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19 Aprile 2021È sempre istruttivo – non si può dire interessante — vedere come la cultura progressista e politically correct affronta, ma sarebbe meglio dire "liquida", perché li sbriga senza affrontarli affatto, i temi ai quali essa è ideologicamente allergica. Nel caso della stregoneria, tutti gli storici, i sociologi, gli antropologi e i filosofi politically correct si affannano a esprimere le loro giaculatorie sul fatto che la stregoneria non è mai esistita, ma che essa è stata inventata dagli inquisitori brutti e cattivi, cosa resa possibile da una società medievale intrinsecamente ignorante e superstiziosa. Va da sé che il tema "antisemitismo", con la stregoneria, non dovrebbe entrarci molto; ma tant’è: provare per credere, sfogliando nove libri di liceo su dieci, agli storici progressisti non sembra vero di poter fare l’accoppiata e prendere due piccioni con una fava: dichiarando che il medioevo era brutto e cattivo, e quindi che s’inventava le streghe e gli stregoni al solo scopo di divertirsi bruciandoli vivi, essi sfruttano l’abbrivo per aggiungere che anche l’antisemitismo era una forma di superstizione violenta e irragionevole dello stesso genere, vale a dire un modo per sfogare la rabbia sociale e la frustrazione dovuta alla povertà, o alle pestilenze, o ad altre catastrofi naturali, rabbia e frustrazione che venivano sfogate sulle vittime predestinate: gli indifesi ebrei, i più vulnerabili perché isolati e oggetto di sospetti e riprovazione dal punto di vista religioso. Lungi da noi volerci addentrare in una discussione storica sulle radici dell’antisemitismo; qui ci limitiamo a dire una cosa, forte e chiaro: che l’antisemitismo non nasce da fattori come quelli ora esposti, anche se così piace credere e predicare agli storici e agl’intellettuali progressisti e di sinistra, per un loro subdolo calcolo ideologico: facendo passare l’antisemitismo per una cosa superstiziosa e di matrice cattolica, da un lato si risparmiano la fatica d’indagarne seriamente le radici effettive, ad esempio sul terreno sociale ed economico e in particolare affrontando la questione dell’usura, dall’altro istituiscono una equazione spuria fra antisemitismo e cultura di destra, promuovendo se stessi, che sono di sinistra, al rango di "giusti", ossia di quelli che sono, sono sempre stati, e sarebbero anche stati se fossero vissuti mille anni fa, dalla parte dei perseguitati e degli oppressi e giammai da quella dei persecutori e degli oppressori. Anche se, magari, ad essere realmente oppressi erano i contadini o i piccoli commercianti che finivano nelle grinfie di qualche usuraio, proprio come oggi i veri oppressi sono i proprietari di una casa che viene occupata abusivamente da migranti o da rom i quali semplicemente si rifiutano di andarsene o di pagare un affitto, invocando la buona ragione della loro indigenza e accusando il proprietario di essere un ricco egoista: supportati in ciò sia dalla magistratura di sinistra sia dalla Chiesa del signor Bergoglio e del cardinale Krajewski (quello della famosa centralina), per i quali la proprietà privata è più o meno un furto e il povero ha sempre ragione. Anche se è povero perché non ha voglia di lavorare e preferisce vivere parassitando il lavoro e la proprietà degli altri, frutto del loro sudato risparmio, piuttosto che rimboccarsi le maniche e darsi da fare come tutte le persone oneste.
