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La verità? Adeguare il giudizio alla cosa

Abbiamo sostenuto più e più volte che la questione filosofica decisiva è, e sarà sempre, quella della verità del conoscere; e che senza la verità non si dà alcun effettivo conoscere, dunque non si dà nemmeno alcuna filosofia nel senso proprio della parola, ma solo blaterare di chiacchieroni e gracchiare di cornacchie (cfr. spec. il nostro articolo La verità è e resta la questione ineludibile e decisiva, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 14/01/01; vedi anche: Capire cos’è la verità è capire il senso della vita, il 14/706/20; e Siamo caduti così in basso per aver tradito la verità, il 25/01/21).

Pertanto la filosofia moderna, avendo abbandonato la metafisica ed escluso il suo legame con la teologia, si è autoesclusa dalla verità. Lasciamola stagnare nella sua palude e non dedichiamole nemmeno un minuto del nostro tempo: sarebbe tempo sprecato. Lasciamo Cartesio al suo soggettivismo e al suo dualismo, Kant al suo fenomenismo immanentista, Hegel alle sue fumisterie solipsistiche e panteiste, e Heidegger ai suoi cattivi sofismi di ex cattolico inacidito e votato a un esistenzialismo funereo, degno presupposto della funerea ed esistenzialistica teologia di Karl Rahner; e torniamo alle fonti pure del pensiero, alla logica impeccabile di Aristotele e alla sintesi mirabile di essa con la Rivelazione cristiana fatta da san Tommaso d’Aquino. Domandiamo a questi due sommi filosofi cos’è la verità: ci risponderanno che essa è l’adeguamento, o la conformità, del giudizio e della cosa. Dei due termini, però, il soggetto che giudica e la cosa che viene giudicata, la priorità spetta alla seconda: è la cosa che determina il giudizio, e non il giudizio la cosa. Da ciò si vede quanto sano realismo, quale saldo ancoraggio alla realtà permea il pensiero di questi due sommi filosofi. Da ciò si vede anche la loro umiltà intellettuale, propria delle gradi menti e delle grandi anime: essi non pretendono d’imporre al reale le categorie del soggetto; non pretendono, come Cartesio, Kant, Hegel ed Heidegger, che la realtà dipenda dal soggetto: no, la realtà è la realtà, ed è il soggetto che deve coglierla nella sua essenza, affinché il giudizio ne risulti veritiero. Dunque, è vero il giudizio quando coglie la cosa veracemente: per dirla con Aristotele, quando afferma che ciò che, è, e che ciò che non è, non è.

Scrive dunque san Tommaso d’Aquino in Le questioni disputate. Questione I, la verità (Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1992, pp. 77-79; ci siamo servito della citazione di Boffi e altri, Alla scoperta della filosofia, vol 1b, Filosofia medievale, Sansoni, 2004, pp. 150-151):

Ma ogni conoscenza si compie attraverso l’assimilazione del conoscente alla cosa conosciuta, così che l’assimilazione è detta causa della conoscenza, come la vista, per il fatto di essere disposta secondo la specie del colore, conosce il colore: la prima comparazione dell’ente all’intelletto è dunque che l’ente concordi con l’intelletto, la quale concordanza è detta "adeguazione della cosa e dell’intelletto"("adaequatio intellectus et rei"), e in ciò formalmente si compie la definizione di "vero". Questo è dunque ciò che il vero aggiunge sopra l’ente [tesi fondamentale]: la conformità , cioè l’adeguazione, della cosa e dell’intelletto, alla quale conformità, come si è detto, segue la conoscenza della cosa: così dunque l’entità della cosa precede la nozione della verità, ma la conoscenza è un certo effetto della verità. La prima riguarda ciò che precede la nozione di verità e in cui il vero si fonda, e così Agostino dice che "il vero è ciò che è", e Avicenna che "la verità di qualsiasi cosa è la proprietà del suo essere che le è stato assegnato, e alcuni che "il vero è l’indivisione dell’essere e di ciò che è". Il secondo tipo di definizione è dato in base a ciò in cui formalmente si compie la definizione di vero, e così Ysaac [Israeli] dice: "la verità è l’adeguazione della cosa e dell’intelletto", e Anselmo che "la verità è la rettitudine percettibile della sola mente"- infatti questa rettitudine si dice secondo una certa quale adeguazione; e il Filosofo (Aristotele) dice che definiamo il vero quando diciamo che è ciò che è o che non è ciò che non è. Il terzo tipo di definizione è dato in base all’effetto conseguente, e così Ilario [Ilario di Poitiers, "Sulla Trinità", V,3] dice "il vero è dichiarativo e manifestativo dell’essere"; e Agostino ["De vera religione", 36,31] che "la verità è ciò mediante cui si mostra ciò che è" e ancora che "la verità è ciò in base a cui giudichiamo degli inferiori".

