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Qual è l’ultima radice dell’odio contro Cristo?

Non è un bel sentimento, l’odio: crediamo ne convengano tutti; e tuttavia, se si guarda con occhio spassionato fra le luci e le tenebre dell’anima umana, bisogna ammettere che è un sentimento naturale. Naturale non vuol dire buono: queste sono le sciocchezze, o peggio, escogitate da Rousseau, dai giusnaturalisti e da tutti i buonisti, gli illuministi e i progressisti di ieri, di oggi e di domani. Naturale vuol dire che c’è in noi, che è presente in natura, anteriormente allo stato di ragione: dunque in primo luogo nei bambini, poi negli adulti irragionevoli, sia a livello di singoli, sia a livello di gruppi, di folle (nella folla l’individuo si scioglie e diviene sempre irrazionale), di comunità e perfino di popoli. Però, attenzione: non abbiamo detto che l’odio è un sentimento naturale sempre e comunque; al contrario, affermiamo che lo è in presenza di una grave offesa, di una grave minaccia, di una gravissima violazione dello stesso ordine naturale. Una madre alla quale viene tolto il suo bambino, con la violenza o con l’inganno, proverà, oltre al dolore, all’angoscia e alla disperazione, un sentimento di odio nei confronti dei rapitori; oppure, diciamo meglio, è possibile, se non addirittura probabile, che lo provi. Lo stesso accade a un uomo cui abbiano ucciso il padre e la madre sotto i suoi occhi, compiacendosi della crudeltà esercitata: è possibile, anzi probabile, che costui provi un forte sentimento di odio nei confronti degli uccisori. Fin qui siamo nell’ordine naturale: perché la natura ci dispone a provare quel tale sentimento, quando vengono oltrepassati, e di molto, i limiti del giusto e del tollerabile. Odiare per una piccola offesa o per una piccola violenza, viceversa, è già qualcosa di poco naturale. È innaturale, e quindi patologico, odiare qualcuno che ci ha fatto un lieve dispetto o un piccolo sgarbo. L’odio, sentimento di per sé brutto, perché acceca e sfigura colui che lo prova, ma che può essere controllato e dominato con la ragione, diviene anche sconcertante quando non vi è proporzione fra esso e la causa che lo ha generato. È proprio dello psicopatico reagire con un odio viscerale a colui che si è reso responsabile di una malizia di poco conto; se poi quest’odio si esprime in violenza incontrollata, rende colui che lo prova simile a una mina vagante, che può esplodere in qualsiasi momento, alla più lieve occasione, provocando conseguenze inimmaginabili. Poco importa se la reazione violenta non si manifesta subito, ma viene esercitata con calma e con fredda deliberazione, come nel caso di chi si rivolge a un cultore di magia nera per provocare la sofferenza, la malattia e infine la morte di colui che ha preso in odio: si tratta comunque di un sentimento innaturale, e quindi patologico. Oppure del sentimento di un individuo adulto che non possiede pienamente l’uso della ragione, il che è altrettanto patologico.

Abbiamo detto che l’odio, per essere considerato un sentimento naturale, deve essere proporzionato all’offesa; e aggiungiamo che, naturalmente, deve trattarsi di un’offesa reale, non di un’offesa immaginaria, come capita nei soggetti paranoici o schizofrenici, affetti da mania di persecuzione. Abbiamo anche detto che l’odio è il sentimento proprio di chi non possiede l’uso della ragione: perché quanto più la ragione è sviluppata, tanto più essa è in grado di capire le ragioni di colui che ci ha offesi (capire non significa giustificare, ma dare una spiegazione logica) e quindi, più che odiare, rivolge l’animo a ciò che può lenire la ferita e allontanare l’eventuale minaccia; oppure vuole ristabilire il giusto ordine delle cose, anche mediante la punizione del malvagio, ma senza odio, bensì con spirito di autentica giustizia. La persona spiritualmente evoluta non odia affatto; o meglio, non odia alcuno. Il male in se stesso, quello sì, potrebbe odiarlo; ma forse anche questa espressione va precisata: non odia il male, ne è disgustata e infinitamente rattristata. Gesù Cristo, modello insuperabile di perfezione umana, oltre che vero Dio, rivolse questa preghiera mentre lo inchiodavamo al legno della croce: Padre, perdona loro, perché in sanno quello che fanno. E con tale espressione intendeva non solo i responsabili materiali della sua Passione, i soldati romani che lo avevano flagellato e condotto al supplizio, o la folla dei giudei che aveva gridato a Pilato: Via, via, crocifiggilo!, ma anche, in parte almeno — crediamo- quelli che, pur avendolo voluto processare e condannare davanti al Sinedrio, avevano creduto di agire a fin di bene, o di compiere il male minore, non avendo compreso affatto né la sua natura, né la sua missione. Quelli che avevano pensato: è meglio che un uomo solo perisca per la salvezza di tutto il popolo (anche se questa frase, nella bocca di Caifa, rifletteva certamente la malizia del sommo sacerdote e non una sincera preoccupazione nei confronti del popolo). Ma quelli che, invece, sapevano perfettamente quel che facevano? Quelli che vollero la morte di Cristo non per ignoranza, né perché trascinati dalle passioni della folla, ma per odio puro nei confronti di Lui? E quelli che, lungo il corso dei secoli, hanno odiato e perseguitato i cristiani, pur sapendo benissimo che non esistevano ragioni effettive, né formali, né sostanziali, per ritenerli colpevoli di qualcosa, anzi dovendo ammettere, magari in cuor loro, che i cristiani non avevano infranto alcuna legge umana o divina, non mentivano, non rubavano, non fornicavano, e anzi rispondevano al male col bene, senza lasciarsi trasportare dai bassi istinti?

