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J. Guitton cattivo maestro di mariologia ecumenica

Abbiamo già smascherato a suo tempo le intenzioni occulte di quel nuovissimo assurdo teologico e religioso che viene pomposamente chiamato mariologia ecumenica, una delle tante aberrazioni nate dal deprecabile Concilio Vaticano II (vedi l’articolo "Mariologia ecumenica", l’ultimo cavallo di Troia dei modernisti per decattolicizzare la Chiesa, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 15/07/17). Se poi vogliamo risalire al maggiore artefice di questa nuova, mostruosa creatura partorita da quel falso cattolicesimo che è, in effetti, il neomodernismo conciliare, non tarderemo a individuarlo in quello che negli anni del Concilio e del post-concilio veniva presentato dai mass-media laici e dalla stessa cultura "cattolica" come il massimo filosofo cattolico vivente, insieme a Jacques Maritain: Jean Gutton (Sain-Étienne, Loira, 18 agosto 1901-Parigi, 21 marzo 1999): il primo osservatore laico invitato ad assistere alle sessioni del Concilio da Giovanni XXIII, che aveva conosciuto personalmente quando questi era nunzio apostolico a Parigi, dal 1944 al 1952; e l’unico a presenziare sino al termine del Concilio stesso.

È una vera tragedia che nel corso di questi decenni si sia affermata l’erronea convinzione che figure come quella di Jean Guitton, o anche di Jacques Maritain, rappresentino la punta di diamante del pensiero cattolico. Ma è la stessa tragedia per cui papi come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati santificati (i primi tre, per ora) o comunque elogiati oltre ogni misura (si pensi al papa buono per antonomasia, il papa del Concilio; per non parlare dell’attuale inquilino di Casa Santa Marta, il papa della gente) sono stati, nell’immaginario collettivo, i migliori papi nella storia della Chiesa, mentre la verità è che, proprio per aver voluto quel concilio e per aver approvato e portato avanti la sua sciagurata agenda, essi passeranno alla storia, quando la verità finalmente si sarà affermata sulle macerie di radicate menzogne, come i peggiori papi in assoluto. Quelli, cioè, che hanno tradito il mandato di Gesù Cristo a san Pietro, pasci le mie pecorelle, portando la Chiesa nell’eresia e nell’apostasia e, quel che è ancor peggio, se possibile, facendolo con arte così insidiosa e con tale consumata malizia da far sì che le pecorelle ingannate e tradite non se ne rendessero neppure conto.

Per convincersi di quel che abbiamo ora detto basta prendere il libro di Jean Guitton La Vergine Maria e leggere, in particolare, il capitolo intitolato La Vergine e l’ecumenismo: le pagine più balorde, più sconclusionate, più eretiche che un filosofo "cattolico" avrebbe potuto dedicare al mistero della Santissima Madre di Dio (titolo originale: La Vierge Marie, Aubier, Ed. Montaigne, Parigi, 1949, 1954; traduzione dal francese di Lorenzo Fenoglio, Milano, Rusconi Editore, 1987, pp. 227-229):

Vorrei affrontare come ultima la questione dell’unità della Chiesa. È indubitabile che la Vergine eterna sia la prima tra le creature già in gloria a intercedere perché si realizzi l’unità dei cristiani in Cristo. L’analogia con la maternità è eloquente: ogni madre vuole i propri figli uniti e radunati con i legami di un unico amore. È perciò paradossale che la fede cattolica nella Vergine diventi per molte altre confessioni cristiane un ostacolo alla riunione.

Diciamo che nella Chiesa cattolica lo sviluppo della mariologia, pur legittimo quanto si voglia, avrebbe potuto anche non verificarsi affatto, restando la fede dei cristiani allo stadio virtuale nel quale si trovava nell’epoca apostolica. Così come d’altra parte, questa stessa mariologia avrebbe potuto nei secoli assumere forme diverse da quelle che ha rivestito; come differenti avrebbero potuto essere le sfumature del sentimento. Immaginiamo per esempio che gli apostoli si fossero indirizzati verso le Indie e la Cina invece di dirigersi verso l’Ellade e il mondo romano: in questa evenienza — o afferma pure dom Pierre-Célestin (Lou-Tsen-Ciang) i due millenni che stanno volgendo al termine avrebbero avuto un decorso storico radicalmente diverso.