La commistione furbesca e intellettualmente disonesta delle due questioni, la stregoneria e l’antisemitismo nell’Europa dei secoli passati, è stata brillantemente sostenuta, fra gli altri, da un importante sociologo britannico del XX secolo, Norman Cohn (Londra, 1915-Cambridge, 2007), pseudo luminare dei fenomeni che egli amava definire di "fanatismo" nell’Europa medievale, contribuendo così a consolidare l’immagine tradizionale di un Medioevo tenebroso e invivibile, guarda caso perché impregnato di cultura cristiana. Lo ha fatto, fra l’altro, nel saggio intitolato (e il titolo è tutto un programma) Il mito di Satana e degli uomini al suo servizio, pubblicata in una vasta miscellanea di scritti sul tema e raccolti nel volume La stregoneria, a cura di Mary Douglas; libro di valore assai diseguale perché, accanto a studi imbarazzanti per la loro banalità e superficialità, come appunto quello del Cohn, ve ne sono altri assai buoni, come quello di Peter Brown Magia, demoni e ascesa del cristianesimo dalla tara antichità al medioevo. Forse perché abbiamo l’orribile difetto di credere sia all’esistenza di Satana, sia a quella degli uomini che si posero e si pongono a tutt’oggi al suo servizio, abbiamo trovato il saggio di Cohn particolarmente qualunquista e viziato da un insopportabile pregiudizio ideologico di matrice illuminista e progressista. Quel che più ci spiace, tuttavia, in quel saggio, è la pretesa di tirare in ballo la questione dell’antisemitismo come un logico e naturale corollario dell’ignoranza e della superstizione medievale, la stessa che condusse ai roghi delle streghe (forse il bravo Cohn ignora che i roghi delle streghe arsero ben più nel Rinascimento e nel XVII secolo, ossia all’inizio della cosiddetta civiltà moderna, che non in tutti i secoli del Medioevo cristiano messi insieme) come il lettore potrà giudicare da sé leggendo il breve estratto di quel lavoro che qui di seguito abbiamo voluto riportare (da: La stregoneria, a cura di M. Douglas; titolo originale: Witchraft. Confessions and Accusations, Association of Social Antropologists of the Commonwealth, 1970; traduzione dall’inglese di Carla Faralli e Giovanni Ricci, Torino, Einaudi, 1980, pp. 47-49):
Su ampie zone d’Europa il periodo di tempo che va dal XII al XVIII secolo fu per gli ebrei un lungo martirio, durante il quale essi divennero ciò che non erano mai stati durante l’alto medioevo: un popolo del tutto estraneo alla cristianità, coattivamente confinato nei traffici più sordidi, pieno di rancore per il mondo dei gentili. Agli occhi di molti cristiani queste strane creature divennero demoni sotto le spoglie umane, dotati di poteri misteriosi e infinitamente sinistri.
L’emancipazione degli ebrei cominciò con la rivoluzione francese; nel corso dell’Ottocento essi furono liberati dalla loro inferiorità giuridica in un paese dopo l’altro dell’Europa occidentale e centrale. Ma ovunque la prospettiva della loro emancipazione produsse un’ondata di panico, In parte, non c’è dubbio, questa reazione fu sollecitata dal fatto che in alcuni settori — l’attività bancaria, quella politica in campo radicale e il giornalismo — gli ebrei raggiunsero in breve un’influenza del tutto sproporzionata rispetto al loro numero. Ma le radici del panico erano molto più profonde. Per riuscire a vedere fin dove esse giungessero basta considerare il libro che divenne la fonte del moderno antisemitismo politico: "Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens", di Gougenot des Mousseaux, pubblicato nel 1869.
Des Mousseaux era convinto che il mondo fosse nelle mani di un misterioso sodalizio di adoratori di Satana, che egli chiamava "ebrei cabalistici". Egli immaginò che esistesse una segreta religione demoniaca, un culto sistematico del male fondato dal Demonio proprio agli inizi del mondo. I grandi maestri del culto erano gli ebrei, che Des Mousseaux definiva «rappresentanti in terra degli spiriti delle tenebre»; tra coloro che li avevano aiutati a diffondere il regno del Demonio nel mondo vi erano gli eretici medievali, i templari e, più recentemente, i massoni. Il culto si incentrava sull’adorazione di Satana, simboleggiato da un serpente e dal fallo; i suoi riti consistevamo in orge erotiche incredibilmente sfrenate, inframmezzate da momenti i cui gli ebrei uccidevamo bambini cristiani per usare il loro sangue a fini magici. Il libro pretendeva di smascherare un complotto ebraico per dominare il mondo intero mediante il controllo delle banche, della stampa e dei partiti politici: anche questo si supponeva che fosse fatto in nome di Satana e con il suo aiuto.
Proprio da queste fantasie apertamene demonologiche emersero i "Protocolli dei savi Anziani di Sion", il famoso falso antisemitico che doveva ossessionare la mente di Adolf Hitler. In realtà, l’uomo che lanciò i "Protocolli" nel mondo era uno pseudo mistico russo mezzo pazzo, Sergey Nilus; e il libro nel quale egli li pubblicò per la prima volta era un trattatello religioso sulla Seconda Venuta di Cristo e la lotta finale contro le armate demoniache. Questo accadeva nel 1905. A questo punto il mito di Satana e degli uomini al suo servizio si era finalmente esaurito, ma lasciava una mortale eredità. Dopo una generazione, i nazisti usarono i "Protocolli" in un contesto strettamene secolare, senza più alcuna implicazione apertamene demoniaca, come strumento di lotta politica e, infine, come autorizzazione a sterminare quasi completamente gli ebrei europei.
