25 aprile: cosa c’è da festeggiare?
25 Aprile 2021
Solitudine e attrazione del nulla nell’uomo moderno
29 Aprile 2021
25 aprile: cosa c’è da festeggiare?
25 Aprile 2021
Solitudine e attrazione del nulla nell’uomo moderno
29 Aprile 2021
Mostra tutto

Il problema del ritorno nella caverna di Platone

Quello della caverna è probabilmente il più noto, o senz’altro uno dei più noti, fra i miti platonici, e infatti lo conoscono moltissime persone, comprese quelle che non hanno mai letto nemmeno una pagina delle opere di Platone. Tuttavia crediamo che la maggioranza di quanti non hanno letto il libro settimo della Repubblica ignorino la triste conclusione dell’allegoria. Il prigioniero infatti, una volta uscito dalla caverna e resosi conto che il mondo reale è quello che si torva all’esterno, ed è infinitamente più bello e più ricco del mondo cupo e illusorio che esiste all’interno, decide di tornare sui suoi passi per rendere partecipi gli altri prigionieri della sua felice scoperta. Purtroppo non viene creduto, anzi viene deriso, e le cose da lui descritte vengono ritenute allucinazioni o effetti del’accecamento dei suoi occhi, abituati alla semioscurità della caverna e non più capaci di contemplare la luce. Alla fine, davanti alla sua insistenza, i suoi compagni finiscono addirittura per ucciderlo, vedendo in lui un molesto fattore di disturbo rispetto al genere di vita al quale ormai si sono completamente abituati.

Questo finale del mito ci sembra di particolare attualità nella situazione che da tredici mesi stiamo vivendo, con la stragrande maggioranza della popolazione prigioniera di una bolla ipnotica chiamata pandemia, e dominata da sentimenti irrazionali come la paura, mentre solo una piccolissima minoranza di persone che ha rotto l’incantesimo, ha compreso la realtà delle cose e cerca, ma con scarso successo, di far uscire anche gli altri dallo stato d’isterismo e d’ipnosi entro il quale si trovano imprigionati. È un problema molto serio: da esso dipende la possibilità di sconfiggere la diabolica manovra dei Padroni Universali, oppure di restare prigionieri e sempre più schiavizzati per chissà quanti anni a venire. Far capire agli altri ciò che essi non sono disposti ad accettare: questo è il problema decisivo, ed è un problema che appare pressoché insolubile (cfr. il nostro articolo: È impossibile e sbagliato destare chi non lo vuole, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 03/01/20; vedi anche Viviamo in un mondo di dormienti che diventano feroci se qualcuno tenta di svegliarli, sul sito di Arianna Editrice il 12/05/09). E Gesù, parlando ai suoi Discepoli, non li aveva forse ammoniti (Mt 7,6): Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. E dunque, che fare?

Prima di tentare di rispondere, è necessario porre un’altra domanda: quali garanzie esistono che chi vuol diffondere la verità ai suoi simili, l’abbia effettivamente trovata? E, più in generale: esiste la verità? È possibile pervenire alla verità? Poiché a questo argomento abbiamo dedicato moltissimi scritti e conferenze, non ci soffermeremo specificamente su di esso (cfr. spec. Lottare per la verità: ma cos’è la verità?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 16/04/18), ma ci limiteremo a ribadire che:

a) la verità esiste, poiché essa non è altro che l’adeguamento del giudizio alla cosa, il che è possibile con lo strumento della ragione naturale;

b) chi perviene alla verità seguendo la retta via della ragione naturale, che la Rivelazione integra e perfeziona, fornendole un aiuto soprannaturale chiamato grazia, non s’illude, né s’inganna, né è un temerario, e del resto può trovare la conferma di essere nella verità nel fatto che i suoi giudizi sono pienamente in accordo con la realtà e al tempo stesso la spiegano, mostrandogli la connessione logica e necessaria esistente fra i singoli e disparati aspetti di essa, a formare un tutto armonioso e perfetto.