In questa ipotesi, è verosimile che la Vergine non sarebbe stata pensata e, specialmente, sentita nella stessa maniera. Forse sarebbe stata scoperta prima quella "maternità di grazia" sulla quale si riflette oggi; o forse, al contrario, l’attenzione si sarebbe portata su altri aspetti tuttora inesplorati, quali la collaborazione della Vergine alle operazioni dello Spirito Santo, o il parallelismo tra la Vergine e la Chiesa, o su aspetti di passività profonda, ai quali più sensibile l’animo orientale. Noi siamo colpiti dalla grandezza di Maria; al contrario, si sarebbe potuto scoprire maggiormente la sua umiltà, il nascondimento nel quale la mantenne Gesù: ciò che sconcerta noi occidentali avrebbe potuto entusiasmare l’Oriente. Avrebbero potuto essere messi in luce certi lati del suo essere non ancora esplorati, che meglio si accordano con il misticismo orientale consacrandolo e purificandolo: il romanzo di Pearl Buck sulla madre, per esempio, potrebbe esserci di aiuto a scoprire quale sarebbe una analisi del mistero mariano fatta dai cinesi… Ogni razza può proiettare su Maria il proprio ideale di femminilità. L’ideale nordico quale ci rivelato dai romanzi di Sigrid Undset certo corrisponde poco all’ideale che della donna si ha in Estremo Oriente.

E così, più ci si allontana dal campo dell’idea pura per entrare in quello degli affetti, maggiori differenze possono emergere nelle raffigurazioni. È il sentimento infatti che introduce le difformità, le dissomiglianze. Importante è sottolineare che lo Spirito avrebbe potuto percorrere una via diversa, pur santificandola nella stessa misura.

Si rivela perciò fedele servitore dell’ecumenismo chi affermi che altre vie, altri aspetti, altri aspetti avrebbero potuto essere ugualmente legittimi e chi immagini, accanto al cattolicesimo quale è stato, le altre forme che il cattolicesimo avrebbe potuto assumere.

Dobbiamo essere grati a Jean Guitton per averci offerto, in uno spazio così breve, un concentrato tanto chiaro ed eloquente di cose’è il modernismo, di come ragionano i modernisti, di come deliberatamente ingannano i fedeli facendo loro credere di essere ancora nell’ambito del pensiero cattolico, mentre di fatto ne sono lontani mille miglia. Perciò noi, con altrettanta chiarezza e puntualità, smonteremo il meccanismo di questo falso ecumenismo e di questa falsa mariologia pezzo per pezzo, prendendo in considerazione, una frase dopo l’altra, ogni singola affermazione di questo paragrafo.

Vorrei affrontare come ultima la questione dell’unità della Chiesa. È indubitabile che la Vergine eterna sia la prima tra le creature già in gloria a intercedere perché si realizzi l’unità dei cristiani in Cristo.

Certo, la Vergine intercede presso suo Figlio affinché si realizzi l’unità della Chiesa: su questo non c’è il minimo dubbio. Il punto è però se la Vergine, Dio stesso e i cristiani, desiderino un’unità qualsiasi, raggiunta a prezzo di compromessi (peraltro, dal Vaticano II fino ad oggi, a cedere per compiacere l’altro sono stati sempre e solo i cattolici, mai i fratelli separati), o se la sola unità auspicabile, e che sia veramente il bene per la Chiesa, sia quella che consiste nel riconoscimento della Verità: Verità dalla quale i cari fratelli separati si sono staccati per una loro scelta ben precisa e non per qualche strano accidente del destino. Ora, non si tratta del puntiglio su chi debba cedere per primo, ma di amore per la Verità: se fosse solo una questione di cortesia e di umiltà, nulla vieterebbe ai cattolici di fare il primo passo. Il fatto è che un cattolico non può fare il generoso con ciò che non gli appartiene. La fede in Cristo, così come l’ha ricevuta dalle Scritture e dalla Tradizione, e mediata dalla Chiesa da Lui stesso fondata, è una cosa che non appartiene a un tempo e a un luogo piuttosto che a un altro: è la Verità eterna, intangibile, immutabile. Nessuno ha il diritto di svenderne anche solo la millesima parte: iota unum. Perciò l’immagine sentimentale e un po’ sdolcinata della Vergine che prega per l’unità della Chiesa è fuorviante ingannevole: certo che prega, ma perché la Chiesa sia e rimanga unita nella Verità. A che mai servirebbe essere uniti o ritrovare l’unità, se si è fuori dalla Verità?