Ribadiamo pertanto il concetto: solo la verità ci dà una retta comprensione del reale; ma per avere una retta comprensione del reale bisogna restare saldamente ancorati ad esso: chi si discosta dal reale tramite il soggettivismo finisce per perderlo di vista e per vaneggiare, sostituendo alla realtà vera una realtà fittizia, immaginaria, che, per renderla intellettualmente accettabile, chiama talvolta utopia. Ora, la civiltà moderna, bandendo la metafisica e mettendo in soffitta la religione, ha creato un vuoto enorme nella mente e nel cuore dell’uomo, il vuoto derivante dalla scomparsa della verità. L’uomo moderno è costretto a vivere senza il conforto della verità e ne risulta crudelmente mutilato, così come un uomo al quale vengano amputate barbaramente le gambe soffre per il fatto che la sua mobilità è stata crudelmente mutilata. Il bisogno di verità fa parte della costituzione originaria dell’uomo, così come la sete di Dio: i filosofi lo chiamano l’essere, la causa prima, il primo motore, la causa finale, mentre i credenti lo chiamano Dio, ma è sempre la stessa cosa: è la Verità in Se stessa, e per il fatto che la Verità esiste, ogni verità umanamente intelligibile trova il suo fondamento e la sua garanzia. Se non ci fosse la verità dell’Essere, su cosa poggerebbe il giudizio veritiero? Sul nulla: ciascun individuo potrebbe rivendicare la verità del proprio giudizio; e infatti è quel che accade nella società moderna. Una tale società, però, è qualcosa di molto simile all’inferno sulla terra: se ciascuno ha la sua verità da far valere, nulla impedisce che il mondo sia il campo di battaglia di una guerra incessante fra i tanti soggetti che vogliono imporre ciascuno la propria verità. L’uomo moderno soffre inoltre per il distacco dalla realtà e per il fatto che forze potenti, con azione incessante e capillare, vogliono indurlo ad entrare in una dimensione di esistenza più virtuale che reale, fatta di stimoli artificiali e operfino di sensazioni e pensieri che non vengono dalla realtà e nemmeno da lui stesso, ma che sono diretti dall’esterno, e per così dire impiantati nella sua mente e nella sua immaginazione. Si tratta di pensieri e sentimenti che configgono irrimediabilmente con la realtà, perché sono stati diffusi da una piccola minoranza della popolazione, la minoranza progressista, e specialmente dagli intellettuali e dagli uomini di governo progressisti, i quali odiano la realtà e la verità e vogliono sostituirle con una loro realtà e una loro verità. Il caso di una celebre università tedesca nella quale è proibito agli studenti di biologia apprendere che in natura ci sono il sesso maschile e il sesso femminile, perché enunciare una tale verità offende il mondo LGBT, e ancor più l’ideologia gender, e quello della traduzione in Belgio e Olanda della Divina Commedia purgata dei versi su Maometto condannato alle pene dell’inferno, in omaggio alla sensibilità dei molti immigrati di fede islamica residenti in quei Paesi, sono due buoni esempi dell’odio e della negazione della realtà a favore di una realtà altra, esistente nella testa dei signori progressisti che, imbevuti di cultura illuminista, si proclamano tolleranti verso tutto e verso tutti, tranne che verso il principio di realtà, specialmente se esso ha a che fare con l’affermazione positiva dei valori e delle tradizioni della propria civiltà.