Ora, sappiamo bene che la cultura moderna è relativista per vocazione e per necessità: avendo abbattuto la Tradizione e avendo voltato le spalle alla Verità, essa è costretta, per così dire, a riconoscere tutte le verità parziali e soggettive, anche le più lontane e inconciliabili fra loro (tipico esempio, nella Chiesa del Vaticano II, l’affermazione che l’Antica Alleanza di Dio con i nostri fratelli maggiori è sempre valida: cosa assurda e intrinsecamente contraddittoria, che urta contro il principio d’identità); cosa che, a sua volta, spinge gli esponenti della cultura moderna a dichiararsi tolleranti per principio, non essendo la loro tolleranza (teorica) null’altro che il riconoscimento della logica conseguenza d’aver negato che esiste la Verità, o che essa è accessibile all’uomo, il che è la stessa cosa. I fatti, peraltro, smentiscono simili affermazioni perché la cultura moderna è la più intollerante che mai si sia vista, al punto da potersi paragonare in tutto e per tutto a una nuova religione di salvezza: la Religione dell’Uomo, com’essi dicono, o meglio la Religione del Progresso Indefinito. Con l’aggravante dell’ipocrisia di proclamarsi tollerante e pluralista, laddove pluralismo e dissenso sono bensì consentiti, ma solo nelle questioni secondarie e che restano all’interno dell’orizzonte ideologico ammesso e definito; mentre scatta automaticamente la censura nei confronti di quei pensieri o di quelle azioni che escono da tale perimetro e non s’inchinano di fronte ai sacri dogmi della modernità. Sappiamo, pertanto, che chi afferma di possedere la verità viene immediatamente accusato di essere non solo un presuntuoso, ma anche un intollerante. Per fare un esempio concreto se un (vero) cattolico dice, senza astio nei confronti delle singole persone, che altre cosiddette religioni sono, in realtà, delle false religioni, immediatamente viene sommerso da un coro di proteste di vituperî: e i più scalmanati nel l’attaccarlo e denigrarlo sono sempre loro, i (sedicenti) cattolici che si ritengono adulti e pertanto che si credono in dovere di mettere il cattolicesimo sullo stesso piano di qualsiasi altro credo religioso (relativismo), perché solo così facendo essi si sentono tolleranti e pluralisti. Senza minimamente accorgersi di essere intolleranti con i propri (veri) confratelli e infedeli verso il credo al quale dicono di aderire, al centro del quale c’è Uno che dice: Non avrai altro Dio fuori di me; e: Io sono la via, la verità e la vita; e ancora (Gv 10,1): In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Oppure, se vogliamo fare un esempio meno banale e decisamente scorretto politicamente: se io dico che i sessi in natura sono due, maschile e femminile, dico il vero, e qualunque biologo serio ne darà conferma; e se qualcuno mi accusa di mentire per aver fatto una tale affermazione, e sostiene che i sessi esistenti in natura sono in realtà numerosi, oppure che non si può dire che il sesso sia qualcosa di definito e di riconoscibile oggettivamente, ebbene è lui a mentire, senza la minima ombra di dubbio. E dunque, ribadiamolo ancora una volta: la verità esiste; la verità è accessibile alla mente umana. Se io dico che questa mela è una mela, come faceva san Tommaso d’Aquino prima d’iniziare le sue lezioni, dico il vero; se invece affermo che è una pera, dico una menzogna, o diffondo un errore (menzogna se so di mentire; errore se m’inganno per difetto di giudizio).