Il mito di Satana e degli uomini al suo servizio ha giocato in realtà un ruolo straordinario nella storia europea. Considerata dal punto di vista sociologico, questa storia mostra almeno una cosa: che un solo mito, sempre identico, può essere piegato a servire una varietà di intenti e può espletare una varietà di funzioni. Le sette medievali erano gruppi reali e reali oppositori della Chiesa; il clero che incarnava in loro quel mito, attaccava rivali potenziali. Anche i templari formavano un gruppo reale, che tuttavia desiderava soltanto servire la Chiesa; il re di Francia che li accusò di adorare Satana era mosso semplicemente da necessità finanziaria o da bramosia di denaro. Le cosiddette streghe, d’altra parte, non rappresentavano un gruppo reale; è questo un caso in cui il mito creò, nell’immaginazione dei persecutori e del popolo, una pericolosa organizzazione che in realtà non esisteva affatto. Le modalità esatte di questo processo costituiscono un problema che ha ancora bisogno di attenta indagine. Quanto agli ebrei, il mito ha influito sul loro destino in svariate epoche e in modi diversi. Gruppo reale se ve n’era uno, essi non furono tuttavia considerati come gruppo pericoloso fino all’XI secolo, quando la Chiesa si trovò direttamente minacciata dall’eresia. A questo punto il mito fu applicato loro, e gradualmente li trasformò in un gruppo di paria. Parecchi secoli dopo, mentre essi stavano uscendo da questa situazione per ridiventare soggetti partecipi del corso della vita europea, il mito fu usato ancora come un mezzo per rigettarli indietro.
È una storia curiosamente complessa, ma almeno una generalizzazione pare lecita: per circa nove secoli della storia europea, accusare qualcuno di essere un servitore di Satana fu un modo assai efficace per liberare enormi potenziali di odio, e per rendere la gente capace di patrocinare assassinii in una determinata direzione, e di impegnarvisi senza scrupoli di coscienza.
La prima cosa che appare evidente è che Cohn ha introdotto un argomento che non c’entra affatto con il tema che aveva scelto di trattare, la stregoneria, e cioè l’antisemitismo: e lo ha fatto per una ragione scopertamente ideologica, ossia per mostrare che gli antisemiti sono tanto violenti, insensati e privi di coscienza, quanto lo furono i persecutori delle streghe di sei od otto secoli fa. Il che non è fare lo storico e neppure il sociologo, ma il propagandista politico, poiché sia lo storico che il sociologo devono tener conto del fatto che la stessa spiegazione non può essere adottata integralmente per comprendere, e meno ancora per spiegare, dei fatti che si sono verificati a distanza di sei o di otto secoli gli uni dagli altri, come l’antisemitismo nazista e la caccia alle streghe da parte dell’Inquisizione. L’ideologia, nel senso deteriore del termine (ammesso che ce ne sia uno positivo) consiste nel fatto di postulare l’esistenza di categorie eterne e immutabili, come il razzismo, il fanatismo, e magari il fascismo, senza considerare che ciascuna di queste categorie ha un significato preciso solo in un contesto storico preciso e ben delimitato; se si pretende di assolutizzarle e universalizzarle, non si fa né storia, né sociologia, ma una sorta di brutta metafisica capovolta.
La seconda cosa che balza all’occhio è che il Cohn, dall’alto della sua formidabile armatura ideologica illuminista e scientista, dà semplicemente per scontato, come appare fin dal titolo, che quello di Satana è solo un mito, e un mito è anche che degli uomini e delle donne abbiamo deciso di porsi al suo servizio (non parliamo poi del presente, questo per un uomo moderno come lui è semplicemente ridicolo, vale a dire impensabile). In altre parole, l’illuminista Cohen non si abbassa a spiegare perché quello di Satana e della stregoneria sia stato semplicemente un mito, usato oltretutto per scopi malvagi dal clero, ossia per attaccare dei nemici, reali o potenziali, come gli eretici e gli ebrei; non più di quanto un nobile dell’antico regime si sarebbe mai abbassato a fare a cazzotti per la strada con un vile popolano, o a gettare il guanto della sfida, per affrontarlo in duello, a un semplice borghese. Gruppi organizzati di streghe non sono mai esistiti, dice; se poi le streghe siano esistite individualmente, questa è una faccenda che non lo impensierisce, nel senso che non lo riguarda minimamente. Né lo turba il pensiero che a un sociologo come lui non si chiede di esprimere un giudizio di valore, o di realtà, sui fenomeni antropologici di questa o quella società, ma semplicemente di stabilire se i membri di quella data società credono, o credevano, a quelle tali idee e a quelle tali realtà. In altre parole: nessuno gli domanda di fare il teologo e discettare se Satana esiste oppure no; e nessuno gli chiede neppure di esprimersi sulla realtà effettiva dei poteri delle streghe. Si vede che non ha mai letto un libro di Mircea Eliade o di Georges Dumézil (autori in odore di fascismo, senza dubbio, e perciò inutilizzabili): se lo avesse fatto, saprebbe che quando si studia la sociologia, così come quando si studia l’antropologia, non si è chiamati a esprimersi sulla realtà oggettiva dei poteri psichici, della magia, degli incantesimi, degli scongiuri, delle maledizioni e dello stesso satanismo, bensì se certi gruppi umani, in certi momenti della storia, vi abbiano creduto o meno.