Tremendo mistero, cui è arduo, se non impossibile, rispondere. Ma esiste, poi, un odio così feroce, così insensato, così assolutamente gratuito, come esiste l’amore del tutto disinteressato? Esistono esseri umani che odiano chi non ha colpe, chi non li ha offesi, né minacciati, né maltrattati in alcun modo; contro di non può essere incolpato di alcun crimine, e anzi del quale tutti, perfino i suoi nemici, sono costretti a riconoscere che non ha fatto niente di riprovevole? Sì, esistono tali uomini ed esiste un tale odio: cieco, furibondo, totalmente irrazionale, nel senso di totalmente privo di motivazioni umanamente comprensibili. Pilato provò a dire alla folla: Prendetelo e condannatelo voi, perché io non trovo alcuna colpa in quest’uomo; ma ebbe come risposta solo delle urla di raddoppiata intensità: Crocifiggilo, crocifiggilo! Il procuratore romano ne fu quasi sgomento: non capiva. Non capiva perché quella folla preferisse la liberazione di Barabba, un assassino, a quella di Gesù, del quale nessuno poteva dire che avesse recato torto al suo prossimo, ma anzi di cui si diceva che avesse risanato moltissime persone malate o affette da varie infermità, compresa la possessione diabolica. Perciò, quasi parlando a se stesso, a un certo punto esclamò: Ma che ha fatto di male? E di nuovo fu assordato da quel coro aggressivo, rabbioso, ossessionante: Crocifiggilo! Crocifiggilo! A quel punto si arrese: capì che mai sarebbe riuscito a mutare il volere della folla, che mai sarebbe riuscito a strappare quell’uomo dalle mani di quelli che l’avevano condotto per ottenerne non la condanna, bensì la ratifica di una condanna che, per motivi squisitamente religiosi (e dei quali lui, Pilato, non capiva nulla) il Sinedrio aveva già emesso nel corso della notte, ma che non aveva la forza legale di eseguire da sé. E prese la sua fatale decisione: abbandonare quello strano profeta al volere della folla, mandarlo al supplizio. Dunque, Gesù non fu processato e condannato solo a motivo dell’ignoranza umana; non furono solo il risentimento e l’inconsapevolezza degli scribi e dei farisei a votarlo alla morte; no: ci fu qualcos’altro. Ci fu un odio gratuito, radicale, metafisico, cioè originato non da cause visibili, ma da fattori invisibili. Un male abissale, primordiale, feroce, incontenibile, di cui i singoli uomini che agirono fra la notte del Venerdì santo e la prima metà del Sabato furono il tramite, ma che non veniva tutto da loro, o non da loro soltanto. Certo in alcuni di essi vi fu quel di più, quella cattiveria umanamente inspiegabile, che nasceva da una causa diversa del risentimento personale. Il servo del sommo sacerdote che lo aveva schiaffeggiato; i soldati che, oltre a eseguire l’ordine di flagellarlo, gli misero sul capo una corona di spine; e il soldato che gli diede da bere sulla croce, quando già era morente, dell’aceto invece che dell’acqua: tutti costoro agirono con una carica di odio sproporzionato, irragionevole, dovuto a una cattiveria che non aveva alcuna causa specifica, ma nasceva dagli abissi più oscuri dell’anima loro. E questo è già un mistero grande, abissale; un mistero che fa tremare le vene e i polsi. Si può capire, non approvare, un uomo che uccide un altro uomo perché accecato dall’ira; che lo fa perché lo vuole derubare; o che lo fa perché viene pagato per farlo. Ma un uomo che uccide un altro uomo senza ragione? Un uomo che uccide un uomo buono, del quale moltissime persone possono testimoniare che è un santo, e che nessuno è in grado di accusare d’aver compiuto azioni cattive? Come spiegare che possa verificarsi una situazione del genere: l’odio omicida spinto fino a quel punto? Caino odiava suo fratello Abele perché ne era geloso; ma i membri del Sinedrio? E Giuda, che tradì il suo Maestro per trenta denari: che motivi poteva avere? Non risulta che Gesù lo avesse mai bistrattato e umiliato; eppure Giuda, che teneva la cassa del gruppo formato dai Discepoli, era ladro, e Gesù lo sapeva. Gesù sapeva anche che lui, Giuda, intendeva tradirlo, e che aveva già pattuito e ricevuto il prezzo del suo tradimento: eppure non lo accusò, non fece nulla per fermarlo. Quando gli altri Apostoli chiesero a Gesù chi fosse il traditore, Gesù rispose in modo generico: è uno che intinge il pane nel mio stesso piatto; dunque: è uno di voi; ma non puntò il dito contro Giuda, perché, se lo avesse fatto, gli altri avrebbero capito e si sarebbero scagliati contro il colpevole. Ma Gesù non lo fece. Dunque perché Giuda odiava così tanto Gesù? Poiché senza dubbio lo odiava: la tesi di alcune anime belle, che Giuda tradì Cristo senza odio, solo per mettere alla prova le sue capacità messianiche, è semplicemente ridicola. Non si tradisce il proprio maestro per metterlo alla prova, consegnandolo nelle mani di quelli che lo vogliono morto. È il maestro che ha il diritto di mettere alla prova i suoi discepoli, semmai; non il discepolo che può mettere alla prova il maestro. Infatti è il maestro che sceglie i suoi discepoli, non sono i discepoli a scegliersi il loro maestro: e anche nel caso di Gesù e dei dodici Apostoli le cose andarono proprio così.

