa, perfino l’alleata Italia. Quello smacco fu vissuto dagli ambienti nazionalisti come un’onta insopportabile, ed essi andavano in cera dei "colpevoli", vale a dire di quei consiglieri del kaiser i quali, invece di spingerlo verso un’azione di forza, lo avevano orientato verso una soluzione diplomatica rivelatasi poi disastrosa. Ora, al centro del mirino c’era proprio Eulenburg. Ed è abbastanza strano che, in un Paese nel quale esisteva senza dubbio un pregiudizio antisemita, e sui banchi del Reichstag sedevano i apprestanti di un partito che si dichiarava antisemita fin nel nome, un giornalista ebreo prendesse le parti di quanti criticavano Guglielmo II per la sua eccessiva arrendevolezza e auspicavano una politica estera ancora più aggressiva, per non dire avventurista, di quella che già nel 1906, poi ancora nel 1908 e nel 1911, e infine nel 1914, conduceva diritto verso il baratro di una guerra generalizzata. Cosa ci guadagnava un giornalista ebreo a farsi portavoce dell’imperialismo germanico, che a livello di politica interna era inevitabilmente, se non antisemita, certo poco benevolo verso gli ebrei? Per farsi un’idea di chi fosse Harden, bisogna ricordare che egli aveva la caratteristica di spostarsi disinvoltamente da posizioni di sinistra a posizioni di destra, poi ancora di sinistra, apparentemente come un mina vagante: basti dire che nel 1914 approvò l’invasione tedesca del Belgio, mentre nell’immediato dopoguerra si fece banditore di un nuovo sistema politico fondato sui valori della socialdemocrazia. Giungiamo così alla constatazione che un giornalista ebreo, l’ultimo che ci aspetteremmo di vedere in quel ruolo, causò il siluramento politico del principale consigliere di Guglielmo II capace di trattenere il sovrano sulla china che avrebbe condotto alla guerra mondiale; il tutto dietro il pretesto di una campagna moralizzatrice, mentre i suoi obiettivi erano chiaramente di natura politica, e più precisamente di politica estera. Tutto questo è un po’ strano, vero?

A guerra finita, e finita con la disfatta della Germania e la caduta della monarchia degli Hohenzollern, Guglielmo II, riflettendo su quel che era accaduto a lui personalmente e al suo Paese, ma senza dubbio anche sulla scorta dell’amara esperienza fatta con Harden, sarebbe giunto alla conclusione che gli ebrei avevano tramato coi massoni perché le cose andassero com’erano andate, e non esitò a formulare apertamente quest’accusa. Citiamo ancora dallo storico e giornalista Franz Herre (op. cit., p. 413):

Il 2 dicembre 1919 Guglielmo scrisse che i tedeschi che avevano disintegrato il Reich erano stati «sobillati e istigati dalla stirpe giudaica, a loro invisa, la quale godeva presso di oro del diritto d’ospitalità! E questo è stato il suo ringraziamento!Nessun tedesco se lo scordi né abbia requie finché questi parassiti non siano sterminati e cancellati dal Suolo Tedesco! Questi funghi velenosi sulla Quercia Tedesca!

Il monarca rovesciato sosteneva che quell’albero era stato abbattuto da una cospirazione mondiale composta non soltanto di ebrei, massoni e gesuiti, ma anche di tedeschi stessi. Costoro — proseguiva — cantavano "Deutschland über alles", ma al tempo stesso si automortificavano.

Quattordici anni dopo andò al potere in Germania un uomo che la pensava esattamene così; e sappiamo quali sono state le conseguenze, per gli ebrei e per l’Europa e il mondo intero. Lo storico, infatti, non dovrebbe mai fermare la sua attenzione alla conclusione immediata di talune vicende, ma spingere lo guardo anche più in là nel tempo, fino a riconoscere che da certi fatti possono originarsi, magari a distanza di molti anni, eventi fatali, che senza quei fatti probabilmente non sarebbero nati, o comunque non avrebbero preso quella forma. Sia come sia, e lasciando da parte, in questa sede, i riflessi che l’azione di uomini come Harden possono avere avuto nei successivi sviluppi dell’antisemitismo tedesco, rimane l’impressione che una forza misteriosa si sia servita dell’inchiostro avvelenato di Harden per spingere la politica estera di Guglielmo II su posizioni sempre più avventuriste, sfidando più volte gli equilibri mondiali e alzando continuamente la posta. Diremo di più: studiando gli eventi dell’estate 1914, si ha l’impressione che una mano invisibile avesse già scritto il copione di quel che sarebbe avvenuto, e si sia adoperata a togliere di mezzi quanti avrebbero potuto opporsi al precipitare degli eventi, proprio come nel 1907 aveva tolto di mezzo il moderato Eulenburg, spingendo il kaiser verso una politica pangermanista sempre più aggressiva. Il prestigioso leader socialista Jean Jaurés, l’unico uomo che sarebbe stato capace, con lo strumento dello sciopero generale, di opporsi alla politica patriottica e bellicista adottata dal partito socialista francese, il 31 luglio 1914, un giorno prima della mobilitazione che conduceva inevitabilmente alla guerra, fu assassinato da un giovane nazionalista che voleva la guerra ad ogni costo. Curioso, vero? Ancor più strano il fatto che lo stesso giorno, circa alla stessa ora, in un oscuro villaggio siberiano una donna armata di coltello si scagliò improvvisamente contro Grigorij Efimovic Rasputin, colpendolo allo stomaco e provocandogli ferite che per miracolo non furono mortali, ma che lo misero fuori combattimento nei giorni cruciali della mobilitazione e della fatale decisione russa di respingere l’ultimatum tedesco. Rasputin, che godeva di un’enorme influenza a corte, specie presso la zarina Alessandra Fedorovna, per la sua capacità di fermare le emorragie dello zarevic Alessio, affetto da emofilia, era un deciso fautore della pace e aveva predetto a Nicola II che, se questi avesse imboccato al via della guerra, un destino terribile si sarebbe abbattuto sulla Russia e sulla dinastia. Quante coincidenze. In Germania, c’era chi si era adoperato per eliminare i consiglieri moderati di Guglielmo II; In Francia, chi voleva morto Jaurés; in Russia, chi voleva morto Rasputin: tutti uomini di pace o comunque inclini alla prudenza. Occorre ricordare, poi, che la guerra del 1914 scoppiò proprio in seguito a un atto terroristico che tolse la vita all’erede al trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando, fautore di una soluzione "trialista" per il suo Impero, e quindi avversato da quei nazionalisti serbi che puntavano alla distruzione della monarchia asburgica, quale necessaria condizione per la riunificazione degli Slavi del sud? E che gli alti gradi della massoneria inglese e francese vedevano nella guerra un passo avanti, con la distruzione delle monarchie centro-europee alleate dell’altare, verso l’instaurazione di un nuovo ordine mondiale repubblicano, liberale, laicista, mercantilista, dominato dalla finanza, coi popoli ridotti a numeri per le manovre speculative delle grandi banche? La Prima guerra mondiale fu dunque pilotata da una regia occulta? Era evitabile, mentre fu resa inevitabile da forze invisibili? Vi è quanto meno un dubbio in tal senso. E non solo la Prima, anche la Seconda. Né solo la Seconda, anche molte guerre successive, dalla Serbia all’Iraq e dall’Afghanistan alla Libia. Anche la grande crisi del 1929 fu pianificata, come già la Rivoluzione bolscevica in Russia (primo finanziatore di Lenin: il banchiere ebreo russo A. L. Parvus). Quante cose restano in ombra, inesplorate, in attesa di storici coraggiosi…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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