La terza cosa che impressiona è la disinvoltura con cui egli collega l’antisemitismo alla stregoneria con il debole legame di un senso di panico diffuso dal diffondersi delle eresie, che fece percepire l’ebreo come un nemico, attuale o potenziale. Dopo di che, passando direttamente all’antisemitismo contemporaneo, arriva ad affermare che esso ebbe un’esplosione dopo che gli ebrei ottennero l’emancipazione e si inserirono a pieno titolo nella società: e non si rende conto che due fenomeni opposti, la marginalizzazione degli ebrei e la loro espansione sociale ed economica, ben difficilmente si possono spiegare con gli stessi meccanismi psicologici. Eppure, per quanto riguarda l’antisemitismo contemporaneo, la spiegazione ce l’ha proprio in mano, anzi la esprime lui stesso, quando afferma che in alcuni settori — l’attività bancaria, quella politica in campo radicale e il giornalismo — gli ebrei raggiunsero in breve un’influenza del tutto sproporzionata rispetto al loro numero. Poi però si rifiuta di trarre le logiche conseguenze di tale affermazione e ricorre alla vecchia spiegazione dell’antisemitismo, la stessa che ha usato per spiegare la persecuzione degli eretici, ossia la paura di qualche gruppo minoritario poco conosciuto, dal fare subdolo e misterioso, che sembra minare la solidità del tessuto sociale. Nel definire Sergej Nilus come uno pseudo mistico mezzo pazzo e nel suggerire che egli abbia influenzato direttamente Hitler, pare voglia dire che l’antisemitismo è stato una forma di malattia mentale o quantomeno un grave disturbo psichico; la stessa impressione si ricava dal modo in cui espone il pensiero di Des Mousseaux, che fa pensare al delirio di un paranoico. Si direbbe insomma che la logica non sia il suo forte: prima riconosce che nel XIX secolo gli ebrei, rispetto al loro numero, esercitavano un peso sproporzionato nei settori chiave della società: la grande finanza, la politica e il giornalismo; poi però suggerisce che solo dei personaggi mezzo matti potevano (e quindi possono) pensare quel che pensavano Nilus o De Mousseaux sull’esistenza di un disegno di potere mondiale da parte degli stessi ebrei. Al di là della questione specifica dell’antisemitismo o del filo-ebraismo, quel che colpisce è la tipica protervia intellettuale del progressista, per il quale c’è una sola cosa da fare nei confronti di chi osa prospettare una lettura della storia differente dalla sua: la cura psichiatrica. (In questi tempi di falsa pandemia da Covid-19 vengono in mente le parole del filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, secondo il quale i negazionisti, e si noti la perfidia della parola, sono dei pazzi coi quali è impossibile ragionare).
Esemplare, in senso negativo, la conclusione, tanto predicatoria quanto ipocrita: per circa nove secoli della storia europea, accusare qualcuno di essere un servitore di Satana fu un modo assai efficace per liberare enormi potenziali di odio, e per rendere la gente capace di patrocinare assassinii in una determinata direzione, e di impegnarvisi senza scrupoli di coscienza. Il Nostro non è neppure sfiorato dall’idea che possano essere i progressisti come lui a seminare i più velenosi semi di odio: loro, con tutta la loro sbandierata tolleranza, incapaci di ammettere un pensiero diverso dal proprio, e sempre pronti ad accusare quanti lo manifestano di essere degli odiatori, dei fanatici e dei fomentatori di assassinio. No, certo che no. La loro coscienza è pura: è la coscienza degli altri, dei "reazionari", ad essere putrida e carica di delitti. Essi non seminano odio; si limitano a eliminare, fisicamente o psichicamente, come si faceva con gli oppositori nell’Unione Sovietica, tutti quelli che non appartengono al loro stesso paradigma: buonista, perché figlio dell’antropologia di Rousseau, ma stranamente punitivo e vendicativo nei confronti delle voci dissenzienti. Paradossi della cultura laicista e progressista: sa vedere sempre e solo la pagliuzza nell’occhio degli altri, mai la trave che ha nel proprio.
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