C’è un mistero, in questo. E Gesù stesso lo sapeva e ne prendeva atto, allorché preannunciava ai suoi Discepoli le future persecuzioni (Gv 15,18-25):

18 Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20 Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21 Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. 22 Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. 23 Chi odia me, odia anche il Padre mio. 24 Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25 Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione.

L’ultimo riferimento è una citazione del Salmo 68 (69): Sono più numerosi dei capelli del mio capo quelli che mi odiano senza ragione. Anche Plinio Corrêa de Oliveira, riflettendo su questo grande mistero, giunse alla stessa conclusione (in: Meditazione sopra la Passione di nostro Signore Gesù Cristo, Associazione Luci sull’Est, 2004, pp. 9, 11):

Egli [Gesù] non fornì pretesti a nessuna legittima obiezione, a nessuna fondata recriminazione. Al contrario, fu solo prodigo di occasioni per farsi adorare e seguire. Tuttavia, anche Lui fu odiato, persino più dei suoi fedeli lungo i secoli. Come si spiega? E perché nei figli delle tenebre c’è un odio che si rivolge precisamente contro la Verità e il Bene. È quindi inutile voler attribuire il tutto ad un mero gioco di equivoci. Questi senz’altro ci furono, ma non servono a risolvere il problema. (…) Eppure ci sono anime che vanno oltre. Mosse dalla sensualità, dall’orgoglio, da qualsiasi altro vizio, portano la malizia così lontano, si identificano col peccato in tal modo, che giungono a sentirsi bene solo dove sono lusingate le loro cattive abitudini, e non sopportano nulla che costituisca una censura e nemmeno un mero disaccordo nei loro riguardi. Ne deriva un odio verso i buoni e verso il Bene, verso i paladini della Verità alla Verità stessa, che fornisce loro una sorta di ideale negativo. Voltaire lo espresse molto bene nel suo motto: "écraser l’infâme", cioè, "schiacciare l’infame" (l’"infâme sarebbe stato il Verbo Incarnato!). Farne l’anelito di tutti i momenti, oppure l’"ideale" di una vita, ecco dove sta la quintessenza dell’empietà.

Gente così, ha tutti i requisito per pianificare, ordire e compiere la persecuzione, Se in Israele non ci fosse stata gente così, Nostro Signore non sarebbe stato crocifisso.

C’è bisogno di aggiungere che oggi, nell’anno di grazia 2021, servendosi di gente così, ossia la progenie delle tenebre, il diavolo sta lanciando l’assalto finale contro Gesù Cristo e l’intera umanità?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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