L’analogia con la maternità è eloquente: ogni madre vuole i propri figli uniti e radunati con i legami di un unico amore.

Certo che ogni madre vorrebbe vedere i propri figli uniti e concordi. Ma a qualsiasi prezzo? Ci si conceda una similitudine forse rozza, ma in compenso chiara: se uno dei suoi figli, ad esempio, prendesse una cattiva strada, se si drogasse, se commettesse dei reati, sua madre dovrebbe desiderare con tutte le sue forze che l’altro figlio, per restare unito al fratello, entri nello stesso giro e faccia le stesse cose?

È perciò paradossale che la fede cattolica nella Vergine diventi per molte altre confessioni cristiane un ostacolo alla riunione.

No, non è paradossale: è logico ed è anche, nel senso biblico della parola, provvidenziale: cioè contribuisce a fare chiarezza sulla Verità. Se fosse un paradosso, vorrebbe dire che il culto di Maria è un accidente, derivato dal caso o dalle vicissitudini della storia (come infatti, qualche riga più avanti, dirà chiaro e tondo il nostro autore). Ma per un cattolico la Vergine Maria è parte integrante ed essenziale del divino disegno di Salvezza: perciò è ovvio che anche il suo culto abbia un ruolo centrale e non casuale, ma strutturale, nell’insieme della fede cattolica.

Diciamo che nella Chiesa cattolica lo sviluppo della mariologia, pur legittimo quanto si voglia, avrebbe potuto anche non verificarsi affatto, restando la fede dei cristiani allo stadio virtuale nel quale si trovava nell’epoca apostolica.

Qui siamo in pieno relativismo e in pieno storicismo, ossia in pieno modernismo: altro che cattolicesimo. Il cattolicesimo è il contrario del relativismo, perché crede in una fede certa, e il contrario dello storicismo, perché credere in un Assoluto che, pur essendo incarnato, è per sua natura al di fuori e al disopra del Tempo e dello Spazio, eterno e onnisciente. Se lo sviluppo della mariologia avrebbe potuto non verificarsi affatto, o assumere tutt’altri contorni e tutt’altra direzione, ciò vorrebbe dire che non è qualcosa di eterno, di assoluto, di perfetto, che Dio ha predisposto da prima che il mondo fosse. Guitton ragiona in tutto e per tutto da relativista e da storicista, non da credente. Perfino un giudeo, un musulmano o un induista troverebbero repellente il suo modo di ragionare: se le circostanze storiche fossero state diverse, il culto di Yaweh, o di Allah, o di Brahma, sarebbero stati diversi… ma quando mai? Ah, un’altra cosa: Guitton non solo ragiona da modernista, ma usa un vocabolario che è tipicamente modernista. Quando dice che lo sviluppo della mariologia è una cosa legittima, adopera un termine che c’entra poco o niente con il linguaggio religioso. Non è questione se il culto mariano sia legittimo o illegittimo: è questione se sia vero o falso. La legittimità rimanda a qualcosa che viene creduta e stabilita dagli uomini; la verità è qualcosa che viene stabilita da Dio.

Così come d’altra parte, questa stessa mariologia avrebbe potuto nei secoli assumere forme diverse da quelle che ha rivestito; come differenti avrebbero potuto essere le sfumature del sentimento. Immaginiamo per esempio che gli apostoli si fossero indirizzati verso le Indie e la Cina invece di dirigersi verso l’Ellade e il mondo romano: in questa evenienza — o afferma pure dom Pierre-Célestin (Lou-Tsen-Ciang) i due millenni che stanno volgendo al termine avrebbero avuto un decorso storico radicalmente diverso.