Ora, la natura umana è fatta in modo tale che non può sopportare la privazione di ciò che le è essenziale: si ammala e impazzisce. Per non impazzire, gli uomini, privati della verità e disancorati dalla realtà, devono aggrapparsi alla prima verità che si vedono offerta a portata di mano, e alla sola realtà che viene propagandata tutti i santi giorni dai giornali, dalle televisioni, dal cinema e da tutte le altre fonti di indottrinamento del Pensiero Unico. Non importa se è una realtà orribile e traumatizzante, oltre che menzognera: è la "sola" realtà della quale si sentono capaci. Disabituata a pensare con la propria testa e a fidarsi del proprio senso comune, ovvero delle certezze universali e necessarie esistenti in qualsiasi coscienza (l’esistenza dell’io, quella del mondo, quella degli altri, quella della legge morale e infine quella della causa prima), la maggior parte delle persone preferisce affidarsi ciecamente alla "realtà" surrogata che s’impone con la forza invadente dei mass-media, entra in tutte le case a ogni ora del giorno e della notte, e martella le stesse menzogne finché non sono diventate realtà. Infatti la natura umana ha bisogno di crede in qualcosa: sia l’ateismo che l’agnosticismo le sono estranei. E infatti è necessario che essa compia uno sforzo su se stessa e contro se stessa per adattarvisi, senza però poter impedire che resti, sul fondo, un senso d’insoddisfazione e di scontentezza, perché la mente e il cuore si sentono privati di qualcosa che per essi è essenziale: la spiegazione logica della realtà e la contemplazione adorante di ciò che è all’origine di tutto. Non si può imporre all’infinito una sistema di credenze fondato sulla negazione della realtà vera, e quindi sulla menzogna sistematica: prima o poi l’edificio scricchiola e vacilla, poi finisce per crollare miseramente. È proprio per questo che i Padroni Universali stanno correndo ai ripari e, consapevoli di quanto abbiamo appena detto, stanno lavorando non solo a "convincere" gli uomini che la vera realtà è quella che dicono loro, anziché quella che s’impone ai sensi e alla ragione, ma anche per modificare radicalmente e irreversibilmente i meccanismi stessi della psiche, in modo che la menzogna diventi la nuova natura dell’intelligibile e che l’uomo, o meglio l’essere post-umano e trans-umano che essi stanno cercando di realizzare, non senta più la nostalgia della verità e la sete di Dio, ma si appaghi di un’esistenza puramente biologica, passiva e tranquilla, eseguendo ciecamente quanto le viene ordinato e non ponendosi mai alcuna domanda che vada al di là delle mansioni strumentali che deve svolgere. Lasciate una parrocchia senza il suo curato per vent’anni, e alla fine vedrete gli uomini adorare le bestie, soleva dire il santo Curato d’Ars, Jean-Marie Vianney. Oggi i Padroni Universali, forti di questa conoscenza dell’animo umano, stanno lavorando sia per offrire agli uomini l’equivalente dell’adorazione delle bestie, sia per modificare definitivamente il sistema logico e quello percettivo, in modo che essi non si rendano conto che stanno adorando le bestie, o magari qualcosa di peggio, e anzi credano di fare la cosa più bella e naturale del mondo. Il delitto perfetto è quello in cui l’assassino fa sparire anche la più piccola traccia di quel che ha fatto o, addirittura, in cui è talmente abile da far "sparire" il fatto che c’è stato un delitto, in modo che nessuno si accorga di alcunché.

La domanda che possiamo e che dobbiamo farci, a questo punto, è se la natura umana potrà sopportare una simile forzatura e una simile deformazione. E la risposta più ragionevole è che no, la mente umana, per come è fatta, non può tollerare un sistematico rovesciamento, e meno ancora una totale rimozione della verità dal proprio orizzonte esistenziale. Tuttavia non siamo in grado di dire quasi nulla su come reagirebbe una mente non più umana, ma post-umana o trans-umana, che è quanto i Padroni Universali si stanno sforzando di realizzare, operando sulla popolazione mondiale come su un’unica, immensa cavia da esperimenti. Inutile quindi proseguire su questa linea di ragionamento, dove saremmo costretti a fare delle speculazioni totalmente ipoetiche, vale a dire delle ipotesi basate sul nulla, o quasi. Molto meglio, invece, concentrarsi su ciò che conosciamo, su ciò che sappiamo e soprattutto su ciò che possiamo fare per scongiurare il destino che qualcuno, padrone di tutti i meccanismi che determinano l’andamento delle nostre vite, ha stabilito di riservarci. La ragione e il buon senso ci dicono che al profilarsi di un pericolo mortale, la cosa più saggia da fare è evitare di mettersi nelle condizioni di andargli incontro. Se sappiamo, perché ne udiamo i ruggiti, che un leone si aggira a poca distanza da casa nostra, la cosa migliore che si possa fare è evitare di andare a fare una passeggiata nella direzione in cui presumibilmente si aggira la fiera; e, se non siamo in grado di localizzarla, di restare ben chiusi in casa, con la porta e le finestre sbarrate, finché il pericolo non sia passato. Attenzione: stiamo parlando di un pericolo reale, non di un pericolo simulato, che qualcuno ci vuole indurre a credere vero e imminente, come sta accadendo con la falsa pandemia da Covid-19 che funge da pretesto all’emergenza sanitaria e a tutte le sue conseguenze. Perciò dobbiamo accertarci che il leone ci sia davvero: i suoi ruggiti potrebbero essere registrati e diffusi mediante altoparlanti. Ma quando siamo sicuri che il pericolo c’è, che è grave ed è vicino, dobbiamo evitare di andargli incontro. Ora, il pericolo immediato che si sovrasta è quello di perdere la nostra umanità: di rinunciare sia all’esercizio della ragione, sia alla fiducia accordata ai nostri sensi. Ecco allora in che direzione dobbiamo muoverci: esercitare al massimo la ragione e coltivare al massimo l’evidenza sensibile che ci viene dalla coscienza, filtrata dalla ragione stessa. Ragione e sensibilità non sono antitetiche: nella persona normale funzionano in perfetto accordo. Qualcuno vuol fare di noi degli anormali e ci lavora da moltissimo tempo: bisogna sventare questo progetto. Dobbiamo restare ancorati alla realtà: e per farlo dobbiamo ritornare a Dio.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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