Chiariti questi punti essenziale, torniamo alla nostra domanda: come fare, quando si è trovata la verità, a trasmetterla agli altri, se questi non sono disposti, o preparati, a riceverla, specialmente quando essa contrasta irrimediabilmente con alcune certezze che possiedono, e dalle quali non sono disposti a separarsi mai, per alcuna ragione, rifiutando qualsiasi prova e qualunque evidenza che rivelino trattarsi di certezze infondate e illusorie? Si può scindere questa domanda in due ulteriori domande: è possibile?; e se sì, ne vale anche la pena? Alla prima domanda non è possibile dare una risposta esclusivamente teorica, perché essa dipende anche dalle circostanze storiche concrete. Se ad uno che voglia annunciare la verità viene tagliata la lingua, o magari anche la testa, come accade a san Giovanni Battista, evidentemente tale annuncio diverrà impossibile; anche se qualcuno potrebbe obiettare che offrire la propria vita, e sia pure nel chiuso di un carcere, quale testimonianza della verità, è anch’essa una maniera, e anzi la più efficace di qualsiasi altra, di fare quel che si voleva fare: dire ciò che è vero senza esitazioni, né compromessi. Qualcuno, tuttavia, può essere ridotto al silenzio prima di aver potuto rendere nota la verità. Sappiamo che decine di scienziati, specialmente biologi e virologi, sono morti in circostanze a dir poco misteriose, in quest’ultimo anno, mentre conducevano ricerche intorno alle cure "tradizionali" contro il Covid-19 e intorno all’efficacia e alla pericolosità dei cosiddetti vaccini; alcuni si sarebbero improvvisamente e inspiegabilmente suicidati. In casi del genere chi ha trovato la verità, e forse intende annunciarla, viene tolto di mezzo prima di averlo potuto fare, e la sua scoperta rimane nascosta. Per questo abbiamo detto che, in pratica, l’annuncio della verità dipende in parte dal soggetto, in parte dalle circostanze esterne, più o meno favorevoli, più o meno avverse. Passiamo perciò alla domanda veramente decisiva: ne vale la pena? Vale la pena di sopportare veglie, fatiche, privazioni d’ogni genere, materiali e morali, per vedersi poi ricompensati con l’indifferenza o, peggio, con l’incomprensione, e non di rado anche con l’aperta ostilità di quanti si vorrebbe rendere partecipi della verità raggiunta? Perché tale, inutile nasconderselo, è sempre l’esito di un simile impegno: e quanto più la verità risulta scomoda, esigente, perfino dolorosa, tanto più si alzerà contro i suoi banditori la barriera dell’indifferenza, dell’incomprensione o dell’aperta ostilità. I mediocri devono proteggere il loro misero spazio vitale; i viziosi, il loro cattivo stile di vita; gli stupidi, la loro vanità frustrata di sentirsi dei grand’uomini; gl’invidiosi, i maldicenti, i pigri, i superbi, i vanitosi, si scaglieranno contro l’annunciatore della verità, vedendo in lui un fattore di disturbo rispetto a ciò che li fa sentore qualcuno, a ciò che li gratifica per mezzo di autoinganni. Quasi sempre, reagiscono male perché hanno poca stima di sé: non si ritengono capaci, nel loro intimo, e magari anche solo nel loro subconscio, di cercare a loro volta la verità, ma al tempo stesso non vogliono sentirsi inferiori a chi è stato capace di farlo, e quindi, in ultima analisi, devono difendere se stessi, perché se non lo facessero, la loro autostima crollerebbe come un castello di carte marce. Certo, è difficile ammettere che quanti vanno all’assalto, in maniera gratuita e maligna, contro chi ha la sola colpa di voler donare loro qualcosa di prezioso, in realtà lo fanno per ragioni difensive; tuttavia nella vita le persone agiscono sovente non in base alla realtà, ma a quella che essi, soggettivamente, e spesso erroneamente, ritengono essere la realtà. Nel mondo delle persone comuni, quel che si crede è sempre più importante di quello che è; e se la cosa creduta è illusoria, non per questo la credenza che tiene taluni avvinti ad essa non è per questo meno tenace. Si lotta non solo per difendere un bene reale, ma anche un bene illusorio; non solo per conservare ciò che si possiede, ma anche per conservare ciò che si crede di avere. E del resto come possono immaginare, individui di questo genere, che il loro bene è illusorio, se non hanno la forza di guardare entro di sé e riconoscersi per ciò che sono, e stimarsi per quel che valgono, senza disprezzarsi in maniera masochista, ma anche senza sopravvalutarsi per meschinità ed orgoglio? Perciò essi dicono: Chi credi di essere, tu che vieni a parlarci della verità? Credi aver trovato quel che a noi sfugge? Ti credi forse più intelligente, più profondo, più disinteressato di noi? No, questo è impossibile: nessuno è più vanitoso del narcisista maligno: e il mondo d’oggi è letteralmente pullulante di narcisisti maligni. È per questo, infatti, che va tutto così mal: ciascuno vuole affermare se stesso a discapito degli altri, e lo fa con cattiveria. Per innalzarsi ai propri occhi, ha bisogno di abbassare gli altri. Minimizza le proprie mancanze e amplifica assurdamente quelle degli altri.

Perché dunque annunciare la verità se le cose stanno così; se la natura umana è fatta in tale maniera; e se il mondo moderno esalta al massimo grado quel che c’è di peggio in essa, e inibisce e contrasta quel che ha di buono? Si può rispondere in due modi. Primo, diffondere la verità è fare come il seminatore: affidare i semi alla terra e sperare che cadano su un terreno favorevole. Certo, si può scegliere un terreo adatto; lo si può arare, concimare, irrigare: tuttavia, se ci sono dei parassiti, se delle erbacce infestanti cresceranno per prime e soffocheranno i germogli; se una terribile tempesta, o una gelata fuori stagione impediranno ai semi di germogliare, o bruceranno le giovani pianticelle, ogni cura e ogni prudenza risulteranno inutili. E ciò accade persino per i figli: i genitori possono mettere tutto l’impegno per trasmettere una buona educazione ai bambini, ma talvolta accade che essi, crescendo, diventino dei delinquenti, degli spostati, e tutto l’amore, la dedizione e la pazienza di quei genitori saranno infine risultati insufficiente a proteggerli da se stessi. Secondo: non si annuncia la verità solo per giovare agli altri, ma anche e soprattutto per fare il proprio dovere, che piaccia o che non piaccia. Per molti può essere un dovere tormentoso e sofferto: ci sono di quelli che preferirebbero starsene in disparte, dedicarsi a una vita raccolta e tranquilla, lontana dai fastidi di qualsiasi genere, almeno per quanto possibile. Pure, se la chiamata arriva, bisogna rispondere. Diciamo meglio: la chiamata arriva sempre e a ciascuno, ma sono in pochi ad aver voglia di udirla; gli altri preferiscono fingere di non averla udita. La verità è Dio; ogni verità è un Suo riflesso. Ed è un Signore geloso: chiama l’uomo e lo vuol tutto per Sé, operaio della vigna pieno di buona volontà.

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.