Il ragionamento di Guitton è doppiamente falso. Primo, perché il filosofo che ragiona con i "se" è un cattivo filosofo: la vera filosofia è ragionare su ciò che è, restando saldamente ancorati alla realtà. Ma poiché Guitton fa qui un discorso di tipo storico, diremo che per lo storico vale, a maggior ragione, lo stesso principio: che lo studio della storia non è ipotizzare e almanaccare su quello che avrebbe potuto essere, ma cercar di capire quello che è stato. Secondo, gli apostoli non si sono indirizzati solo verso l’Ellade e il mondo romano, ma anche verso le Indie e la Cina, proprio come ipotizza lui: e questa, da parte sua, è pura e semplice ignoranza. Davvero Jean Guitton ignora che la prima diffusione del cristianesimo in India è ben anteriore all’arrivo dei portoghesi, alla fine del XV secolo, e risale direttamente all’apostolo Tommaso? E davvero ignora che pochi secoli dopo Cristo esisteva in Cina una fiorente comunità cristiana (nestoriana) e che le chiese cristiane, accanto alle moschee, alle sinagoghe e ai templi taoisti e buddisti, sorgevano numerose nella capitale del Gran Khan, Hang-zou, al tempo di Marco Polo? Gli apostoli, seguendo l’ordine di Gesù, andarono a predicare il Vangelo in tutto il mondo e presso tutte le genti, sia verso Occidente, che verso Oriente: e se esso è fiorito in maniera durevole in Occidente, mentre ha messo solo deboli radici in Oriente, ciò non dipende dal fatto che essi trascurarono l’Oriente, ma dal mistero della divina Provvidenza che così ha voluto, o così ha permesso.

In questa ipotesi, è verosimile che la Vergine non sarebbe stata pensata e, specialmente, sentita nella stessa maniera. Forse sarebbe stata scoperta prima quella "maternità di grazia" sulla quale si riflette oggi; o forse, al contrario, l’attenzione si sarebbe portata su altri aspetti tuttora inesplorati, quali la collaborazione della Vergine alle operazioni dello Spirito Santo, o il parallelismo tra la Vergine e la Chiesa, o su aspetti di passività profonda, ai quali più sensibile l’animo orientale.

Proseguono le speculazioni relativiste e gratuite su quel che avrebbe potuto essere. Peraltro, gli aspetti accennati del culto mariano non sono rimasti affatto inesplorati: anche questa si direbbe una carenza di cognizioni da parte dell’autore. Ma il vizio di fondo di Guitton è un altro: per lui il culto della Vergine è il frutto di ciò che pensano gli uomini di Lei; non lo sfiora l’idea che tale impostazione è completamente erronea e che tutto, nella Rivelazione e nella Chiesa fondata su di essa, dunque nella verità da essa insegnata, ha la sua origine in Dio. La differenza è sostanziale: ciò che pensano gli uomini è soggettivo; ciò che pensa Dio è oggettivo. La fede significa cercare l’oggettività della Presenza di Dio, non la soggettività di un dio tutto nostro, fabbricato nella nostra immaginazione. E ciò vale ovviamente anche per Maria. Quando rivolgiamo a Lei la nostra preghiera, come facciamo recitando il santo Rosario, non preghiamo una Maria creata dalla nostra mente, ma la Maria reale, oggettiva, vera, assoluta.

Noi siamo colpiti dalla grandezza di Maria; al contrario, si sarebbe potuto scoprire maggiormente la sua umiltà, il nascondimento nel quale la mantenne Gesù: ciò che sconcerta noi occidentali avrebbe potuto entusiasmare l’Oriente. Avrebbero potuto essere messi in luce certi lati del suo essere non ancora esplorati, che meglio si accordano con il misticismo orientale consacrandolo e purificandolo: il romanzo di Pearl Buck sulla madre, per esempio, potrebbe esserci di aiuto a scoprire quale sarebbe una analisi del mistero mariano fatta dai cinesi…

Chi lo ha detto a Guitton che "noi occidentali" (espressione già discutibile in se stessa: gli europei non sono occidentali, sono europei e basta; gli americani, semmai, sono occidentali) siamo colpiti dalla grandezza di Maria, e non dalla sua umiltà? In realtà, da sempre, i cattolici ammirano la grandezza di Maria che si manifesta attraverso la sua estrema umiltà, secondo l’insegnamento di Gesù: chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato. Ricordiamo, a titolo di esempio, gli stupendi, ineguagliabili versi del sommo Poeta: Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, // umile e alta più che creatura, // termine fisso d’etterno consiglio (Par XXXIII, 1-3)….

Ogni razza può proiettare su Maria il proprio ideale di femminilità. L’ideale nordico quale ci rivelato dai romanzi di Sigrid Undset certo corrisponde poco all’ideale che della donna si ha in Estremo Oriente.

E questo non è solo relativismo, è anche consumismo. Ciascuno va al supermercato mariano e si porta a casa l’immagine di Maria che più gli si addice. Troppo facile, troppo banale. Non è il credente che proietta su Maria il propri ideale particolare: se così fosse, si tratterebbe di una strumentalizzazione, e perciò di un sacrilegio. Al contrario, è Lei che proietta su di noi il raggio della grazia, quando la invochiamo con cuore sincero; non adorandola come fosse Dio, ma venerandola come la Madre di Gesù e quindi, in senso non metaforico, come la Madre del Verbo incarnato. Chi la pensa come Guitton, per forza di cose vede Maria come una donna che si adatta, di volta in volta, alla nostra mentalità e al nostro costume. E allora ecco la Maria solo donna e per giunta migrante e meticcia di Bergiglio, e la Maria in bermuda (e perché no in bikini?) del troppo celebrato don Tonino Bello (cfr. il nostro articolo: Don Tonino e la Madonna in bermuda, santo subito!, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 05/04/21).

E così, più ci si allontana dal campo dell’idea pura per entrare in quello degli affetti, maggiori differenze possono emergere nelle raffigurazioni. È il sentimento infatti che introduce le difformità, le dissomiglianze. Importante è sottolineare che lo Spirito avrebbe potuto percorrere una via diversa, pur santificandola nella stessa misura.

Procedendo con sapiente abilità, vale a dire con costante ambiguità, Guitton dice che lo Spirito avrebbe potuto percorrere una via diversa, pur santificandola nella stessa misura. Ma se Maria è parte essenziale e centralissima nel disegno della Redenzione, è illogico pensare che Dio avrebbe potuto assegnarle un copione diverso; ed è non solo irrispettoso, ma anche alquanto futile e ozioso, mettersi a fantasticare su ruoli alternativi della Madonna, a parità di santificazione. E poi cos’è questa petulanza, questa indiscrezione, questo voler ficcare il naso nei disegni di Dio, per la misera soddisfazione di dire che Dio ha fatto così, ma avrebbe potuto anche fare colà? Non vi è qui forse un residuo di quella superbia intellettuale per la quale gli uomini, non potendo competere con l’onniscienza di Dio, vogliono almeno prendersi la misera soddisfazione di dire che nessuno potrebbe comprendere quei disegni, non perché sono insondabili, ma perché sono imprevedibili, nel senso tutto umano del termine?

Si rivela perciò fedele servitore dell’ecumenismo chi affermi che altre vie, altri aspetti, altre formule avrebbero potuto essere ugualmente legittimi e chi immagini, accanto al cattolicesimo quale è stato, le altre forme che il cattolicesimo avrebbe potuto assumere.

Se non altro, questo è chiaro: non è il cattolico che deve adeguarsi al magistero e alla Tradizione, accettandoli integralmente, ma è chi immagina un "cattolicesimo" diverso da quello che effettivamente si è realizzato, che si dimostra un fedele servitore dell’ecumenismo, ossia la nuova religione sorta dal Concilio Vaticano II, che è il modernismo. L’espressione fedele servitore si adopera per designare il seguace della fede, dunque Guitton ammette e dichiara apertamente che l’ecumenismo è un aspetto di una nuova religione, della quale i cattolici, o meglio gli ex cattolici, devono divenire dei fedeli servitori. Non più fedeli servitori di Cristo, ma fedeli servitori dell’ecumenismo. Non c’è bisogno di ulteriori commenti. Qualunque cosa volessimo aggiunge, non sarebbe più eloquente delle parole dello sesso Jean Guitton,

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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